Sui migranti decide tutto l’Italia: la Libia non esiste

di Barbara Spinelli
«Il Fatto Quotidiano», 31 marzo 2018

È ora di fare chiarezza sulla politica italiana e dell’Unione europea concernente i rifugiati provenienti dalla Libia. I fatti, innanzitutto.

La zona libica di ricerca e soccorsi in mare (zona Sar) è un’invenzione di comodo: dal dicembre scorso non esiste più. Lo ha confermato l’Organizzazione Marittima Internazionale, e lo ha ammesso tra le righe il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, rispondendo il 26 marzo a una mia domanda nella Commissione libertà pubbliche del Parlamento europeo: “Non considero come acquisita la zona Sar della Libia. Ci fu una dichiarazione unilaterale nell’estate 2017 che creò una certa situazione che non riesco per la verità a qualificare”. La risposta è volutamente evasiva e il motivo delle ambiguità europee è evidente: la zona Sar lungo le coste libiche fu proclamata per ridurre drasticamente le attività delle navi Ong e per scaricare sulla Libia (governo provvisorio e milizie) la responsabilità giuridica connessa al rimpatrio e alla detenzione sempre più cruenta dei migranti in fuga verso l’Europa. Sotto forma di finzione tale responsabilità libica deve continuare a esistere, e infatti la Commissione si è guardata dal far proprie le ammissioni del direttore di Frontex.

Quel che invece appare sicuro è il ruolo italiano – e dell’Unione – nella gestione dell’area chiamata tuttora, abusivamente, zona Sar della Libia. Se ne è avuta certezza definitiva in occasione del sequestro della nave dell’Ong spagnola ProActiva Open Arms. Nel decreto di convalida della confisca, il giudice per le indagini preliminari di Catania ha detto come stanno le cose in maniera difficilmente equivocabile: “La circostanza che la Libia non abbia definitivamente dichiarato la sua zona Sar non implica automaticamente che le loro navi non possano partecipare ai soccorsi, soprattutto nel momento in cui il coordinamento è sostanzialmente affidato alle forze della Marina militare italiana, con propri mezzi navali e con quelli forniti ai libici” (il corsivo è mio). L’affermazione è cruciale, perché per la prima volta si dice che è l’Italia a coordinare le cosiddette guardie costiere libiche (il più delle volte miliziani ed ex trafficanti non controllabili). Le indagini giudiziarie sulle attività di ProActiva OpenArms diventano a questo punto non tanto secondarie quanto pretestuose. La vera questione riguarda l’attività del governo italiano e le intese tra quest’ultimo e il governo di Accordo Nazionale nonché le milizie libiche, intese appoggiate dall’Unione europea.

Ne consegue che l’Italia ha una responsabilità diretta nella decisione di respingere migranti e richiedenti asilo verso la Libia o altri paesi africani, e di esporli a grave rischio umanitario. Come sostiene Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): “Sembra fuori discussione il fatto che le azioni poste in atto dall’Italia, intervenendo con propri mezzi, uomini e risorse, anche se al di fuori del territorio nazionale, costituiscano esercizio della propria giurisdizione con tutte le conseguenze che ne conseguono, in primis il fatto che l’Italia risponde alla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo”. Si ripetono così i respingimenti che già una volta, nel caso Hirsi del 2012, spinsero la Corte europea per i diritti umani a condannare l’Italia di Berlusconi: per i respingimenti collettivi operati nel 2009 e per aver esposto i rimpatriati forzati al “rischio serio di trattamenti inumani e degradanti”. Vero è che le autorità italiane si limitano oggi a “gestire” le guardie costiere libiche anziché intervenire di persona, ma il coordinamento fa capo a loro.

La via scelta dalle autorità italiane e da quelle dell’Unione è quella di perseguire gli operatori umanitari che si assumono l’onere di portare le persone soccorse in mare non nei luoghi “più vicini” bensì in luoghi sicuri (place of safety), come prescritto dalla Convenzione Sar del 1979. È una scelta – quella italiana – fatta in violazione del diritto internazionale, come affermato da 29 accademici europei in un appello che chiede al Consiglio di sicurezza dell’Onu di occuparsi del caso Italia-Libia.

Una denuncia simile era già venuta il 1 marzo dal relatore speciale Onu sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, Nils Melzer: “Gli Stati devono smettere di fondare le proprie politiche migratorie sulla deterrenza, la criminalizzazione e la discriminazione. Devono consentire ai migranti di chiedere protezione internazionale e di presentare appello giudiziario o amministrativo contro ogni decisione concernente la loro detenzione o deportazione”.

Il ruolo dell’Italia sta divenendo sempre più oscuro, anche alla luce del caso, denunciato lo scorso 27 marzo dal «Libya Observer», secondo cui le autorità libiche avrebbero delegato un cittadino italiano appartenente alla Missione di assistenza alla gestione integrata delle frontiere in Libia (Eubam Libia) a rappresentare ufficialmente la Libia in una conferenza internazionale. Questo in violazione della sovranità e dell’indipendenza della Libia, secondo la denuncia presentata dal delegato libico presso l’Organizzazione mondiale delle dogane Yousef Ibrahim al ministero degli Esteri di Tripoli, al direttore generale delle dogane e all’incaricato d’affari libico a Bruxelles.

Il governo italiano si sta comportando come se la Libia fosse un suo governatorato (la storia si ripete, e non è una farsa), ma senza assumersi responsabilità rispetto alla legge internazionale e allo specifico divieto del refoulement e dei trattamenti inumani.

© 2018 Il Fatto Quotidiano

La detenzione di bambini migranti in Grecia viola il diritto internazionale

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli e 70 eurodeputati: la detenzione di bambini migranti in Grecia viola il diritto internazionale

Bruxelles, 9 marzo 2018

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha rivolto un’interrogazione scritta alla Commissione europea a proposito della detenzione di bambini migranti non accompagnati nelle celle delle stazioni di polizia in Grecia.

