Enrico Calamai: giustizia per i nuovi desaparecidos

calamai

Giornate di studio del GUE/NGL

Firenze, 18-20 novembre 2014

Intervento di Enrico Calamai durante la sessione del 19 novembre, dedicata al tema “Reframing migration and asylum policies: from border surveillance to migrants and asylum seekers rights approach”.

La logica di quello che nei fatti è un aberrante dumping di vite umane sembra essere: ne colpisci uno, ne educhi cento o mille. Ma il fatto sorprendente è che anche se ne colpisci cento, continuano a tentare di arrivare perché privi di alternative, in fuga come sono da dittature, terrorismo, catastrofi ecologiche e miseria estrema e crisi troppo spesso da noi stessi provocate. E allora, ecco che le frontiere vengono spinte sempre più in là, fino a renderli impercettibili nella tragedia del loro respingimento, dispersi nell’ambiente, impensabili e inesistenti perché quod non est in actis, non est in mundo.

Sono, in una parola, i nuovi desaparecidos, e il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita nel cono d’ombra di un sistema mediatico ormai prevalentemente iconografico, in cui si dà per scontato che tutto ciò che esiste viene rappresentato e ciò che non viene rappresentato non esiste, in maniera che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere.

Vale la pena soffermarsi un momento sul rapporto visibità/invisibilità. La strage di Lampedusa dell’ottobre 2013, in cui persero la vita circa 350 persone, tra cui una giovane madre col figlioletto nato e morto tra le fiamme, fece un tale scalpore da costringere le autorità italiane e quelle di Bruxelles a recarsi sul posto, a vedere di persona quel mostruoso spiegamento di bare. Ne conseguì l’avviamento di Mare Nostrum, che pur con tutti limiti inerenti a un’operazione che agisce a valle delle scelte politiche che causano il problema, ha ridato dignità alla Marina militare italiana, permettendole di salvare 130mila vite umane in un anno, ma che, trascorso per l’appunto un anno, viene cancellato per asserite ragioni di bilancio, come se fosse possibile e lecito porre un prezzo alle vite umane.

Inutile illudersi, Frontex e Triton rappresentano il ritorno a misure di polizia, non di salvataggio, facendo affidamento sulla stanchezza dell’opinione pubblica di fronte al periodico riaffiorare della sinusoide delle stragi, che, in ogni caso, riflette soltanto per difetto il numero delle vittime. Pur senza addentrarsi troppo in una contabilità evidentemente approssimativa, sorge comunque un dubbio: se in un anno di attività di Mare Nostrum ne sono stati salvati 130mila e ne sono comunque morti 3000 circa, quanti ne saranno morti negli ultimi vent’anni di cui 19 senza Mare Nostrum? Quanti ne seguiranno?

C’è, in tutto questo, qualcosa che rientra nella categoria dell’intollerabilità del diritto ingiusto, secondo la formula elaborata dal giurista tedesco Radbruch al termine della II guerra mondiale.

A noi della Campagna “Giustizia per i nuovi desaparecidos” sembra sia il caso di parlare di crimini di lesa umanità e che occorra intervenire con ogni possibile urgenza per porre fine allo stillicidio di morti, presumibilmente destinato a subire una nuova impennata con la chiusura di Mare Nostrum.

In occasione del semestre di Presidenza italiana, abbiamo presentato un appello al nostro Governo chiedendo che vengano intrapresi i passi necessari a smantellare la situazione di fatto e di diritto che è causa di tali crimini. E ci proponiamo di attivare tutte le vie legali, a livello nazionale e internazionale, a partire da un tribunale internazionale d’opinione, per porre fine all’impunità di coloro che risultino coinvolti, sia in passato che attualmente, nella formulazione e nell’attuazione della politica di morte sopra tratteggiata.

Chiediamo l’aiuto delle forze politiche di sinistra presenti a livello europeo per abbattere il muro di gomma dell’inconsapevolezza dell’opinione pubblica e avviare fin da subito un percorso di verità e giustizia.

Dobbiamo interrompere questa catena infame, porre al più presto fine a un meccanismo che costantemente rimescola vittime e benessere, trasformandoci in collettività subalterna e silenziosa di una democrazia, che non può essere altro che forma vuota ove non accompagnata da autentico rispetto dei diritti umani.

Commenti chiusi.