Un nuovo inizio per l’Europa

di Jean-Claude Juncker

Discorso di apertura della plenaria del Parlamento europeo, 15 luglio 2014

Il 25 maggio i cittadini europei si sono espressi e ci hanno mandato messaggi forti, sebbene a volte contraddittori. Dobbiamo dare loro una risposta, oggi e negli anni a venire. Dobbiamo rispondere alle loro aspettative, alle loro paure, alle loro speranze, ai loro sogni: perché in Europa c’è spazio per i sogni. Ed è proprio qui, al Parlamento europeo, massimo livello della democrazia europea, che presenterò gli orientamenti generali per l’operato e l’azione della prossima Commissione. Si tratta degli orientamenti generali, sintetici, che vi ho presentato in forma scritta in tutte le lingue ufficiali, perché tutte le lingue hanno pari dignità. Per questo ringrazio i traduttori che hanno passato la notte in bianco su un testo finalizzato nella tarda serata di ieri. Il programma dettagliato della Commissione sarà elaborato dal collegio dei commissari, che sarete chiamati a legittimare con il vostro voto in autunno.

Il Parlamento che inizia il suo mandato è diverso dai precedenti. Siete il primo Parlamento che elegge realmente, nel vero senso della parola, il Presidente della Commissione. E lo farete con uno spirito nuovo. All’indomani delle elezioni avete insistito sulla necessità di tenere conto dei risultati del suffragio universale. Avete sottolineato così lo spirito autentico e il reale significato democratico e politico dell’articolo 17, paragrafo 7, del trattato di Lisbona. Senza la vostra perseveranza e la vostra opera di persuasione, questo articolo sarebbe rimasto per sempre lettera morta. Avete difeso il principio democratico, e avete avuto ragione. Un Parlamento che impone l’osservanza del principio democratico agisce in modo nobile e non merita né critiche aspre e ingiustificate né infondati processi alle intenzioni. Desidero rendere omaggio anche agli altri candidati capolista che hanno contribuito a vivacizzare il nostro dibattito democratico. Se la famiglia politica di uno di loro avesse vinto le elezioni, sarei stato il primo a chiedere a questa assemblea di investirlo del mandato di comporre la prossima Commissione.

Il Parlamento e la Commissione sono due istituzioni comunitarie per eccellenza, perciò è normale che il Presidente della Commissione e quello del Parlamento, da una parte, e il Parlamento e la Commissione, dall’altra, intrattengano rapporti di lavoro e di riflessione privilegiati. Agiremo come attori comunitari, non contro il Consiglio europeo o contro il Consiglio dei ministri. L’Europa non si costruisce contro gli Stati e contro le nazioni, che non sono un’invenzione provvisoria della storia bensì soggetti duraturi. Noi, Parlamento e Commissione, lavoreremo nell’interesse generale e vorrei che lo facessimo insieme.

Il Consiglio europeo propone il Presidente della Commissione, ma ciò non fa di lui il suo segretario. La Commissione non è un comitato tecnico composto da alti funzionari brillanti agli ordini di un’altra istituzione. La Commissione è politica. Voglio che lo sia ancora di più. La Commissione sarà molto politica. La sua composizione deve riflettere la pluralità della maggioranza delle idee che si sta concretizzando. Vorrei che nell’organizzare la propria struttura interna il Consiglio europeo si ispirasse allo stesso principio.

Il Presidente della Commissione è eletto dalla vostra assemblea, ma ciò non fa di lui un esecutore di ordini. Non sarò l’aiutante di campo del Parlamento europeo. Ma non dubitate nemmeno per un attimo della mia volontà di porre fine al mandato di un commissario al quale avrete ritirato la fiducia, né della mia volontà di dare seguito, in linea di principio, con una proposta legislativa ai vostri interventi e ai vostri inviti in tal senso.

Inoltre non sarà intaccato il diritto di presentare interrogazioni, che resterà inalterato.

