Due domande al ministro Pier Carlo Padoan

Strasburgo, 12 gennaio 2015. Riunione straordinaria della Commissione per i problemi economici e monetari. Intervento di Barbara Spinelli durante il dialogo economico e lo scambio di opinioni con Pier Carlo Padoan, ex Presidente ECOFIN e ministro italiano dell’Economia e delle Finanze

Barbara Spinelli
Ho due domande, una sull’Europa e una sull’Italia.
La domanda sull’Europa. Fra poche settimane la Grecia voterà, e se vincerà Syriza l’Unione si troverà alle prese con una domanda di rivoluzionamento dell’austerità. Verranno chiesti: una parziale europeizzazione del debito, una Conferenza europea simile a quella che condonò i debiti di guerra tedeschi nel ’53, e un New Deal che faccia molto più del piano Juncker: non una ventina di miliardi sottratti a altre destinazioni che dovrebbero generare 300 miliardi di spese in tre anni – con un’inverosimile effetto moltiplicatore di 1 a 15 – ma massicci investimenti pubblici finanziati dalla Banca europea per gli investimenti e dal Fondo europeo per gli investimenti, tramite emissione di eurobond, e acquisto simultaneo da parte della BCE di titoli pubblici con denaro di nuova emissione.

La domanda sull’Italia. Non mi soffermo qui sulla battaglia condotta durante la presidenza italiana per ottenere più flessibilità nel rispetto dei parametri economici Battaglia che considero solo performativa, al momento: basta dire la parola flessibilità, e ci si illude che la flessibilità automaticamente esista. Mi soffermo sulle recenti misure di politica economica del suo governo, e più in particolare sull’indulgenza mostrata verso corruzione e evasione, nonostante le ottime misure europee adottate durante il semestre di presidenza, e da lei elencate. Non elenco qui tutti gli articoli dell’ultima legge di bilancio che depenalizzano i reati fiscali. Ricordo solo alcuni calcoli che sono stati fatti: ogni anno la corruzione comporta in Italia una riduzione dello 0,14 per cento del pil. E dico che delle norme sull’evasione connesse alla legge di bilancio lei è responsabile. Anche di quella che avvantaggia condannati di frode fiscale come Silvio Berlusconi e che è stata per il momento rinviata. Lo è in ambedue i casi, per quanto concerne la frode fiscale: sia che lei fosse d’accordo con queste norme, sia che non ne sapesse nulla (ipotesi ancora più grave).
Quel che le voglio chiedere è cosa pensa dei gesti verbali italiani sulla flessibilità, oltre che del permissivismo su corruzione ed evasione. E per quanto riguarda l’Europa, vorrei avere una sua precisa reazione alle proposte che Tsipras ha dichiarato di voler avanzare qualora andasse al governo. Grazie, ministro.

Risposte di Pier Carlo Padoan
Grazie per le sue domande. Innanzitutto, per quanto riguarda la proposta che verrà presentata dal prossimo Governo greco voglio dire che aspetto di vedere queste proposte. Quando ci sarà un nuovo Governo greco che verrà eletto tramite le elezioni e che avrà un voto di fiducia al Parlamento, in quel caso come ministro delle Finanze di un Paese membro dell’Unione Europea sarò ben pronto a prendere in considerazione queste domande. Lei mi chiede un commento su un qualcosa che non esiste ancora, quindi è impossibile per me dare una risposta qui e ora.

Per quanto riguarda i commenti che lei ha fatto sulla situazione italiana, ci tengo a dire qualcosa per dare un punto di vista preciso su quanto sta avvenendo, voglio dire di fronte a questa Commissione. La legge di stabilità cui ha fatto riferimento come “la finanziaria” non contiene delle norme su questioni giuridiche sull’evasione fiscale. Quello cui lei fa riferimento è la discussione in atto all’interno della cosiddetta delega fiscale che è stata approvata dal Parlamento nel marzo del 2014 e che dà al Governo la possibilità di sviluppare delle misure delegate per rivedere tutto il funzionamento dell’amministrazione fiscale del Paese, compresi anche i modi per combattere l’evasione fiscale, per eliminare le incertezze circa le leggi fiscali. Questa parte è stata oggetto di discussione da parte del Governo il 24 dicembre, e alcune delle misure che sono state oggetto di discussione da parte del Governo sono state sospese per la trasmissione al Parlamento perché il Governo ha ritenuto che ci fossero appunto dei difetti tecnici in queste misure, e mi ritengo responsabile di questi difetti tecnici. Il tutto verrà corretto e il tutto verrà riconsiderato dal Governo e se il Governo le approverà verranno inviate al Parlamento. Quindi non faccio un commento su queste presupposizioni, sulla agevolazione per alcune persone singole, semplicemente respingo quanto è stato detto. Grazie.


