I piani 2.0 di Renzi e Orbán e la nuova proposta della Commissione

Strasburgo, 7 giugno 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL –

Accordo Renzi-Orbán su “Migration Compact”

Dibattito straordinario sulla nuova proposta della Commissione

Trascrizione

Il piano della Commissione nasce da una fusione molto singolare e poco rassicurante tra due programmi, ambedue esibiti con il moderno, allettante attributo di 2.0: uno del Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi,  l’altro del Presidente ungherese Viktor Orbán. Il primo si chiama “Migration Compact 2.0” , il secondo “Schengen 2.0”. Grosso modo dicono la stessa cosa, specie sui punti concernenti il controllo delle frontiere, il rimpatrio dei rifugiati nei Paesi d’origine o di transito, l’esternalizzazione delle politiche d’asilo.

Il modello cui ambedue si ispirano è l’accordo sottoscritto tra Unione Europea e Turchia, che, come abbiamo avuto modo di constatare nuovamente oggi nel corso della discussione tenutasi in sessione plenaria, la Commissione considera non solo un ottimo esempio, ma, soprattutto, un esempio di grande successo. Sia l’Alto Rappresentante Federica Mogherini che il Vice Presidente Timmermans l’hanno presentato come uno strumento che ha permesso di ridurre drasticamente i morti in mare, nonché di “smantellare il modello degli smuggler”. Una controverità, visto che si continua a morire in mare: non più nell’Egeo ma di certo nel Mediterraneo centrale.

A mio avviso, un’ulteriore ispirazione è il modello australiano di gestione dei migranti e rifugiati. Penso alla proposta di hotspot galleggianti, e all’esternalizzazione sistematica della politica di asilo.

Cosa propone il Migration Compact della Commissione? Riproducendo per l’appunto l’esperienza che si sta facendo con la Turchia, prospetta una serie di accordi di rimpatrio con 16 Paesi africani, cui si promettono vasti aiuti allo sviluppo e cooperazione. Un’iniziativa che sarebbe senz’altro positiva, se non fosse per due aspetti altamente pericolosi. Primo, gli aiuti vengono offerti a Paesi evidentemente dittatoriali o altamente instabili, come l’Eritrea, il Sudan o la Libia. Secondo, sono fondati su uno scambio indecente. Cooperazione economica e aiuto allo sviluppo cambiano infatti natura e diventano una sorta di “regalo”, dato in cambio di quella che viene esplicitata dall’Unione come priorità europea assoluta: il controllo delle frontiere e il blocco di chiunque voglia fuggire da quei paesi in direzione del nostro continente. I rifugiati già oggi sono maggioritariamente concentrati in Africa: che non si azzardino ad avvicinarsi all’Europa! Per questo gli accordi hanno aspetti vergognosi, essendo lesivi di diritti fondamentali come il diritto a lasciare i proprio paese e a sottoporre in Europa o altrove le proprie richieste di asilo.

Per concludere, vorrei sollevare alcune questioni che si pongono per il nostro gruppo. A mio avviso, dobbiamo avversare tale piano e continuare le battaglie critiche che da tempo stiamo conducendo contro accordi di questa natura (i cosiddetti processi di Rabat e di Khartoum).

Emerge inoltre un problema di narrativa – è la parola usata oggi da Federica Mogherini  – che è apparso con tutta evidenza nel corso della sessione odierna della plenaria. Quando ho fatto presente che comunque continuiamo ad assistere a naufragi e morti in mare (1000 nel solo mese di maggio), l’Alto Rappresentante ha replicato che non sono più i siriani a morire: cosa che non avevo affatto affermato nel mio intervento. Strana risposta: come se i morti eritrei o afghani o di altri Paesi avessero d’improvviso meno dignità. Sono paradossi, questi, che dobbiamo sempre evidenziare.

La questione della narrativa si pone, inoltre, sul tema dell’aiuto allo sviluppo. In quanto gruppo, tendiamo ormai essere presentati come contrari agli aiuti allo sviluppo, mentre ci siamo sempre dichiarati favorevoli ad essi. Si tratta dunque di spiegare esattamente quel che vogliamo: un diverso modello di aiuto allo sviluppo, che non sia ricattatorio e in cui i Fondi europei per la Cooperazione non vengano sviati verso la gestione e il controllo delle frontiere. E’ oltretutto un modello che va rivisto radicalmente, perché nei decenni ha profondamente distrutto le economie di molti Paesi africani: ha intensificato forme di sfruttamento, a cominciare dai danni inflitti dal crescente accaparramento delle terre africane (land grabbing) da parte delle imprese occidentali.