Chiederò ai commissari di partecipare più spesso ai momenti salienti dei triloghi importanti e vorrei che il Consiglio facesse lo stesso. Farò in modo che il registro dei lobbisti sia reso pubblico e obbligatorio. Vorrei che i cittadini europei sapessero chi ha ricevuto chi e chi ha parlato con chi e vorrei che le altre istituzioni seguissero il nostro esempio.

Intendo procedere al riesame delle norme procedurali relative alle diverse autorizzazioni degli OGM. Non ritengo giusto che la Commissione possa decidere allorquando la maggioranza degli Stati membri non l’ha incoraggiata in tal senso.

In linea generale, rinunciamo ai dibattiti ideologici che hanno il solo scopo di alimentare le divisioni. Sostituiamoli con dibattiti virtuosi, basati su convinzioni forti e su ambizioni che portano lontano. Scegliamo il metodo del pragmatismo. Concentriamoci su progetti concreti che comportino benefici per tutti i cittadini europei. Non logoriamo i nostri osservatori con dibattiti istituzionali che ci allontanano dall’essenziale, vale a dire il cittadino europeo. Chiedo inoltre ai governi di resistere più spesso alla tentazione di rientrare in patria criticando le decisioni prese insieme a Bruxelles.

Se avete detto sì a Bruxelles, non dite no altrove. Dopo una riunione del Consiglio, non dite più che voi avete riportato una vittoria e gli altri una sconfitta. In Europa vinciamo insieme e insieme perdiamo.

L’Europa è diventata indecifrabile, perché molto spesso ne trasformiamo la descrizione in caricatura. Rinunciamo all’egocentrismo nazionale. In Europa, agiamo insieme, applichiamo il metodo comunitario. È impegnativo, certo, ma è efficace, ha dimostrato il suo valore ed è più credibile delle derive intergovernative. È necessario riabilitare il metodo comunitario.

L’Europa ha perso credibilità.

La distanza tra l’Unione europea e i suoi cittadini sta aumentando. Solo chi si ostina a tapparsi occhi e orecchie non si rende conto della situazione.

In moltissimi casi l’Unione europea è costretta a dare spiegazioni e spesso si ritrova a dover giustificare in maniera più convincente la ragion d’essere di questa Europa.

L’Europa ha bisogno di un programma di riforme di ampio respiro.

La serie di strumenti di cui disponiamo non è completa. Dobbiamo ampliarla. La natura umana ci induce spesso a temere le riforme. Possono apparire minacciose e cariche di rischi. Ma il peggior rischio è quello corso da chi lo rifugge. Ci dobbiamo esporre a rischi se vogliamo rendere l’Europa più competitiva.

La nostra Unione europea ha perso competitività a livello internazionale e globale.

Abbiamo perso terreno perché ci siamo fermati. Dobbiamo riconquistare un vantaggio competitivo.

Spesso la competitività viene confusa con uno smantellamento unilaterale dello Stato sociale, ma non si ottiene competitività pagando pegno sul fronte sociale. La competitività si raggiunge adottando un approccio di ampio respiro. La competitività è una conditio sine qua non per trasformare l’Unione europea in un polo di produzione attrattivo. Un polo di produzione a misura d’uomo e un polo di produzione a misura di investitore.

Non dimentichiamo il principio secondo cui l’economia deve essere al servizio dell’uomo, non il contrario. L’economia deve essere al servizio dell’uomo.

Per questo le norme del mercato interno non devono avere maggiore valore rispetto alle norme sociali, che altrimenti si ridurrebbero a standard minimi. Il mercato interno non ha sempre precedenza a priori, anche la dimensione sociale deve avere il suo posto in Europa.

Sono un fautore convinto dell’economia sociale di mercato. “Benessere per tutti”, disse Ludwig Erhard, non benessere per pochi eletti – “benessere per tutti”: questo deve essere il valore portante dell’economia e della politica sociale. Spesso di fronte alla crisi si parla di fallimento dell’economia di mercato. No, care signore e cari signori, non è l’economia di mercato ad aver fallito. Il fallimento è di chi, attirato dai forti guadagni e per cupidigia, ha rinnegato le virtù cardinali dell’economia sociale di mercato a favore della politica del denaro facile.

