Perdite di memoria in Europa

Intervento di Barbara Spinelli nel corso del convegno sulla giustizia universale e la memoria storica – Jornadas sobre Justicia Universal y Memoria Histórica. 22 settembre presso il Parlamento Europeo, Bruxelles.

Partiti organizzatori: Podemos, IU-Izquierda Plural, EH Bildu (GUE/NGL); ICV, Primavera Europea (Greens/European Free Alliance) e PNV (ALDE).

Sessione: Antifascismo in Europa. Giustizia e riparazione per le vittime

Oratori della seconda parte: Izaskun Bilbao (PNV, ALDE), moderatore. Merçona Puig Antich, sorella di Salvador Puig Antich, giustiziato con la garrota il 2 marzo del 1974. Manuel Blanco Chivite, condannato a morte dalla dittatura franchista, rappresentante del Coordinamento Statale di sostegno alla Denuncia Argentina contro i crimini del franchismo (CEAQUA). Stelios Koulouglou, Eurodeputato di Syriza e documentarista. Barbara Spinelli, Eurodeputata italiana. Francisco Etxebarría, antropologo forense, direttore del programma di esumazione dei fucilati e assassinati nella guerra civile e nel dopoguerra – Sociedad de Estudios Aranzadi.


L’Unione europea è un animale ambiguo, dal punto di vista della memoria e di quella che i tedeschi chiamano politica della memoria.

Da una parte fu il progetto di imparare dal passato, di capire perché nel ‘900 le guerre tra europei avevano raggiunto il culmine della devastazione. Le radici furono individuate nell’osmosi che il fascismo aveva creato tra nazione, Stato, e cittadino. La Stato-nazione era divenuto valore supremo e sovrano assoluto, e ai cittadini veniva tolta ogni sovranità: anch’essi dovevano entrare in osmosi con lo Stato deificato e totalizzante. Il fascismo italiano ideò questo termine – totalitarismo – applicato poi a varie forme di dispotismo. Secondo Giovanni Gentile, uno dei più intelligenti ideologi dell’epoca mussoliniana, “per il fascista tutto è nello Stato e nulla di umano e spirituale esiste e tantomeno ha valore fuori dallo Stato. In tal senso il fascismo è totalitario».

L’Europa unita fu nel dopoguerra il tentativo di superare i tre mali che avevano prodotto il fascismo: la grande crisi economica con la miseria e il furore che essa aveva creato nelle popolazioni; il nazionalismo che doveva assorbire questo furore; infine il colonialismo. Il Manifesto di Ventotene affronta insieme questi tre mali, proponendo non solo un’unità tecnica fra europei ma una democrazia più disseminata e un sistema di protezioni sociali che avrebbe ridotto la solitudine e il risentimento dei cittadini davanti alla miseria. Non dimentichiamo che gli estensori del Manifesto, gli antifascisti Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, proposero un reddito minimo europeo, e che tra i fondatori dell’europeismo originario c’è anche William Beveridge, l’inventore del Welfare State.

Ma l’Europa è stata anche il contrario di tutto questo. Non la memoria viva, ma la sua deliberata negazione. La Germania ovest fu riammessa nell’area delle democrazie come se il nazismo fosse stato un incidente, anche perché simultaneamente fu inserita nella Nato. Il solo fatto di essere nella Comunità la esentava da una politica della memoria che cominciò molto più tardi, negli anni ’60 sulla scia del processo Eichmann e dei movimenti studenteschi.

Fu così che l’Europa fu al tempo stesso lavoro di memoria e amnesia collettiva, non solo in Germania. L’Italia non ha mai lavorato sulla propria memoria: onorò perfino i responsabili della guerra chimica in Etiopia. E a differenza della Germania, che ha chiesto ufficialmente scusa per il bombardamento di Guernica, non si è mai scusata per i bombardamenti di Barcellona durante la guerra di Spagna. La Francia per decenni non ammise la propria collaborazione col nazismo. I primi storici di Vichy furono americani, non francesi. L’Unione è stata anche questo: una specie di patto dell’oblio, di patto della Moncloa.

Non c’è dunque da stupirsi se il passato si banalizza e rivive. L’Europa si sta trasformando oggi in un territorio cosparso di centri di detenzione per migranti senza documenti, e chi ha visitato questi centri ha visto quanto somiglino a campi dove le persone sono concentrate, in attesa di un’esplosione che di sicuro verrà.

