La solitudine del maratoneta

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 30 marzo 2021

La popolarità di Giuseppe Conte, anche dopo la caduta del suo governo, continua a essere un enigma strano e dunque incomprensibile per gran parte dei giornali. Possibile che susciti tanti consensi, questo dilettante buttatosi in politica pur essendo sprovvisto di Visione e addirittura di Anima?

Il conformismo retorico, l’incredulità, la mancanza di curiosità regnano sovrani nella grande stampa italiana, e trasfigurando Mario Draghi lo usano e ne abusano. I commentatori spesso fanno politica invece di esplorare. Tanto più prezioso il libro di Rita Bruschi e Gregorio De Paola, che racconta quel che si conosce poco, dell’ex presidente del Consiglio: le letture, le convinzioni con cui è entrato in politica, il banco di prova che è stato il Covid e l’enigma, appunto, della sua persistente popolarità (Giuseppe Conte – Il carattere di una politica, ETS).

Mi soffermo su due momenti decisivi nel cammino di Conte, che sono stati la pandemia e l’Europa. Sono momenti che possono essere ricostruiti passo dopo passo nel libro, anche grazie ai numerosi link indicati in nota. E ricostruirli vale la pena, tanto grande è stata e continua a essere la disinformazione.

Il Covid innanzitutto, e cioè la parte più disconosciuta e inesplorata della sua popolarità. Conte è infatti divenuto popolare nonostante abbia inflitto sofferenze enormi agli italiani, con il lockdown (il primo in Europa) e le chiusure mirate che hanno tenuto a bada la pandemia. Proprio in occasione di quest’esperienza frastornante – la protezione della vita, unita a restrizioni della libertà mai viste nella storia repubblicana – tanti italiani hanno visto in Conte “l’avvocato del popolo”. Hanno apprezzato la sua straordinaria empatia, e la costante adesione ai pareri dei principali tecnici e scienziati: un’attitudine umile e feconda che lo distingue da Emmanuel Macron e che ci ha risparmiato gli innumerevoli, letali errori del capo di Stato francese. Hanno stimato le sue conferenze stampa e i suoi discorsi, che i giornalisti mainstream ricordano con irritazione, mettendoli a confronto con le abitudini oratorie di Mario Draghi. L’empatia non andava a caccia di “consenso sui social”, come affermò Matteo Renzi quando sfasciò il governo, ma era il laccio che teneva legati governanti e governati in un terribile momento della storia mondiale. Abissale e niente affatto machiavellica è l’ignoranza di questo momento mostrata dal capo di Italia Viva.

Il secondo momento è quello europeo. Secondo la vulgata, oggi abbiamo un presidente del Consiglio che può “battere i pugni sul tavolo” nell’Ue, visto che per anni ha presieduto la Banca centrale europea. La storia è ben diversa, se ripercorriamo il cammino di Conte nell’anno del Covid. Il piano Next Generation non è nato improvvisamente il 18 maggio scorso, quando Macron e Merkel hanno annunciato la messa in comune dei debiti nazionali. Si dimentica quel che ha preceduto il cruciale vertice franco-tedesco: l’ostinato, indefesso sforzo di Conte per convincere la Germania a superare l’antica avversione per il debito comune e gli eurobond, ad abbandonare la strategia dell’austerità che aveva piegato e umiliato la Grecia.

Le tappe di questo sforzo sono documentate con minuzia nel libro: dapprima la consapevolezza – già presente nel Conte 1 – che l’austerità era stata una strategia rovinosa per l’Unione. Poi il tentativo di far capire in Europa che i cosiddetti populismi andavano esplorati e capiti (compreso quello dei Gilet gialli, aggiungerei), perché esprimevano malcontenti dei cittadini cui bisognava dare risposte non ortodosse. Poi il dialogo con Angela Merkel e lo sforzo di spiegarle come mai l’Italia non chiedeva il Mes, ma il superamento – tramite il comune debito europeo – dei dogmi neoliberisti. “Il Mes è lo strumento che abbiamo – replicò la Cancelliera in uno dei vertici – “non capisco perché tu voglia minarlo”. Al che Conte: “State guardando alla realtà di oggi con gli occhiali di dieci anni fa. Il Mes è stato disegnato nella crisi dell’euro per Paesi che hanno commesso errori”. La pandemia colpiva tutti, veniva da fuori ed era simmetrica: doveva finire nell’Ue lo scontro distruttivo fra creditori e debitori, tra “frugali” e “spreconi”.

Mentre rifiutava i prestiti del Mes, Conte tesseva dunque la sua tela. Anzi, li rifiutava per meglio tessere l’alternativa: come Spagna e Portogallo, solo che questi Paesi non sono stati colpiti come in Italia dalla marea retorica pro-Mes. All’inizio era solo. Poi il 25 marzo 2020 convinse sette governi europei a firmare una lettera a Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, in cui si chiedeva un nuovo strumento per fronteggiare i disastri del Covid e preparare insieme “il giorno dopo”. La lettera può essere letta come manifesto programmatico del Recovery Plan e fu firmata da Francia, Spagna, Belgio, Grecia, Portogallo, Irlanda, Lussemburgo, Slovenia. “Non stiamo scrivendo una pagina di un manuale di economia – così Conte – stiamo scrivendo una pagina di un libro di storia”. Alla fine la pagina fu scritta, e Berlino accettò quello che non aveva mai accettato, e che ancor oggi purtroppo crea problemi: la messa in comune del debito, di nuovo contestata – nei giorni scorsi – dalla Corte costituzionale tedesca. Il Recovery Plan e i 209 miliardi di euro per l’Italia (prestiti e sovvenzioni a fondo perduto), sono stati decisi il 21 luglio 2020.

Conte era solo quando si batté per un’Europa solidale: “Si è mosso bene dentro un consesso di lupi”, scrisse lo storico Marco Revelli, che è tra gli ispiratori del libro. Era solo quando decise (contro il parere di chi gli era vicino), di andare a Taranto per parlare con chi lavora all’Ilva e al tempo stesso soffre gli effetti tossici dell’acciaieria. Era solo quando aprì alla Via della Seta cinese e rifiutò la guerra fredda con Mosca (forse paga anche per questo). Era solo in occidente quando annunciò il lockdown, il 20 marzo 2020. Parlando alla Bbc, spiegò il ritardo: l’Italia non è la Cina, “da noi limitare libertà costituzionali è stato un passaggio fondamentale che abbiamo dovuto ponderare, valutare attentamente. Se avessi proposto un lockdown o la restrizione delle libertà costituzionali all’inizio, quando avevo i primi focolai, mi avrebbero preso per pazzo”.

Questa somma di solitudini non è piaciuta ai poteri mediatici, che si son fatti portavoce di altri poteri, nazionali e transnazionali. Ma lo si deve a lui, se l’Italia piagata dal Covid sarà aiutata e non sarà sola, “il giorno dopo”.

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