L’interrogazione è stata cofirmata da settanta deputati di diversi gruppi politici.

Di seguito il testo e le firme:

«Human Rights Watch ha reso noto che in Grecia, alla fine dello scorso dicembre, 54 bambini non accompagnati erano detenuti in celle interne alle stazioni di polizia locali o in centri di detenzione per migranti. Secondo il rapporto dell’organizzazione, I bambini migranti vivevano in “condizioni non igieniche, spesso con adulti estranei” e potenzialmente “soggetti ad abuso e maltrattamento da parte della polizia”.

La detenzione dei bambini viola il diritto internazionale in materia di diritti umani, come affermato dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.

L’Articolo 6 del Regolamento 604/2013 stabilisce che gli Stati membri cooperino strettamente tra loro, tengano debito conto delle possibilità di ricongiungimento familiare e, nel caso di minori non accompagnati, si adoperino per “facilitare l’azione appropriata per l’identificazione dei familiari, fratelli o parenti del minore non accompagnato che soggiornano nel territorio di un altro Stato membro”.

La Commissione è informata della situazione e, in caso affermativo, quali passi intende intraprendere per sostenere misure alternative alla detenzione, rendere più veloce il ricongiungimento familiare dalla Grecia e assicurare una ricollocazione sicura dei bambini richiedenti asilo non accompagnati, anche in assenza di legami familiari?»

Firmatari:

Barbara Spinelli (GUE/NGL), Beatriz Becerra Basterrechea (ALDE), Tanja Fajon (S&D), Maria Grapini (S&D), Josu Juaristi Abaunz (GUE/NGL), Maria Gabriela Zoană (S&D), Tokia Saïfi (PPE), Pina Picierno (S&D), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Maite Pagazaurtundúa Ruiz (ALDE), Sergio Gaetano Cofferati (S&D), Mercedes Bresso (S&D), Silvia Costa (S&D), Bart Staes (Verts/ALE), Marlene Mizzi (S&D), Malin Björk (GUE/NGL), Carlos Coelho (PPE), Ramón Luis Valcárcel Siso (PPE), Antonio López-Istúriz White (PPE), Anna Hedh (S&D), Marita Ulvskog (S&D), Jytte Guteland (S&D), Jens Nilsson (S&D), Wajid Khan (S&D), Luigi Morgano (S&D), Javier Nart (ALDE), Ana Gomes (S&D), Gérard Deprez (ALDE), Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), Curzio Maltese (GUE/NGL), João Pimenta Lopes (GUE/NGL), João Ferreira (GUE/NGL), Vilija Blinkevičiūtė (S&D), Nikolaos Chountis (GUE/NGL), Molly Scott Cato (Verts/ALE), Javier Couso Permuy (GUE/NGL), Michaela Šojdrová (PPE), Petras Auštrevičius (ALDE), Julie Ward (S&D), Merja Kyllönen (GUE/NGL), Nathalie Griesbeck (ALDE), Jean Lambert (Verts/ALE), Barbara Lochbihler (Verts/ALE), Tania González Peñas (GUE/NGL), Marisa Matias (GUE/NGL), Claude Turmes (Verts/ALE), Dietmar Köster (S&D), Claude Moraes (S&D), Eva Joly (Verts/ALE), Soraya Post (S&D), Benedek Jávor (Verts/ALE), Hilde Vautmans (ALDE), Monika Beňová (S&D), Miguel Urbán Crespo (GUE/NGL), Elly Schlein (S&D), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Bodil Valero (Verts/ALE), António Marinho e Pinto (ALDE), Helmut Scholz (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Jordi Solé (Verts/ALE), Sirpa Pietikäinen (PPE), Martina Anderson (GUE/NGL), Stefan Eck (GUE/NGL), Sophia in ‘t Veld (ALDE), Josef Weidenholzer (S&D), Nessa Childers (S&D), Olle Ludvigsson (S&D), Anna Maria Corazza Bildt (PPE), Caterina Chinnici (S&D)

Allegati:

Secondo HRW e numerosi studi, tra cui un rapporto redatto su richiesta della Commissione, la detenzione ha effetti gravi e di lungo termine sui bambini, che includono “nocumento al loro sviluppo, ansia, depressione, disturbo da stress post traumatico e perdita di memoria”:

http://odysseus-network.eu/wp-content/uploads/2015/02/FINAL-REPORT-Alternatives-to-detention-in-the-EU.pdf

https://www.hrw.org/news/2018/01/23/asylum-seeking-kids-locked-greece

http://www.unhcr.org/58a458eb4

Assemblea generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti: risoluzione / adottata dall’Assemblea generale, 3 ottobre 2016, A/RES/71/1.

“Noi, i Capi di Stato e di governo e Alti rappresentanti (…)  perseguiremo inoltre soluzioni alternative alla detenzione mentre tali misure sono in corso”.

http://www.refworld.org/docid/57ceb74a4.html

– Commento Generale N. 21 (2017) del  Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia relativo ai bambini in situazioni di strada – vedi paragrafo 44: “La privazione della libertà, per esempio, in celle di detenzione o centri chiusi, non costituisce mai una forma di protezione”.

Fonti:

http://fra.europa.eu/en/publication/2017/child-migrant-detention

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:180:0031:0059:EN:PDF

Lettera al Presidente Tajani su un evento organizzato dall’europarlamentare Borghezio

di venerdì, Febbraio 16, 2018 0 No tags Permalink

Letter concerning an event organised the 21st of February by MEP Mario Borghezio hosting Gian Marco Concas, a spokesperson of the European anti-migrant network “Generazione identitaria”.

