Lampedusa in Winter

lampedusa-in-winter

Bruxelles, 18 aprile 2016

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha preso la parola durante il dibattito che ha preceduto la visione del film “Lampedusa in Winter”.

Presenti in sala i deputati Angelika Mlinar, Tanja Fajon, Roberta Metsola, Cecilia Wikström, Ulrike Lunacek e Laura Ferrara. Tra gli ospiti, la giornalista Martyna Czarnowska («Wiener Zeitung») che ha mediato il dibattito, Marina Chrystoph (direttrice del forum culturale austriaco), Jakob Brossmann (regista del film) e Paola la Rosa (una delle protagoniste).

Prima di addentrarmi nelle esperienze italiane e fare alcune considerazioni in merito alle recenti proposte avanzate dal governo Renzi, vorrei ribadire che non sono fiera di questa Europa. Stiamo assistendo a un susseguirsi di naufragi e alla morte di centinaia di persone, tacitamente approvati da istituzioni comunitarie che nulla fanno per evitare simili disastri umanitari.

Non sono fiera di un’Europa che predica valori solo in senso astratto, e tanto più li invoca tanto meno li rispetta. Che preferisce ricorrere a questo termine vago – i valori sono interpretabili da ogni governo come meglio gli conviene – piuttosto che a concetti impegnativi come diritti, obblighi, leggi internazionali. Questo per meglio concentrare tutte le energie sulle politiche di rimpatri, e giustificare la svolta  avvenuta in materia in occasione dell’accordo siglato con il governo turco. Un accordo che diverse organizzazioni, tra cui UNHCR, Amnesty International, Human Rights Watch, hanno definito non rispettoso del diritto internazionale e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. A simile accordo l’Europa si aggrappa per esternalizzare la politica di asilo ed evitare di avere grane politiche in casa propria.

È perciò fondamentale utilizzare il giusto linguaggio, come ha fatto notare in questa conferenza la collega Cecilia Wikström (ALDE). Si parla di crisi di migranti, ma in realtà siamo di fronte a una crisi di rifugiati. Una crisi che in realtà non rappresenta un vero dramma per l’Europa, ma che chiaramente mette in risalto la paralisi delle istituzioni europee e dei suoi Stati Membri. La paralisi è tanto più grave se fa attenzione alle cifre, generalmente occultate nel dibattito pubblico: nel mondo ci sono oggi 60 milioni di rifugiati; un milione è arrivato in Europa nel 2015, il che equivale allo 0,2 per cento della popolazione UE. Sono numeri che dimostrano  come non ci si trovi alle prese con una calamità (in paesi come il Libano e la Giordania la percentuale oscilla fra il 15 e il 20 per cento): la calamità è percepita come tale a causa dell’incapacità dell’Unione e degli Stati membri di fronteggiarla.

Vorrei a questo punto parlare dell’Italia, iniziando dalla proposta avanzata in questi giorni dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, sotto forma di un non-paper soprannominato “Migration Compact”, e inviato alla Commissione e al Consiglio europeo. Quello che mi ha più impressionato nel documento è l’indifferenza nei confronti delle obiezioni che sono state mosse non solo da numerose organizzazioni (UNHCR, Amnesty International, Human Rights Watch), ma anche da esperti e professori di diritto (State Watch). Più precisamente, sono del tutto ignorati i sospetti di illegalità che gravano sull’accordo con Ankara, e sulle reali condizioni dei fuggitivi rimpatriati in Turchia. Sappiamo che una deriva autoritaria è in corso da tempo in quel Paese. Che il regime Erdogan sta reprimendo le popolazioni curde in una parte del proprio paese e che negli ultimi mesi ha forzatamente rimpatriato migliaia di rifugiati siriani nelle stesse zone di guerra dalle quali erano fuggiti. Proprio oggi il Presidente del gruppo politico ALDE ha chiesto d’altronde la sospensione dell’ accordo.

Di tutto questo non c’è traccia nella proposta italiana. Manca qualsiasi accenno ai diritti della persona, e soprattutto al principio del non-refoulement. Non so ancora come il piano sarà accolto dalla Commissione e dal Consiglio, ma purtroppo sembra essere abbastanza in sintonia con l’orientamento attuale della politica comunitaria in materia di asilo, immigrazione e rimpatri.