L’Europa torna a essere un esercizio in amnesia. Anche in Germania, dove più si è lavorato sul passato, pareti intere di memoria precipitano. I tedeschi hanno ricordi vividi dell’inflazione che colpì la democrazia prima dell’avvento di Hitler, ma hanno completamente dimenticato che una delle cause di tale avvento fu la recessione – antikeynesiana già allora – adottata subito prima dal governo Brüning. Hanno dimenticato che nel dopoguerra parte dei suoi debiti le furono condonati dagli Stati stessi che aveva distrutto (fra essi la Grecia).

Intanto siamo sommersi dalle commemorazioni, ripetitive e sempre più vuote. La cosa più insopportabile sono le chiacchiere sui valori. È Habermas a chiamarle così. Più parliamo di valori, più calpestiamo quel che davvero conta: non i valori in astratto, ma i diritti e le costituzioni.

Il disastro della memoria è questo: dell’Europa antifascista si ricorda solo la parte tecnica del progetto, e la delega di sovranità nazionali si riduce a un fine in sé. Serve a schiacciare ogni altra sovranità: delle nazioni come dei popoli. Ai vertici ecco di nuovo un sovrano assoluto, anche se meno afferrabile: legibus solutus, sciolto dalle leggi, dallo Stato di diritto. Un’Unione siffatta ci fa forse uscire dallo Stato nazione, non dall’esperienza fascista.

Democrazia debole a Budapest

Dichiarazione scritta su democrazia, stato di diritto e diritti fondamentali in Ungheria

Un anno fa il Parlamento europeo ha approvato, a seguito di intensi dibattiti, il rapporto dell’eurodeputato Rui Tavares (GUE-NGL) sulla situazione dei diritti fondamentali in Ungheria. Il rapporto parla di una “tendenza sistemica e generale a modificare a più riprese il quadro costituzionale e giuridico, in breve tempo e introducendo modifiche che sono incompatibili” con i principî europei. Le autorità ungheresi sono esortate ad “attuare il più rapidamente possibile tutte le misure che la Commissione, in quanto custode dei Trattati, riterrà necessarie ai fini del pieno rispetto del diritto dell’UE, a conformarsi in toto alle decisioni della Corte costituzionale ungherese e a dare attuazione alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa e di altri organismi internazionali per la tutela dei diritti fondamentali“.

Il rapporto, sostenuto da sinistre e liberali, fu votato con 370 voti favorevoli, 249 contrari e 82 astensioni.

La situazione della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti fondamentali in Ungheria è stata discussa di nuovo il 21 Ottobre scorso durante sessione plenaria a Strasburgo. In quest’occasione, l’eurodeputata Barbara Spinelli ha espresso tramite una dichiarazione scritta le proprie opinioni sul contenuto del dibattito:

Ogni singola violazione dello Stato di diritto colpisce i principi dell’Unione Europea (Art.2 TUE [1]) e, nel caso delle politiche ungheresi degli ultimi anni, conferma una protratta, brutale aggressione delle libertà su cui si fonda l’Unione.

La risoluzione Tavares adottata in questo Parlamento nel 2013 tracciava già un lungo percorso di violazioni: le modifiche alla legge fondamentale (attuate in tempi brevissimi schivando ogni dibattito con gli altri partiti e la società civile), l’ampio ricorso alle leggi organiche (“cardinali”), l’indebolimento del sistema di pesi e contrappesi (Corte costituzionale, Parlamento, autorità garante della protezione dei dati), l’assoggettamento del sistema giudiziario, la legge elettorale e le norme lesive del pluralismo dei media.

Se alcuni di questi punti hanno subito di recente lievi miglioramenti, le ambigue dichiarazioni del Premier Orbàn sulla democrazia, il trattamento di alcune ONG e la proposta di una tassa su internet mostrano l’intento, da parte delle autorità, di trasformare lo Stato ungherese in uno Stato non più completamente liberale.

La cautela mostrata dalla Commissione in questo dibattito parlamentare mi preoccupa: queste violazioni non necessitano di tante procedure di infrazione, ma di un’attivazione della procedura prevista dall’Art.7 TUE [2] in caso di “violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori” dell’Unione.

NOTE

[1] Articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea:

L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

[2] Articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea:

  1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.

Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.

  1. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
  1. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.

Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.

  1. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
  1. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.