Aggiornamento 21 febbraio 2018:

Il Presidente Tajani non ha risposto alla richiesta, e la conferenza stampa ha avuto dunque luogo con il suo implicito consenso.

Rimpatri in Afghanistan

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-007189/2017
alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Judith Sargentini (Verts/ALE), Bodil Valero (Verts/ALE), Jean Lambert (Verts/ALE), Malin Björk (GUE/NGL), Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL) e Elly Schlein (S&D)

Oggetto:  Stato dell’attuazione dell’azione congiunta UE-Afghanistan per il futuro in materia di questioni migratorie dell’UE: rimpatri in AfghanistanRimpa

A seguito di una lettera ricevuta l’8 novembre 2017 in risposta alla sua richiesta, il 20 novembre 2017 la commissione LIBE ha ricevuto conferma dalla Commissione quanto all’attuazione dell’azione congiunta UE-Afghanistan per il futuro in materia di questioni migratorie, che era stata firmata dalle due parti il ​​2 ottobre 2016.

La Commissione ha riferito che, nel 2016, un totale di 8.325 persone sono state rimpatriate in Afghanistan, comprese le partenze volontarie, e che, dall’entrata in vigore dell’azione congiunta, sono stati effettuati in totale 17 voli charter, con 269 rimpatriati a bordo.

A fronte di quanto descritto si chiede alla Commissione:

  1. da quali Stati membri e aeroporti sono partiti i 17 voli charter? quali Stati membri li hanno coordinati o sono stati coordinati da Frontex?
  2. qual era il sesso e l’età esatta dei 269 rimpatriati a bordo di quei voli?
  3. Può la Commissione fornire una ripartizione accurata del costo totale sostenuto dagli Stati membri e/o dall’UE per effettuare i voli? Può dire, altresì, se i voli sono stati finanziati attraverso il bilancio dell’UE, compresi Frontex o AMIF (gestione diretta o indiretta)?

E-007189/2017

Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione

(13.2.2018)

Per quanto riguarda l’attuazione dell’azione congiunta UE-Afghanistan per il futuro in materia di questioni migratorie, la Commissione desidera aggiornare le informazioni fornite il 20 novembre 2017 alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, e intende altresì comunicare agli onorevoli deputati ulteriori dettagli sui voli di rimpatrio.

A partire dal 2 ottobre 2016, data della prima applicazione dell’azione congiunta, sono stati effettuati 23 voli charter tra il 12 dicembre 2016 e il 21 dicembre 2017, coordinati e finanziati dall’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (l’Agenzia), per un costo totale di 5 479 694,95 euro.

I voli sono stati organizzati disgiuntamente da Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Svezia e Ungheria, usufruendo dei seguenti aeroporti di partenza: aeroporto internazionale di Vienna-Schwechat, aeroporto di Copenaghen, aeroporti di Helsinki-Vantaa e di Lappeenranta, aeroporto internazionale di Düsseldorf, aeroporti di Francoforte sul Meno, di Lipsia-Halle e di Monaco di Baviera (Franz Josef Strauss), aeroporto di Stoccolma-Arlanda e aeroporto internazionale di Budapest-Ferihegy.

Nell’ambito delle operazioni coordinate dall’Agenzia sono stati rimpatriati in Afghanistan, in totale, 358 cittadini di paesi terzi, la stragrande maggioranza dei quali erano uomini adulti, con un numero limitato di donne (11) e di minori (6) accompagnati dai propri familiari. La Commissione e l’Agenzia non dispongono di informazioni sull’età precisa degli emigranti rimpatriati.

Sostegno agli intellettuali turchi: risposta dell’Alto rappresentante

Risposta di Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione, alla lettera di sostegno agli intellettuali turchi (pubblicata su questo sito con il titolo 103 firme per un fondo di sostegno agli accademici licenziati in Turchia)

Stato di diritto in Polonia: il perché di una nuova risoluzione

Bruxelles, 14 novembre 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL.

Punto in agenda:
Scambio di opinioni sulla situazione in Polonia

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di Relatore, per il Gruppo GUE/NGL, della Proposta di Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dello Stato di diritto e della democrazia in Polonia. 

Questa risoluzione nasce da una constatazione: dopo una serie di raccomandazioni della Commissione, dopo i moniti della Commissione di Venezia, la Polonia governata dal PiS continua a violare la rule of law in maniera palese. Per rule of law non intendiamo il “governo attraverso le leggi” – la rule-by-law, la pura legalità – ma la legalità che ha come fondamento normativo il rispetto dei diritti fondamentali. È l’intreccio di legalità e diritti a essere violato. Dico subito che quest’accezione larga della rule of law non è scontata, anche se in punto di diritto lo è nella legge europea grazie alla congiunzione del Trattato con la Carta dei diritti fondamentali. I diritti delle donne alla contraccezione e all’aborto ad esempio fa pienamente parte della rule of law, e rientra perfettamente in una risoluzione dedicata alla violazione dello Stato di diritto.