A questo proposito, vorrei richiamare due dichiarazioni del Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che mi hanno particolarmente colpito. La prima è stata pronunciata durante un congresso del Partito popolare europeo a Madrid, i 22 ottobre 2015. Tusk ha dichiarato: “… l’ingresso troppo facile nell’Unione Europea è un potente pull factor per l’immigrazione … “. Tecnicamente non è sbagliato, se non fosse che il Presidente ha dimenticato di precisare che il principale pull factor è rappresentato dalle guerre da cui fuggono i rifugiati. E che le frontiere europee non erano nello scorso ottobre così aperte come pretendeva. La seconda dichiarazione risale al 3 marzo scorso ed è un appello pubblico a migranti e rifugiati: “… non venite in Europa, perché non serve a niente. It is all for nothing.” Di fronte a simili frasi difficile evitare la vergogna.

Al contempo, credo sia necessario mettere in rilievo le azioni positive nei Paesi dell’Unione: sono parte di una contro-narrativa che vale la pena opporre a chi fa politica attizzando paure e chiusure. Mi riferisco alle reazioni solidali dei cittadini, delle associazioni, delle famiglie, per quanto riguarda l’accoglienza dei migranti: anche queste azioni devono poter essere citate, quando si parla di best practices nell’Unione.

Vorrei, nello specifico, soffermarmi su un’iniziativa nata a Lampedusa e promossa dall’associazione Mediterranean Hope, il cui rappresentate principale è Francesco Piobbichi che ho avuto il piacere di invitare l’anno scorso qui al Parlamento Europeo. Oggi in questa sala c’è una simpatizzante dell’associazione, Paola La Rosa. Si tratta dell’esperimento di un corridoio umanitario pilota realizzato dalle Chiese Evangeliche della Tavola Valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio. Il 15 dicembre 2015 è stato firmato un accordo con i ministri italiani degli Esteri e dell’Interno, ma l’iniziativa si è sviluppata grazie a un lungo lavoro diplomatico con le autorità interessate in Libano, Marocco ed Etiopia. La base giuridica è rappresentata dall’art. 24 del Regolamento (CE) n. 810/2009 del 13 luglio 2009, che istituisce il Codice comunitario dei visti: vale a dire la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, “per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”. Grazie al corridoio umanitario sono stati accolti un centinaio di profughi provenienti dai campi profughi in Libano. Vorrei riportarvi un’interessante osservazione fatta da Francesco Piobbichi. Se i tre miliardi che l’Unione europea ha erogato in virtù dell’accordo con la Turchia fossero stati elargiti all’associazione, questa avrebbero potuto garantire la creazione di un corridoio umanitario tale da dare accoglienza ad un milione di rifugiati. È stato calcolato, infatti, che 2 milioni di euro consentono il salvataggio di mille persone.

Infine, vorrei concludere con una riflessione sul rapporto tra Schengen e politiche di asilo. Sono molto riluttante a legare insieme le due questioni. Tuttavia, vorrei sottolineare che le politiche di asilo non devono avere lo scopo di salvare Schengen, ma piuttosto essere orientate al rispetto dei diritti e degli obblighi imposti dai trattati, dalla Convezione di Ginevra, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. I diritti fondamentali e gli strumenti a protezione di essi devono rappresentare il faro delle politiche in materia di asilo e migrazione. La risoluzione sul Mediterraneo, votata la scorsa settimana in plenaria, contiene a questo proposito elementi positivi, ma anche lacune e incertezze sul tema dei rimpatri e, soprattutto, non prende le distanze dall’accordo con la Turchia. Per questo insisto sulla necessità di sospendere l’accordo. Ne va della nostra credibilità. Ritengo sia opportuno agire subito e di nostra iniziativa, e non quando sarà la Corte di giustizia dell’Unione a imporci, forse, la sospensione.