L’economia sociale di mercato funziona solo in presenza di un dialogo sociale. Quel dialogo sociale che ha penato negli anni della crisi e che ora va ripristinato a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello europeo. Vorrei essere il presidente del dialogo sociale.

Il consolidamento dell’Unione europea come polo produttivo ha bisogno di crescita e non di programmi congiunturali finanziati con i debiti, che accendono fuochi di paglia e che alla lunga non hanno alcun impatto sul mercato del lavoro. Quello di cui abbiamo bisogno è una crescita sostenibile che si protragga per decenni. Abbiamo bisogno di un insieme di norme ambiziose a favore dell’occupazione, della crescita, degli investimenti e della competitività. Volete sapere perché? Perché abbiamo il dovere di riportare in Europa, nel suo centro nevralgico, molti europei. Gli interventi integrati a favore della crescita e della competitività e i programmi di investimenti hanno un unico obiettivo: rimettere la persona al centro della società.

In questo momento all’interno dell’Unione europea sta nascendo un ventinovesimo Stato. Lo Stato in cui sono di casa coloro che non hanno un lavoro. Uno Stato in cui i giovani sono diventati dei disoccupati. Uno Stato abitato da chi è stato emarginato, rifiutato e da chi si è perso per strada. Vorrei che questo ventinovesimo Stato tornasse ad essere un normale Stato membro. Per questo motivo propongo un programma di investimenti ambizioso. Entro febbraio 2015 vorrei presentare questo insieme di norme ambiziose per la crescita, gli investimenti, la competitività e l’occupazione.

Vorrei che nei prossimi tre anni riuscissimo a mobilitare fondi pubblici e soprattutto privati per un valore di 300 miliardi di euro. Ce la faremo, e vorrei che in questo nostro percorso potessimo contare sul sostegno del Parlamento. Ce la possiamo fare grazie a un impiego mirato dei fondi strutturali già esistenti e degli strumenti, già disponibili o da sviluppare ulteriormente, della Banca europea per gli investimenti. Abbiamo bisogno di investimenti coordinati in progetti infrastrutturali, di investimenti nella banda larga e nelle reti energetiche, di investimenti nelle infrastrutture dei trasporti dei centri industriali. Abbiamo bisogno di reindustrializzare l’Europa. Abbiamo bisogno anche di investimenti nell’industria, nella ricerca, nello sviluppo, nelle energie rinnovabili. Le energie rinnovabili non sono il campo giochi delle anime candide ecologiste. Le energie rinnovabili e la loro diffusione costituiscono la premessa per un futuro in cui l’Europa possa imporsi in maniera davvero duratura, stabile e sostenibile come polo produttivo nel confronto diretto con la concorrenza internazionale.

Un’Europa che punta maggiormente sugli investimenti è un’Europa con un maggiore benessere e un’Europa con più posti di lavoro. Gli investimenti sono i migliori alleati dei disoccupati. Nel contempo dobbiamo consolidare la garanzia per i giovani. Vorrei riuscire ad aumentare gradualmente il limite di età da 25 a 30 anni. Gli investimenti possono essere attuati in maniera mirata soltanto semplificando gli oneri burocratici, in particolare per le piccole e medie imprese.

Il ceto medio non è composto da grandi capitalisti. Il ceto medio lavora duro. E il ceto medio crea posti di lavoro. Dobbiamo fare di più per il ceto medio, soprattutto semplificando in maniera decisa l’eccessiva burocrazia. Dobbiamo applicare con rigore il principio di sussidiarietà. È dall’introduzione del trattato di Maastricht che parliamo dell’applicazione corretta di questo principio, ma all’atto pratico la nostra applicazione è lacunosa. I nostri discorsi si protraggono più del nostro impegno per smuovere le acque nel mare dell’eccessiva burocrazia e per fare in modo che la Commissione europea, e l’Unione europea, si occupi dei grandi problemi che attanagliano davvero l’Europa invece di insinuarsi in ogni piega della vita delle persone. Non tutti i problemi che si manifestano in Europa possono diventare problemi dell’Unione europea. Dobbiamo occuparci delle grandi problematiche.

