La trappola saudita e le bugie di Renzi

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 3 marzo 2021

Nelle stesse ore in cui il governo Conte annunciava il blocco permanente delle vendite di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, il senatore Matteo Renzi volava a Riyad, quasi volesse rassicurare un partner così ingiustamente sanzionato. Era il 29 gennaio, e la crisi di governo scatenata dal capo di Italia Viva era in pieno corso.

La carriera politica di Renzi è sporcata da questa visita: sia per quello che il senatore ha taciuto nella Capitale saudita (la guerra per procura che Sauditi ed Emirati conducono in Yemen; l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi) sia per quello che ha detto, adulando in televisione il principe ereditario Mohammad bin Salman (il “nuovo Rinascimento” incarnato dal “grande principe”; l’invidia per un costo del lavoro così meravigliosamente basso). Renzi sapeva che il governo di cui era parte fino al 13 gennaio aveva deciso l’embargo sulle armi. Sapeva che il principe è il mandante dell’omicidio-smembramento di Khashoggi (2 ottobre 2018). Il rapporto della Cia che lo conferma è uscito in questi giorni, ma già nel giugno 2019 l’Onu ne aveva pubblicato uno simile. Gli 80mila dollari che il senatore ed ex presidente del Consiglio riceve annualmente dai sauditi – in qualità di membro dell’istituto Future Investment Initiative, emanazione della monarchia – non saranno illeciti, ma non cessano di far scandalo.

Nei prossimi mesi o anni sapremo se il governo Draghi cambierà politica sull’Arabia Saudita. Se l’Italia si allineerà alle posizioni di Parigi e Londra, che continuano il loro commercio di armi con Riyad e Abu Dhabi, o se seguirà l’esempio dei governi che come Conte hanno applicato l’embargo: Germania in primis, oltre a Belgio, Danimarca, Finlandia, Grecia, Olanda. Anche il presidente Joe Biden ha deciso di sospendere, sia pure provvisoriamente e parzialmente, le ingenti forniture d’armi garantite da Trump. I motivi dei vari embarghi sono due: l’assassinio di Khashoggi e la guerra iniziata dai sauditi nel 2015, con l’appoggio diretto statunitense e quello indiretto israeliano. Guerra che continua a seminare migliaia di morti fra i civili e che è sfociata in un disastro umanitario di proporzioni gigantesche (più di 24 milioni bisognosi di aiuto umanitario: l’80 per cento della popolazione).

Fin dal 2018 il presidente Conte aveva deciso di revocare le esportazioni di missili e bombe a Arabia Saudita ed Emirati: “Adesso si tratta solo di formalizzare questa posizione e di trarne le conseguenze”, diceva nella conferenza di fine anno, in risposta a una domanda concernente la vendita di armi e l’assassinio di Khashoggi. Una decisione costosa per le industrie italiane degli armamenti, accolta con entusiasmo dalle associazioni umanitarie e di sicuro mal vista dai commercianti d’armi. Veniva infatti annullato, e non semplicemente sospeso, l’accordo di forniture che il governo Renzi aveva negoziato nel 2016, per un totale di 400 milioni di euro (la fonte è la Rete Italiana Pace e Disarmo).

Nonostante le conferme che vengono dalla Cia sulle responsabilità dirette di Bin Salman nell’assassinio di Khashoggi (un giornalista inizialmente favorevole alle riforme del principe) Renzi non fa autocritiche. Aveva promesso di spiegare subito dopo la crisi politica i motivi delle parole dette a Riyad, e dopo parecchi giorni è ricorso a un’intervista a sé stesso, senza senso del ridicolo, seguita ieri da un’intervista al «Giornale». Nessuna marcia indietro: “intrattenere rapporti” con l’Arabia Saudita “non solo è giusto, ma è anche necessario. L’Arabia Saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico ed è uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni. Anche in queste ore – segnate dalla dura polemica sulla vicenda Khashoggi – il presidente Biden ha riaffermato la necessità di questa amicizia in una telefonata al Re Salman”.

