Il Berlusconi che non è in noi

di domenica, Giugno 18, 2023 0 Permalink

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 18 giugno 2023

Vale la pena prendere le distanze dal lutto nazionale, quando canuti rappresentanti dell’establishment giornalistico e arcivescovi confusamente riluttanti evocano con frasi piene di caritatevole delicatezza, e di nostalgia, l’epoca della propria bella gioventù all’ombra di Berlusconi. Come se rendessero segreto omaggio a quella gioventù, più che al defunto.
Hanno preso le distanze Rosy Bindi e poi Tomaso Montanari, unico a rifiutare la bandiera a mezz’asta nella propria università. Si è rifiutato di partecipare alle esequie Giuseppe Conte, unico leader a tenersi alla larga da quello che ha chiamato, correttamente, il “parossismo celebrativo” dei giorni scorsi. C’è stato chi, inarcando sdegnoso le sopracciglia, gli ha ricordato che Almirante andò alle esequie di Berlinguer. Come se il paragone avesse senso. Come se tutti dovessimo per forza temere il famoso “Berlusconi che è in noi”.
Di Berlusconi si ricordano le gesta, ma selettivamente. Si trascura l’essenziale, e cioè come si arricchì, da bancarottiere che era, accumulando immani ricchezze. Si tacciono i patti con la mafia, stretti dal 1974 al 1992 da Dell’Utri, in suo nome (sentenza definitiva della Cassazione, 2014). Si parla di come sdoganò l’estrema destra, prima che Fini ripudiasse il fascismo, ma si tace su ben più cruciali e ramificati sdoganamenti, che hanno trasformato antropologicamente l’Italia.
Nel vocabolario Treccani sdoganare significa, per estensione, rendere socialmente accettabile un comportamento precedentemente condannato, censurato. Berlusconi ha reso oggi del tutto accettabili: l’ingresso in politica come arte per far soldi; la corruzione e l’abuso d’ufficio come peccatucci veniali (il disegno di legge annunciato il giorno dei funerali cancella l’abuso); la libertà di voto degradata a elezionismo e arbitrariamente equiparata alla democrazia costituzionale.

È stata poi sdoganata la menzogna continua: l’improponibile caccia agli scafisti in tutto “l’orbe terracqueo” promessa da Meloni, o il “piano Mattei” per l’Africa (espressione non identificata della sua neolingua). E soffriamo ancor oggi lo sdoganamento di parole incompatibili con la democrazia: gli oppositori e giornalisti critici ribattezzati odiatori o invidiosi cultori della gogna; le carriere politiche narrate come epica rivincita dei reietti (underdog). Meloni vede in Berlusconi, all’inizio un underdog come lei, il precursore della propria ascesa.

Berlusconi è il signore che ci ha fatto divenire, e apparire, peggiori. Ha sdoganato il peggio e ce l’ha lasciato.

Dissociarsi da tutto ciò vale la pena, ma sapendo che la dissociazione va usata cum grano salis, non dimenticando come Berlusconi fu spodestato. Non fu scalzato da governi di sinistra, che salvaguardarono l’insieme di leggi escogitate a difesa dei suoi soldi e del suo potere mediatico. Non l’hanno spodestato i giudici: le condanne son rare, le prescrizioni molte. L’hanno spodestato, nel 2011, l’alta finanza e l’establishment europeo.

Quello fu il suo Anno Terribile. Si scatenarono i grandi giornali stranieri: «Spiegel» in testa, che già l’aveva chiamato Il Padrino. Nel luglio 2011 il settimanale titolava in copertina: “Ciao bella!”. Nel sommario si lesse: “I mercati finanziari internazionali hanno perso la fiducia nell’Italia. Dopo 17 anni di Berlusconi il Paese è pesantemente indebitato e maturo per un cambio di governo. Uno dei Paesi fondatori dell’UE appare paralizzato dall’incapacità del suo premier, occupato innanzitutto dai suoi affari personali”. Sotto tiro era anche la sua politica russa. Il 16 novembre il potere passava a Mario Monti. Cominciava l’èra del sempreverde assioma: “È l’Europa che ce lo chiede!”.

Per chi ha investigato crimini e misfatti del leader non è facile identificarsi con l’onda perbenista e atlantista che nel 2011 scippò le battaglie degli investigatori e l’affondò. Non fu forse un golpe – Berlusconi s’è autodistrutto – ma di certo fu un torbido snodo storico che conferma con evidenza brutale la nostra sovranità limitata.

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Twilight zone. Revival Berlusconi

di mercoledì, Luglio 15, 2020 0 , , Permalink

di Barbara Spinelli

«Il Fatto Quotidiano», 15 luglio 2020

“Berlusconi al governo non è più un tabù”. Il primo ad annunciarlo è stato Prodi, già rivale del Cavaliere, ma a pensarlo e dirlo sono in tanti: nel Partito democratico, nella pattuglia renziana, e perfino nella sinistra di Liberi e Uguali. Per esempio Guglielmo Epifani, ex segretario generale della Cgil: anche lui ritiene “utile e interessante discutere sulla ‘praticabilità’ di un eventuale ingresso di Berlusconi in maggioranza”. Anche lui, probabilmente, ritiene che la vecchiaia porti saggezza. E che Berlusconi sia divenuto, a ben vedere, assai “interessante”.