Tutto questo, Signor Presidente, deve naturalmente essere realizzato nel pieno rispetto del patto di stabilità. Non modificheremo l’essenza del patto di stabilità e crescita. Lo ha stabilito il Consiglio europeo. Negli anni a venire mi atterrò a questa decisione.

La promessa di stabilità ha accompagnato l’introduzione della moneta comune. La stabilità non è soltanto una condizione per l’adesione alla moneta unica, ma una condizione costante. La stabilità è una promessa. E l’Europa non può venire meno alle proprie promesse. Io la rispetterò.

Il Consiglio europeo ha tuttavia sottolineato, a ragione, che dobbiamo anche sfruttare i margini di manovra concessi dal patto di stabilità rivisto nel 2005 e nel 2011 al fine di dare pieno risalto alla componente a favore della crescita del patto di stabilità e crescita. Abbiamo agito in tal senso anche in passato e lo faremo in maniera ancora più risoluta in futuro. A questo riguardo, conta per me che non si sottovaluti quanto già avviato e ottenuto in passato. Sono stato presidente dell’Eurogruppo e sono lieto di non esserlo più: è stata tutt’altro che una passeggiata. E il dubbio mi sorge che la funzione a cui oggi mi candido non sia più piacevole. Ma nel corso della crisi dell’euro, che di fatto non era una crisi dell’euro, ma una crisi del debito, abbiamo dovuto riparare in volo un aereo in fiamme. Non è stato semplice, non ha risposto a tutti i requisiti della nobile arte dello Stato e ai dettami di una raffinata estetica politica, ma ce l’abbiamo fatta a mantenere intatta la zona euro.

Poco più di un anno fa speculatori di ogni dove scommettevano sull’implosione della zona euro. Non è andata così. Su molte piazze finanziarie si è scommesso sull’uscita della Grecia dalla zona euro.

Ho fatto quanto in mio potere, e lo dico con orgoglio, per fare in modo che la Grecia, questo popolo laborioso, questa grande nazione, rimanesse parte dell’Unione economica e monetaria.

Ma il percorso non è stato scevro di errori. Non è semplice riparare in volo un aereo in fiamme, di quando in quando è possibile che ci si brucino le dita.

Se in futuro dovessero rendersi necessari ulteriori programmi di aggiustamento, ipotesi che peraltro non ritengo si verificherà nei prossimi anni, vorrei che prima di passare alla fase operativa del programma si svolgesse un’analisi molto minuziosa del suo impatto sociale. Ci terrei a valutare l’impatto dei programmi di aggiustamento sulla vita delle persone.

In futuro nessun programma di aggiustamento sarà realizzato senza un’analisi preliminare degli impatti sociali.

Auspico che, ogniqualvolta emerga la necessità di ricorrere a un programma di aggiustamento, sia già pronto un piano B. Un piano B al quale possiamo affidarci nel caso in cui le previsioni macroeconomiche si rivelino errate. Se il tasso di crescita in un dato paese risulta inferiore a quanto presupposto dal programma di aggiustamento, bisogna poter aggiustare il programma di aggiustamento. Per questo motivo sono a favore dell’elaborazione parallela di un piano B.

Vorrei inoltre che riconsiderassimo lo strumento della Troika.

Nelle sue relazioni in materia, il Parlamento ha espresso la convinzione che nell’assetto attuale la Troika manchi di sostanza democratica. Manca la sostanza democratica. Manca una dimensione parlamentare. Dobbiamo reimpostare la Troika per renderla più democratica, più parlamentare e più politica. E lo faremo.