In parte quel che dice è un’ovvietà: si possono avere “rapporti” con il regime saudita, dittatoriale come tanti altri nel mondo. Ma in questione sono le vendite di armi, non i rapporti diplomatici. In parte Renzi mente spudoratamente (assieme al ministro di Italia Viva Elena Bonetti): l’Arabia Saudita non è affatto “un baluardo contro l’estremismo islamico” (immagino e spero che Renzi alluda al terrorismo e non all’estremismo: simili svarioni lessicali sono inquietanti perché adottano il vocabolario dei monarchi sauditi e di Donald Trump). Erano sauditi gli attentatori dell’11 settembre, come lo erano i fondatori dell’Isis. Riyad è un baluardo per i sunniti che contendono all’Iran sciita il primato nel grande Medio Oriente. È un baluardo per il governo israeliano, che per anni ha premuto su Washington perché uscisse dall’accordo sul nucleare e attaccasse militarmente l’Iran. Renzi mette il piede nella trappola del Grande Gioco mediorientale e adopera il linguaggio di Trump, di Jared Kushner genero dell’ex presidente, di Mike Pompeo, fautori di un patto militare con Riyad. Difficile credere che non sappia quel che fa. Che non abbia letto neanche un articolo di Khashoggi sul «Washington Post».

Non meno inquietante è la disinvoltura con cui il capo di Italia Viva vive il proprio ruolo di ex presidente del Consiglio e senatore. Nella carica che ricopre rappresenta l’Italia, quando si reca in Paesi autoritari. È davvero singolare che non capisca la differenza esistente fra una visita diplomatica e una visita pagata, che culmina in smaccati esercizi di cortigianeria verso un principe ereditario sospetto di assassinio e responsabile in Yemen di una guerra di sterminio dei civili.

Ma probabilmente Renzi si sente sicuro, convinto com’è che non sia questo il momento di far traballare la grande alleanza in via di costruzione fra Israele, Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, in funzione anti-iraniana. Macron la pensa come lui, i neo-conservatori in Nord America pure, repubblicani o democratici che siano. I deputati che nel Parlamento europeo fanno capo al presidente francese (il gruppo Renew Europe, compreso l’ex ministro per gli Affari europei Sandro Gozi) si sono recentemente astenuti su una risoluzione che chiede il blocco di tutte le vendite di armi a Riyad.

Infine, è probabile che Renzi non potesse dire altro, una volta invitato a intervistare pubblicamente il principe ereditario. L’unica via per evitare lo scandalo era di rifiutare l’invito, e non prender più soldi dalla monarchia. Renzi non ne è stato capace, e i veri motivi di quest’incapacità restano oscuri, nonostante i soliloqui in Internet e le numerose interviste concesse fuori Italia.

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Relazioni tra Ue e Arabia Saudita

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-015299/2015

alla Commissione (Vicepresidente/Alto rappresentante)

