I dieci punti della Lista L’Altra Europa con Tsipras

di Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale

«Siamo radicali perché la realtà è radicale»
Alexis Tsipras

Quando diciamo che siamo per un’Altra Europa, la vogliamo davvero e non solo a parole. Abbiamo in mente un ordine politico nuovo, perché il vecchio è in frantumi e non può essere rammendato alla meno peggio. I nostri candidati, e i nostri europarlamentari, non s’accontenteranno più della risposta: «L’austerità ce l’impone l’Europa», oppure «Non ci sono i soldi». In soli due anni, tra il 2009 e il 2011, i governi UE hanno versato o dato garanzie alle banche private per oltre 4.000 miliardi di euro. E’ un loro dovere trovare 100 miliardi l’anno per ridurre la vergogna della disoccupazione. E’ anche un loro interesse, se mai volessero capire le lezioni degli anni ’20 e ’30, quando in Europa milioni di disoccupati senza speranza, artigiani senza lavoro, imprenditori falliti, esasperati dall’inettitudine dei loro governi, cedettero alle lusinghe dei regimi totalitari.

Molti obiettano che tanti, oggi, invocano un cambiamento di rotta. È la grande illusione di queste elezioni europee. In realtà il nostro è l’unico progetto che non si limita a invocare un’altra Europa, ma si propone di cambiarla e governarla con politiche che riuniscano quel che è stato disunito e disfatto. Gli altri partiti sono tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, conservatori dello status quo.

Sono conservatori Matteo Renzi e i partiti governativi, che parlano di cambiamento e tuttavia hanno costruito e vogliono quest’Unione che umilia e impoverisce i popoli, che favorisce banche e speculatori. Le loro parole di riprovazione sono spesso forti, ma le scelte concrete vanno in ben altra direzione.

Sono conservatori i leghisti, che denunciano i misfatti dell’Unione ma come via d’uscita prospettano il nazionalismo, con potenti dosi di xenofobia e anche razzismo.

Nei fatti è conservatore il Movimento 5 Stelle, che confusamente chiede il referendum sull’euro ma anche una Banca centrale prestatrice di ultima istanza. Grillo non avanza vere soluzioni. Si fa portavoce di un disagio reale, ma senza indicare sbocchi chiari. Ha l’impazienza di chi crede solo in parte nell’unità europea, ed è divenuto il punto di riferimento sia di chi giustamente è arrabbiato e protesta, sia di chi dall’Europa è stato deluso e vuol abdicare.

Tutta diversa la prospettiva della Lista Tsipras. La nostra non è né una promessa fittizia, come quella di Renzi, né una protesta che rinuncia alla battaglia prima di farla. Il progetto è di cambiare radicalmente l’architettura delle istituzioni europee, di dare all’Unione una Costituzione scritta dai popoli, di dotarla di una politica estera che la aiuti a stare nel mondo senza le stampelle statunitensi. Metteremo duramente in discussione il Fiscal compact, e in particolare contesteremo – anche con referendum abrogativo­­ – le norme applicative che il Parlamento dovrà introdurre per dare attuazione all’obbligo del pareggio di bilancio che purtroppo è stato inserito ormai nell’articolo 81 della Costituzione, senza che l’Europa ce l’abbia mai chiesto. In ogni caso, faremo in modo che non abbiano più a ripetersicalcoli così palesemente errati e nefasti. Sono calcoli che hanno portato alla recessione infinita che traversiamo, a tassi di disoccupazione sistemica, a una diseguaglianza sociale che i governi considerano ormai un immutabile dato di natura. Sono calcoli nati da una cultura liberista che vogliamo sostituire con una cultura di segno nuovo, non tanto competitiva quanto solidale e cooperativa, e che hanno impedito all’Europa di divenire l’istanza superiore agli Stati che custodisca sovranità che sono andate evaporando, proteggendoli contemporaneamente dal predominio di mercati incontrollabili, dall’erosione crescente delle democrazie, e dalla prevaricazione di potenze o superpotenze che usano il nostro spazio come estensione dei loro mercati e delle loro volontà geopolitica di dominio.

