Fiscal Compact nei Trattati: un’Unione al riparo del suffragio universale

Strasburgo, 16 febbraio 2017, Voto del Parlamento europeo sulla Relazione “sulla possibile evoluzione e l’adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea” (Relatore Guy Verhofstadt – ALDE), sulla Relazione “sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso – S&D, Elmar Brok – PPE) e sulla Relazione “sulla capacità di bilancio della zona euro” (Relatori Reimer Böge – PPE, Pervenche Berès – S&D)

 Le relazioni sono state approvate con le seguenti maggioranze:

Relazione Verhofstadt: 283 favorevoli, 269 contrari, 83 astenuti

Relazione Bresso-Brok: 329 favorevoli, 223 contrari, 83 astenuti

Relazione Böge-Berès: 304 favorevoli, 255 contrari, 68 astenuti

Dichiarazione di Barbara Spinelli, Relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL delle Relazioni Verhofstadt e Bresso-Brok

«Oggi il Parlamento europeo ha approvato quello che viene comunemente soprannominato “Pacchetto sul futuro dell’Unione”. Si tratta di una triade di Relazioni – Relazione Bresso-Brok, Relazione Verhofstadt, Relazione Böge-Berès – tra loro strutturalmente e politicamente interconnesse. Come relatore ombra delle due relazioni istituzionali (Verhofstadt e Bresso-Brok) ho consigliato al mio gruppo un voto contrario. Ambedue le relazioni confermano in effetti che la maggioranza del Parlamento (anche se una maggioranza risicata, nel caso della relazione Verhofstadt) nulla ha imparato dalla crisi dell’Unione.

L’obiettivo di tutte e tre le relazioni è quello di dar vita a una struttura decisionale che sia il più possibile al riparo dagli azzardi del suffragio universale: nelle scelte economiche, migratorie, della politica estera e di difesa. Si spiega così la richiesta di inserire nei Trattati il Fiscal Compact: una politica socialmente rovinosa, che ha profondamente diviso e indebolito l’Unione. Alcuni nel gruppo socialista e liberale l’hanno fatta propria nell’illusione falsamente federalista di “comunitarizzare” un Patto di Stabilità che pure giudicano nefasto: è un compromesso con la loro coscienza che non ha rapporto alcuno con la realtà vissuta dai cittadini europei, e che è dunque puramente ideologico.

Il tentativo da me intrapreso di cancellare tale inserimento, attraverso specifici emendamenti, non ha trovato il consenso di un numero sufficiente di deputati socialisti, che si aggiungesse alle domande del Gruppo GUE-NGL e del Movimento 5 Stelle. Cosa stupefacente se si considera che personalità di spicco del PD (e in primis il sottosegretario Sandro Gozi) continuano a dire – almeno dal dicembre scorso – che il Fiscal Compact non deve essere iscritto nei Trattati».

Si veda anche:

Strasburgo, 14 febbraio 2017: intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo

Un’Unione al riparo del suffragio universale?

Strasburgo, 14 febbraio 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo. 

Punto in agenda:

Discussione congiunta – Il futuro dell’UE

  • Relazione sulla possibile evoluzione e l’adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea (Relatore Guy Verhofstadt – ALDE)
  • Relazione sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona (Relatori Mercedes Bresso – S&D, Elmar Brok – PPE)
  • Relazione sulla capacità di bilancio della zona euro (Relatori Reimer Böge – PPE, Pervenche Berès – S&D)

Presenti al dibattito:

Frans Timmermans – Vicepresidente della Commissione e Commissario europeo per la migliore legislazione, le relazioni interistituzionali, lo stato di diritto e la carta dei diritti fondamentali

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di Relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL delle Relazioni Verhofstadt e Bresso-Brok.

Se avete letto i due rapporti Verhofstadt e Bresso-Brok, vedrete che mancano le chiavi per risolvere la crisi europea. Non c’è nemmeno il tentativo di capirla, dato che nessuno dei sostanziali errori compiuti è riconosciuto come tale. La soluzione è meramente tecnico-istituzionale, perché le crisi  sono viste come eventi esterni o alieni, non come fallimenti dell’Unione e delle sue politiche: parlo delle politiche migratorie sempre più fondate su refoulement, del devastante dibattito sul Grexit, del Brexit che è figlio del Grexit. Parlo del disastro sociale che spinge tanti cittadini a disperare dell’Unione: il rapporto Bresso-Brok si limita a promuovere “l’idea” – giusto l’idea – di un salario minimo, quando oggi urge un reddito di cittadinanza. Il rapporto Verhofstadt tace sulla questione sociale.