Articolo 130 del regolamento

Marietje Schaake (ALDE), Max Andersson (Verts/ALE), Petras Auštrevičius (ALDE), Beatriz Becerra Basterrechea (ALDE), Brando Benifei (S&D), Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), José Bové (Verts/ALE), Lynn Boylan (GUE/NGL), Cristian-Silviu Buşoi (PPE), Reinhard Bütikofer (Verts/ALE), Enrique Calvet Chambon (ALDE), Ignazio Corrao (EFDD), Peter van Dalen (ECR), Karima Delli (Verts/ALE), Pascal Durand (Verts/ALE), Angel Dzhambazki (ECR), Bas Eickhout (Verts/ALE), Jill Evans (Verts/ALE), Tanja Fajon (S&D), Arne Gericke (ECR), Juan Carlos Girauta Vidal (ALDE), Ana Gomes (S&D), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Marian Harkin (ALDE), Hans-Olaf Henkel (ECR), Sophia in ‘t Veld (ALDE), Yannick Jadot (Verts/ALE), Eva Joly (Verts/ALE), Jude Kirton-Darling (S&D), Ulrike Lunacek (Verts/ALE), Ernest Maragall (Verts/ALE), David Martin (S&D), Stefano Maullu (PPE), Valentinas Mazuronis (ALDE), Louis Michel (ALDE), Matthijs van Miltenburg (ALDE), Javier Nart (ALDE), Morten Helveg Petersen (ALDE), Miroslav Poche (S&D), Laurenţiu Rebega (ENF), Michel Reimon (Verts/ALE), Frédérique Ries (ALDE), Michèle Rivasi (Verts/ALE), Bronis Ropė (Verts/ALE), Marielle de Sarnez (ALDE), Judith Sargentini (Verts/ALE), Molly Scott Cato (Verts/ALE), Alyn Smith (Verts/ALE), Csaba Sógor (PPE), Igor Šoltes (Verts/ALE), Renato Soru (S&D), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Bart Staes (Verts/ALE), Jean-Luc Schaffhauser (ENF), Hannu Takkula (ALDE), Keith Taylor (Verts/ALE), Michael Theurer (ALDE), Ivo Vajgl (ALDE), Bodil Valero (Verts/ALE), Julie Ward (S&D) e Cecilia Wikström (ALDE)

Oggetto: VP/HR – Relazioni tra l’UE e l’Arabia Saudita

L’Arabia Saudita è stata accusata di crimini di guerra durante le sue operazioni militari nello Yemen e rifiuta di avviare un’indagine in merito alla perdita di vite umane tra la popolazione civile del luogo. Inoltre, solo nell’anno in corso in Arabia Saudita sono state decapitate più di 150 persone e il paese continua a finanziare predicatori, moschee e madrase in tutto il mondo, compresa l’Europa, esportando così opinioni ultraconservatrici che costituiscono un terreno fertile per la radicalizzazione in Europa e altrove. In tale contesto, la costante vendita di armi all’Arabia Saudita viola i criteri 2, 4 e 6 della posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008. Gli Stati membri dell’UE continuano a ignorare il codice di condotta.

  1. Intende il vicepresidente/alto rappresentante avviare un’iniziativa volta all’istituzione di un embargo europeo sulle armi contro l’Arabia Saudita? In caso di risposta negativa, può indicarne i motivi?
  2. Considerato che i donatori dell’Arabia Saudita costituiscono un’importante fonte di finanziamento per i gruppi terroristici sunniti in tutto il mondo, come valuta il VP/HR l’attuazione delle risoluzioni 2161 e 2199 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da parte dell’Arabia Saudita al fine di garantire che i suoi cittadini o altri individui nel suo territorio non mettano a disposizione risorse a beneficio di ISIL, Al-Qaeda e gruppi affiliati?

IT
E-015299/2015
Risposta della Vicepresidente Mogherini
a nome della Commissione
(9.2.2016)

Conformemente al quadro giuridico dell’UE che disciplina le esportazioni di armi (posizione comune 2008/944/PESC), gli Stati membri devono valutare le domande di autorizzazione all’esportazione di armi in base agli otto criteri stabiliti nella posizione comune, fra cui rientrano anche il rischio di violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, l’incidenza sulla stabilità della regione e il comportamento del paese importatore per quanto riguarda il rispetto del diritto internazionale. Spetta agli Stati membri decidere, una volta eseguita questa valutazione del rischio, se concedere o negare l’autorizzazione di esportazione. Le autorizzazioni concesse possono inoltre essere subordinate a determinate condizioni riguardanti, ad esempio, l’uso finale e la riesportazione. Per quanto concerne le misure restrittive, come l’embargo sulle armi, l’attuale quadro giuridico dell’UE richiede una decisione del Consiglio che deve essere adottata all’unanimità.

Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) è designato come affiliato di Al-Qaeda in Iraq dal comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (CSNU) ed è oggetto di sanzioni a norma della risoluzione 1267 (1999) del CSNU e di tutte le risoluzioni successive. Le sanzioni imposte dal CSNU comprendono un’ampia gamma di misure volte a contrastare il finanziamento del terrorismo e a vietare di mettere fondi o risorse economiche a disposizione dell’ISIL. Le sanzioni disposte dal CSNU sono vincolanti per tutti gli Stati membri dell’ONU, che devono applicarle nella loro giurisdizione.

L’UE esorta tutti gli Stati ad applicare integralmente le risoluzioni del CSNU e a conformarsi alle raccomandazioni del Gruppo di azione finanziaria internazionale sul finanziamento del terrorismo. L’Arabia Saudita ha l’obbligo di applicare il regime di sanzioni imposto dall’ONU contro Al-Qaeda, le risoluzioni 2161, 2170, 2178, 2199, 2249 e 2253 del CSNU e tutte le altre risoluzioni pertinenti volte a combattere il terrorismo.

 

Tortura in Arabia Saudita: risposta dell’Alto Rappresentante

IT

E-003382/2015

Risposta dell’alta rappresentante/vicepresidente Federica Mogherini all’interrogazione con richiesta di risposta scritta E-003382-15 del 27 febbraio 2015

(30.10.2015)

L’Alta rappresentante/vicepresidente è a conoscenza del caso di Raif Badawi. Il SEAE segue da vicino, sia a Bruxelles che localmente tramite la delegazione dell’UE a Riyadh, questo caso e quelli di altri attivisti di spicco, tra cui Abu Al-Khair.

IL SEAE, in stretto coordinamento con gli Stati membri dell’UE, ha condotto varie iniziative di sensibilizzazione, a carattere ufficiale o non, presso le autorità saudite in merito al caso di Raif Badawi. Dal canto suo, il portavoce dell’Alta rappresentante ha rilasciato una dichiarazione nella quale viene ribadita la convinzione dell’UE che le punizioni corporali siano inaccettabili e contrarie alla dignità umana, invitando le autorità saudite a sospendere la condanna pronunciata nei confronti di Raif Badawi.

L’Arabia Saudita è un partner importante per l’UE e un attore politico, economico, culturale e religioso influente nel Medio Oriente e nel mondo islamico. L’UE continuerà a impegnarsi per convincere le autorità saudite a rafforzare il dialogo con l’Unione su questioni riguardanti i diritti umani. E continuerà anche a esprimere le proprie preoccupazioni ogniqualvolta necessario, in particolare per quanto concerne il rispetto della libertà di espressione e della libertà di religione o di credo e l’aumento del numero delle condanne a morte.

Come rilevato a più riprese dal Parlamento europeo, l’UE e l’Arabia Saudita devono rafforzare il dialogo, non ridurlo. L’UE non esiterà a difendere i diritti umani e le libertà fondamentali, ma la responsabilità dell’Arabia Saudita per la promozione del cambiamento è un aspetto altrettanto importante. Il processo di riforma giudiziaria in corso è l’opportunità, per il Regno dell’Arabia Saudita, di avanzare ancora su questa strada e, per l’UE, di impegnarsi in maniera costruttiva presso la nuova leadership saudita a favore di un maggiore rispetto dei diritti individuali. L’UE e i suoi Stati membri continueranno inoltre a partecipare attivamente al follow-up della revisione periodica universale dell’ONU concernente l’Arabia Saudita condotta nel 2015.