All’inizio della campagna elettorale, ecco dunque chi siamo. Ecco le 10 vie alternative che intendiamo percorrere:

1 – Siamo la sola forza alternativa perché non crediamo sia possibile pensare l’economia e la ricostruzione di un’Europa democraticamente unita «in successione»: prima si mettono a posto i conti e si fanno le riforme strutturali, poi ci si batte eventualmente per un’Europa più solidale e diversa. Le due cose vanno insieme, e andando insieme muta necessariamente la visione che abbiamo delle riforme come dei conti a posto. Operare «in successione» riproduce ad infinitum il vizio mortale dell’Euro: prima si fa la moneta unica, poi per forza di cose s’aggiungerà un’Europa politicamente unita, quindi solidale. È dimostrato ormai che questa “forza delle cose” non c’era, e non c’è. Status quo significa, oggi, tornare al vecchio equilibrio di potenze nazionali, dove s’impone e vince lo Stato più forte. La strategia italiana del battere i pugni sul tavolo è parte di questa regressione, se attuata per dare più peso (una volta fatti «i compiti a casa») a un singolo Stato debole, nel rapporto di forza con l’egemonica potenza tedesca. Proprio contro quest’equilibrio di potenze fu pensata, durante la guerra, la Federazione europea.

2 – Siamo la sola forza alternativa perché crediamo che solo un’Europa federale sia la soluzione, come sostiene Alexis Tsipras dal maggio 2012. E non domani, ma subito. Sin da ora, infatti, l’Europa deve definire il proprio ruolo in un mondo multipolare e globalizzato valorizzando le conquiste del dopoguerra: la democrazia, lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Se daremo vita a un sistema federale – queste le parole di Tsipras – la Grecia o l’Italia o il Portogallo diverranno simili a quello che è la California per l’America del Nord: gli Stati Uniti non minaccerebbero l’«uscita dal dollaro» della California indebitata, perché le strutture federali e la dimensione di un comune bilancio tengono gli Stati insieme, sono in grado di ridurre le disuguaglianze, e non colpevolizzano i più deboli. Le grandi Federazioni poi sono per loro natura aperte, contenendo più lingue, culture, nazioni. Possono regredire e spesso regrediscono, ma tendenzialmente si aprono allo straniero. In un’Europa federata l’isola di Lampedusa è una porta, non la lama di una ghigliottina.

3 – Siamo la sola forza alternativa perché non pensiamo che prioritaria ed esclusiva sia la cosiddetta difesa dell’«interesse nazionale», né l’instaurazione di un equilibrio più favorevole all’Italia tra potenze nazionali che continuano a fingere sovranità territoriali che hanno perduto. Si tratta di individuare quale sia l’«interesse europeo»: di tutti i cittadini europei. Se salta un anello della catena – anche queste sono parole di Tsipras – «tutta la catena salta» e tutti pagheranno. Tra gli interessi europei, il primo dovrà essere un reddito minimo garantito ai giovani, che ovunque soffrono più acutamente le conseguenze dell’austerità.

4 – Siamo la sola forza alternativa perché non siamo riducibili a un movimento minoritario di protesta e di lamento, ma avanziamo proposte precise e in tempi ravvicinati. Oltre a un’architettura federale, proponiamo una Conferenza sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953, in una conferenza a Londra, nei confronti della Germania: i suoi debiti di guerra, risalenti al 1919, vennero fortemente ridotti e dilazionati, perché il paese potesse rinascere economicamente e democraticamente. L’accordo cui si potrebbe giungere è l’europeizzazione della parte dei debiti che eccede il fisiologico 60 per cento del pil, come suggerito da una serie di economisti nella stessa Repubblica federale tedesca. Proponiamo anche, sempre tenendo conto dell’interesse comunitario e non solo di quello nazionale, un comune Piano Marshall per l’Europa, necessario per creare occupazione e avviare la riconversione produttiva ecologicamente sostenibile di cui le nostre vecchie nazioni industriali hanno bisogno. Un piano simile è stato prospettato dai federalisti, dal sindacato tedesco DGB, e dalla Cgil. Si chiama New Deal 4, e prevede un’Iniziativa Cittadina Europea (ICE) che sarà lanciata sulla base dell’articolo 11, comma 4 del trattato sull’Unione europea. Il finanziamento sarebbe assicurato da un insieme di tasse (sulle transazioni finanziarie, sulle emissioni di anidride carbonica) oltre che da project bond e eurobond.