Interrogazione sull’hotspot di Lampedusa

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli presenta un’interrogazione sull’hotspot di Lampedusa con 22 eurodeputati di diversi gruppi politici 

Bruxelles, 9 dicembre 2015

L’eurodeputata Barbara Spinelli (Gue-Ngl) ha presentato un’interrogazione alla Commissione contestando le pratiche che le autorità Italiane stanno svolgendo nell’hotspot di Lampedusa, centro ufficialmente gestito dall’Unione Europea.

“Da settembre le autorità Italiane hanno adottato nuove pratiche illegali in violazione dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo presso l’hotspot di Lampedusa”, ha dichiarato. “Arrivati nell’hotspot, i migranti sono frettolosamente intervistati e ricevono un formulario incompleto senza informazioni sul diritto all’asilo. Pertanto, molti migranti ricevono provvedimenti di respingimento senza avere avuto l’opportunità di chiedere asilo ai sensi delle direttive 2011/95/UE detta ‘Direttiva Qualifiche’ e 2013/32/UE detta ‘Direttiva Procedure’. Una volta ricevuti i provvedimenti di respingimento, i migranti sono cacciati dai centri con un documento che li obbliga a lasciare il paese entro sette giorni dall’aeroporto di Roma-Fiumicino”.

“La direttiva 2013/32/UE stabilisce, qualora migranti detenuti in centri di trattenimento desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, che tutte le informazioni sulla possibilità di farlo sia loro garantita (Articolo 8). Peraltro”, ha continuato l’eurodeputata “il §27 della stessa direttiva stabilisce che i cittadini di paesi terzi e gli apolidi che hanno espresso l’intenzione di chiedere protezione internazionale siano considerati richiedenti protezione internazionale: in quanto tali, devono poter godere dei diritti di cui alle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE”.

L’interrogazione si conclude considerando che tali pratiche dimostrano gravi mancanze riguardo la tutela dei diritti umani dei migranti e richiedenti asilo. In particolare, non avendo tenuto conto delle circostanze specifiche di ciascun caso nel rilascio di provvedimenti di respingimento, contravvengono all’articolo 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e alla giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’eurodeputata, insieme a 22 colleghi di diversi gruppi politici (Socialisti, Liberali, Verdi, Sinistra unitaria europea) chiede alla Commissione di indagare sulla compatibilità di tali pratiche di gestione degli hotspot con il diritto dell’Unione Europea.

Firmatari:

Barbara Spinelli, Philippe Lamberts, Michèle Rivasi, Yannick Jadot, Pascal Durand, Eva Joly, José Bové, Karima Delli, Igor Soltes, Eleonora Forenza, Merja Kyllönen, Dimitrios Papadimoulis, Malin Björk, Josu Juaristi Abaunz, Takis Hadjigeorgiou, Julie Ward, Liisa Jaakonsaari, José Inácio Faria, Nedzhmi Ali, Neoklis Sylikiotis, Sofia Sakorafa, Kostadinka Kuneva, Patrick Le Hyaric

Testo dell’interrogazione (file .pdf)


Si veda anche:

Barbara Spinelli presenta un’interrogazione sull’hot spot di Lampedusa con 22 eurodeputati di diversi gruppi politici

L’Ue accusa l’Italia: “Non prende le impronte ai migranti”

Interrogazione sull’hotspot di Lampedusa

 

Uso illegale della forza nei centri di accoglienza di Pozzallo e Lampedusa

Bruxelles, 2 settembre 2015

Il commissario europeo per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha risposto a nome della Commissione all’interrogazione depositata il 13 maggio 2015 dall’eurodeputata Barbara Spinelli, congiuntamente ai colleghi Elly Schlein, Laura Ferrara, Ignazio Corrao, Eleonora Forenza e Curzio Maltese. Nell’interrogazione si chiedevano chiarimenti sulle violenze subite da numerosi richiedenti asilo nei centri di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa e Pozzallo. Fonti diverse e concordanti avevano infatti documentato l’uso illegittimo della forza per costringere i migranti, anche minori, all’identificazione attraverso il prelievo delle impronte digitali. Un comportamento in palese violazione delle salvaguardie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Vari cittadini stranieri, anche minori, dichiararono di aver subito percosse con manganelli elettrici.