Si veda anche

Premio Sakharov a Raif Badawi

Tortura in Arabia Saudita

27 febbraio 2015

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-003382/2015
alla Commissione (Vicepresidente / Alto rappresentante)
Articolo 130 del regolamento

Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Lola Sánchez Caldentey (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Igor Šoltes (Verts/ALE), Molly Scott Cato (Verts/ALE), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Paloma López Bermejo (GUE/NGL), Ivo Vajgl (ALDE), Emmanouil Glezos (GUE/NGL), Miroslav Poche (S&D), Kostadinka Kuneva (GUE/NGL), Sofia Sakorafa (GUE/NGL), Tamás Meszerics (Verts/ALE), Ricardo Serrão Santos (S&D), Elly Schlein (S&D), Marisa Matias (GUE/NGL), Josep-Maria Terricabras (Verts/ALE), Curzio Maltese (GUE/NGL), Merja Kyllönen (GUE/NGL), Lara Comi (PPE), Angel Dzhambazki (ECR), Tanja Fajon (S&D), Barbara Lochbihler (Verts/ALE), Fernando Maura Barandiarán (ALDE), Alfred Sant (S&D), José Inácio Faria (ALDE), Jørn Dohrmann (ECR), Ulrike Lunacek (Verts/ALE), Ana Gomes (S&D), Pier Antonio Panzeri (S&D), Nessa Childers (S&D), Pavel Telička (ALDE), Petr Ježek (ALDE) e Marc Tarabella (S&D)

Oggetto:  VP/HR – Tortura in Arabia Saudita

Nel maggio 2014 la corte penale di Gedda ha condannato Raif Badawi alla pena corporale – ovvero alla tortura (1000 frustate) – in quanto colpevole di aver aperto un sito Internet in cui ha criticato il clero e dove avrebbe quindi offeso l’Islam.

Nel gennaio 2015 Raif Badawi ha ricevuto le prime 50 frustate in pubblico. Le ferite erano talmente profonde che, secondo il medico del carcere, Badawi non sarebbe stato in grado di sostenere un altro ciclo di frustate previsto dalla decisione della corte dopo una settimana.

Nel mese di gennaio, inoltre, ha avuto luogo la 10a decapitazione nella città santa della Mecca, quando una donna è stata trascinata per strada e decapitata in pubblico con una spada. Queste e altre “punizioni” simili sono ancora previste nel diritto saudita, sebbene il paese abbia ratificato la Convenzione dell’ONU contro la tortura.

Poiché l’UE dovrebbe contribuire, nelle sue relazioni con il resto del mondo, alla tutela dei diritti umani e alla rigorosa osservanza del diritto internazionale (articolo 3, paragrafo 5, del TUE), quali misure ha adottato il vicepresidente/alto rappresentante o quali misure prevede di adottare per esercitare pressioni sull’Arabia Saudita in merito all’umanizzazione del suo diritto penale?

Il caso di Raif Badawi: proposta di risoluzione comune sull’Arabia Saudita

Il Parlamento ha adottato lo scorso 12 febbraio 2015 la proposta di risoluzione comune sull’Arabia Saudita e, più precisamente, sul caso di Raif Badawi con 460 voti a favore, 153 contro e 29 astensioni.

Raif Badawi, blogger e attivista dei diritti umani, è stato accusato di apostasia e condannato dal tribunale penale di Jeddah, nel maggio 2014, a 10 anni di carcere, 1 000 frustate e a una sanzione pecuniaria di 1 milione di SAR (228 000 EUR) dopo aver creato il sito web “Free Saudi Liberals”, uno spazio di discussione sociale, politica e religiosa considerato un insulto all’Islam; che la condanna prevede altresì il divieto per Raif Badawi di utilizzare qualsiasi mezzo d’informazione e di viaggiare al di fuori del paese per 10 anni dopo la sua scarcerazione.

 Il 9 gennaio 2015 Raif Badawi ha ricevuto la prima serie di 50 frustate di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda e ha riportato ferite tanto profonde che, quando è stato trasportato alla clinica del carcere per essere sottoposto a un controllo medico, i dottori hanno constatato che non avrebbe potuto sopportare un’altra serie di frustate.

