Alluvioni e retorica dell’emergenza

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13 novembre 2014. Testo dell’intervento di Barbara Spinelli letto all’assemblea dell’Altra Europa con Tsipras, a Torino

Per la seconda volta in un mese, l’Italia è piegata da piogge che si sono mutate in alluvioni. Il 9 ottobre, a Genova, un uomo è annegato durante l’esondazione del Bisagno. L’11 novembre due anziani coniugi sono stati sepolti da una valanga di fango sulla porta di casa, nell’entroterra del Tigullio. Il giorno dopo un uomo è mortotravolto da una frana a Biella, e un altro è annegato nell’esondazione del Lago Maggiore. Questa notte, a Crema, un giovane è annegato mentre cercava di far defluire l’acqua da un mulino in stato di abbandono. Sfollati, feriti, scuole chiuse, treni bloccati, strade impraticabili, attività commerciali distrutte: è l’eccezione che continua, l’emergenza che si ripete. Ma lo stato emergenziale è ormai una retorica pericolosa, un addebitare all’imponderabilità, in questo caso della natura, responsabilità che non si vogliono assumere.

Dal 1966, anno della terribile alluvione di Firenze, a oggi, in Italia ci sono state 17.688 frane, 3656 alluvioni, danni per oltre 168 miliardi di euro (3,5 l’anno) e 4173 morti. Sono passati 44 anni dall’alluvione di Genova del 1970, in cui persero la vita 44 persone, e sono passati solo tre anni da quando, il 4 novembre 2011, sempre a Genova, morirono travolte dall’acqua sei persone, tra cui due bambine. Da ottobre, di nuovo piogge torrenziali, allagamenti, paura, danni. Di nuovo lutti, dolore, rabbia, che inevitabilmente si trasformano in profondo discredito delle istituzioni.

In tutte le regioni colpite dalle alluvioni – Liguria, Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto – si assiste a un consumo di suolo che non ha pari in Europa, e alla mancanza di manutenzione ordinaria del territorio. Ciò che è diventato ordinario, è lo spettacolo di un’urbanizzazione incontrollata, la distruzione delle campagne e dei boschi, l’apertura di cave, la cementificazione che ha reso impermeabile il terreno, la superfetazione di grandi opere infrastrutturali, fonte di guadagno per le imprese e di corruzione einfiltrazione mafiosa negli appalti.

Fenomeni metereologici anormali che, ci spiegano gli studiosi, diventeranno la norma (conseguenza di un cambiamento climatico al quale le nostre politiche economiche globali non sono estranee) non possono essere affrontati con scelte locali dissennate. Occorre restituire terreno libero, non impermeabilizzato, alle nostre città; occorre prevedere piani di mantenimento e difesa dei torrenti e delle aree boschive. Occorrono piani casa che non consentano di costruire a pochi metri dagli argini dei corsi d’acqua, che mettano fine alla costruzione delle migliaia di box che bucano le colline come termitai, che proibiscano ogni aumento di volumetria, che liberino le zone limitrofe ai torrenti, che consentano il recupero delle aree in abbandono. Occorre rifiutare la logica che spinge a fare cassa con gli oneri di urbanizzazione.Occorre rompere lo scellerato patto di stabilità, occorre rifiutarsi di investire in grandi opere. Occorrono coraggio e scelte innovative, occorrono cittadini che partecipino attivamente, rivendicando il proprio diritto di scegliere.

Finora ben poco è stato fatto. I bacini di laminazione che, a Genova, fin dai progetti degli anni Ottanta avrebbero dovuto rallentare la portata d’acqua del Bisagno, non sono mai stati realizzati, così come non sono mai stati riforestati i suoi versanti, né è stato messo riparo alla cementificazione incontrollata che impedisce alla pioggia di essere assorbita. Si è scelto di ignorare le indicazioni di geologi e ambientalisti, e di finanziare opere costose – come i deviatori e gli scolmatori dei torrenti – peraltro mai iniziate.

A Massa Carrara, flagellata anch’essa dall’alluvione, negli scorsi giorni i cittadini hanno occupato il Comune indicendo un “presidio permanente”, in attesa delle dimissioni del sindaco e della caduta della giunta, ritenuta responsabile dell’ultima inondazione, per la precaria condizione degli argini.