In questa risoluzione, il Parlamento si concentra sull’indipendenza della giustizia e sulla separazione dei poteri, e nessuno dei paragrafi che riguardano questi temi è criticabile. Devo dire che il contributo del nostro gruppo è stato decisivo, nel salvaguardare la parte diritti della rule of law. Con l’aiuto fondamentale di Amandine, con il contributo di Malin, siamo riusciti a immettere alcuni punti a nostro parere cruciali, e per questo ho consigliato l’adesione alla mozione congiunta. Ve li riassumo, suddividendoli in otto categorie:

Comincio dai diritti delle donne. Non abbiamo ottenuto tutto quello che ci ripromettevamo, e per questo presenteremo cinque emendamenti insieme con i Verdi e i Socialisti. A fatica, abbiamo ottenuto comunque che i diritti delle donne siano annoverati come costitutivi della rule of law, per quanto riguarda sia l’erogazione di fondi alle associazioni femminili, sia la salute riproduttiva – cioè il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza e alla libera contraccezione (presentato in un recital come diritto umano garantito dalla Carta e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo), sia le proteste di massa dell’ottobre 2016 (la protesta delle donne in nero) che ha impedito l’approvazione di una nuova legge sull’aborto. Un’ultima osservazione a questo proposito: su nostra domanda è stato inserito il riferimento all’ultimo rapporto di Human Rights Watch, che nell’elencare i diritti violati dedica ampio spazio alla legge che vieta la vendita senza prescrizione della pillola del giorno dopo, e alla necessità di emendare la legge sull’aborto adottata dai governi precedenti: una delle più restrittive e punitive d’Europa. Chi si batte per questi diritti in Polonia potrà appellarsi a questo rapporto, che sia pure in maniera indiretta e allusiva è fatto proprio dal Parlamento europeo.

Passo ora ai paragrafi o Recital dove i risultati ottenuti sono a mio parere tangibili. Ne ho contati almeno sette:

1) la libertà di riunione pacifica e quella di associazione, messe in pericolo dalla legge che dà priorità assoluta alle cosiddette “manifestazioni cicliche”, dedicate a eventi patriottici o religiosi, e che mette al bando ogni sorta di contromanifestazione. In quest’ambito viene denunciata ogni incriminazione di manifestanti pacifici;

2) la libertà di espressione, evidenziata in un recital e un articolo: si tratta dell’invito ad assicurare in pieno il pluralismo dell’informazione e dei media;

3) la condanna delle misure di respingimento collettivo dei migranti alla frontiera con la Bielorussia, e l’invito a rispettare due provvedimenti ad interim adottati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che chiedono l’interruzione immediata dei rimpatri. In Bielorussia manca un sistema d’asilo funzionante ed è elevato il rischio che richiedenti asilo provenienti dalla Cecenia o da paesi dell’Asia centrale possano essere rimandati nei luoghi di partenza, dove potrebbero subire torture;

4) le leggi antiterrorismo e il cosiddetto “police act”, con uno specifico riferimento alle misure che permettono la sorveglianza poliziesca dell’opposizione e di personalità rappresentative della società civile (quest’articolo è stato introdotto da Alde, con il nostro pieno consenso);

5) la legge che permette al nuovo Centro di sviluppo della società civile di negare fondi alle associazioni poco gradite;

6) il riferimento all’articolo 7 del Trattato, e al ruolo promotore che il Parlamento europeo può svolgere nell’iniziarne l’attivazione, in base al paragrafo 1 dell’articolo 7;

7) l’invito a metter fine al taglio degli alberi nella foresta di Bialowieza, che è un patrimonio dell’umanità tutelato dall’UNESCO oltre che una delle più antiche d’Europa. A fine luglio la Corte di giustizia europea, su ricorso della Commissione, aveva ordinato ai polacchi di bloccare il taglio, ma il governo ha ignorato l’ordine della Corte. Attualmente il taglio procede al ritmo di circa mille alberi al giorno.

Come dicevo all’inizio, per tutti questi motivi sono convinta che valga la pena aderire alla risoluzione. Mi piacerebbe conoscere la vostra posizione in proposito.

La questione sociale non appartiene ai secoli scorsi

Strasburgo, 13 novembre 2017.  Strasburgo, 13 novembre 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione straordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

Il dibattito sul futuro dell’Europa

  • Esame di documenti di lavoro

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di responsabile, in collaborazione con Fabio Massimo Castaldo (Gruppo EFDD – M5S), del documento di lavoro “Social Dimension of Europe”.

È positivo che la questione sociale torni al centro delle preoccupazioni europee, sia pure timidamente, dopo esser stata liquidata per decenni come questione appartenente ai due secoli scorsi.

Mi auguro dunque che il Summit Sociale di Göteborg, venerdì prossimo, non si limiti a semplici frasi declamatorie, ma prefiguri un impegno concreto nell’affermazione della centralità della dimensione sociale e rappresenti al contempo una chiara svolta nell’azione politica: che si passi dalla filosofia del contenimento degli effetti collaterali della crisi a una filosofia dello sviluppo sociale (e dunque anche economico) che vada oltre la lotta alla povertà e lo status quo. Le misure adottate per affrontare la crisi del 2007-2008 rientrano nella vecchia filosofia (la questione sociale appartiene al mondo di ieri), nella misura in cui hanno dato priorità assoluta a politiche fiscali devastanti sul piano sociale, come ormai riconosciuto dai massimi esperti dello stesso Fondo Monetario.

Il documento elaborato da me e dal collega Castaldo si pone come obiettivo quello di riscoperchiare e affrontare la questione sociale come si presenta oggi. Non mi addentrerò nelle specifiche proposte che facciamo – proposte cui vanno aggiunte le precise domande formulate proprio in questi giorni dalla Confederazione europea dei sindacati, in vista di Göteborg – e vi ringrazio sin d’ora per i commenti che vorrete offrire. Mi soffermerò piuttosto sulle motivazioni che sono alla base del documento.

Il rafforzamento della dimensione sociale dell’Unione presuppone, a mio modo di vedere, il riconoscimento – in primo luogo – che ci troviamo di fronte a diritti della persona, come riconosciuto nella Carta europea dei diritti. La questione sociale connessa alla seconda rivoluzione industriale aveva al proprio centro il proletariato: un blocco relativamente compatto. Oggi urgono criteri diversi, perché il blocco è divenuto una nebulosa eterogenea, priva di efficace rappresentanza, e attratta dall’estrema destra proprio in ragione di tale crisi della rappresentanza classica.

