L’inconsulto bisogno di un nemico a Est

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 8 marzo 2022

Visto che nessun Paese della Nato o dell’Unione europea vuol entrare in guerra con la Russia, e rischiare uno scontro che implichi il ricorso – intenzionale o accidentale – all’Armageddon nucleare, logica vorrebbe che si tentassero tutte le vie per metter fine alla guerra scatenata dal Cremlino in Ucraina, e al massacro delle città ucraine. “Tutte le vie” vuol dire instaurare al più presto un cessate il fuoco, aprire corridoi umanitari, avviare subito un negoziato che salvi la faccia non solo a Kiev, ma anche al Cremlino, e che eviti umiliazioni irreparabili dell’aggredito come dell’aggressore, tali da avvelenare il futuro degli ucraini e dei russi quando i loro governi cambieranno.

“Tutte le vie” vuol dire anche incaricare possibili mediatori, che non giustifichino l’aggressione di Mosca, ma che abbiano l’intelligenza di mettersi nei panni di chi, pur responsabile della guerra, ha da far valere alcune ragioni, inascoltate da decenni nella Nato e nell’Ue. Le proposte non mancano, ma purtroppo un incarico formale manca. Si parla di Angela Merkel, che con Putin parla in russo e tedesco, e che per anni ha difeso gli accordi di Minsk (comprensivi di una revisione costituzionale ucraina che conceda ampie autonomie al Donbass: punto cruciale per Mosca). Oppure si parla di una mediazione israeliana o turca o cinese, anche se Pechino resta neutrale e aborre ogni sorta di separatismo. Non per ultimo potrebbe muoversi il Vaticano, usando come leva l’inedita comunanza creatasi in questa guerra tra Chiesa ortodossa ucraina e russa.

Il guaio è che non ci sono logica né metodo nel pensiero della Nato, dell’Unione europea e di gran parte dei commentatori, ma un bisogno ormai patologico del nemico esistenziale, a Est, che legittimi il sopravvivere di blocchi super-armati a Ovest anche se non esiste più nelle forme di ieri. Di qui l’immagine ricorrente di Putin come Hitler, o Stalin. O come animale, e anzi “peggio di un animale” a sentire le scempiaggini del ministro degli Esteri Di Maio (messo a tacere solo da Georgia Meloni, non dal governo né dal suo partito). Profetico in questo quadro quel che disse Georgy Arbatov, consigliere politico di cinque segretari generali del Partito comunista russo, quando l’Urss si disintegrò: “Vi faremo, a voi occidentali, la cosa peggiore che si possa fare a un avversario: vi toglieremo il nemico”.

Provare ad ascoltare le ragioni e le esigenze segnalate da Mosca non vuol dire giustificare una guerra che resta criminosa, e oltremodo opaca per quanto riguarda gli obiettivi veritieri di Putin. Vuol dire ascoltare e prender sul serio le condizioni elencate proprio ieri da Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino: immediato cessate il fuoco, in cambio del riconoscimento della Crimea annessa nel 2014, del riconoscimento delle Repubbliche del Donbass e della neutralità dello Stato ucraino (i modelli potrebbero essere il trattato Russia-Finlandia del 1948 e quello sull’Austria del 1954).

La guerra è certo opaca e non sappiamo se davvero Putin si accontenterà della neutralità ucraina e del riconoscimento di Crimea e Donbass russi. Ma provare a mettersi attorno a un tavolo si può, e rinunciare ufficialmente a nuovi allargamenti Nato si deve. Non lo dicono solo i pacifisti. Lo hanno detto protagonisti della Guerra fredda e delle teorie del “contenimento” come George Kennan nel 1997 (“l’allargamento Nato è l’errore più fatale del dopo Guerra fredda”), e poi Henry Kissinger ed Helmut Schmidt nel 2014 dopo l’annessione della Crimea.

Confrontate con gli argomenti di questi ultimi, le condotte odierne dei leader europei sono di una mediocrità senza pari. C’è chi, senza sapere cosa dice, si felicita della fermezza con cui l’Ue si arma ai propri confini e invia sempre più armi in Ucraina, perché lo scannamento continui sui nostri schermi. Secondo alcuni, non solo in Italia, questa guerra avrebbe addirittura “spinto l’Unione europea a reinventarsi”.

In realtà l’Europa non sta inventando alcunché, se per invenzione s’intende ideare qualcosa di nuovo, di non ancora tentato. Se esistesse l’autonomia strategica dalla Nato di cui Macron parla senza mai specificarne le modalità. Se cominciasse un’autocritica non solo sull’estensione della Nato, ma anche sulle politiche di allargamento Ue a Paesi dell’Est che sono entrati nell’Unione solo per meglio accedere alla Nato, l’istituzione da loro preferita.

Sono giorni che Macron, presidente di turno del Consiglio Ue, parla con Putin per poi annunciare, quasi fosse un giornalista qualunque, che i russi “andranno fino in fondo”. A che serve saperlo se non viene indicata la via d’uscita che l’Europa potrebbe escogitare? L’Europa scarta la guerra frontale con la Russia e per questo è giustamente contraria alla chiusura dello spazio aereo sopra l’Ucraina chiesta da Zelensky e avversata dal Cremlino, che l’interpreterebbe come guerra dichiarata della Nato. L’Ue auspica sanzioni sempre più severe, ma molti Stati non vogliono perdere l’accesso al gas russo, necessario alle proprie società. Quanto ai profughi, ben venga l’apertura doverosa, se non fosse per la selettività che la contraddistingue. “Grande emozione perché vedo europei con occhi azzurri e capelli biondi!” (viceprocuratore generale ucraino). “Non stiamo parlando di fuggitivi siriani, ma di europei!” (BFM TV, Francia). “Stavolta non sono profughi siriani ma ucraini… Si tratta di cristiani, di bianchi! Sono nostri simili” (Nbc News).

Né è inventivo riesumare di continuo parallelismi storici strampalati. Quello ricorrente menziona il cedimento (appeasement) delle democrazie che nel 1938 a Monaco permisero a Hitler di smembrare la Cecoslovacchia. Non manca giorno in cui il ’38 non venga evocato, senza mai fare accenno alla vittoria ottenuta nel ’45 grazie a oltre 20 milioni di morti russi (il “patto col Diavolo” ci ha salvati). Il contributo russo alla Resistenza è sempre più obnubilato (fino a cancellarlo, nella risoluzione del Parlamento europeo del 2019). Questo revisionismo storico è un altro elemento che offende la Russia, Paese europeo per eccellenza.

Gli storici futuri narreranno questa guerra come un attacco sproporzionato, come punitivo regime change, ma ricorderanno le umiliazioni inflitte per trent’anni alla Russia, a cominciare dalla Nato allargata. Può darsi che la strategia del Cremlino sia imperiale, ancora non sappiamo. Ma di certo conosciamo le parole di Putin: “Chiunque non senta la mancanza dell’Unione sovietica è senza cuore. Ma chiunque voglia il suo ritorno è senza cervello”.

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