Ancora a proposito di e-democrazia nell’Unione Europea

di giovedì, Aprile 21, 2016 0 No tags Permalink

Bruxelles, 20 aprile 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “e-democrazia nell’Unione europea: potenziale e sfide” (Relatore Ramón Jáuregui Atondo – S&D Spagna) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda: Esame del documento di lavoro

Vorrei ringraziare il collega Jáuregui per questo primo documento di lavoro: che sinceramente non mi appare affatto ideologico, come sostenuto dal collega del PPE. E’ un documento che fotografa l’esistente, e l’esistente è una crisi irrefutabile della democrazia.

Anche se formulati sotto forma di bozza iniziale, condivido i suggerimenti che vengono avanzati. Mi riferisco all’idea di incoraggiare la più ampia partecipazione possibile dei cittadini, di garantire un accesso generalizzato alla tecnologia tramite il superamento del digital-divide, e di promuovere la cooperazione europea al fine di favorire la massima trasparenza. Apprezzo inoltre il riferimento alla necessità di tutelare in particolare le esigenze di riservatezza e la protezione dei dati personali, che il ricorso sempre più massiccio a tali tecnologie può richiedere.

In questa prima fase, vorrei sottolineare  alcuni punti di carattere generale che mi piacerebbe vedere integrati nella futura relazione.

Primo, ritengo che lo sviluppo della e-democracy debba essere affrontato nella sua forma di “processo”, di progressione verso il punto terminale del processo democratico, punto rappresentato dal momento finale dalla decisione (che può essere un referendum, un’elezione, una deliberazione). L’analisi dell’e-democracy non può e non deve attestarsi al solo anello terminale della catena; si rischierebbe di ricorrere alla democrazia digitale solo per avvallare decisioni già assunte dall’alto, limitandosi a riaffermare lo status quo con strumenti tecnologici. La e-democracy dovrebbe svilupparsi a partire dalle condizioni che rendono possibile l’avvicinamento del cittadino e dell’elettore, in primis, allo strumento tecnologico e, per questa via, al funzionamento giorno dopo giorno della democrazia.

In questo quadro penso che prima di tutto debbano essere favorite le condizioni di sviluppo sociale della persona, che le permettano di poter partecipare attivamente a tale processo democratico. E’ il motivo per cui penso che nella Relazione dovrebbe esserci un riferimento al cosiddetto pilastro sociale europeo, che permetta di abbattere le molte barriere di ordine economico e sociale che limitano l’effettiva partecipazione dei cittadini.

In secondo luogo, considero l’e-democracy un corollario del concetto stesso di democrazia che, come tale, richiede la massima estensione dei diritti e principi che sono il fondamento della democrazia costituzionale. Anch’essa necessita di un numero di solide garanzie che siano il punto di partenza per il suo effettivo esercizio. Tali garanzie non possono che ritrovarsi nei diritti imprescindibili della persona e nella piena applicazione di tutti gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali.

Ricordo che in Italia, il 28 luglio 2015, è stata adottata dal Parlamento una Carta dei diritti in internet che riconosce tali garanzie nello spazio internet: primi tra tutti, i diritti fondamentali della persona. Sono convinta che uno strumento analogo potrebbe e dovrebbe essere adottato anche a livello di Unione.

In terzo luogo, come sottolineato anche dal Relatore, è necessario garantire il più ampio ed effettivo accesso a internet, non solo in termini di diffusione della necessaria tecnologia – che comunque deve essere il più possibile promossa con misure concrete – ma anche e soprattutto di accesso all’informazione della rete in condizioni di trasparenza. La partecipazione ai processi democratici è fondata in primis sulla conoscenza, e questa deve essere considerata secondo la logica di un bene comune globale. Il criterio dovrebbe essere quello di un accesso universale in condizioni di parità e non-discriminazione, che sia fondato sulla contemporanea eliminazione di ogni genere di limitazione nell’esercizio di tale diritto. Questo dovrebbe contemporaneamente implicare un obbligo negativo in capo agli Stati e all’Unione di astenersi dal porre barriere all’accesso, attraverso censura, limitazioni giustificate da esigenze di sicurezza nazionale, etc.

Credo che in tal senso l’Unione potrebbe dare un ampio contributo anche attraverso la promozione di programmi di “e-learning” per avvicinare i cittadini allo strumento tecnologico e, parallelamente, di apprendimento dei diritti fondamentali civili e sociali quale sostegno per un avvicinamento critico allo strumento tecnologico e all’informazione. Questo a cominciare dalle scuole.

Al fine di rafforzare ulteriormente i concetti di partecipazione e trasparenza, proporrei – e proporrò come shadow rapporteur nel corso dei prossimi incontri – di menzionare un’altra serie di misure, da attuare a livello di Unione. Nello specifico vorrei citarne tre.

1) Una riforma del Regolamento 211/2011 al fine di rendere l’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) uno strumento di partecipazione democratica obbligatoriamente preso in considerazione  e seguito da un serio follow-up, quando il numero di firme necessarie è stato raccolto. Ho trovato impressionante, per usare un eufemismo, l’autocompiacimento con cui la Commissione ha recentemente reagito alle critiche che le sono state rivolte o agli inviti di revisione dell’Iniziativa dei cittadini europei. La frase che ha utilizzato è la seguente “è troppo presto per rivedere il sistema dell’Iniziativa dei cittadini europei”.

2) Una normativa europea a protezione dei whistleblower per rendere effettivo il diritto alla libertà d’informazione quale elemento centrale del controllo democratico.

3) Penso che potrebbe essere infine auspicabile valutare l’idea dell’estensione dello strumento referendario a livello europeo.

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