Negli stessi giorni, il 10 novembre, il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) approvava una serie di interventi strategici per la Regione Veneto, nei grandi settori dei trasporti e delle infrastrutture. Via libera al corridoio autostradale Orte-Mestre; all’alta velocità della Tav Veneto Verona-Padova; alla costruzione dell’Autostrada A31 Valdastico Nord; al completamento delle paratie mobili del Mo.S.E. di Venezia.

Fiumi di denaro pubblico destinato a opere il più delle volte inutili e spesso devastanti, quando mancano i soldi per la difesa del suolo dalle esondazioni, per la Protezione civile, per la sanità, per un abitare dignitoso,per i servizi essenziali.

Il governo, ha scritto oggi un gruppo di genitori liguri, rivolgendosi al Prefetto di Genova, “nelle ultime settimane ha varato provvedimenti che stanziano diversi miliardi di euro per opere di cementificazione, riservando al contempo poche decine di milioni all’unica vera grande opera utile nel nostro territorio: la sua messa in sicurezza”.

Mettere in sicurezza il territorio significa finanziare un piano di opere diffuse, partendo dai Piani di gestione del Rischio di Alluvione – prescritti tra l’altro dalla Direttiva EU 2007/60, così da uscire dalla logica della perenne emergenza, dei piani straordinari, dei commissari speciali, delle procedure “in deroga” e del regolare malaffare. Significa dotare il nostro Paese, come da tempo chiedono autorevoli ambientalisti e studiosi, di Piani di bacino idrogeografici, capaci di prevenire e mitigare gli effetti meteorologici del mutamento climatico.

Lo scempio edilizio e la cementificazione delle nostre regioni è una questione che riguarda l’Italia – quel “partito del cemento” reso ancora più forte dal decreto legge detto Sblocca Italia,divenuto operativo l’11 novembre– ma anche l’Europa, visto che con i finanziamenti comunitari si edificano storture come il ponte Meier di Alessandria [1] e con i fondi strutturali europei è stato finanziato il collegamento Fegino-Tortona del Terzo Valico: 6,2 miliardi di euro per un’opera non solo inutile, dal momento che i due luoghi erano già collegati, ma pericolosa, come hanno mostrato i crolli avvenuti in ottobre sulla ferrovia.

La parola “emergenza” è stata sequestrata, piegata a pratiche politiche e giuridiche di uno Stato d’eccezione che preferisce le scorciatoie, che non si presenta ai cittadini nei luoghi istituzionali deputati all’esercizio della democrazia. Non parliamo di emergenza – questo malefico diversivo usato per spaventare i cittadini e i loro rappresentanti, e render sempre più flebili la loro voce e il loro giudizio critico.Parliamo invece di provvedimenti ordinari, di buon governo delle città e dei territori, a cominciare da una seria opera di manutenzione di strade, ferrovie, scuole e ospedali – oggi in condizioni allarmanti in tutta Italia. [2]

Tutto questo costituirebbe non solo una cospicua fonte di lavoro, ma la premessa di un rinnovato legame tra istituzioni e cittadini. Uno Stato che abdica ai propri compiti (il “sacro debito” verso il proprio popolo) per consentire a privati di fare sempre nuovi ed enormi profitti, incurante delle stesse vite dei cittadini, rischia di aprire falle e smottamenti non solo nel tessuto urbano, ma nel tessuto sociale e nella democrazia del paese.

NOTE

[1] Il ponte Meier ha impegnato, con altre opere collaterali, la somma di circa 12 milioni di euro messa a disposizione dall’Unione Europea. Tale importo dovrà essere utilizzato entro il 31 dicembre 2014, ma non basta a coprire i costi complessivi, e la città dovrà impegnarsi in mutui di altri (?) milioni di euro per il completamento dell’opera.

[2] Secondo il XV Rapporto Ecosistema Scuola di Legambiente pubblicato il 12 novembre 2014, il 9,8 per cento degli edifici scolastici si trova in area a rischio idrogeologico e il 32,5 per cento necessita di interventi urgenti. Tuttavia le risorse destinate alla manutenzione straordinaria sono state ridotte, nell’ultimo anno, di circa 22mila euro in media per ogni singolo edificio, mentre le risorse per la manutenzione ordinaria sono state ridotte di quasi 2mila euro, andando a intaccare la cifra già esigua di 8808 euro.