La risposta della Commissione è allarmante. Pur preannunciando l’intenzione di intraprendere le azioni necessarie per indagare su tutti i casi in cui vi siano elementi che indichino l’adozione di misure illegali da parte delle autorità nazionali, la Commissione mantiene la più grande ambiguità sull’uso della violenza, anche sui minori. In effetti, nella risposta, la Commissione evidenzia che “eventuali misure coercitive adottate dagli Stati membri devono essere proporzionate, giustificate e rispettose della dignità e dell’integrità fisica della persona interessata” e che “ai bambini di età inferiore ai 14 anni non devono essere rilevate le impronte digitali”: destando con ciò il sospetto che l’uso di misure coercitive sia da considerarsi legittimo, se applicato a minori dai 14 ai 18 anni.

La Commissione fa riferimento ai propri orientamenti, pubblicati nel maggio 2015, in materia di rilevamento delle impronte digitali ai migranti irregolari e ai richiedenti protezione internazionale. In tali orientamenti, la Commissione propone – al paragrafo 7 – che “gli Stati membri possano considerare che non sia mai opportuno utilizzare la coercizione per costringere la rilevazione delle impronte digitali di alcune persone vulnerabili, come minori o donne in stato di gravidanza. Se un certo grado di coercizione viene utilizzato per persone vulnerabili, occorre garantire che la procedura utilizzata sia specificamente adattata a tali persone.


Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-007777/2015

alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL), Eleonora Forenza (GUE/NGL), Curzio Maltese (GUE/NGL), Elly Schlein (S&D), Laura Ferrara (EFDD) e Ignazio Corrao (EFDD)

Oggetto: Uso illegale della forza nei centri di accoglienza di Pozzallo e Lampedusa, Italia, per l’acquisizione delle impronte digitali dei migranti, comprese quelle dei minori, a fini di identificazione

Dal 28 aprile 2015 70 minori non accompagnati sono stati rinchiusi per oltre due settimane in un Centro di primo soccorso e accoglienza (CPSA ) sull’isola italiana di Lampedusa. Dal 25 aprile 2015 113 siriani e palestinesi sono stati detenuti per una settimana in un CPSA a Pozzallo, Sicilia. Varie fonti e documenti attestano l’uso illegale della forza al CPSA di Pozzallo per il rilevamento delle impronte digitali dei migranti – comprese quelle dei minori – a fini di identificazione, in violazione delle norme di salvaguardia sancite dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Inoltre, i cittadini stranieri detenuti al CPSA di Pozzallo, compresi i minori, hanno dichiarato di essere stati colpiti con dispositivi tipo Taser.

Intende la Commissione far luce su questi recenti avvenimenti e valutare se ciò che accade a Lampedusa e al CPSA di Pozzallo costituisca una violazione dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, degli articoli 3 e 5, paragrafo 4, della CEDU, degli articoli 14, lettera b), 17 e 19 della direttiva sull’accoglienza (2003/9/CE) e dell’articolo 8 del regolamento (CE) n. 2725/2000 (regolamento” Eurodac”)?

Intende altresì la Commissione chiarire quali misure pensa di adottare per impedire la detenzione di bambini migranti, vietata dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo?


IT

E-007777/2015

Risposta di Dimitris Avramopoulos

a nome della Commissione

(1.9.2015)

La Commissione non è a conoscenza dei presunti fatti citati dall’onorevole parlamentare, né di alcun elemento di prova di questo tipo. La Commissione intraprenderà le azioni necessarie per indagare su tutti i casi in cui vi siano elementi che indichino l’adozione di misure illegali da parte delle autorità nazionali.

Nell’ambito del pacchetto di misure introdotte nell’agenda europea sulla migrazione nel maggio 2015, la Commissione ha proposto degli orientamenti per gli Stati membri in materia di rilevamento delle impronte digitali ai migranti irregolari e ai richiedenti protezione internazionale [1]. Tali orientamenti prevedono un approccio comune basato sulle migliori prassi in materia di rilevamento delle impronte digitali, conformemente al regolamento Eurodac e al diritto dell’UE. Le eventuali misure coercitive adottate dagli Stati membri devono essere proporzionate, giustificate e rispettose della dignità e dell’integrità fisica della persona interessata. Inoltre, ai bambini di età inferiore ai 14 anni non devono essere rilevate le impronte digitali.