Nonostante l’evidente interdipendenza con le altre politiche dell’Unione – economiche e finanziarie – una politica sociale concreta dovrebbe rappresentare un obiettivo indipendente da condizionalità. Per questo ci siamo richiamati, nel documento, alla richiesta – contenuta nella relazione del Parlamento sul Pilastro sociale, approvata a gennaio – di introdurre un Protocollo sociale ai Trattati, al fine di metter fine allo squilibrio esistente nei trattati fra diritti sociali fondamentali e libertà economiche: squilibrio che tende ad avvantaggiare le libertà economiche anche in molte Costituzioni nazionali che hanno incorporato il pareggio di bilancio.

Il Protocollo è un primo passo verso l’indipendenza dei diritti sociali che Castaldo e io auspichiamo. Per lo stesso motivo abbiamo dato particolare risalto alla Carta sociale europea, preconizzando la sua integrazione nell’acquis dell’Unione. Attraverso questo decalogo sociale, gli Stati Membri si sono impegnati a rispettare una vasta gamma di diritti e principi, conferendo loro portata vincolante. È senza senso la riluttanza mostrata dall’Unione nel proseguire un percorso di adesione alla Carta già iniziato dagli Stati Membri.

Perché il Pilastro Sociale funzioni, è necessario che a esso sia conferita autonoma dignità. Che non costituisca un mero strumento ancillare a “superiori” obiettivi di carattere macro-economico concernenti la competitività. Lo stesso si dica per lo schema di reddito minimo, che è una delle nostre principali proposte. È molto preoccupante, in questa prospettiva, che il Pilastro sia stato “ideato precipuamente per l’area euro” – cito quanto comunicato dalla Commissione [1] – come se una nuova centralità sociale non fosse necessaria nell’insieme dell’Unione. Non meno importante è che l’autonoma dignità sia conferita allo sviluppo dei diritti che ne rappresentano l’ossatura, affinché il Pilastro non sia un mero contenitore di principi astratti.

Attraverso le proposte contenute nel documento il nostro scopo è quello di fornire al legislatore europeo una possibile traiettoria per dare infine attuazione ad un impegno formale assunto nei confronti dei propri cittadini, in occasione del discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato da Jean-Claude Juncker il 9 settembre 2015.

[1] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni, “Istituzione di un pilastro europeo dei diritti sociali”, 26.4.2017, “Il pilastro stabilisce una serie di principi e diritti fondamentali per sostenere mercati del lavoro e sistemi di protezione sociale equi e ben funzionanti. Come sottolineato nella relazione dei cinque presidenti dal titolo “Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa”4, ciò è essenziale anche per costruire strutture economiche più resistenti. Per questo motivo il pilastro è destinato a servire da bussola per un nuovo processo di convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro negli Stati membri partecipanti. Benché sia stato ideato precipuamente per l’area euro, possono parteciparvi tutti gli Stati membri dell’UE”.

Difendere lo stato di diritto nell’Unione europea

Albena Azmanova, Barbara Spinelli e 190 intellettuali, accademici e parlamentari europei chiedono il rispetto dello stato di diritto in Spagna e sollecitano una mediazione europea in una lettera aperta al Presidente della Commissione Juncker, al Presidente del Consiglio europeo Tusk e per conoscenza al Primo vice presidente Frans Timmermans

English version with the list of co-signatories

3 novembre 2017

Caro presidente Juncker, caro presidente Tusk,

siamo accademici, politici, intellettuali, eurodeputati, e ci rivolgiamo a Voi per esprimere le seguenti preoccupazioni:

L’Unione ha proclamato che lo stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali sono vincolanti per gli Stati membri (articoli 2 e 6 del Trattato di Lisbona). La leadership UE è stata il custode di queste norme, da ultimo nel contrastare gli attacchi del governo polacco all’indipendenza dei giudici e le limitazioni delle libertà della società civile e dei media in Ungheria.

Tuttavia, siamo profondamente preoccupati dal modo in cui le istituzioni UE stanno condonando la violazione dello stato di diritto in Spagna, in particolare per quanto riguarda l’atteggiamento delle autorità spagnole verso il referendum del 1 ottobre sull’indipendenza catalana. Non prendiamo posizione sulla sostanza della disputa concernente la sovranità territoriale, e siamo coscienti dei difetti procedurali nell’organizzazione del referendum. La nostra preoccupazione centrale riguarda l’applicazione dello stato di diritto in uno Stato membro dell’UE.

Il governo spagnolo ha giustificato le proprie azioni invocando la difesa o il ripristino dell’ordine costituzionale. L’Unione ha dichiarato che si tratta di affari interni alla Spagna. In effetti, nelle democrazie liberali le questioni di sovranità nazionale sono interne. Tuttavia, il modo in cui le autorità spagnole hanno trattato la domanda di indipendenza espressa da una parte significativa dei catalani costituisce una violazione dello stato di diritto, e precisamente:

1/ Il Tribunale costituzionale spagnolo ha proibito il referendum sull’indipendenza indetto per il 1 ottobre, così come la sessione del Parlamento catalano programmata per il 9 ottobre, denunciando la violazione dell’articolo 2 della Costituzione che stabilisce l’unità indissolubile della nazione, e rendendo dunque illegale la secessione. Tuttavia, applicando in tal modo l’articolo 2, il Tribunale ha violato precise disposizioni costituzionali sulla libertà di riunione pacifica e di parola – i due principii incarnati dai referendum e dalle deliberazioni parlamentari, indipendentemente dalla materia su cui si esplicano. Senza interferire nelle controversie costituzionali in Spagna o nel suo codice penale, notiamo che applicare una disposizione costituzionale violando i diritti fondamentali è una caricatura della giustizia. Le sentenze del Tribunale, e le azioni governative alle quali queste sentenze hanno fornito una base legale, violano quindi sia lo spirito sia la lettera dello stato di diritto.