Ho dunque co-firmato questa risoluzione comune che condanna con fermezza la fustigazione di Raif Badawi e invita le autorità dell’Arabia Saudita a porre fine a ulteriori fustigazioni di Raif Badawi e a procedere al suo rilascio immediato e incondizionato. La risoluzione inoltre invita le autorità dell’Arabia Saudita a rilasciare senza condizioni l’avvocato di Raif Badawi, nonché tutti i difensori dei diritti umani e gli altri prigionieri di coscienza detenuti e condannati solo per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione e condanna fermamente ogni forma di punizione corporale, in quanto trattamento inaccettabile e degradante, lesivo della dignità umana;

Oltre a questa risoluzione, il 4 Febbraio ho co-firmato un’interrogazione scritta rivolta a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nella quale con 32 colleghi del GUE/NGL, Verdi, ALDE, S&D, prendendo esempio dal caso di Raif Badawi, le chiediamo quali misure preveda di adottare per esercitare pressioni sull’Arabia Saudita in merito all’umanizzazione del suo diritto penale. L’articolo 3 paragrafo 5 del Trattato sull’Unione Europea precisa infatti che “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.”

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo, –   viste le sue precedenti risoluzioni sull’Arabia Saudita, in particolare quelle concernenti i diritti umani e, segnatamente, la risoluzione dell’11 marzo 2014 sull’Arabia Saudita, le sue relazioni con l’UE e il suo ruolo in Medio Oriente e Nord Africa(1)–   vista la dichiarazione del portavoce del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, del 9 gennaio 2015,

–   vista la dichiarazione dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein, che fa appello alle autorità saudite affinché sospendano la punizione di Raif Badawi,

–   visti l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e l’articolo 19 del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966,

–   vista la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti,

–   vista la Carta araba dei diritti dell’uomo, ratificata dall’Arabia saudita nel 2009, il cui articolo 32, paragrafo 1, garantisce il diritto all’informazione e la libertà di opinione e di espressione, e il cui articolo 8 vieta la tortura fisica o psicologica e ogni trattamento crudele, degradante, umiliante o disumano,

–   visti gli orientamenti dell’Unione europea sulla tortura e altri maltrattamenti e gli orientamenti sui difensori dei diritti umani,

–   visti l’articolo 135, paragrafo 5, e l’articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A. considerando che Raif Badawi, blogger e attivista dei diritti umani, è stato accusato di apostasia e condannato dal tribunale penale di Jeddah, nel maggio 2014, a 10 anni di carcere, 1 000 frustate e a una sanzione pecuniaria di 1 milione di SAR (228 000 EUR) dopo aver creato il sito web “Free Saudi Liberals”, uno spazio di discussione sociale, politica e religiosa considerato un insulto all’Islam; che la condanna prevede altresì il divieto per Raif Badawi di utilizzare qualsiasi mezzo d’informazione e di viaggiare al di fuori del paese per 10 anni dopo la sua scarcerazione;

B. considerando che il 9 gennaio 2015 Raif Badawi ha ricevuto la prima serie di 50 frustate di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda e ha riportato ferite tanto profonde che, quando è stato trasportato alla clinica del carcere per essere sottoposto a un controllo medico, i dottori hanno constatato che non avrebbe potuto sopportare un’altra serie di frustate;

C. considerando che le sentenze giudiziarie che impongono punizioni corporali, inclusa la fustigazione, sono rigorosamente vietate dal diritto internazionale in materia di diritti umani, compresa la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, che l’Arabia Saudita ha ratificato;

D. considerando che il 6 luglio 2014 l’avvocato di Raif Badawi e attivista di primo piano nella difesa dei diritti umani, Waleed Abu al-Khair, è stato condannato dal tribunale penale specializzato a 15 anni di carcere, seguiti da un divieto di viaggio per altri 15 anni, dopo aver costituito l’organizzazione per i diritti umani “Monitor of Human Rights in Saudi Arabia”;