5 – Siamo la sola forza alternativa perché non esigiamo soltanto l’abbandono delle politiche di austerità, ma la modifica dei trattati che le hanno rese possibili. Sono molteplici gli itinerari per giungere a tale risultato. Tra i primi: l’abolizione o la ridiscussione a fondo del cosiddetto Fiscal Compact, che imponendo di ridurre il debito al ritmo medio di un ventesimo l’anno promette – in base a ogni ragionevole previsione – di assicurare al nostro Paese come ad altri della UE una o due generazioni di intollerabile povertà, insieme con la distruzione dello Stato sociale. Anche in questo caso vogliamo promuovere in Europa, attraverso il Parlamento di Strasburgo e un ampio dibattito al suo interno, un’Iniziativa Cittadina ai sensi dell’art. 11 del trattato sull’Unione europea. Se riuscirà a raccogliere l’adesione di almeno 1 milione di cittadini europei, l’iniziativa dovrà esser fatta propria dalla Commissione Europea e trasformarsi in una sua proposta agli Stati. Obiettivo: un’approfondita messa in discussione del Fiscal Compact, a fronte dei gravissimi danni che recherà ai cittadini europei. Chiederemo anche al Parlamento Europeo un’indagine conoscitiva e giuridica sulle responsabilità della Commissione, della Bce e del Fmi nell’imporre politiche di austerità che hanno gravemente danneggiato milioni di cittadini europei. Sul piano nazionale, intendiamo denunciare alla Corte Costituzionale la trasformazione in legge del Fiscal Compact avvenuta nel 2012, poiché essa sottrae al nostro Parlamento e agli enti territoriali la facoltà di condurre qualsiasi genere di politiche economiche, e di emanare qualsiasi legge o decreto i cui oneri finanziari appaiano, a giudizio insindacabile dei burocrati di Bruxelles, in contrasto pur minimo con detto trattato. Tale “depoliticizzazione” della politica economica, come è stata chiamata dagli esperti, poggia sullo slogan ideologico “conti pubblici in pareggio” e assume la forma di una dittatura: svuota di senso il processo democratico, e con esso gran parte della nostra Costituzione e della Carta dei diritti europei.

6 – Siamo la sola forza alternativa perché non ci limitiamo a condannare gli scandalosi guasti economici e sociali della disoccupazione e del lavoro precario, né a raccomandare i soliti interventi a pioggia per ridurne il tasso di qualche decimo, ma proponiamo che il Parlamento Europeo, insieme alla Commissione e al Consiglio, promuova una direttiva che definisca le linee guida di un Piano Europeo per l’Occupazione (PEO) il quale stanzi almeno 100 miliardi l’anno per 10 anni al fine di dare direttamente occupazione entro breve tempo ad almeno 5-6 milioni di disoccupati o inoccupati – che corrisponde a quanti hanno perso il lavoro dall’inizio della crisi. Il PEO dovrà dare la priorità a interventi ambientalmente e socialmente compatibili, al contrario delle molte Grandi Opere che devastano il territorio e che creano poca occupazione, come il TAV Torino-Lione, le trivellazioni nel Mediterraneo e nelle aree protette, o le nuove autostrade che moltiplicano il traffico su gomma. Casi come quello dell’Ilva di Taranto mostrano quanti danni scaturiscano dall’alternativa tra occupazione e difesa dell’ambiente e della salute: non aver tutelato per anni ambiente e salute ha prodotto migliaia di morti e malattie letali, e mette in forse il posto di lavoro di migliaia di operai. In tutta l’Europa, ma soprattutto in Italia, per la condizione di stress cui è esposto il suo territorio, il PEO dovrà agevolare la transizione verso una economia a consumo drasticamente ridotto o azzerato di combustibili fossili; la creazione di un’agricoltura biologica, multiculturale e multifunzionale che promuova “il ritorno in campagna” per tutti quei giovani – e sono molti – che lo desiderano; la gestione appropriata dei rifiuti della produzione e del consumo che massimizzi il riciclo; la mobilità flessibile fondata sulla massima condivisione possibile dei veicoli; la messa a norma e in sicurezza di tutti gli edifici, pubblici e privati, vetusti e malsicuri; il riassetto idrogeologico dei territori rovinati dall’incuria e dalla speculazione; la valorizzazione a scopo culturale e non speculativo del patrimonio monumentale del paese; il potenziamento della scuola, dell’Università e della ricerca. Il PEO dovrà tenere conto delle situazioni nazionali: per questo una parte consistente di esso dovrebbe riguardare il nostro paese.