Rassegna stampa su questo tema:

Padoan: “Ue, positivo bilancio presidenza Italia. La recessione finirà nel 2015”
«Deflazione vicina, confido nella Bce»
Fisco: Padoan, respingo l’accusa di voler favorire singoli individui
Barbara Spinelli e il ministro Padoan: denunce e domande precise, nessuna risposta

Guido Viale: dieci punti per il pianeta

«il manifesto», 10 settembre 2012

Ventun organizzazioni del Nord e del Sud del mondo (in Italia Fairwatch), in rappresentanza di oltre 200 milioni di persone, hanno sottoscritto un appello in 10 punti che indica le misure per evitare che i cambiamenti climatici in corso raggiungano un punto di non ritorno. È un appello alla mobilitazione contro la convocazione da parte del Presidente dell’ONU Ban Ki Moon di un Vertice sul clima il 23 settembre a cui sono stati invitati solo leader politici e manager del big business, con una scarsa e compiacente delegazione di associazioni ambientali, per avallare uno “scippo” della lotta ai cambiamenti climatici da parte di chi vuole usare questa emergenza planetaria per fare business, con misure e politiche non vincolanti, a carattere privatistico, che mirano solo al profitto e sono sicuramente inefficaci.

Se i dieci punti della dichiarazione programmatica di Alexis Tsipras, integrati e specificati in un work in progress tutt’ora in corso, hanno offerto ai promotori, ai sostenitori e agli elettori della lista L’Altra Europa – ma anche a chi ha guardato a questo progetto con interesse, anche se non l’ha votato – un punto di riferimento per collocare in un contesto europeo l’iniziativa delle forze antagoniste alle politiche di austerity, questi nuovi “dieci punti” possono ora permettere a tutti di riconoscersi e di partecipare a uno schieramento di ampiezza e respiro planetari. Ritroviamo in questo appello molti dei punti sinteticamente presenti nel manifesto da cui è nata la Lista L’Altra Europa; oltre a promuovere e sostenere una mobilitazione su un tema di vitale importanza per il futuro di tutti e quasi scomparso dall’agenda dell’establishment italiano, europeo e mondiale, occorre ricondurre quegli obiettivi di carattere globale nel vivo dell’iniziativa politica locale e quotidiana.

Le rivendicazioni di questo appello sono state definite sulla base delle acquisizioni dell’IPCC, la commissione scientifica dell’ONU che studia i cambiamenti climatici, ma in essi troviamo intrecciati temi ambientali, economici, sociali e istituzionali, in sintonia con l’approccio che caratterizza il progetto L’Altra Europa.

I primi tre punti dell’appello rivendicano impegni vincolanti (cioè sanzionati): a) a contenere le emissioni annue climalteranti a 38 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2 entro il 2020, per impedire che la temperatura del pianeta aumenti di più di 1,5 gradi; b) a lasciare sotto terra o sotto il fondo dei mari almeno l’80 per cento delle riserve fossili conosciute; c) a mettere al bando tutte le nuove esplorazioni ed estrazioni di combustibili fossili (e di uranio), comprese, a maggior ragione, quelle effettuate con il fracking e il trattamento delle sabbie bituminose; d) a soprassedere alla costruzione di nuovi impianti di trattamento e trasporto dei fossili, compresi i gasdotti. Si tratta di rivendicazioni agli antipodi delle politiche energetiche dell’UE e della Strategia energetica nazionale (SEN) adotta dall’Italia. Ma sono obiettivi impegnativi anche per un movimento come la lista L’Altra Europa, che ha fatto della conversione ecologica un pilastro del suo programma e ha candidato un esponente di punta del movimento NoTriv. Per fare un esempio, non c’è molto da discutere su progetti come quello estrattivo di Tempa Rossa (in Basilicata) e il suo complemento nel raddoppio della raffineria Eni di Taranto; o come il gasdotto transadriatico (TAP) che, dopo l’approdo in Puglia, dovrebbe attraversare e scassare tutta la penisola. C’è piuttosto da discutere su come presentare questo obiettivo al pubblico (cosa non facile, dato il silenzio che circonda il tema dei cambiamenti climatici), su come organizzare la necessaria mobilitazione, su come inquadrarlo in un programma generale di riconversione energetica.

Il quarto punto riguarda la promozione delle fonti energetiche rinnovabili (FER) in forme sottoposte a un controllo pubblico o comunitario (cioè “partecipato”). Occorre ricordare che circa l’80 per cento della potenza fotovoltaica installata in Italia è stato assegnato a grandi impianti e che i relativi incentivi – i più alti del mondo – sono andati quasi solo a beneficio di un’alta finanza che nulla ha a che fare con la generazione energetica diffusa. Ma lo stesso vale per molte altre FER. La politica energetica del paese va rivoltata “come un calzino”.