E. considerando che quello di Raif Badawi è uno dei numerosi casi in cui sono state applicate condanne severe ed esercitate vessazioni nei confronti degli attivisti dei diritti umani sauditi e di altri promotori delle riforme perseguiti per aver espresso le loro opinioni, molti dei quali sono stati condannati nell’ambito di procedimenti non conformi alle norme internazionali in materia di giusto processo, come confermato dall’ex Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani nel luglio 2014;

F. considerando che l’Arabia Saudita vanta una vivace comunità di attivisti online e il più alto numero di utenti di Twitter in Medio Oriente; che tuttavia Internet è sottoposto a una pesante censura e che migliaia di siti web sono bloccati e i nuovi blog e siti web necessitano di una licenza del ministero dell’Informazione; che l’Arabia Saudita figura nell’elenco dei “Nemici di Internet” di Reporter senza frontiere in ragione della censura dei media sauditi e di Internet e delle punizioni inflitte a chi critica il governo o la religione;

G. considerando che la libertà di espressione e la libertà di stampa e dei mezzi d’informazione, sia online che offline, sono requisiti indispensabili e catalizzatori cruciali della democratizzazione e delle riforme e costituiscono controlli essenziali del potere;

H. considerando che, nonostante l’introduzione di caute riforme durante il governo del defunto re Abdullah, il sistema politico e sociale saudita rimane profondamente antidemocratico, rende le donne e i musulmani sciiti cittadini di seconda classe, discrimina gravemente la nutrita forza lavoro straniera presente nel paese e reprime duramente ogni voce di dissenso;

I.   considerando che il numero e la frequenza delle esecuzioni sono motivo di grave preoccupazione; che nel 2014 sono state giustiziate oltre 87 persone, la maggior parte delle quali è stata decapitata pubblicamente; che dall’inizio del 2015 sono state giustiziate almeno 21 persone; che, stando alle notizie, tra il 2007 e il 2012 avrebbero avuto luogo 423 esecuzioni; che la pena di morte può essere imposta per un’ampia serie di reati;

J.   considerando che il Regno dell’Arabia Saudita è un attore politico, economico, culturale e religioso influente in Medio Oriente e nel mondo islamico nonché un fondatore e membro di primo piano del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) e del G20;

K. considerando che nel novembre 2013 l’Arabia Saudita è stata eletta membro del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani per un periodo di tre anni;

L. considerando che il cosiddetto Stato islamico e l’Arabia Saudita prevedono punizioni pressoché identiche per una moltitudine di reati, tra cui la pena di morte in caso di blasfemia, omicidio, atti omosessuali, furto o tradimento, la lapidazione a seguito di adulterio e l’amputazione di mani e piedi in caso di banditismo;

M. considerando che l’Arabia Saudita svolge un ruolo di primo piano nel finanziamento, nella diffusione e nella promozione a livello mondiale di un’interpretazione dell’Islam particolarmente estremista; che la visione alquanto settaria dell’Islam è stata fonte di ispirazione per organizzazioni terroristiche quali il cosiddetto Stato islamico e al-Qaeda;

N. considerando che le autorità saudite affermano di essere un partner degli Stati membri dell’Unione, in particolare nel quadro della lotta mondiale al terrorismo; che una nuova legge antiterrorismo, adottata nel gennaio 2014, contiene disposizioni che consentono di interpretare ogni espressione di dissenso o associazione indipendente come un reato di stampo terroristico;

1. condanna con fermezza la fustigazione di Raif Badawi quale atto crudele e scioccante per mano delle autorità saudite; invita le autorità dell’Arabia Saudita a porre fine a ulteriori fustigazioni di Raif Badawi e a procedere al suo rilascio immediato e incondizionato, dal momento che è considerato un prigioniero di coscienza, detenuto e condannato unicamente per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione; invita le autorità saudite a provvedere all’annullamento del suo verdetto di colpevolezza e della sua condanna, ivi compreso il divieto di viaggio;