Non possiamo spendere soldi che non abbiamo. Dobbiamo sostituire i disavanzi e i debiti con le idee. Le idee ci sono: dobbiamo sfruttare meglio le opportunità offerte dalle tecnologie digitali, che non conoscono confini. Dobbiamo superare i compartimenti stagni nazionali per quanto riguarda le regolamentazioni nel settore delle telecomunicazioni, i diritti d’autore, gli standard di protezione dei dati e la gestione delle onde radio. Dobbiamo abbattere queste barriere, questi ostacoli alla crescita. Raggiungeremo l’obiettivo di eliminare le spese di roaming in Europa. Se riusciremo a realizzare un vero mercato unico del digitale, potremo generare in Europa un’ulteriore crescita di 250 miliardi di euro. Ce la faremo.

Come è stato spesso ribadito durante la crisi ucraina, serve un’Unione dell’energia resiliente con politiche lungimiranti in materia di cambiamenti climatici. Dobbiamo riorganizzare la politica energetica europea per creare una nuova Unione europea dell’energia. Sarà necessario far confluire le nostre risorse, integrare le nostre infrastrutture e unire il nostro potere contrattuale nei confronti dei paesi terzi. Siamo chiamati a diversificare le nostre fonti energetiche e a ridurre l’elevata dipendenza energetica di diversi Stati membri.

Voglio che l’Unione europea diventi il leader mondiale delle energie rinnovabili. Contribuiremo in maniera significativa a migliorare l’efficienza energetica andando oltre l’obiettivo del 2020, in particolare per quanto riguarda l’edilizia. Ritengo che, per risultare credibile e lungimirante, l’Unione europea debba fissare un obiettivo vincolante di efficienza energetica almeno del 30%, da raggiungere entro il 2030. Non possiamo definirci i campioni delle politiche sui cambiamenti climatici se non diventiamo più credibili in termini di efficienza energetica.

Dobbiamo assolutamente completare il mercato interno, perché così aumenteremo il valore dell’economia europea di altri 200 miliardi di euro.

Dobbiamo completare le nuove norme europee sulle banche con l’Unione dei mercati dei capitali. Per migliorare il finanziamento dell’economia è necessario sviluppare e integrare ulteriormente i mercati dei capitali in modo da diminuire il costo della raccolta di fondi, soprattutto per le piccole e medie imprese.

Difenderò la libera circolazione dei lavoratori, che è da sempre uno dei capisaldi del mercato interno.

La libera circolazione è un’opportunità, non una minaccia. Le norme non verranno modificate. Sarà compito delle autorità nazionali contrastare gli abusi e le frodi nelle domande di prestazioni. Avvierò un riesame mirato della direttiva sul distacco dei lavoratori e della sua attuazione. Dobbiamo lottare contro il dumping sociale e lo faremo.

Intendo combattere l’evasione e la frode fiscale. Sono favorevole all’adozione a livello di UE di una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società e di un’imposta sulle transazioni finanziarie. Dobbiamo lottare contro il riciclaggio del denaro e lo faremo.

Per quanto riguarda l’Unione economica e monetaria, vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che la crisi non è finita.

La crisi non è finita.

La crisi non è finita perché 25 milioni di donne e di uomini sono disoccupati. La crisi finirà quando sarà stata ristabilita la piena occupazione. Per riuscirci dobbiamo coordinare meglio le politiche economiche. Dobbiamo attuare una governance economica. E lo faremo. Dobbiamo continuare a insistere per attuare le necessarie riforme strutturali che, a medio termine, contribuiranno alla crescita dell’economia europea. Se gli Stati membri dell’Unione economica e monetaria saranno chiamati a compiere particolari sforzi, dovremo pensare a incentivi finanziari che accompagnino il processo. In questo contesto, dovremo considerare l’idea di dare alla zona euro una capacità di bilancio propria.

