Brexit, le occasioni mancate dal GUE-NGL

di venerdì, Luglio 1, 2016 0 , Permalink

Bruxelles, 30 giugno 2016. Dibattito sul Referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea Riunione straordinaria del gruppo GUE/NGL

Intervento di Barbara Spinelli in qualità di co-relatore ombra con Martina Anderson (Sinn Fein).

Sarò molto breve, perché l’essenziale l’ho già espresso nella riunione di lunedì, e la mia posizione non cambia dopo le conclusioni del Consiglio europeo di ieri: conclusioni così deludenti che produrranno sempre più disaffezione nei cittadini dell’Unione. Nella nostra precedente riunione non avevo avuto il tempo di sottolineare due punti. Vorrei qui ricordarli, perché sono ulteriori elementi del fallimento delle istituzioni europee che ha precipitato il Brexit.

Il primo concerne la questione della sovranità, che la maggioranza degli inglesi ha detto di voler recuperare: una scelta che certamente dobbiamo rispettare, ma senza dimenticare che gran parte dei fautori del “leave” difende la sovranità inglese per avere un mercato ancora più libero da ogni controllo pubblico, uno smantellamento del Welfare ancora più acuto di quanto già lo sia ora, per dissociarsi più nettamente da chi si oppone agli accordi commerciali con gli Stati Uniti (TTIP, TISA), infine per confermare quel che Cameron ha annunciato sin dall’inizio del suo mandato, cioè l’uscita del Regno Unito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il Brexit ha dimostrato come la sovranità popolare non sia sinonimo di sovranità nazionale assoluta. La prima può entrare addirittura in contraddizione con l’idea di sovranità nazionale. Il Regno Unito potrebbe ridursi alla sua parte britannica. Scozia e Irlanda del Nord avendo votato remain non si riconoscono, almeno per ora, nella sovranità nazionale riconquistata.

Nel secondo punto invitavo a uscire da una visione binaria dell’Europa: da un lato chi ne vuole uscire, dall’altra chi intende conservarla com’è, rendendola più «efficiente» come riproposto ieri dal Consiglio europeo. A me sembra chiaro che le cose non stanno così: c’è una terza via, rappresentata dalla critica radicale della presente costruzione europea, dalla denuncia delle sue politiche divisive, dalla ricerca di un’alternativa, che dia risposte serie a chi – giustamente – pone il problema di un’erosione crescente della sovranità popolare iscritta nelle nostre costituzioni democratiche. Era la linea di Tsipras prima che Syriza andasse al governo. È la linea di Unidos Podemos, che purtroppo non è stata del tutto premiata, sempre che Unidos Podemos volesse davvero guidare il dopo-Rajoy e governare.

Ma la cosa fondamentale che vorrei dire è un’altra, e riguarda la linea che è stata seguita dal gruppo nella preparazione della plenaria di lunedì scorso. Avevo insistito sull’opportunità politica di votare contro la mozione congiunta, ma presentando emendamenti forti che caratterizzassero quel che siamo, dove vogliamo andare: la nostra identità insomma, il nostro progetto europeo, caso mai volessimo averlo. Ce n’erano di ottimi, a mio parere, e suscettibili di raccogliere il consenso del gruppo nel suo insieme. Di non dividerci, come sta avvenendo sul Brexit. Erano emendamenti presentati da me come “co-shadow” con Martina Anderson, da Martina stessa, e anche da Helmut Scholz, Malin Björk e Jiri Mastalka.

Nella sostanza si trattava, attraverso emendamenti molto circostanziati, di mettere in risalto alcuni punti che sono simultaneamente cruciali: la richiesta di una forte autocritica da parte delle istituzioni europee (Parlamento compreso), sia riguardo all’austerity e al Fiscal Compact, sia riguardo alle politiche su migranti e rifugiati. In questi emendamenti si chiedeva dunque un’altra Europa, capace di offrire ai cittadini una prospettiva fondata sulla preservazione del welfare e dei diritti sociali, e al tempo stesso su una politica verso i rifugiati che tenesse conto del fatto che essi rappresentano solo lo 0,2 per cento della popolazione dell’Unione, e devono essere non solo accolti rispettando gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Ginevra e dalla Carta europea dei diritti, ma anche – una volta accolti – integrati degnamente nel mercato del lavoro. Essenziale era anche a mio parere un emendamento di Helmut Scholz sul rilancio dell’Unione europea basato su una vasta partecipazione cittadina all’elaborazione di un processo costituzionale nuovo, con l’eventuale convocazione di una nuova Convenzione. Una proposta in questo senso è partita dai Verdi ed è fallita: non so quanti di noi (immagino pochi) l’abbiano votata.

Tutti questi emendamenti non sono stati accolti dal gruppo, in particolare non quelli sui rifugiati e nemmeno sulle responsabilità delle istituzioni europee, e alla fine ci siamo presentati con un unico emendamento su Nord Irlanda e Scozia, più qualche cambiamento minore di aggettivi.

Perché ero favorevole a un numero consistente di emendamenti? Per evitare quel che alla fine purtroppo è successo: i giornali di tutta Europa scrivono che abbiamo votato con le estreme destre del gruppo Enf. Nella migliore delle ipotesi – ma non è gradevole per noi – si occupano di un presunto patto fra 5 Stelle e Ukip, e ci ignorano del tutto.

Con i nostri emendamenti l’equivoco non sarebbe stato possibile, perché evidentemente la destra estrema non vota mai emendamenti favorevoli ai rifugiati e contrari ai refoulement collettivi, neanche se formulati in maniera rassicurante per i cittadini. Né vota per una Convenzione con partecipazione dei popoli, del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali.

Quel che è accaduto è difficile da difendere e giustificare davanti ai cittadini, e non mi sembra un successo del Gue-Ngl. Indica un rischio reale per il nostro gruppo: il rischio di perdere il contatto con la realtà dei Paesi in cui ci troviamo a operare, e dell’Europa che si ricostruirà in modi ancora oscuri, se si ricostruirà.

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