I relatori assicurano di ispirarsi ai padri fondatori. Non credo l’abbiano fatto, perché i fondatori non avevano in mente una determinata linea politica. Contestavano la sovranità assoluta degli Stati per metter fine alle guerre e alla povertà che aveva distrutto l’Europa negli anni Trenta. Avevano in mente una Costituzione che permettesse l’alternarsi di scelte politiche diverse, senza pronunciarsi su di esse. I due rapporti propongono tecniche istituzionali più efficienti e rapide per perpetuare le stesse politiche che ci hanno portato alla crisi. Il destino del Fiscal Compact è esemplare: una politica rovinosa, che divide l’Europa ed estrania milioni di cittadini, viene iscritta nel marmo dei Trattati, messa al riparo dal suffragio universale, confermando spettacolarmente che l’Unione è un mercato al servizio dei più forti, non ha nulla di federale, ed è profondamente ideologica, dunque indifferente al principio di realtà.

Due rapporti senza rapporto con la realtà europea

Bruxelles, 1 febbraio 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL.

Punto in Agenda:

  • Package on the future of the EU (Brok/Bresso, Verhofstadt and Böge/Berès reports)

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di Relatrice ombra, per il Gruppo GUE/NGL, delle Relazioni “sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso, S&D, e Elmar Brok, PPE), e “sulle evoluzioni e gli adeguamenti possibili dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea” (Relatore Guy Verhofstadt, ALDE), che saranno discusse e votate nel corso della Sessione Plenaria di febbraio (Strasburgo, 13-16 febbraio 2017).

Oggi discuteremo di quello che viene ormai comunemente soprannominato “Pacchetto sul futuro dell’Unione”. Si tratta di una triade di Relazioni – Relazione Bresso-Brok, Relazione Verhofstadt, Relazione Böge-Berès sulle capacità di bilancio della zona euro – tramite la quale il Parlamento è chiamato a esprimere la propria visione dell’Unione futura, e la propria risposta al Brexit. Mi concentrerò sulle prime due, come shadow in Commissione Affari Costituzionali.

Fin da subito è stato chiaro che i due rapporti erano stati pensati come frutto della grande coalizione tra le forze maggioritarie del Parlamento: la coalizione che oggi Gianni Pittella ritiene defunta. Due testi compatti e inscindibili in cui la relazione Bresso-Brok vorrebbe rappresentare la risposta, a Trattati costanti, alle crisi dell’Unione, introducendo però, allo stesso tempo, le proposte di modifica dei Trattati che troveranno attuazione nella Relazione Verhofstadt. Il nesso inscindibile è stato anche di carattere procedurale. Il Rapporto Verhofstadt doveva partire non appena il suo predecessore avesse trovato una forma più o meno definitiva.

Anticipo fin da subito il mio giudizio finale sulle relazioni. Come shadow ho dato indicazione di votare contro entrambi i testi in Commissione AFCO e tale sarà la posizione che suggerirò per la plenaria. Questo per due ordini di motivazioni: una di carattere procedurale, l’altra sostanziale.

Quanto alla procedura: sin dal principio i testi sono stati presentati come blindati, impenetrabili. La discussione tra relatori ombra è stata evitata, e il Brexit ha acutizzato la “fretta politica” di adottare i testi prima dell’attivazione dell’articolo 50 da parte del Governo britannico. Giusto per darvi un’idea: la relazione Bresso-Brok è stata presentata in Commissione AFCO il 14 gennaio 2016, ma distribuita solo la sera precedente ai relatori ombra. La scadenza per emendamenti è stata fissata al mese seguente senza alcuno scambio intermedio. Vi è stata un’unica riunione con i relatori ombra il 7 novembre che è stata interrotta in modo burrascoso, con la scusa che mancava l’accordo sulla procedura da seguire. È stato quindi chiesto ai relatori ombra di fornire input scritti sui compromessi, ma soltanto su quelli in cui fosse stato integrato almeno un proprio emendamento. Ancora più incredibile il rapporto Verhofstadt. Prima discussione in AFCO il 12 luglio. Unica riunione con gli shadow a metà novembre, a giochi fatti. Il relatore ombra veniva tramutato in osservatore esterno, e impotente.