È ridicolo che una delle valute più forti del mondo sia rappresentata da soggetti che, molto spesso, si contraddicono. Tutto ciò deve finire. Vorrei che l’Unione economica e monetaria, insieme all’euro, fosse rappresentata da un unico seggio, da un unico soggetto e con una sola voce nelle istituzioni di Bretton Woods.

Volgendomi a Bretton Woods, mi inoltro nel cuore degli Stati Uniti e ne approfitto quindi per accennare all’accordo di libero scambio con questo paese. Sono favorevole alla conclusione dell’accordo. Ritengo che i due spazi economici più vasti del mondo, le due più grandi democrazie del pianeta, possano unire le forze nell’interesse dei cittadini europei e americani. Detto questo, l’accordo non sarà concluso a qualunque prezzo. Non possiamo rinunciare alle nostre norme in materia di salute e di protezione sociale. E non possiamo dimenticare le nostre esigenze in materia di protezione dei dati. Auspico che la protezione dei dati non rientri nei negoziati con gli amici americani e non sono disposto ad assistere alla creazione di giurisdizioni parallele e segrete. Siamo luoghi in cui vige lo Stato di diritto e quindi, negli Stati Uniti come in Europa, applichiamo il diritto.

Facciamo sì che questi negoziati avvengano nella massima trasparenza. Questo vi dico: se non pubblichiamo i documenti afferenti ai negoziati, e non intendo i documenti relativi alle strategie di negoziazione, l’accordo fallirà. Fallirà davanti all’opinione pubblica, fallirà davanti a questo Parlamento, fallirà davanti ai parlamenti nazionali se mai dovesse esserci un accordo misto. Siamo quindi più trasparenti, perché non abbiamo nulla da nascondere. Non diamo l’impressione di nascondere qualcosa, lavoriamo nella trasparenza e rendiamo pubblici i documenti.

L’Unione europea è un’unione di valori. Possiamo risultare credibili agli occhi del mondo solo se siamo esigenti sui valori fondamentali al nostro interno. Nominerò un commissario responsabile dell’applicazione della Carta dei diritti fondamentali. E vorrei che l’Unione aderisse al più presto alla convenzione europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa.

La direttiva antidiscriminazione resterà sul tavolo e mi adopererò per persuadere il Consiglio a adottarla il più rapidamente possibile, almeno nelle sue grandi linee.

L’immigrazione legale e l’immigrazione clandestina sono temi con cui i nostri concittadini hanno a che fare quasi quotidianamente. Abbiamo bisogno di una politica comune in materia di asilo, e io la proporrò. Dobbiamo riflettere su quell’immigrazione legale di cui l’Europa avrà un bisogno acuto nei prossimi cinque anni. Emuliamo gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia: siamo in grado anche noi di imitare quello che loro sanno fare da sempre.

Le nostre frontiere esterne vanno protette: ecco un argomento che vi risulterà più gradito. Le nostre frontiere esterne vanno protette. Dobbiamo contrastare le bande criminali che speculano sulle disgrazie altrui. Dobbiamo andare sul posto a aiutare le persone che vogliono venire da noi, prima ancora che s’imbarchino per attraversare il Mediterraneo. E dobbiamo far sì che s’instauri una più grande solidarietà tra il nord e il sud dell’Europa. L’immigrazione clandestina e i profughi non sono problemi di Malta, di Cipro, dell’Italia o della Grecia: sono problemi dell’Europa tutta.

Non vorrei qui dilungarmi sulla politica estera. Abbiamo urgentemente bisogno di una politica estera e di sicurezza comune. Vorrei, e su questo spingerò, che l’operato dell’Alto rappresentante per gli affari esteri non sia più rallentato dai ministri degli esteri degli Stati membri. Una politica estera comune ha bisogno anche di una rappresentanza unica verso l’esterno.

L’Alto rappresentante per gli affari esteri, che ha un ampio ambito di competenze, sarà sostenuto da altri commissari responsabili di portafogli settoriali.