2. sollecita le autorità saudite a garantire che Raif Badawi sia tutelato dalla tortura e da altre forme di maltrattamento, riceva tutte le cure mediche eventualmente necessarie e abbia contatti immediati e regolari con la sua famiglia e gli avvocati di sua scelta;

3. invita le autorità dell’Arabia Saudita a rilasciare senza condizioni l’avvocato di Raif Badawi, nonché tutti i difensori dei diritti umani e gli altri prigionieri di coscienza detenuti e condannati solo per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione;

4. condanna fermamente ogni forma di punizione corporale, in quanto trattamento inaccettabile e degradante, lesivo della dignità umana; esprime preoccupazione circa il ricorso alla fustigazione da parte degli Stati e ne chiede con forza l’assoluta abolizione; invita le autorità saudite a rispettare la proibizione della tortura in quanto sancita nello specifico dalla convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata e ratificata dall’Arabia Saudita; invita l’Arabia Saudita a firmare il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici;

5. pone l’accento sul processo di riforma del sistema giudiziario avviato dall’Arabia Saudita al fine di rafforzare la possibilità di una migliore tutela dei diritti individuali, ma resta seriamente preoccupato per la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, che continua ad essere considerato uno dei paesi più repressivi al mondo; ritiene che il caso di Raif Badawi sia un simbolo dell’attacco alla libertà di espressione e di dissenso pacifico nel paese e, più in generale, delle politiche distintive del Regno dell’Arabia Saudita improntate all’intolleranza e all’interpretazione estremista della legge islamica;

6. esorta le autorità saudite ad abolire il tribulane penale specializzato istituito nel 2008 con l’obiettivo di giudicare i casi di terrorismo, ma sempre più spesso usato per perseguire i dissidenti pacifici con accuse, a quanto pare, di matrice politica nell’ambito di procedimenti che violano il diritto fondamentale a un giusto processo;

7. invita le autorità saudite a consentire l’indipendenza della stampa e dei media e a garantire la libertà di espressione, associazione e riunione pacifica per tutti i cittadini del paese; condanna la repressione degli attivisti e dei dimostranti che manifestano pacificamente; sottolinea che la difesa pacifica dei diritti giuridici fondamentali o la formulazione di osservazioni critiche tramite i social media sono espressioni di un diritto indispensabile;

8. rammenta alla leadership saudita l’impegno di “mantenere i più elevati standard di promozione e tutela dei diritti umani”, assunto nel 2013 in occasione della presentazione della domanda di adesione al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha avuto esito positivo;

9. ritiene che l’Arabia Saudita sarebbe un partner più credibile ed efficace nella lotta contro le organizzazioni terroristiche, come il cosiddetto Stato islamico e al Qaeda, se non applicasse pratiche anacronistiche ed estremiste quali decapitazioni pubbliche, lapidazioni e altre forme di tortura analoghe a quelle commesse dall’IS;

10. invita il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione a sostenere, in modo attivo e creativo, i gruppi della società civile e le persone che difendono i diritti umani in Arabia Saudita, anche organizzando visite nelle carceri, monitorando i processi e rilasciando dichiarazioni pubbliche;

11. incarica la sua delegazione per le relazioni con la penisola arabica di sollevare il caso di Raif Badawi e degli altri prigionieri di coscienza durante la sua prossima visita in Arabia Saudita e di riferire successivamente alla sottocommissione per i diritti dell’uomo;

12. invita l’UE e i suoi Stati membri a riconsiderare il loro rapporto con l’Arabia Saudita in modo tale da garantire il perseguimento dei propri interessi economici, energetici e di sicurezza, senza tuttavia compromettere la credibilità dei suoi principali impegni in materia di diritti umani;

13. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Servizio europeo per l’azione esterna, al Segretario generale delle Nazioni Unite, all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, a Sua Maestà il Re Salman bin Abdulaziz, al governo del Regno dell’Arabia Saudita, nonché al segretario generale del Centro per il dialogo nazionale del Regno dell’Arabia Saudita.