2/ Nei giorni che hanno preceduto il referendum le autorità spagnole hanno attuato una serie di azioni repressive contro funzionari pubblici, parlamentari, sindaci, media, società e cittadini. L’oscuramento di Internet e altre reti di comunicazione durante e dopo la campagna referendaria hanno avuto conseguenze gravi sulla libera espressione.

3/ Nel giorno del referendum, la polizia spagnola è ricorsa all’uso eccessivo della forza e della violenza contro votanti e dimostranti pacifici, secondo Human Rights Watch. Si tratta di un incontrovertibile abuso di potere nell’applicazione della legge.

4/ L’arresto e l’incarcerazione il 16 ottobre di Jordi Cuixart e Jordi Sànchez (presidenti rispettivamente dell’Assemblea Nazionale Catalana e di Omnium Cultural) con l’accusa di sedizione è un esempio di mala giustizia. I fatti all’origine dell’incriminazione vanno qualificati non come sedizione, ma come libero esercizio del diritto di manifestazione pacifica, sancito nell’articolo 21 della Costituzione spagnola.

Il governo spagnolo, nello sforzo di salvaguardare la sovranità dello Stato e l’indivisibilità della nazione, ha violato diritti e libertà basilari, garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dagli articoli 2 e 6 del Trattato di Lisbona. In nessun Paese membro la violazione dei diritti e delle libertà tutelati dalla legge internazionale ed europea può essere un affare interno. Il silenzio dell’UE e il suo rifiuto di mediazioni inventive è ingiustificabile.

Le misure del governo spagnolo non possono giustificarsi come azioni volte a proteggere lo stato di diritto, anche se basate su specifiche disposizioni legali. Contrariamente al “governo per mezzo della legge” (rule-by-law), applicata in forza di norme emanate attraverso una corretta procedura legale o emesse da un’autorità pubblica, lo stato di diritto (rule of law) implica la contemporanea salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali – una legge è vincolante non semplicemente perché proceduralmente corretta, ma perché rappresenta al tempo stesso la giustizia. È quest’accezione di stato di diritto a conferire legittimità alle autorità pubbliche nelle democrazie liberali.

Chiediamo dunque alla Commissione di esaminare la situazione in Spagna nel quadro dello stato di diritto, come ha fatto per altri Stati membri.

La leadership UE ha ribadito che la violenza non può essere uno strumento in politica, eppure ha implicitamente condonato le azioni della polizia spagnola, considerando le azioni del governo di Madrid in linea con lo stato di diritto. Tale versione riduzionista e menomata dello stato di diritto non deve diventare il nuovo senso comune politico in Europa. È pericoloso e rischia di causare danni a lungo termine nell’Unione. Chiediamo perciò al Consiglio europeo e alla Commissione di fare il necessario per restaurare il principio dello stato di diritto quale fondamento della democrazia liberale in Europa, contrastando ogni forma di abuso di potere commesso dagli Stati membri. In assenza di ciò, e di seri sforzi di mediazione, l’UE rischia di perdere la fiducia dei suoi cittadini.

Nel frattempo la crisi si è approfondita (il governo catalano in detenzione, un mandato di arresto spiccato nei confronti di Puigdemont). Seguiamo da vicino la situazione, avendo in mente gli inseparabili interessi della democrazia in Catalogna, in Spagna, in Europa, e insistiamo più che mai sull’importanza che l’UE eserciti vigilanza, affinché le libertà fondamentali siano rispettate da tutte le parti.

Co-firmatari (a titolo personale):

Etienne Balibar, université Paris Nanterre and Kingston University London

David Gow, editor, Social Europe

Kalypso Nicolaidis, Oxford University, Director of the Center for International Studies

Mark Davis, University of Leeds, Founding Director of the Bauman Institute

Cristina Lafont, Northwestern University (Spanish citizen)

Ash Amin, Cambridge University

Yanis Varoufakis, DiEM25 co-founder

Rosemary Bechler, editor, openDemocracy

Gustavo Zagrebelsky professor of constitutional law, University of Turin

Antonio Negri, Philosopher, Euronomade platform

Costas Douzinas, Birkbeck, University of London

Robert Menasse, writer, Austria

Dimitrios Papadimoulis, Vice President of the European Parliament (GUE-NGL)

Ulrike Guérot, Danube University Krems, Austria & Founder of the European Democracy Lab, Berlin

Judith Butler, University of California, Berkeley and European Graduate School, Switzerland

Philip Pettit, University Center for Human Values, Princeton University (Irish citizen)

Josep-Maria Terricabras, Member of European Parliament (Greens/EFA)

Hauke Brunkhorst, University of Flensburg

Judit Carrera, Centre for Contemporary Culture of Barcelona

Gabriele Zimmer, Member of European Parliament (President, GUE/NGL)

Philippe Schmitter, European University Institute, Florence

Bart Staes, Member of European Parliament (Flemish Greens)

Marie-Christine Vergiat, Member of European Parliament (GUE-NGL)

Jón Baldvin Hannibalsson, former minister for foreign affairs and external trade of Iceland 

Diana Wallis, former Vice President of the European Parliament

Craig Calhoun, President, Berggruen Institute; Centennial Professor at the London School of Economics and Political Science (LSE)

Jane Mansbridge, Kennedy School of Government, Harvard University

Josu Juaristi Abaunz, Member of European Parliament (GUE-NGL)

Alyn Smith, Member of the European Parliament (Greens/EFA)

Thor Gylfason, University of Iceland and Research Fellow at CESifo, Munich/former member Iceland Constitutional Council 2011

Jordi Solé, Member of European Parliament (Greens/EFA)

Judith Revel, Université Paris Nanterre

Seyla Benhabib, Yale University; Catedra Ferrater Mora Distinguished Professor in Girona (2005)

Arjun Appadurai, Institute for European Ethnology, Humboldt University, Berlin

Susan Buck-Morss, CUNY Graduate Center and Cornell University

Ramon Tremosa i Balcells, Member of European Parliament (Alde)

Anastasia Nesvetailova, Director, City Political Economy Research Centre, City University of London

Nancy Fraser, The New School for Social Research, New York (International Research Chair in Social Justice, Collège d’études mondiales, Paris, 2011-2016)

Jill Evans, Member of the European Parliament (Greens/EFA)

Regina Kreide, Justus Liebig University, Giessen

Jodi Dean, Hobart and William Smith Colleges, Geneva NY

Tatjana Zdnoka, Member of the European Parliament (Greens/EFA)

Wendy Brown, University of California, Berkley

Roberta De Monticelli, University San Raffaele, Milan.