Nel settore della difesa non si tratta di contrapporre l’Unione europea alla NATO. Le due organizzazioni devono collaborare e agire in sintonia. Nell’ambito della difesa abbiamo bisogno di una cooperazione rafforzata, come peraltro previsto dal trattato di Lisbona. Una maggiore cooperazione è necessaria soprattutto nel settore degli appalti, invece di farci concorrenza per gli acquisti di beni di utilità comune.

Nei prossimi cinque anni l’Unione europea non accoglierà nessun nuovo membro. Ad oggi è inimmaginabile che uno dei paesi candidati con i quali abbiamo aperto i negoziati possa soddisfare integralmente tutti i singoli criteri di adesione prima del 2019. Ma i negoziati proseguiranno e altre nazioni e altri paesi europei hanno bisogno di una prospettiva europea credibile e sincera. Ciò vale soprattutto per i paesi dei Balcani occidentali. Questa regione europea tragicamente colpita dagli eventi ha bisogno di una prospettiva europea per non soccombere di nuovo ai vecchi demoni.

Avrei voluto parlarvi più diffusamente della politica industriale che dovremo necessariamente condurre in Europa per aumentare fino al 20% la quota relativa del settore industriale nel PIL europeo. Avrei voluto soffermarmi sulla situazione in Ucraina, il cui popolo voglio oggi salutare dicendogli che, per noi, gli ucraini sono europei e il loro posto è in Europa.

Avrei voluto illustrarvi più in dettaglio le ragioni che mi fanno ritenere necessario introdurre in tutti i paesi dell’Unione europea il salario sociale minimo e il reddito minimo d’inserimento garantito. Ci adopereremo in questo senso.

Avrei voluto dichiararvi la convinzione che i servizi d’interesse generale e i servizi pubblici vanno salvaguardati, che non possono essere lasciati alla mercé dei capricci del nostro tempo. Difendiamo il servizio pubblico in Europa!

Avrei voluto parlarvi dell’Africa, di quell’Africa spesso sfortunata e altrettanto spesso dimenticata. Ma anche di quell’Africa così ricca di risorse, ricca specialmente di risorse umane. Non dobbiamo dimenticare l’Africa e dobbiamo fermare lo scandalo, la tragedia, l’eterno dramma quotidiano che vede ogni sei secondi un uomo e ogni giorno 25 000 bambini morire di fame. L’Europa non avrà concluso la sua opera finché ogni giorno 25 000 bambini moriranno di fame. All’Europa incombe la responsabilità di cambiare questo stato di cose.

Dovremo lanciarci in un nuovo inizio, dovremo ascoltare le voci che ci hanno parlato il 25 maggio. Ma a essere scoccata non è l’ora della rivoluzione, e neanche quella della controrivoluzione. Se vogliamo che gli europei si rinnamorino della loro Europa, dobbiamo dir loro che noi, dell’Europa, siamo orgogliosi. Orgogliosi di molto di quel che abbiamo fatto nei decenni passati.

Si sente spesso che guerra e pace sono questioni ormai superate; eppure, il dialogo poco virtuoso tra guerra e pace ha ancora posto in Europa. L’abbiamo appena constatato, nell’immediata periferia dell’Unione: la pace non è un ospite fisso del continente europeo.

Dobbiamo essere orgogliosi della generazione dei nostri genitori, della generazione dei nostri nonni, di coloro che, reduci dai campi di battaglia e dai campi di concentramento, hanno concretato l’eterna preghiera di ogni dopoguerra “Mai più guerre!” in un programma politico che ancora oggi palesa i suoi benefici. Grande è il debito di riconoscenza verso i nostri padri.

Dobbiamo essere orgogliosi di essere riusciti, negli anni ‘90, a coronare l’allargamento, di aver riconciliato la storia e la geografia d’Europa, di aver posto fine al funesto decreto del dopoguerra che voleva un’Europa per sempre divisa in due. Senza armi ma con la forza della convinzione, abbiamo riunificato la geografia e la storia d’Europa, e desidero qui rendere omaggio a quanti, nell’Europa centrale e orientale, hanno un giorno deciso di prendere in mano la Storia. Di non subire più la Storia, ma di costruirla in prima persona. Smettiamola di parlare di vecchi e nuovi Stati membri: esistono gli Stati membri e non sono né nuovi né vecchi.

