Le Pen sconfitta, Macron non ride

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 26 aprile 2022

Strana e perturbante vittoria, quella di Emmanuel Macron domenica sera. Marine Le Pen è stata sconfitta in maniera netta, visto che il presidente uscente ha ottenuto il 58,5% dei suffragi, ma non esce stremata dalla prova: la vetta che ha raggiunto è senza precedenti nella storia dell’estrema destra francese (41,5%). Sconcertante anche l’alto numero di schede bianche e nulle – circa 3 milioni di elettori – e quello degli astensionisti (le tre categorie insieme rappresentano oltre il 34% dei voti, più di 16,7 milioni).

Quando vinse alle Presidenziali del 2017, Macron aveva fatto una promessa: farò indietreggiare la destra estrema. Non è stato di parola. Ha vinto e perso al tempo stesso. Ormai è chiaro che la Francia non intende votare nessun candidato che abbia il nome di Le Pen, ma nessuno può escludere che in futuro scelga come approdo l’estrema destra che Jean Marie e Marine hanno incarnato per vent’anni.

Il futuro di cui parliamo potrebbe essere vicinissimo: il 12 e 19 giugno i francesi torneranno alle urne per eleggere la maggioranza parlamentare di cui Macron potrà disporre per governare e tradurre in realtà un programma che peraltro non ha mai veramente presentato agli elettori. Non ha sentito il bisogno di presentarlo perché fin dall’inizio ha scommesso sulla carta più comoda: il duello con Le Pen al secondo turno. Non ha nemmeno sentito il bisogno di fare campagna elettorale, se non fra il primo e il secondo turno quando i giochi erano fatti. Non ha neppure garantito l’adozione dello scrutinio proporzionale che a parole dice di favorire. Sapeva che i francesi lo avrebbero in gran parte votato non perché convinti dal suo regno o perché impauriti dall’alternanza al potere ma perché ostili all’alternativa lepenista (i convinti non superano di molto il 27,8% strappato al primo turno).

Questo significa che i giochi sono tutt’altro che fatti e che la terra continua a tremare sotto l’Eliseo: subito dopo il secondo turno delle Presidenziali ci sarà il terzo turno delle Legislative e forse un quarto nelle piazze, in autunno. Rieletto con una maggioranza forte ma profondamente equivoca, Macron continua a essere oggetto di un vasto rifiuto: che comprende non solo le destre estreme in ascesa ma anche e non secondariamente la sinistra di Jean-Luc Mélenchon, che al primo turno delle presidenziali ha ottenuto un successo insperato, distanziando Le Pen di poco più di un punto. Fin da domenica sera Mélenchon ha dato inizio alla campagna delle legislative presentandosi come l’unico, autentico leader dell’opposizione a Macron, l’unico garante credibile di future alternanze. La lotta decisiva, alle elezioni di giugno, sarà tra lui e Le Pen. Ambedue aspirano a questa leadership. Ambedue hanno come scopo la conquista di una maggioranza in Parlamento che costringa Macron a governare con l’estrema destra o con la sinistra.

Naturalmente le élite francesi e i giornali non dicono “sinistra”, quando menzionano Mélenchon. Dicono “estrema sinistra”, generando in questo modo un distorcente parallelismo fra i due aspiranti capi dell’opposizione e lusingando quello che Macron magnifica come “estremo centro”: un luogo della politica più che impreciso, dove sono invitati a confluire i minuscoli frammenti del Partito socialista, dei Verdi, dei Repubblicani a destra, tutti disintegrati al primo turno delle presidenziali.

In realtà Mélenchon rappresenta l’unica sinistra rimasta in piedi dopo i due terremoti che hanno creato il fenomeno Macron nel 2017 e 2022. I socialisti sono estinti, avendo raccolto l’1,7%. I Verdi hanno raggranellato il 4,6. È il motivo per cui l’Unione Popolare di Mélenchon si è mossa con cautela fra i due turni, promettendo rivincite ma sconsigliando il voto a Le Pen con insistenza accresciuta rispetto al 2017. Appena saputo che Macron aveva vinto, Mélenchon è rimontato a cavallo e ha annunciato l’inizio della battaglia per il terzo turno. Lo stesso ha fatto Le Pen, che ha parlato ai suoi elettori senza condividerne le delusioni ma anzi spronandoli a inforcare subito i cavalli e ripartire per vincere davvero.

Mélenchon, in particolare, scommette sugli astenuti e sulle tante schede bianche e nulle che hanno rifiutato un secondo duello snaturato e mistificatore, tra Macron e Le Pen. Tra loro c’è chi voterebbe sinistra, che già l’ha fatto al primo turno, che ha quasi visto venire quel che molti democratici desideravano, non solo in Francia: un duello decente, non storpiato, fra Macron e Mélenchon. Sono anche da convincere non pochi suffragi popolari che solo provvisoriamente, forse, hanno votato estrema destra.