Sophie Wahnich, directrice de recherche CNRS, Paris

Christoph Menke, University of Potsdam, Germany

Tanja Fajon, Member of the European Parliament (S&D)

Robin Celikates, University of Amsterdam 

Eric Fassin, Université Paris-8 Vincennes – Saint-Denis

Paul Molac, Member of the French Parliament (écologiste)

Alexis Cukier, Université Paris Nanterre

Diogo Sardinha, university Paris/Lisbon

Luke Ming Flanagan, Member of the European Parliament (GUE-NGL)

Dario Castiglione, University of Exeter

Hamit Bozarslan, EHESS, Paris 

Frieder Otto Wolf, Freie Universität Berlin

Gerard Delanty, University of Sussex

Boaventura de Sousa Santos, Coimbra University and University of Wisconsin-Madison

Sandro Mezzadra, Università di Bologna

Camille Louis, University of Paris 8 and Paris D

Philippe Aigrain, writer and publisher

Yann Moulier Boutang and Frederic Brun, Multitudes journal

Anne Querrien and Yves Citton, Multitudes journal

Bruce Robbins, Columbia University

Michèle Riot-Sarcey, université Paris-VIII-Saint-Denis

Zeynep Gambetti, Bogazici University, Istanbul (French citizen)

Andrea den Boer, University of Kent, Editor-in-Chief, Global Society: Journal of Interdisciplinary International Relations

Moni Ovadia, writer and theatre performer

Merja Kyllönen, Member of the European Parliament (GUE/NGL)

Guillaume Sibertin-Blanc, Université Paris 8 Saint-Denis 

Peter Osborne, Centre for Research in Modern European Philosophy, Kingston University, London

Ilaria Possenti, University of Verona

Nicola Lampitelli, University of Tours, France

Yutaka Arai, University of Kent

Enzo Rossi, University of Amsterdam, Co-editor, European Journal of Political Theory

Petko Azmanov, journalist, Bulgaria

Etienne Tassin, Université Paris Diderot

Lynne Segal, Birkbeck College, University of London

Danny Dorling, University of Oxford 

Maggie Mellon, social policy consultant, former executive member Women for Independence 

Vanessa Glynn, Former UK diplomat at UKRep to EU

Alex Orr, exec mbr, Scottish National Party/European Movement in Scotland

Bob Tait, philosopher, ex-chair Langstane Housing Association, Aberdeen 

Isobel Murray, Aberdeen University

Grahame Smith, general secretary, Scottish Trades Union Congress

Igor Šoltes, Member of the European Parliament (Greens/EFA)

Pritam Singh, Oxford Brookes University

John Weeks, SOAS, University of London 

Jordi Angusto, economist at Fundació Catalunya-Europa 

Leslie Huckfield, ex-Labour MP, Glasgow Caledonian University

Ugo Marani, University of Naples Federico II and President of RESeT 

Gustav Horn, Scientific Director of the Macroeconomic Policy Institute of the Hans Böckler Stiftung 

Chris Silver, journalist/author 

François Alfonsi, President of EFA (European Free Alliance)

James Mitchell, Edinburgh University

Harry Marsh, retired charity CEO 

Desmond Cohen, former Dean, School of Social Sciences at Sussex University

Yan Islam, Griffith Asia Institute

David Whyte, University of Liverpool

Katy Wright, University of Leeds

Adam Formby, University of Leeds 

Nick Piper, University of Leeds

Matilde Massó Lago, The University of A Coruña and University of Leeds

Jim Phillips, University of Glasgow

Rizwaan Sabir, Liverpool John Moores University

Pablo Ciocchini, University of Liverpool

Feyzi Ismail, SOAS, University of London

Kirsteen Paton, University of Liverpool

Stefanie Khoury, University of Liverpool 

Xavier Rubio-Campillo, University of Edinburgh

Joe Sim, Liverpool John Moores University

Paul Molac, Member of the French Parliament

Hannah Wilkinson, University of Keele

Gareth Dale, Brunel University

Robbie Turner, University of St Andrews

Will Jackson, Liverpool John Moores University

Louise Kowalska, ILTUS Ruskin University

Alexia Grosjean, Honorary member, School of History, University of St Andrews

Takis Hadjigeorgiou, Member of the European Parliament (GUE-NGL)

Paul McFadden, York University

Matthias E. Storme, Catholic University of Leuven

Phil Scraton, Queen’s University Belfast

Oscar Berglund, University of Bristol

Michael Lavalette, Liverpool Hope University

Owen Worth, University of Limerick

Ronnie Lippens, Keele University

Zoë Dingwall, political adviser EFA (European Free Alliance)