Strana saggezza, quella che rompe tabù con tanta disinibizione. In genere la saggezza tende a conservarli, ma le eccezioni non mancano. I tabù cadono per stanchezza, o noia, o smemoratezza, o perché c’è chi coltiva lo spirito blasé e ne ha viste tante. Il passato diventa una sorta di nebbia spugnosa, come quella intravista dal vecchietto che d’un tratto appare in Amarcord e osservando i semi piumosi sparpagliati nell’aria dai pioppi – le “manine” annunciatrici della primavera – balbetta tutto scombussolato ma forse contento: “Vagano…gironzano…gironzo-la-no…”.

Come percepire in questa caligine indistinta la solida roccia di un tabù?

Quando cade un tabù c’è sempre da temere: sta per aprirsi l’era della Twilight Zone, quella “zona intermedia fra luce e ombra, fra scienza e superstizione, fra il pozzo delle paure umane e la cima della conoscenza”. Difficile difendersi e mantenere la testa a posto, quando irrompe la Quinta Dimensione e cammin facendo hai perso i tuoi tabù e ogni cosa che prima ti pareva indigesta la riscopri, nel crepuscolo, “interessante”. Soprattutto quando ad accogliere gli Interessanti ci sono politici – come Epifani – che stando all’intervista del «Foglio» parlano “con la loro solita voce garbata e lenta”. Slavoj Žižek ci ricorda che in Cina, se si odia veramente qualcuno, lo si maledice così: “Che tu possa vivere in tempi interessanti!”.

Non mi soffermerò sul curriculum di Berlusconi, sui suoi fatti e misfatti. Non perché quel paesaggio sia annebbiato da manine ma perché li ha già elencati su questo giornale Marco Travaglio, con penna precisa. Quel che si vorrebbe capire è l’origine di questa frana simultanea di memorie e salutari tabù. Tra le cause non va sottovalutato il giudizio quasi unanimemente sprezzante che viene espresso, dai politici di ieri e dai giornalisti mainstream, su Giuseppe Conte o su Cinque Stelle. Stupefacente disprezzo, se esaminiamo dappresso i commenti ricorrenti. Conte innanzitutto: chi era costui? È uscito dal “nulla”, era un “nessuno” – il ritornello viene immancabilmente recitato a mo’ di premessa – ed ecco che governa mica male, è da parecchi mesi molto popolare, negozia con tenacia sia su Autostrade sia in Europa.

Cosa ben strana, perché chi l’avrebbe mai detto visto che era un avvocato proprio sconosciuto. È come quando dicono di un personaggio: “Si è molto sviluppato negli ultimi tempi!”. La sottintesa verità essendo: “È appena ora sceso dagli alberi dove mangiava noci di cocco o banane ed eccolo qui”. Analoghi stereotipi vengono affibbiati ai deputati Cinque Stelle: ignoranti, incompetenti, eccetera. Anche loro sono scesi da qualche pianeta delle scimmie, presumibilmente. Mentre tutti quelli che c’erano prima di loro: da quanto tempo sono bipedi dotati di pensiero concettuale!

Intanto si cantano le lodi del vecchio mondo perduto. Ricco di persone profondamente erudite, di accademici puntuti, di intelligenze smaliziate, comunque di navigati: tipo Giulio Andreotti o Craxi o Berlusconi. Renzi ha mancato quasi tutti gli esami di idoneità, si è perfino inventato un’inesistente poesia di Borges, ma aspetta fiducioso il proprio revival con annesso smacchiatore di tabù: presto sentiremo dire che anche lui ha l’aureola per il fatto che possiede, grazie ai suoi senatori, il potere più infido che è quello di nuocere.

Le verità è che tutti sono venuti più o meno dal nulla, vecchi e nuovi. Per tutti c’è stato un goffo primo giorno di scuola politica e poi tanti giorni di trasformismo. Non erano, gli Antichi, nati competenti e cervelloni. Apparentemente però nessuno dei Nuovi ha la loro intelligenza; nessuno è, come lo furono i più o meno Antichi, “interessante”. Siamo governati da un nugolo di primati appena scesi dagli alberi, dove dovrebbero tornare. Inoltre i Nuovi sono populisti, cioè cercano di ascoltare quel che dice il popolo e di tenerne conto: niente di più incompetente, sentenziano gli Antichi che del suffragio universale farebbero volentieri a meno. Oppure sono sovranisti più o meno confessi: un epiteto ingiurioso che non significa nulla, se l’anti-sovranista non spiega una buona volta quel che significhi, per lui, “sovranità”.

Nel salotto può tornare Berlusconi. Andreotti no perché non c’è ma è di continuo celebrato (ah i bei tempi della Prima Repubblica!). I loro rapporti con la mafia e il malaffare – certificati da inchieste e verdetti giudiziari – sono quisquilie coltivate da robivecchi. La mafia stessa non fa più quella grande impressione, specie in tempi di Covid. Due inchieste sul «Financial Times» (7 e 9 luglio) raccontano come la ’ndrangheta infiltri il nostro sistema sanitario e venda bond sui mercati, ma i giornali mainstream non dicono un granché, né si preoccupano di capire l’effetto che notizie simili potrebbero sortire alla vigilia del negoziato Ue sul Recovery Fund (l’effetto di un pizzino, si può supporre). Sono in ben altre faccende affaccendati, come il rassettamento del passato che finirà col concedere il revival magari anche alle mafie.

Benvenuti in tempi interessanti.

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