Marine Le Pen, da parte sua, punta a estendere quel che ha conquistato. Il nucleo più fedele al suo partito si esprime nel nazionalismo, specie quello xenofobo di Eric Zemmour. Ma la sua vera forza di attrazione, quella che le ha fatto fare il balzo in avanti, non è tutta qui: è nella rabbia e nello scontento delle classi popolari e degli impoveriti, il cui potere d’acquisto è oggi tartassato. Ed è nelle classi di età intermedie, dei cittadini “attivi” (Macron raccoglie consensi soprattutto nelle “classi” dei giovani e anziani, oltre che nelle grandi città).

Questa Francia grandemente frantumata, questi esiti così complessi della campagna di Le Pen e di Mélenchon, sono stati mal compresi e interpretati ancor peggio in Italia. Si è mostrato impreparato e miope soprattutto il Pd di Letta, che ha subito sposato la tesi di Macron sul doppio estremismo da combattere, di destra e sinistra. Il Pd si rifiuta ottusamente di dare a Mélenchon la patente di sinistra, di constatare e ripensare la morte del vecchio socialismo francese e l’inconsistenza dei Verdi. Non ha visto l’enorme rigetto di Macron, espresso dalle classi popolari che in massa hanno scelto Le Pen, o che si sono astenuti o hanno votato scheda bianca e nulla.

Il degrado mentale italiano si è rivelato con evidenza quando Giuseppe Conte è stato accusato di non indicare chiaramente la preferenza per Macron, quando si è limitato a dire (come Mélenchon) che dietro il voto lepenista c’è una collera sociale che va meglio analizzata e riguadagnata. Lo stesso Macron ha ammesso che questo è il messaggio del secondo turno e che ne terrà conto. Si è guardato dall’inveire, come ha fatto Letta, contro chi votando Le Pen “dà la vittoria a Putin”. Strana e perturbante è dunque la Francia. Ma non meno strani e perturbanti gli italiani macronisti che nel desiderio di emarginare Conte girano il mondo con gli insulti facili e gli occhi bendati.

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Il muro contro Mélenchon

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 12 aprile 2022

In apparenza si è ripetuto il copione delle penultime Presidenziali, domenica sera: Emmanuel Macron e Marine Le Pen arrivano in testa al primo turno (27,84% e 23,15), sicché la sfida per la conquista dell’Eliseo sarà fra loro due.

Subito dopo, terzo nella lista, si è imposto il leader di sinistra Jean-Luc Mélenchon (21,95%). Lo scarto che lo separa da Le Pen è esiguo, bastava poco più di un punto e Macron avrebbe battagliato con lui. Senza crederci un granché, non pochi speravano in questo risultato, che avrebbe messo fuori gioco Le Pen producendo uno scontro ben più fecondo e meno lacerante, fra il centrodestra di Macron e la sinistra di Mélenchon.

Quel che lacera gli elettori che ora temono un trionfo di Le Pen (e l’influenza che eserciterebbe su di lei Éric Zemmour, il candidato che la voleva sorpassare) è dover ancora una volta – la terza dal 2002 – votare un candidato aspramente combattuto. Una scelta terribile, come ha ricordato domenica Mélenchon, che pure ha esortato a “non dare neanche un voto” a Le Pen. L’indicazione era obbligata ma non semplicissima: se in politica estera e sull’Ucraina le posizioni di Macron e Mélenchon sono abbastanza simili, se il reiterato tentativo presidenziale di negoziare con Putin e distanziarsi dalla bellicosità Usa riscuote vasti consensi, compresi quelli lepenisti, il giudizio complessivo sul Presidente resta più che negativo. Sono sotto accusa la solitudine del comando; i favori fiscali ai più abbienti tanto contestati dai Gilet gialli, il ricorso massiccio ai consulenti di McKinsey e Accenture (1 miliardo di euro versati nel 2021 da Parigi), spesso l’arroganza, infine il rifiuto di ogni dibattito prima del primo turno.

A differenza di quanto accadde al primo turno del 2017, Macron appare oggi preoccupato, perché gli esiti del duello sono meno sicuri. In questi anni Le Pen si è mostrata più moderata: grazie anche a Zemmour, più xenofobo e agitato di lei. Con astuzia si è concentrata sulle ingiustizie sociali, anziché sull’immigrazione che pure resta un suo punto forte. In piena guerra ucraina la vicinanza a Putin la svantaggia, ma Marine ha condannato l’aggressione russa in nome del sovranismo e dell’intangibilità delle frontiere. Al secondo turno può contare sugli elettori di Zemmour, sull’ala destra di parte dei Repubblicani (corrente di Éric Ciotti, presenza influente a Sud) e anche su un numero consistente di elettori di Mélenchon, esasperati dal tragico “ricatto” del secondo turno.