Andrew Watterson, Stirling University

Steve Tombs, The Open University

Emily Luise Hart, University of Liverpool

David Scott, The Open University

Anders Eriksson, bureau EFA (European Free Alliance), European Parliament

Bill Bowring, Birkbeck College, University of London

Sofa Gradin, King’s College London

Michael Harrison, University of South Wales

Ana Manzano-Santaella, University of Leeds

Noëlle McAfee, Emory University

Peter J. Verovšek, University of Sheffield 

Peter Dews, University of Essex

Martin Matuštík, Arizona State University

Camil Ungureanu, Pompeu Fabra University, Barcelona 

Dafydd Huw Rees , Cardiff University

Patrick Le Hyaric, Member of the European Parliament (GUE-NGL)

Hans-Peter Krüger, University of Potsdam 

Loren Goldman, University of Pennsylvania

Federica Gregoratto, University of St.Gallen

Rurion Soares Melo, Universidade de São Paulo

Pieter Duvenage, Cardiff University and editor, Journal for Contemporary History

Chad Kautzer, Lehigh University

Peter A. Kraus, University of Augsburg

David Ingram, Loyola University  of Chicago

Alain-G. Gagnon, Université du Québec à Montréal

Peter Bußjäger, Institut für Föderalismus, Innsbruck

Nelly Maes, Former Member of the European Parliament, former President of European Free Alliance

Helmut Scholz, Member of the European Parliament (GUE/NGL)

Michel Seymour, Université de Montréal

Simon Toubeau, University of Nottingham

Georg Kremnitz, Universität Wien

Keith Gerard Breen, Queen’s University Belfast

Alan Price, Swansea University

Fernando Ramallo, Universidade de Vigo

Nicolas Levrat, University of Geneva, Director of the International Law Department

Jordi Matas, Professor of Political Science, University of Barcelona

Simon Toubeau, University of Nottingham

María do Carme García Negro, University of Santiago de Compostela

Francisco Rodríguez, writer

Carme Fernández Pérez-Sanjulián, University of Coruña

Patrice Poujade, Université de Perpignan

Colin H Williams, Cardiff and Cambridge  University

Nicolas Berjoan, Université de Perpignan

Joan Peitavi, Université de Perpignan

Alà Baylac-Ferrer, Université de Perpignan

Guglielmo Cevolin, University of Udine, Italy

Robert Louvin, Professor of Comparative Law, University of Calabria

Günther Dauwen, Secretary General of the Centre Maurits Coppieters

Bart Maddens, Catholic University of Leuven

Alan Sandry, Swansea University

Justo Serrano Zamora, Bavarian School of Public Policy

Ivo Vajgl, Member of the European Parliament (Alde)

Alberto Aziz Nassif, Centro de Investigaciones y Estudios Superiores en Antropología Social, México

Sandrina Antunes, University of Minho, Portugal

Pablo Beramendi, Duke University

Nico Krisch, Graduate Institute of International and Development Studies, Geneva

Miguel Urbán Crespo, Member of the European Parliament (GUE/NGL)

Yasha Maccanico, University of Bristol and “Statewatch”

Richard Norton-Taylor, writer on defence and security, trustee of Liberty

Thierry Dominic,  Université de Bordeaux

Paola Pietrandrea, Université François Rabelais de Tours, and DiEM25

Josep Ramoneda, philosopher and writer, Catalonia/Spain 

Si veda anche:

Catalogna, l’appello a Junker e Tusk: “Il silenzio della Ue sulla crisi mette in pericolo l’Europa”, «Il Fatto Quotidiano»
Catalogne: Défendre l’État de droit dans l’Union européenne, Mediapart
Upholding the Rule of Law in the European Union, openDemocracy

Rifugiati e terrorismo: i criteri infermieristici della Commissione Ue

Bruxelles, 11 ottobre 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Punto in agenda.

Discussione comune

  • Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA)

 Presentazione della relazione annuale sui diritti fondamentali 2016 a cura di Michael O’Flaherty, direttore dell’Agenzia per i diritti fondamentali

  • Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Relazione 2016 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

Presentazione a cura di un rappresentante della DG JUST, Commissione europea

Ringrazio il dottor O’Flaherty per il lavoro che svolge, e senz’altro sono favorevole a un rafforzamento del mandato dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA). Avrei alcune domande su due punti specifici, concernenti la migrazione e il terrorismo:

I rifugiati: a mio avviso bisogna mettere l’accento sulla tendenza, crescente negli Stati Membri e molto forte in questo momento in Germania, a stabilire tetti per l’ammissione dei migranti, in contraddizione con il diritto dei richiedenti asilo di ricevere un esame individuale delle proprie domande. Inoltre, come si evince da rapporto FRA, il ricongiungimento familiare è sempre più ostacolato: mi chiedo in che modo si possa agire visto che le informazioni a disposizione non sono sufficienti. Un’altra domanda che riguarda i rifugiati è a proposito del lavoro svolto dalla FRA non solo negli hotspot in Grecia e Italia, ma anche in Libia e in Tunisia. Mi piacerebbe chiedere al dottor O’Flaherty cosa la FRA ha scoperto in questi paesi.

Terrorismo: L’altro punto importante riguarda le azioni nell’ambito delle politiche antiterrorismo. La mia visione in proposito è molto pessimista. Negli ultimi tempi assistiamo alla tendenza degli Stati membri di incorporare una serie di leggi di emergenza nelle leggi ordinarie. Molti diritti vengono in tal modo sospesi a tempo indeterminato. Il fenomeno è particolarmente evidente nelle politiche sulla sicurezza della presidenza Macron in Francia.

Un’ultima domanda vorrei porla alla rappresentante della Commissione: cosa significa la promessa della Commissione di intervenire ex post in difesa dei diritti dell’uomo, quando è la Commissione stessa a essere responsabile dell’implementazione di politiche che hanno prodotto violazioni del diritto o della Carta dei diritti fondamentali? Non vorrei che le Istituzioni europee divenissero gli infermieri che arrivano dopo avere esse stesse causato disastri dal punto di vista dei diritti.