Il mancato appuntamento con l’Europa sociale

Bruxelles, 27 novembre 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso dell’audizione della commissione Affari Costituzionali (AFCO) su “Prospettive costituzionali della dimensione sociale dell’UE nel contesto del dibattito sul futuro dell’Europa”.

 Relatori:

– Frank Vandenbroucke, professore presso l’Università di Amsterdam

– Francesco Costamagna, professore associato di diritto dell’Unione europea e professore aggregato di diritto internazionale presso l’Università degli Studi di Torino

– Esther Lynchsegretaria confederale dell’European Trade Union Confederation (ETUC)

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di autore, in collaborazione con Fabio Massimo Castaldo (Gruppo EFDD – M5S), del documento di lavoro “Social Dimension of Europe”.

Ringrazio i tre oratori per aver offerto contributi davvero importanti che varrà la pena aggiungere al working document che abbiamo redatto l’8 ottobre dell’anno scorso.[1] Come premessa, vorrei ricordare– visto che nelle presentazioni si è parlato dei padri fondatori dell’Unione europea – che i padri fondatori di cui ho ricordo avevano in mente un’Unione dotata di una forte connotazione sociale. Penso in particolar modo a William Beveridge, che durante la seconda guerra mondiale gettò le basi del Welfare State e che tra l’altro fu sostenitore convinto di una federazione europea. E penso al Manifesto di Ventotene, che arrivava sino a proporre un reddito minimo garantito per i più bisognosi e vulnerabili, e la lotta alla povertà come indispensabile baluardo contro il ritorno dei nazionalismi e della guerra.

Approfitto di questa occasione per citare alcuni punti del working document che ho preparato con Fabio Massimo Castaldo (EFDD- M5S). In primo luogo, siamo partiti dalla constatazione che, dal punto di vista sociale, l’unione monetaria rappresenta un fallimento e non è quindi alla lunga sostenibile. In questo quadro abbiamo espresso la convinzione che l’eccesso dello squilibrio sociale che si è creato nell’Unione sia molto più pericoloso dello squilibrio budgetario su cui si concentrano da anni le preoccupazioni delle istituzioni UE.

Chiederei anche ai presenti di considerare quello che sta succedendo in queste settimane nei negoziati tra Italia ed Unione europea: quale che sia il nostro giudizio sui programmi di bilancio del governo italiano, resta il fatto che da parte delle autorità europee non si tiene minimamente conto della grave situazione sociale del mio Paese, caratterizzata dall’esistenza di cinque, se non sei milioni di poveri assoluti. Non si tiene conto che qualcosa bisogna fare, e che in gioco non può essere solo la questione dell’equilibrio budgetario. Questa è la conclusione cui siamo giunti per quanto riguarda l’Unione economica e monetaria.

Consideriamo un fallimento anche la Strategia 2020 (programma dell’UE per la crescita e l’occupazione per il decennio in corso). La povertà nell’Unione è aumentata invece di diminuire, come promesso, di 20 milioni.

La proposta forte contenuta nel nostro working document è l’adesione dell’UE alla Carta Sociale del Consiglio d’Europa, e a un Protocollo sociale da introdurre nei Trattati come richiesto dal Parlamento europeo. Chiediamo anche l’abbandono del cosiddetto Semestre europeo (il ciclo annuale di coordinamento economico e fiscale tra Paesi membri) o un suo ripensamento radicale, in modo che sia data priorità ai parametri sociali. Proponiamo infine se non l’adozione, almeno una meditazione su possibili schemi di minimum income, come richiesto d’altronde dal Parlamento in una risoluzione del 2017.