E dobbiamo essere orgogliosi della creazione della moneta unica. La moneta unica non divide l’Europa; la moneta unica protegge l’Europa.

Per vent’anni sono stato ministro delle finanze nel mio paese. Ogni sei mesi dovevo andare a Bruxelles per assistere a riallineamenti monetari. Ogni sei mesi ho toccato con mano, “in diretta a colori”, quanto fosse pericoloso il disordine monetario per l’economia europea. Innumerevoli volte ho visto la perdita di dignità di uno Stato che, incapace di mantenersi competitivo, era costretto a svalutare la moneta. Pieno di amarezza ho assistito a scene terribili in cui chi doveva aumentare il valore esterno della moneta non voleva per non perdere mercati, mentre chi doveva svalutarla non osava nel timore di un’incursione massiccia, di un ritorno incontrollato dell’inflazione.

Se durante gli avvenimenti dell’Ucraina, se durante la crisi economica e finanziaria che ci ha colpito in pieno e che ha fatto dell’Europa l’epicentro di una battaglia mondiale, fossimo stati ancora legati al sistema monetario europeo, una guerra monetaria infiammerebbe oggi l’Europa: Francia contro Germania, Germania contro Italia, Italia contro Portogallo, e Spagna contro tutti. Grazie all’euro, e alla disciplina e alle ambizioni che racchiude, viviamo in un ordine monetario che ci protegge. L’euro protegge l’Europa.

E la Grecia: la Grecia non voleva uscire dalla zona monetaria che l’euro rappresenta. Né noi volevamo che la Grecia ne uscisse.

Se non avessimo fatto quel che abbiamo fatto nei decenni passati; se non avessimo trasformato l’Europa in un continente di pace; se non avessimo riconciliato la storia e la geografia d’Europa; se non avessimo creato la moneta unica; se non avessimo costruito in Europa il mercato interno più grande del mondo, in che situazione ci troveremmo oggi? Subalterni, saremmo. Disarmati. Indeboliti. Inermi. Grazie al lavoro e alle convinzioni dei nostri predecessori, oggi l’Europa è un continente in grado di assicurare ai suoi abitanti di poter vivere in pace e in un relativo benessere.

Non voglio un’Europa relegata in un angolo della Storia. Non voglio un’Europa che sta a guardare mentre gli altri fanno, agiscono, progrediscono. L’Europa che vorrei occupa il centro della scena; è proiettata in avanti; è vincente, protegge, esiste; ed è un modello per gli altri. Per concretare quest’Europa ispiriamoci ai principi e alle convinzioni che costituiscono il retaggio dei grandi europei, di coloro che c’erano quando noi ancora vagavamo nel nulla. Voglio qui rendere omaggio a Jacques Delors, grande Presidente della Commissione. Non è da tutti essere Delors, ma a Delors guardo come amico e come maestro, e la sua opera sarà per me fonte quotidiana d’ispirazione. Voglio qui rendere omaggio a François Mitterrand, che ha detto che i nazionalismi portano alla guerra. Mitterrand aveva ragione.

E voglio rendere omaggio a Helmut Kohl, a colui che è stato, nel corso della mia vita, il più grande europeo che abbia avuto il privilegio di conoscere.

Loro avevano pazienza, coraggio e determinazione: seguiamone l’esempio. Diamo prova dello stesso coraggio, della stessa determinazione, della stessa pazienza; di quel coraggio, di quella pazienza e di quella determinazione che richiedono i lunghi cammini e le grandi ambizioni.

Insieme, possiamo fare grandi cose: per l’Europa, per i suoi cittadini, per il mondo.

Grazie.

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