Draghi e la necessità di un lockdown

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 16 febbraio 2021

La prima prova del governo Draghi, e la più urgente, riguarda il Covid e le varianti che stanno per prendere il sopravvento in tutta Italia (la variante inglese si sostituirà al virus circolante entro 5/6 settimane, ha detto il 13 febbraio Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità. Le varianti brasiliane e sudafricane cominciano a circolare).

Le nuove necessità sanitarie non consentono dilazioni, e si spera vengano esplicitate nel discorso programmatico che Draghi pronuncerà mercoledì in Parlamento. Il Comitato tecnico scientifico e i principali esperti chiedevano da giorni il rinvio della riapertura delle piste di sci, ma c’era la crisi. Alcuni consigliano un lockdown totale e immediato, scuole comprese. L’appello al lockdown viene da esperti indipendenti come il virologo Andrea Crisanti, e dal consigliere del ministro della Salute Walter Ricciardi. Ridurre la trasmissione del virus è oggi l’imperativo whatever it takes, a ogni costo.

Roberto Speranza ne ha tenuto conto, appena riconfermato ministro, e in accordo con Draghi ha deciso di prolungare la chiusura degli impianti di sci. Ma i segnali che arrivano dalla maggioranza sono inquietanti. Sia la Lega che Italia Viva s’indignano per l’ordinanza del ministro. Matteo Salvini, ospite di Mezz’ora in più, ha attaccato Ricciardi, accusandolo di “terrorizzare 60 milioni di italiani”: “Non mi va bene che questo consulente dica che bisogna chiudere tutto. (…) Visto che ci sono tanti scienziati che non la pensano come Ricciardi, mettiamoli tutti intorno a un tavolo e chi convince di più con numeri alla mano ha ragione. Non ne possiamo più di questo apri-chiudi continuo”. Quanto alla chiusura delle scuole, pochi ne vogliono sentir parlare, a cominciare dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e forse anche da Draghi, che nei giorni scorsi ha manifestato la sua preferenza: anno scolastico allungato sino a fine giugno, per recuperare il tempo, che probabilmente ritiene perduto e rovinoso per il Pil, della didattica a distanza (come se quest’ultima non avesse enormemente logorato professori e studenti).

In un articolo sul «Corriere della Sera» dell’11 febbraio, lo scrittore e fisico Paolo Giordano esprime una preoccupazione interamente condivisibile: che il discorso economico sia tornato a predominare su quello della sicurezza sanitaria, e che la concentrazione sul Recovery Fund e la crisi di governo “stia nella sostanza ‘assorbendo’ il discorso pandemico, relegandolo a un sottofondo, a un ipotetico normale”. Di qui la marginalizzazione degli esperti: la loro sovraesposizione mediatica, aggiunge Giordano, “li ha resi organici alla crisi, quindi più deboli nei messaggi”.

Anche se indeboliti, tuttavia, i messaggi scientifici restano lucidi, e smantellano gran parte dei discorsi consolatori o minimizzanti fatti dai politici. Innanzitutto – dicono – non è vero che le varianti aumentano la contagiosità ma non la letalità del virus. L’aumento vistoso dei contagi moltiplicherà esponenzialmente anche i decessi, come confermato da studi britannici. In secondo luogo non è vero che le scuole siano senza pericolo: è ormai acclarato che le varianti approfittano delle scuole aperte, infettando anche bambini e adolescenti, e tramite loro le famiglie e gli anziani. È il motivo per cui Regno Unito e Germania hanno chiuso le scuole, anche se le regioni tedesche decideranno in autonomia (Angela Merkel non ha convinto tutti i Länder: il che conferma quanto sia difficile anche in Germania il rapporto Stato-regioni). Infine, non è vero che le vaccinazioni garantiranno presto l’immunità collettiva: nell’intervallo, il rischio è grande che il virus “impari” – se la sua circolazione non viene drasticamente bloccata – ad aggirare la protezione vaccinale attraverso nuove e probabili mutazioni. Il lavoro così come impostato da Domenico Arcuri è prezioso e si spera che possa continuare e accelerare: comunque, è grazie a lui che l’Italia è oggi il Paese che vaccina di più in Europa.

Questo significa che fin da mercoledì, Draghi si troverà a dover scegliere, e ad annunciare misure molto più restrittive, come seppe fare Giuseppe Conte in occasione del primo lockdown generale. Non è detto che saprà o vorrà farlo. Perché la maggioranza così ampia che lo sostiene non favorisce coesione e rapidità di decisioni. Perché lui stesso non ha mai detto nulla di importante sul Covid in Italia (più di 74.000 morti in un anno e varianti che rendono inefficaci i vaccini: è qualcosa che subito dovrebbe neutralizzare le pressioni delle lobby economiche e i discorsi sul Pil). Se c’è una spesa da fare subito, è quella destinata al sequenziamento delle varianti Covid: un’attività per cui mancano fondi, come sostiene da dicembre il virologo Massimo Galli: “In Gran Bretagna il Covid-19 Genomics Consortium, che comprende le maggiori Università del Paese, è stato finanziato con 20 milioni di sterline e ha potuto realizzare oltre 50.000 sequenze genomiche del coronavirus, permettendo di identificare (la variante inglese), mentre in Italia i laboratori non hanno ricevuto supporto significativo. Da noi la ricerca è poco considerata anche quando servirebbe a dare risposte immediate per il controllo di una pandemia”.

Vale la pena ricordare che tra gli obiettivi di chi per mesi ha lavorato all’abbattimento del governo Conte, c’era anche quest’obiettivo: metter fine alle chiusure e agli allarmi, riaprire e ripartire. È da tempo l’opinione di Renzi, secondo cui “la politica ha abdicato nei confronti dei virologi, esattamente come abdicò negli anni 92-93 nei confronti dei magistrati e nei primi anni del decennio scorso nei confronti dei tecnici dell’economia” (discorso al Senato, 30 aprile 2020). Un’opinione che il centrodestra e le regioni da esso governate condividono.

Conte era sospettato di sottomissione al Comitato tecnico scientifico: è stato silurato anche per questo. Non è stato mai sconfessato invece dagli italiani, convinti dal suo coraggio. La sua popolarità va studiata, perché è venuta da un popolo che si è sentito al tempo stesso salvato e rovinato da lockdown e zone rosse. Il consenso di cui beneficia Draghi è costruito per adesso su parole dette in altri tempi e sul mito dell’italiano incensato all’estero, che giornali e tv amplificano smisuratamente. Per il momento ha poco a che vedere con la popolarità di Conte, per il semplice motivo che Draghi ancora non è stato messo alla prova, e che la crisi politica ha ridotto la pazienza e la vigilanza degli italiani.

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