A proposito del cambiamento del Trattato UE, penso che molte cose si possano fare anche a trattato vigente, e non capisco bene le riserve che vengono in proposito avanzate. A trattato vigente si discute senza problemi dell’introduzione nella legge europea del Patto di stabilità e Crescita (Fiscal Compact), anche se oggi tale inserimento è stato respinto dalla Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo (Commissione ECON). Comunque se ne continua a parlare, senza che nessuno protesti per quest’elemento nuovo che potrebbe eventualmente e secondo il parere di molti entrare nei Trattati. Allora perché non far entrare nei Trattati un protocollo e parametri sociali vincolanti? Un protocollo che non sia il cosiddetto social pillar di Jean-Claude Juncker, perché il pilastro sociale è una conchiglia vuota: così come viene proclamato non contiene alcun parametro obbligante. Per il momento è semplicemente una dichiarazione di buona volontà, che si accompagna senza costrutto alle ferree leggi del Fiscal Compact.

[1] La parte redatta da Barbara Spinelli e Fabio Massimo Castaldo comincia a partire dal punto B. Le pagine precedenti sono a cura del segretariato AFCO.

Fiscal Compact nei Trattati: un’Unione al riparo del suffragio universale

Strasburgo, 16 febbraio 2017, Voto del Parlamento europeo sulla Relazione “sulla possibile evoluzione e l’adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea” (Relatore Guy Verhofstadt – ALDE), sulla Relazione “sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso – S&D, Elmar Brok – PPE) e sulla Relazione “sulla capacità di bilancio della zona euro” (Relatori Reimer Böge – PPE, Pervenche Berès – S&D)

 Le relazioni sono state approvate con le seguenti maggioranze:

Relazione Verhofstadt: 283 favorevoli, 269 contrari, 83 astenuti

Relazione Bresso-Brok: 329 favorevoli, 223 contrari, 83 astenuti

Relazione Böge-Berès: 304 favorevoli, 255 contrari, 68 astenuti

Dichiarazione di Barbara Spinelli, Relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL delle Relazioni Verhofstadt e Bresso-Brok

«Oggi il Parlamento europeo ha approvato quello che viene comunemente soprannominato “Pacchetto sul futuro dell’Unione”. Si tratta di una triade di Relazioni – Relazione Bresso-Brok, Relazione Verhofstadt, Relazione Böge-Berès – tra loro strutturalmente e politicamente interconnesse. Come relatore ombra delle due relazioni istituzionali (Verhofstadt e Bresso-Brok) ho consigliato al mio gruppo un voto contrario. Ambedue le relazioni confermano in effetti che la maggioranza del Parlamento (anche se una maggioranza risicata, nel caso della relazione Verhofstadt) nulla ha imparato dalla crisi dell’Unione.

L’obiettivo di tutte e tre le relazioni è quello di dar vita a una struttura decisionale che sia il più possibile al riparo dagli azzardi del suffragio universale: nelle scelte economiche, migratorie, della politica estera e di difesa. Si spiega così la richiesta di inserire nei Trattati il Fiscal Compact: una politica socialmente rovinosa, che ha profondamente diviso e indebolito l’Unione. Alcuni nel gruppo socialista e liberale l’hanno fatta propria nell’illusione falsamente federalista di “comunitarizzare” un Patto di Stabilità che pure giudicano nefasto: è un compromesso con la loro coscienza che non ha rapporto alcuno con la realtà vissuta dai cittadini europei, e che è dunque puramente ideologico.

Il tentativo da me intrapreso di cancellare tale inserimento, attraverso specifici emendamenti, non ha trovato il consenso di un numero sufficiente di deputati socialisti, che si aggiungesse alle domande del Gruppo GUE-NGL e del Movimento 5 Stelle. Cosa stupefacente se si considera che personalità di spicco del PD (e in primis il sottosegretario Sandro Gozi) continuano a dire – almeno dal dicembre scorso – che il Fiscal Compact non deve essere iscritto nei Trattati».

Si veda anche:

Strasburgo, 14 febbraio 2017: intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo

Rapporto Bresso-Brok: il fiscal compact inserito nei Trattati

Bruxelles, 8 novembre 2016. Intervento (non pronunciato) di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso, S&D – Italia, Elmar Brok, PPE – Germania) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio i relatori di questo rapporto, anche se purtroppo ho constatato l’impossibilità di un confronto che sia serio e rispettoso con i relatori ombra.