7 – Siamo la sola forza alternativa perché riteniamo sbagliato e molto pericoloso l’impegno, preso da Renzi, di concludere al più presto le trattative sul Partenariato Transatlantico per il Commercio e l’Investimento (Ttip). Condotto nel massimo segreto, senza alcun controllo democratico, il negoziato euro-americano è in mano alle grandi corporazioni e multinazionali, il cui scopo è far prevalere i propri interessi commerciali su quelli collettivi dei cittadini. Le industrie farmaceutiche fanno quadrato contro i farmaci generici, pur di tener altri i prezzi. Il diritto alla salute, alla vita, alla protezione del clima, diventa secondario rispetto al profitto. Il Welfare è sotto attacco. L’acqua, l’elettricità, l’educazione, la salute rischiano di essere esposte alla libera concorrenza, in violazione di referendum votati dai cittadini e delle tante lotte condotte in questi anni attorno ai “beni comuni” e ai servizi pubblici. Garanzie essenziali, frutto di cruciali battaglie europee, corrono il pericolo di essere travolte: dalla battaglia contro la produzione degli OGM e contro l’uso dei pesticidi alle leggi che penalizzano le imprese inquinanti o che obbligano all’etichettatura dei cibi. La tassa sulle transazioni finanziarie e sull’emissione di anidride carbonica (carbon tax) è nel mirino dei negoziatori del Ttip. La nostra lotta contro la corruzione e le mafie è ingrediente essenziale di questa resistenza alla commistione mondializzata fra libero commercio, violazione delle regole, e abolizione dei controlli democratici sui territori. A tal fine è necessaria un’Europa unita, autonoma dagli Stati Uniti: un’Europa che sappia valorizzare le proprie conquiste sociali e democratiche nella costruzione del mondo del terzo millennio.

8 – Siamo la sola forza alternativa perché vogliamo cambiare non solo gli equilibri fra istituzioni europee ma la loro natura. Il trattato di Lisbona ha accresciuto enormemente le prerogative dei Governi nazionali, a scapito di istituzioni che dovrebbero essere comuni e preminenti. L’austerità e il Fiscal Compact sono stati decisi dai governi nazionali, e del tutto ipocriti sono gli attacchi che questi ultimi muovono alla burocrazia di Bruxelles – è l’argomento ricorrente nella campagna di Renzi – che delibererebbe per conto proprio, indifferente a chi ha in mano il comando nelle nazioni. È il motivo per cui riteniamo che i vertici dei capi di Stato o di governo, a partire dal Consiglio europeo che fa di essi un organo potente e incontrollabile, siano un cancro dell’Unione, e proponiamo che il Parlamento europeo diventi un’istituzione democratica a tutti gli effetti: che legiferi, che nomini il Presidente della Commissione e i suoi commissari, e sia in grado anche di imporre tasse europee in sostituzione di quelle nazionali. Perché se è vero che «non esiste tassazione senza rappresentanza», è anche vero il contrario: non esiste rappresentanza senza potere impositivo. Fa parte di questo piano la nostra idea di un Parlamento costituente, capace di dare ai cittadini dell’Unione una Carta che cominci, come la Costituzione statunitense, con le parole «We, the people….Noi, cittadini europei…». Non con la firma di 28 re azzoppati e prepotenti, che addossano alla burocrazia di Bruxelles colpe di cui sono i primi responsabili.