Il quinto e il sesto punto impegnano: a) a promuovere la produzione e il consumo locali di beni durevoli, evitando di trasportare da un capo all’altro del mondo quello che può essere fabbricato in loco; b) a incentivare la transizione a una produzione agroalimentare di prossimità. È qui che la conversione ecologica, promuovendo una riterritorializzazione dei processi economici attraverso accordi di programma tra produzione e consumo (il modello, seppur in mercati per ora di nicchia, sono i gruppi di acquisto solidale: GAS) rappresenta una vera alternativa alla globalizzazione dei mercati dei beni fisici: quella che esige una competizione sempre più serrata in una gara al ribasso di salari, sicurezza sul lavoro e protezioni ambientali. Sono rivendicazioni che si riconnettono alle lotte contro la delocalizzazione di fabbriche e impianti, al movimento territorialista che su questi temi ha al suo attivo – soprattutto in Italia – una corposa elaborazione, e alla spinta verso una nuova agricoltura biologica, multicolturale, multifunzionale e di prossimità. Qui sta anche la principale differenza che separa la conversione ecologica dalla mera adozione di politiche “keynesiane” di sostegno alla domanda con incrementi di spesa pubblica (in infrastrutture e servizi) e incentivi al consumo (detassazione dei redditi bassi e rottamazioni) finanziati in deficit. In un mercato globalizzato una maggiore domanda non si traduce necessariamente in aumenti di offerta e occupazione nello stesso paese, se non è ancorata a una progettualità diffusa e differenziata in base alle esigenze e alle caratteristiche dei diversi territori; il che richiede anche nuove forme di democrazia partecipata e di autogoverno.

Il settimo e l’ottavo punto riguardano l’obiettivo “rifiuti zero” (centrale nei territori massacrati da criminalità ambientale e malgoverno), un’edilizia a basso consumo energetico e un trasporto di persone e merci con sistemi di mobilità pubblici e condivisa.

Il punto nove raccomanda la creazione di nuova occupazione finalizzata alla ricostituzione degli equilibri ambientali, sia nel campo delle emissioni climalteranti che in quello dell’assetto dei territori. Sono le “mille piccole opere” in campo energetico, nella manutenzione dei suoli, nei trasporti, nell’edilizia e in agricoltura in cui dovrebbe articolarsi un piano di lavori pubblici, rivendicato da molte organizzazioni, per creare subito un milione di posti di lavoro in Italia e sei milioni in Europa.

Il decimo punto impegna a smantellare industria e infrastrutture militari per ridurre le emissioni prodotte dalle guerre e destinare a opere di pace le risorse risparmiate. Non ci sono solo gli F35 da bloccare (cosa sacrosanta); ci sono tutta l’industria e l’occupazione belliche da riconvertire: le opportunità di impieghi alternativi non mancherebbero certo.

L’appello prosegue indicando le cose da evitare: a) la mercificazione, la finanziarizzazione e la privatizzazione dei servizi forniti dall’ambiente (cioè tutta la cosiddetta “green economy”, quella che dà un prezzo alla Natura); b) i programmi misti pubblico-privato come REDD (che dovrebbe contrastare deforestazione e degrado boschivo) e altri simili, finalizzati solo a creare nuove occasioni di profitto; c) le soluzioni esclusivamente tecnologiche ai problemi ambientali (qui l’elenco è lungo e sicuramente discutibile: geoingegneria, OGM, agrocombustibili, bioenergia industriale, biologia sintetica, nanotecnologie, fracking, nucleare, incenerimento dei rifiuti); d) le grandi opere inutili: si citano dighe, autostrade, grandi stadi (e noi possiamo aggiungere TAV, MOSE e quant’altro); e) il libero commercio e i regimi di investimento che minacciano il lavoro, distruggono l’ambiente e limitano la sovranità economica dei popoli: possiamo tradurre questo punto in TTIP e TISA.

In conclusione, l’appello invita a individuare e denunciare le vere radici dei guasti che incombono sul pianeta: il modello industriale di estrazione crescente di risorse e il produttivismo per il profitto di pochi a scapito dei molti (cioè il capitalismo e un modello di crescita illimitata), che vanno sostituiti con un nuovo sistema che persegua l’armonia tra gli umani, connetta ai diritti umani la lotta ai cambiamenti climatici e offra protezione ai più deboli: soprattutto migranti e comunità indigene.

Questo modello industriale – conclude il documento – non è più sostenibile; occorre redistribuire la ricchezza oggi controllata dall’1 per cento della popolazione e ridefinire il benessere, che deve riguardare tutte le forme di vita, riconoscendo i diritti della Natura e di “Madre Terra”.