Come già sottolineato nel corso della precedente discussione sulla Relazione Verhofstadt, quello che mi lascia più perplessa è la visione di fondo dei due documenti, ossia la scelta di cambiare la struttura, la tecnica – la “capacità di agire” a più livelli, rapidamente ed efficacemente, come è scritto nel rapporto – per lasciare essenzialmente invariata la sostanza. Un esempio tra tutti è il Fiscal Compact. Uno strumento figlio di politiche dell’austerità i cui contenuti ed effetti sono stati ampiamente criticati da noti economisti e, ultimamente, persino dallo stesso Fondo Monetario Internazionale. Piuttosto che modificarlo o scegliere soluzioni alternative, la strada percorsa è quella di legittimarlo completamente, incorporandone le parti più rilevanti all’interno del Trattato e rendendolo di conseguenza elemento strutturale della politica economica europea.  È quello che più ci viene contestato dai cittadini: la miopia, la sordità di fronte ad una richiesta di cambiamento che riguarda esattamente il fondo delle nostre scelte e non l’involucro tecnico all’interno del quale le presentiamo.

Penso anch’io, come i relatori, che i Trattati hanno limiti evidenti ma ci offrano già chiare indicazioni su una possibile via alternativa, ed è alla luce di tali indicazioni che dovremmo procedere per “sfruttarne le potenzialità”. È la direzione che ho tentato di seguire con gli emendamenti che ho presentato. Mi riferisco in particolare agli articoli iniziali del Trattato sull’Unione Europea: l’articolo 2 sui cosiddetti “valori” dell’Unione (mi piacerebbe che in una futura Costituzione si parlasse di norme e di diritti – i valori per definizione sono opinabili); l’articolo 3 sugli obiettivi dell’Unione – tra cui la creazione di un’economia sociale di mercato non solo competitiva, ma che miri – cito – alla piena occupazione e al progresso sociale, e a un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; l’articolo 6 sui diritti fondamentali o l’articolo 11 sulla partecipazione dei cittadini al processo decisionale – solo per citarne alcuni. A rinforzo dei trattati abbiamo anche creato uno strumento unico, la Carta dei diritti fondamentali, che chiede solo di essere innalzata a reale parametro di azione. Si tratta ovviamente di standard generali che necessitano di norme che ne diano concreta attuazione, ma sono anche quei parametri che abbiamo scelto e deciso di inserire nei Trattati quali disposizioni comuni e presupposti del progetto di integrazione europea. Ritengo sia giunto il momento di darne concreta attuazione con politiche che non ne infrangano, come accade oggi quasi quotidianamente, l’essenza.

Un’ultima osservazione sulla politica di immigrazione e di asilo. Considerata l’involuzione sempre più autoritaria in Turchia, considerata la natura dittatoriale di regimi come quello eritreo e sudanese, e il caos che regna in Afghanistan e in Libia, considero impossibile – e indifendibile sul piano legale – la strategia dei cosiddetti “Paesi sicuri”, e ritengo che non vadano firmati accordi con Paesi terzi che sono tutt’altro che sicuri,  al solo fine di rimpatriare migranti e profughi, e di ridurre i flussi migratori prima che i migranti arrivino alle nostre frontiere.

La falsa coscienza dell’Europarlamento

Lettera al direttore de «La Stampa», 23 agosto 2014

Caro direttore,

poco più di un mese e mezzo di lavori al Parlamento europeo sono un tempo breve, se si vogliono conoscere sino in fondo i meccanismi di funzionamento dell’Unione e soprattutto se si prova a immaginare quale possa essere la via per uscire – con una visione che sia operosa oltre che intellettualmente precisa – dallo stato di prostrazione, apatia, regressione nazionalista in cui versa il progetto di unificazione. Ma fin d’ora alcune cose importanti si possono dire.

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