9 – Siamo la sola forza alternativa anche a proposito dell’euro. Pur essendo critici radicali dei modi in cui la moneta unica è amministrata, e degli scarsi poteri di una Banca centrale cui viene proibito di essere prestatrice di ultima istanza e di darsi come obiettivo la piena occupazione oltre che la stabilità dei prezzi, non siamo per l’uscita dalla moneta unica e non riteniamo l’operazione relativamente indolore, come suggerito da Grillo. Uscire dall’euro non solo è insidioso economicamente (aumento del debito, dell’inflazione, dei costi delle importazioni, della povertà). Non restituirebbe ai singoli paesi il governo della moneta, ma ci renderebbe più che mai dipendenti da mercati incontrollati, dalla potenza degli Stati Uniti o dal marco tedesco, come lo eravamo prima che la moneta unica nascesse. Soprattutto, sarebbe un formidabile arretramento di civiltà: segnalerebbe una ricaduta nei nazionalismi, nell’autarchia, e in sovranità completamente fasulle. Noi siamo per una moneta comune, il che vuol dire: siamo per un’Europa politica e una democrazia europea che sappia – per dimensioni, per congiunzione di forze – far argine contro i mercati, contro la potenza Usa, e contro le nostre stesse tentazioni nazionaliste e di chiusura xenofoba. Una moneta «senza Stato», cioè senzaun Governo   che controbilanci la Banca centrale (secondo indirizzi decisi democraticamente dal Parlamento) è un controsenso politico, oltre che economico. Chi si batte per l’uscita dall’euro vorrebbe il ritorno a un assetto come quello della Società delle Nazioni, che non seppe evitare i fascismi e le guerre perché fondata sulla sovranità assoluta degli Stati-nazione.

10 – Siamo la sola forza alternativa perché la nostra è l’Europa della Resistenza. Resistenza contro il ritorno dei nazionalismi, delle Costituzioni calpestate, dei Parlamenti svuotati, dei capi plebiscitati da popoli visti come massa amorfa, non come comunità di cittadini consapevoli e bene informati. Resistenza contro l’equilibrio delle potenze che nel ‘900 ha gettato l’Europa in due conflitti mondiali, e contro una politica estera al servizio di potenze egemoni. Dicono che l’Europa non può più fondarsi sul vecchio discrimine della pace e della guerra, perché fra europei regnerebbe oggi la pace. Non è vero. Le politiche di austerità hanno diviso non solo gli Stati ma anche i popoli, e quella che viviamo è una sorta di guerra inter-europea, anche se non combattuta con le armi, dentro un’Unione che non è più unione e che secerne di nuovo partiti neonazisti e fascistoidi come Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, Fronte Nazionale in Francia, Lega in Italia.   All’esterno, poi, siamo impegnati in guerre decise dalla potenza Usa: guerre di cui gli Stati dell’Unione non discutono mai perché vi partecipano con spirito servile, di nascosto dai propri popoli. Perché ancora non si sono accinti all’edificazione di una propria pax europea, fondata sul disarmo progressivo e dotata di armi coerenti con l’idea che gli Europei si fanno della pace. Perché dilapidano somme spropositate e inutili per l’armamento, refrattari come sono a una comune politica estera e di difesa (è stato calcolato che il costo della non-Europa in campo militare ammonta oggi a 120 miliardi di euro annui). Perfino ai confini orientali dell’Unione, poco meno di 25 anni dopo la caduta del Muro, sono gli Stati Uniti a decidere quale ordine debba regnare. La nuova guerra fredda con la Russia concerne molto più noi che Washington, ma è Washington a parlarne e a costruire con Mosca un rapporto bipolare fondamentalmente anacronistico, disinteressato all’ordine multipolare che vogliamo contribuire a far nascere.

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L’Europa che abbiamo in mente è quella del Manifesto di Ventotene, e chi lo scrisse non pensava ai compiti che ciascuno doveva fare a casa, ma a un comune compito rivoluzionario. Doveva nascere come reazione all’idea delle nazioni etniche, e al tempo stesso come lotta comune alla povertà e alle diseguaglianze sociali. Noi oggi facciamo rivivere quella presa di coscienza: per questo al Parlamento europeo saremo con Tsipras, non con i socialisti che già pensano a Grandi Intese con i conservatori dello status quo che sono i Popolari. Siamo così fatti perché non abbiamo perduto la memoria del Novecento. L’Europa delle nazioni portò ai razzismi, e infine allo sterminio degli ebrei e dei Rom, dei disabili e dei malati mentali. L’Europa dell’austerità e della recessione sfociò nella presa del potere di Hitler. Non è questa strada in discesa che intendiamo percorrere.

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