2) Veniamo ora alla sostanza dei testi, che affronterò insieme visto che formano un unico pacchetto. Entrambi partono dal presupposto che l’Unione sia attraversata da crisi multiple. Diagnosi ovvia, di per sé. Sono le radici della crisi che vengono obnubilate, producendo un’analisi che ritengo profondamente fuorviante. Si tratta in tutti i casi, a parere dei relatori, di crisi esterne – rifugiati, terrorismo, economia, euroscetticismo – che non solo avrebbero colpito l’Unione come una calamità imprevista ma che sarebbero tutte dovute a difetti istituzionali dell’Unione (lentezza del decision making, sovranazionalità insufficiente) e mai originate da scelte politiche sbagliate dell’Unione. Per forza di cose la soluzione rispecchia i vizi di tale analisi: non è la natura stessa delle politiche a dover essere rimessa in questione, ma la modalità con cui sino a ora sono state applicate. Non è la policy a dover essere ripensata e riscritta, cioè le scelte programmatiche, ma la politics, cioè la gestione tecnica del potere (il rapporto di forza tra Stati, e tra Stati e organi comunitari). La politics (le “regole”, per usare il linguaggio di Draghi) deve servire a perpetuare scelte indiscusse (Fiscal compact, moneta, migrazione), o che sono da promuovere alla luce dell’elezione di Donald Trump (difesa). Di qui l’appello dei Rapporteurs a una governance che sia snellita, velocizzata, di fatto accentrata, e che addirittura costituzionalizzi tali scelte, inserendole nei Trattati. In parte è l’istituzionalizzazione dello status quo, in parte è la proposta di una politica più assertiva – in politica estera e di difesa, nei rapporti con la Nato – che non sia intralciata in Parlamento da pareri discordanti. Questo dovrebbe avvenire attraverso l’aumento delle decisioni prese a maggioranza qualificata invece che all’unanimità; la creazione di un Consiglio degli Stati che inglobi i Consigli specializzati; la trasformazione della Commissione Europa in vero governo dell’Unione; la creazione di un ministro comune delle Finanze e degli Esteri; la fusione del Presidente dell’Eurogruppo con il Commissario economico; la riduzione drastica delle “eccezioni alle regole UE”.

Nonostante i relatori abbiano, a più riprese, insistito sulla natura prettamente istituzionale dei testi presentati, le proposte di riforma della governance contengono chiare linee politiche, riproponendo e consolidando le medesime misure che hanno condotto al marasma dell’Unione: crisi economica e sociale; violazione dei principi di solidarietà tra Stati membri; volontà di impotenza davanti all’afflusso dei rifugiati e crescente esternalizzazione delle politiche d’asilo; disprezzo sistematico dei principi di diritto internazionale, frantumazione dello spazio Schengen, da restaurare solo a condizione che l’esternalizzazione funzioni alla perfezione. Tutto ciò senza la sia pur minima ombra di rimessa in questione di se stessa, da parte dell’Unione, e di analisi dell’inadeguatezza delle politiche proposte.

Così nella sfera economica, attraverso la “costituzionalizzazione” delle misure di austerità; così nella gestione della questione migratoria, incentrata sulla deliberata violazione del principio di non refoulement; così nella politica estera e di difesa, attraverso la creazione di una difesa comune fondata su un riarmo stile guerra fredda (alle frontiere orientali) e volta a cristallizzare le fallimentari politiche di regime change perpetrate a partire dagli anni ‘90.

Spicca l’assenza di una qualunque credibile alternativa per affrontare la crisi sociale e la crescente sfiducia dei cittadini verso l’attuale progetto europeo. Sfiducia chiamata sbrigativamente populista o nazionalista. I diritti sociali sono sì menzionati nella Relazione Bresso-Brok, ma sempre come elementi funzionali alla competitività del mercato interno e dell’Unione economica e monetaria. La relazione Verhofstadt è assolutamente silente sulla questione sociale. Un breve capitolo è dedicato ai diritti umani, sotto forma di precetti generici e sconnessi da analisi profonde della materia. Una sorta di omaggio che il vizio rende alla virtù: una strategia che chiamerei di volontaria negazione della realtà.

