Dichiarazione sulle elezioni politiche italiane

Bruxelles, 6 marzo 2018

Per la sinistra, questo è stato un giorno di fallimenti monumentali ma anche di chiarimenti, di possibili ma lente riprese. La nascita di Potere al Popolo è un buon segnale, anche se in soli tre mesi non poteva raggiungere i risultati sperati.  Resta la verità più profonda delle elezioni del 4 marzo: gli italiani hanno chiesto un radicale cambiamento di rotta, e la sinistra non è stata presente all’appello. Globalmente la sinistra esce distrutta e lacerata da questa prova, e rischia di consegnare il Paese – una volta che saranno contati esattamente i seggi – alla destra di Salvini e a una Lega radicalmente spostata verso posizioni xenofobe. Sono almeno dieci anni che la sinistra storica perde sistematicamente e in maniera continuativa il proprio “popolo”, ormai saldamente e convintamente ancorato nel voto Cinque Stelle o nell’astensione. Con la sola esclusione di Potere al Popolo, ha inseguito la destra per quando riguarda sia la politica economica sia quella concernente i rifugiati, corteggiando un elettorato che su ambedue i temi ha preferito in definitiva  votare l’originale, cioè la destra.

I tre vizi capitali della Commissione Juncker

Jean-Claude Juncker ha presentato alla stampa i compiti dei suoi Commissari, precisando le priorità strategiche del nuovo esecutivo di Bruxelles. Su questi si dovrà pronunciare individualmente il Parlamento, e sul collegio l’assemblea dovrà dare un voto di fiducia a maggioranza semplice a fine ottobre.

Dichiarazione di Barbara Spinelli e Pier Virgilio Dastoli, 10 settembre 2014

Per quanto ci riguarda, sulla pagella di Juncker segniamo convinti un 5 – -, e forse perfino un 4 +. Sono tre, a nostro parere, i vizi capitali della nuova Commissione: il trionfo della City di Londra, il prevalere delle esigenze di sicurezza e della Fortezza Europa nelle politiche d’immigrazione, il restringimento del pluralismo mediatico nella cultura.

Il Presidente eletto ci aveva presentato in luglio un’agenda concentrata su dieci priorità, e ora esse sono apparentemente distribuite fra sette vice-presidenti che dovrebbero coordinare, in un puzzle difficilmente comprensibile, gli altri venti commissari.

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