Si veda anche:

Quanto c’è di marcio nel Migration compact 2.0 di Renzi

La versione inglese dell’articolo è apparsa su openDemocracy: Something rotten in the Migration Compact 2.0 of Matteo Renzi?

Quanto c’è di marcio nel Migration compact 2.0 di Renzi

Articolo di Barbara Spinelli pubblicato su «Il Fatto Quotidiano» del 6 giugno 2016

Solo in apparenza e per opportunismo le istituzioni europee e i governi degli Stati membri sono preoccupati dalle estreme destre che crescono in tutta l’Ue e in alcuni casi già governano. Si dicono allarmati dalla loro chiusura verso immigrati e rifugiati, dalla xenofobia. La verità è diversa e ci vuole poco per accorgersene. Da fine 2015 le politiche d’immigrazione comunitarie e nazionali incorporano ed emulano le linee difese dalle destre estreme.

Gli slogan di Salvini e Le Pen – “aiutiamoli a casa loro”, “respingiamoli in massa”, senza minimamente curarsi delle ragioni delle fughe (guerre, fame, siccità) – non sono più loro esclusive parole d’ordine. Sono ormai l’ossatura della politica comunitaria. Il governo austriaco che chiudeva le frontiere (e che oggi propone di relegare i rifugiati nelle isole greche, seguendo l’esempio australiano) obbediva già agli slogan del partito di Norbert Hofer. Il Migration compact 2.0 di Renzi, approvato dalle istituzioni europee, dice esattamente questo: aiutiamoli a casa loro, in Africa soprattutto, visto che da lì parte il maggior numero di richiedenti asilo o migranti. Il modello da imitare è quello dell’accordo Ue-Turchia stipulato il 7 marzo, che garantisce sovvenzioni dirette di 6 miliardi di euro. L’accordo (ma viene chiamato statement, dichiarazione, per aggirare l’approvazione che il Parlamento europeo deve dare ai Trattati) è giudicato pericoloso e potenzialmente illegale da tutte le maggiori ong: perché i rimpatri forzati e per gruppi etnici verso la Turchia violano la Convenzione di Ginevra e la Carta europea dei diritti fondamentali (divieto di respingimento), secondo cui ogni domanda d’asilo deve essere esaminata individualmente, non secondo l’appartenenza a una collettività. Perché la Turchia respinge una notevole parte dei rimpatriati nelle stesse zone di guerra da cui erano fuggiti (Siria), non esitando a sparare sui fuggitivi siriani che vorrebbero scappare in Turchia. Perché la Turchia ha sì ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, ma con precise limitazioni geografiche: Ankara non si assume obblighi verso profughi non europei. Non ha ratificato il Protocollo di New York del ’67 che ha rimosso gli originari limiti che definivano rifugiati solo i profughi europei sfollati per eventi antecedenti il ’51. In altre parole, quello di Erdogan non è uno “Stato sicuro”. L’intesa comunque porrebbe naufragare, visto che Ankara non ha ottenuto la liberalizzazione dei visti per i connazionali.

Nonostante ciò, l’accordo è presentato come eccellente. È anzi il prototipo degli accordi con una serie di Stati africani suggeriti nel Migration Compact 2.0 come soluzione ottimale della questione rifugiati. Ecco i 4 principali obiettivi del piano:

1) Aiuti allo sviluppo e cooperazione economica vanno massicciamente rilanciati, ma in stretta e assai contestabile connessione con il management delle frontiere, con la gestione dei rifugiati e, molto genericamente, con le questioni di sicurezza. Mettere tutto ciò sullo stesso piano è contestabile dal punto di vista del diritto internazionale.

2) Priorità deve essere data a 17 “partner strategici”: Algeria, Egitto, Eritrea, Etiopia, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Libia, Mali, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan e Tunisia. Nessuna preoccupazione sfiora gli estensori circa il non rispetto dei diritti fondamentali e dell’obbligo di non-respingimento in paesi come Eritrea, Sudan, Libia, Mali, Etiopia e Somalia.