Quanto a Macron, potrà contare sul voto dei socialisti, dei verdi, dei comunisti. Ma son briciole, e neanche sicure in blocco. Le astensioni e le schede bianche sono un suo incubo. Come nel 2017, Macron ha fatto di tutto perché attorno a lui s’estendesse il deserto e perché Le Pen fosse la rivale unica. È morto il partito socialista (1,7%), si sfracellano i Repubblicani a destra (4,7), i Verdi (4,6) e i comunisti (2,2). I voti di cui Macron ha prioritariamente bisogno sono dunque quelli di Mélenchon, cui si è rivolto domenica sera alla Porte de Versailles. È lui l’arbitro del secondo turno, assieme al suo partito (France Insoumise-Francia Insubordinata).

Gli Insubordinati sono imprevedibili: in gran parte si asterranno, in parte voteranno Macron ma con la disperazione nell’animo, in parte eleggeranno Le Pen mescolando disperazione e rabbia.

France Insoumise è la sinistra che rimane. Potrebbe riesumare una dialettica politica meno tormentosa e più costruttiva, se non esistesse un pensiero quasi unico, in Francia come in Europa, che in Mélenchon vede lo specchio di Marine Le Pen, l’altra faccia del populismo sovranista e antieuropeo, il pericolo di riforme istituzionali che renderebbero meno monarchica la Quinta Repubblica. Non è quello che pensano gli elettori, evidentemente: se Mélenchon si rafforza mentre scompaiono socialisti, comunisti e verdi vuol dire che molti di loro hanno votato “utile” fin da domenica, scegliendo Mélenchon. È quello che consigliavano tra l’altro Ségolène Royal, candidata socialista alle presidenziali del 2007, e Christiane Taubira, popolare ministro della Giustizia sotto la presidenza Hollande.

La teoria dei doppi estremismi, di destra e sinistra, ritrova la forza che ebbe negli anni 70. È la vulgata conformista che domina nelle élite e nei giornali francesi. Oltrepassa i confini lambendo anche l’Italia, dove Le Pen e Mélenchon sono quasi sempre messi sullo stesso piano (alcuni giungono sino a dire: “Quasi meglio Marine di lui”).

C’è qualcosa di misterioso e impenetrabile nel muro innalzato contro Mélenchon. Il quale ha certo numerosi difetti e ha fatto parecchie giravolte in passato (a suo tempo fu socialista). Inoltre ha sistematicamente respinto alleanze con altre sinistre, anche se bisogna dire che il rifiuto veniva piuttosto da queste ultime: socialisti e verdi sono polverizzati da Macron, che è un animale politico anfibio, ma la colpa del deserto cui sono ora ridotti è soprattutto merito loro.

Quello che andrebbe analizzato con maggiore precisione e senza cadere nei luoghi comuni sugli “opposti estremismi” è come mai esista un astio così profondo, infrangibile, viscerale, contro Mélenchon. Non sono comprensibili sino in fondo le lamentazioni urlanti, la stizza che scatta come fosse un misirizzi se solo ci si azzarda a fare il suo nome, la collera e gli occhi che roteano verso il cielo se solo fai un piccolo striminzito accenno alla sua campagna, ai suoi argomenti, alla sua oratoria (la migliore nelle due ultime campagne presidenziali). Di certo non sono mancati suoi sbagli e scemenze, così come non mancavano sbagli, scemenze e imbrogli per attirare l’attenzione nella pluriennale campagna elettorale di Mitterrand sfociata nella conquista finale dell’Eliseo. Ma questa sorta di esclusione a priori della Francia Insubordinata, al limite e non di rado più inacidita ancora che nei confronti di Le Pen, rappresenta un intralcio che già due volte ha creato il caos elettorale in Francia.

Mélenchon arriva in testa in alcune grandi città: a Parigi e Lione è primo o secondo, a Marsiglia è primo. È piuttosto insensato considerarlo un estremista da demonizzare. Troppo comodo, comunque, per i partiti in Europa che si richiamano al socialismo, alla socialdemocrazia o al postcomunismo – Pd in Italia – e sono oggi sensibili solo ai richiami della Nato (le marchette di cui parla Cacciari) e non alla propria storia. Ovvio che Marine Le Pen trovi spazio nelle periferie e nei territori socialmente disastrati dove loro non mettono più piede.

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