La Commissione sostiene pienamente i diritti dei bambini, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, compreso il diritto alla libertà. Il diritto dell’UE pone dei limiti precisi alla detenzione amministrativa per i bambini, che dovrebbe essere utilizzata solo in ultima istanza, ove si ritenga impossibile applicare in maniera efficace misure meno coercitive. Ciò è stabilito all’articolo 11 della direttiva 2013/33/UE sulle condizioni di accoglienza, che si applica a decorrere dal 20 luglio 2015.

[1]     SWD(2015)150 final.

A Lampedusa, 4-5 ottobre 2014

Il cimitero delle barche di Lampedusa

Lampedusa, il cimitero delle barche

Barbara Spinelli, presente con una delegazione di europarlamentari del gruppo Gue-Ngl al Festival Sabir di Lampedusa, che si è tenuto dall’1 al 5 ottobre, il 4 ottobre è intervenuta al Forum Migranti nella sessione tematica Frontiere e prima accoglienza, coordinata da Arci, Migreurop, REMDH.

Davanti all’ecatombe di esseri umani nel Mediterraneo, ha detto Spinelli, non ci si può contentare di vuote frasi di solidarietà, occorre invece agire con iniziative concrete, come l’immediata istituzione di corridoi umanitari e una politica di visti, ma anche pretendendo il rispetto delle leggi e degli accordi già esistenti tra i Paesi membri dell’Unione.

Non è accettabile, ha affermato l’europarlamentare, la sostituzione di Mare Nostrum –iniziativa presa dal governo italiano proprio in conseguenza dell’immane naufragio dello scorso anno a Lampedusa – con l’operazione Frontex Plus, ora rinominata Triton. Ci hanno parlato di un’operazione ambigua, ha spiegato Spinelli, la cui evidente funzione di respingimento viene sovrapposta, con grandi retoriche autocelebrative, alla missione umanitaria finora svolta da Mare Nostrum. La verità è che Triton farà controlli e pattugliamenti, più che ricerche e salvataggi, e non si avventurerà in acque internazionali. Triton ha l’evidente scopo di chiudere i muri della Fortezza Europa.

Vittime della guerra, ha detto Spinelli, non sono solo gli esseri umani, ma la verità e la legalità. Nel caso della guerra contro i migranti, vittime sono una serie di articoli della nostra Carta dei diritti fondamentali, a cominciare dall’articolo 2 (diritto alla vita) e dall’articolo 19 (divieto di respingimento). Così come è violato il Trattato di Lisbona (articolo 80), che prescrive la solidarietà anche finanziaria tra Stati membri “ogni qualvolta sia necessario”.

Spinelli ha concluso con un invito a ricordare la storia europea: il problema è politico, ha affermato, perché abbiamo un diritto europeo al quale non corrisponde una politica europea. Avere una politica verso il Sud del Mediterraneo significa costruire uno spazio inclusivo di pace, solidarietà, cooperazione: un New Deal mediterraneo, che comporti una politica di aiuti nei confronti di quei paesi che, molto più dell’Europa, si fanno carico di masse di rifugiati in fuga dai paesi in guerra, primo tra tutti la Siria.

Nel corso della missione a Lampedusa, Barbara Spinelli ha preso parte, il 5 ottobre, alla partenza simbolica della Carovana antimafia “contro la tratta dei nuovi schiavi”, avvenuta dal molo Favaloro del porto, punto di approdo nell’isola per migliaia di migranti.

Sempre il 5, la deputata del Gue ha visitato la sede di Mediterranean Hope – Osservatorio sulle Migrazioni di Lampedusa, un progetto della FCEI finanziato dall’Unione delle chiese metodiste e valdesi, dove ha incontrato Francesco Piobbichi, operatore sociale incaricato della costruzione di un “osservatorio” delle migrazioni a Lampedusa. Nella sede di Hope, Spinelli ha preso visione dei disegni, prossimamente esposti in una mostra, con i quali Piobbichi dà forma e memoria ai racconti dei testimoni: storie di naufragi, salvataggi, incontri tra isolani e migranti.