Purtroppo le nuove regole di procedura (frutto anch’esse della grande coalizione) rendono più difficile proporre emendamenti in plenaria. Sarà mia cura proporre vari emendamenti, la cui presentazione sarà tuttavia legata all’appoggio di altri gruppi politici, visto che abbiamo ora bisogno di ben 76 firme per ogni emendamento. In effetti, abbiamo a che fare con un’ampia maggioranza favorevole a entrambe le relazioni, che comprende il PPE, S&D, ALDE e anche i Verdi.

Per questo motivo, la mia intenzione sarebbe quella di concentrarmi su emendamenti nuovi che possano introdurre elementi migliorativi e attualmente assenti dalle Relazioni, piuttosto che cercare di modificare paragrafi già esistenti – tenendo ferma comunque la mia generale contrarietà ai testi e a singoli paragrafi.

I temi su cui focalizzerò gli emendamenti saranno perciò: la centralità della politica sociale, compresa la piena applicazione della Carta Sociale Europea, e la necessità di un’inversione di rotta delle politiche economiche con abbandono totale dell’austerità a fronte di un rilancio di consistenti piani di investimenti (New Deal); la possibilità legale di un’uscita ordinata dall’Euro senza che ciò implichi l’uscita dall’Unione; l’urgenza della questione ambientale con un richiamo al “diritto della natura” presente in alcune costituzioni latino-americane; una politica migratoria fondata sul diritto e non sull’esternalizzazione e sulla violazione della Convenzione di Ginevra; una politica estera e di sicurezza fondata sulla promozione della pace, il disarmo e la centralità dei diritti.

Quel che mi auguro, è di riuscire a costruire più ampie maggioranze in seno al Parlamento, su questi temi fondamentali. Sarà difficile, ma vale la pena provare cose difficili.

Il finto federalismo del Rapporto Verhofstadt

Bruxelles, 8 novembre 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Possibile evoluzione e adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea” (Relatore Guy Verhofstadt – ALDE, Belgio) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio il relatore per il lavoro fatto con questa bozza di risoluzione. Dico subito che ci sono passaggi che apprezzo: sulla sicurezza interna, che non deve trasformarsi in pretesto per evitare politiche più coraggiose di asilo e inclusione; sull’opportunità che la Corte di giustizia passi al vaglio la politica estera dell’Unione; sul metodo comunitario che non deve esser soppiantato da quello intergovernativo. Giusto anche chiedere l’estensione di precisi diritti del Parlamento europeo: in prima linea il diritto di iniziativa legislativa e il diritto di inchiesta.

Come già anticipato nella riunione del 12 luglio, ho tuttavia una serie di riserve, che esprimerò negli emendamenti. Cercherò di spiegarne alcuni, facendone una sintesi.

In prima linea non concordo sulle premesse, cioè sui recital che giustificano vari articoli della risoluzione. Quello di cui sento più la mancanza è un’analisi critica e autocritica della crisi dell’Unione, che a mio avviso ha toccato l’acme durante il negoziato greco ed è sfociata per forza di cose nel Brexit – i due eventi sono a mio parere legati. Se siamo giunti a questo punto, non è perché le istituzioni funzionino male, o non si coordinino, o non siano abbastanza “federali”. Il federalismo ha senso se esiste una comunità solidale, se vengono adottate politiche che non dividono le nostre società e non generano, sempre più, disgusto verso il progetto stesso di unione. Il federalismo non è una tecnica, e non basta quest’ultima a ridare ai cittadini la fiducia e il senso di appartenenza che hanno perso. Non basta nemmeno citare Eurobarometro, che non rispecchia il loro vero stato d’animo essendo un istituto di sondaggio troppo dipendente dalla Commissione, dunque con forti conflitti d’interesse.