3) Fin dal Consiglio europeo del 28-29 giugno, sarà proposto un “piano straordinario”, che prevede accordi con 7 “Paesi-pilota”: 4 Paesi d’origine (Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Senegal), 2 di transito (Niger, Sudan), e uno di transito e origine (Etiopia). Qui si sperimenterà il nuovo volto dell’aiuto allo sviluppo: investimenti in progetti sociali e in infrastrutture, condizionati a “precise obbligazioni” nella cooperazione sulla sicurezza militar-poliziesca e il contenimento dei flussi migratori, economici o politici che siano.

4) Il finanziamento: si parla di una sorta di Piano Juncker per l’Africa, come se il Piano per l’Unione avesse funzionato: il bilancio Ue metterebbe a disposizione 4,5 miliardi, che dovrebbero servire da leva per investimenti privati o pubblici pari a 60 miliardi.

Fin qui i punti chiave del piano che il governo italiano difende da tempo, e che la Commissione e i partner europei (Ungheria in testa) mostrano di apprezzare. Questa involuzione dell’Unione ha ormai una storia. La svolta avvenne il 4 marzo 2015, quando il commissario all’immigrazione Avramopoulos ruppe il tabù, in una conferenza stampa: “Dobbiamo cooperare con i regimi dittatoriali nella lotta allo smuggling” di migranti e rifugiati.

Segue un’escalation di momenti di verità della governance europea. Il culmine è raggiunto il 25 gennaio dalle parole che il segretario di Stato belga all’immigrazione Théo Francken avrebbe rivolto all’omologo greco Ioannis Mouzalas, secondo quanto riferito da quest’ultimo alla Bbc: in un Consiglio informale dei ministri dell’Interno e della Giustizia, ad Amsterdam, il belga gli avrebbe consigliato: “Respingeteli o affondateli” (“push back migrants, even if that means drowning them”). Il ministro belga ha smentito, ma Mouzalas ha ripetutamente confermato.

A questo si aggiungano le dichiarazioni ufficiali del massimo rappresentante del Consiglio europeo, il presidente Donald Tusk. Ne elenchiamo alcune:

13 ottobre 2015, lettera ai colleghi del Consiglio europeo. C’è un’apertura alla Turchia (compreso l’appoggio a “zone sicure” in Siria) e una messa in guardia contro le frontiere aperte: “La facilità con cui è possibile entrare in Europa è il principale pull factor per i migranti”. Nessun accenno alla fuga per ben altri motivi: guerre attizzate o acuite dagli occidentali, dittature cruente, respingimenti in massa di eritrei operati dal Sudan, disastri ambientali e fame in gran parte provocati da investimenti e accaparramenti di terre (land grabbing) da parte di imprese occidentali.

22 ottobre 2015, intervento al Congresso di Madrid del Partito popolare europeo: “Non possiamo continuare a pretendere che la gran marea di migranti sia ciò che vogliamo, e che stiamo perseguendo una politica di frontiere aperte”.

3 marzo 2016, appello ufficiale “ai migranti potenzialmente illegali”: “Non venite in Europa. Non credete agli smuggler. Non rischiate le vostre vite e il vostro denaro. Non servirà a nulla!”. Ricordiamo che la stessa identica frase (“It’s all for nothing!”) fu detta nel 2014 dal governo australiano, uno degli Stati più criticati per la politica dei rifugiati.

Il Migration compact 2.0, unito a simili proposte dell’ungherese Orbán, è una tappa di questa escalation. Pochi giorni fa, alla vigilia del G7 in Giappone, il capo gabinetto di Jean-Claude Juncker, Martin Selmayr, ha twittato: “Un G7 con Trump, Le Pen, Boris Johnson, Beppe Grillo? Uno scenario dell’orrore che mostra perché è importante combattere il populismo. Con Juncker”. Mettere sullo stesso piano quei quattro nomi è una truffa, sicuramente apprezzata da Renzi alla vigilia delle amministrative e cinque mesi prima del referendum costituzionale. Ma più fondamentalmente resta la domanda: se è importante combattere Le Pen e l’estrema destra, perché adottare precisamente le sue politiche, con direttive, accordi e il Migration compact di Renzi?


Si veda anche:

EU considering working with Sudan and Eritrea to stem migration, «The Guardian», Monday 6 June 2016