Non mi convince nemmeno l’analisi delle crisi – la “‘polycrisis” descritta nel rapporto: il più delle volte la crisi è dell’Europa. Non è dei modi formali in cui essa risponde alle sfide, ma della natura stessa della risposta. Ad esempio: non c’è “crisi della migrazione”, ma crisi dell’Unione davanti a flussi di profughi e migranti che al momento rappresentano lo 0,2 per cento delle popolazioni europee. Non c’è solo crisi del debito, ma crisi di Paesi che essendo in surplus non espandono la propria economia. Più generalmente, c’è crisi della solidarietà e della democrazia all’interno dell’Unione. La mia impressione è che il rapporto avalli e sostenga politiche che hanno fatto fallimento. Non basta dire che siamo di fronte a un euroscetticismo senza precedenti e un ritorno dei nazionalismi, senza indicare l’insieme di politiche sbagliate che hanno causato e causano diffusa sfiducia.

Vengo ora agli emendamenti sull’articolato, e ne cito solo alcuni che mi sembrano importanti.

Fin dal primo articolo, si chiede una modernizzazione della governance dell’Unione: cioè più efficienza, più rapidità. Non si va alla sostanza della crisi: la spettacolare mancanza di giustizia sociale, il venir meno di diritti (e di precisi articoli del Trattato come il 2, il 3, il 6, l’11); il riemergere in Europa di una politica di balance of powers, di potenze nazionali più o meno forti che si guardano in cagnesco l’un l’altra. La tecnica ancora una volta prende il sopravvento. Dovremmo sapere, da Heidegger, che “l’essenza della tecnica non è mai tecnica”.

Passo all’articolo 13, in cui si denuncia la mancanza di convergenza e di competitività. Anche qui, nessun accenno alle diseguaglianze sociali e al senso di dis-empowerment dei cittadini, e di impoverimento generalizzato delle classi medie: che sono poi le vere ragioni dell’ondata di sfiducia verso l’Europa.

Nell’ articolo 14, si dice giustamente che né il Patto di Stabilità e crescita né la clausola “no bail-out” hanno fornito le soluzioni volute, ma non si fanno proprie le critiche sempre più diffuse che vengono espresse verso le ricette di austerità non solo da parte di accademici, ma dello stesso Fondo Monetario internazionale. Il malfunzionamento, secondo la relazione Verhofstadt, viene fatto risalire alle troppe infrazioni del Patto. Constato un ritardo diagnostico di almeno dieci anni nell’analisi delle politiche economiche europee.

In questo ambito, mi dispiace che non vi sia neppure un accenno alle proposte di un New Deal europeo. In un emendamento aggiuntivo all’articolo 13, ne propongo uno – ma le idee sono moltefinanziato dalla Banca europea degli Investimenti e da nuove risorse proprie alimentate da una tassa patrimoniale comune, dalla tassa sulle transazioni finanziarie e da una carbon tax.

Altra proposta che va in questa direzione: l’adesione dell’Unione alla Carta Sociale, e comunque l’inclusione dei criteri della Carta nella definizione della politica economica.

A proposito del Rapporto dei cinque Presidenti (articolo 16): il Rapporto Verhofstadt lo condivide in pieno. Io non lo condivido. Nel mio emendamento esprimo una forte critica del rapporto, e delle cosiddette riforme strutturali: basate su codici di competitività che hanno come principale fondamento la ristrutturazione del mercato del lavoro e livellamenti verso il basso dei salari. Non mi sembra la ricetta per uscire dalla recessione.

Per tutte queste ragioni non accolgo la proposta – che in altri tempi e con altre politiche sarebbe stata positiva – di istituire un comune Ministro dell’Economia (e un Ministro degli Esteri). Il rischio è di ripetere l’errore fatto con l’euro. Parlo dell’illusione gradualista secondo cui creando istituzioni comuni parziali si arriverà necessariamente e provvidenzialmente all’unità politica dell’Europa.

Mi si obietterà che non è questo lo scopo di questo rapporto, né di quello dei colleghi Mercedes Bresso e Elmar Brok su quello che si può fare senza cambiare i Trattati. Che è in gioco il quadro costituzionale, non le politiche immesse in tale quadro. Ma ambedue i rapporti fanno proprie precise linee politiche, e questo spiega come mai – non essendo per appunto tecnica, la natura della tecnica – parlo di sostanza politica anch’io.