Relazione sulla Carta dei diritti fondamentali: due presentazioni in Commissione affari costituzionali

Bruxelles, 6 dicembre 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo. 

Punto in agenda:

Attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel quadro istituzionale dell’UE

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio tutti i relatori ombra per l’attenzione con cui hanno esaminato la mia proposta di relazione, e per i contributi che hanno fornito. Sono convinta che su alcuni punti sarà possibile avviare una proficua cooperazione, giungendo a compromessi ampiamente condivisi. Penso, ad esempio, a questioni quali: il ruolo che potrebbe svolgere l’Agenzia per i Diritti Fondamentali (FRA), l’adesione dell’UE alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, la necessaria osservanza dei diritti fondamentali nell’ambito dell’azione esterna dell’Unione.

Tuttavia, alcune mie proposte non sembrano trovare il consenso di una parte – talvolta circoscritta, talvolta più trasversale – dei gruppi politici.

Nell’ottica di procedere alla prossima fase del lavoro, ossia la concreta definizione dei compromessi, vorrei prima sottoporre alla vostra attenzione, oggi, un ragionamento sull’ambizione di fondo che mi ha spinto a redigere precisamente questa relazione, nella fase storica dell’Unione che stiamo vivendo.

Questi non sono tempi facili né armoniosi nella vita dell’Unione. Sono caratterizzati da profonda discordia, da una sfiducia diffusa nelle istituzioni comunitarie. Questo è ormai l’inverno del nostro scontento, e non vorrei che di fronte a una crisi così vasta, di fiducia e di speranza, noi deputati qui a Bruxelles ci trasformassimo in meri difensori dell’ordine vecchio, incapaci di pensare un ordine nuovo. Che ci arroccassimo ancora di più, proprio quando – e proprio perché – ci viene richiesto maggiore ascolto dello scontento diffuso, e dunque maggiore inventiva nell’escogitare risposte adeguate.

Una gran parte di voi si prepara a una delicata campagna elettorale per l’elezione del nuovo Parlamento, e penso che rilanciare la Carta e darle più ampio respiro e anche più ampie aspirazioni sia una prima risposta alla sfiducia, alla domanda di diritti, spesso alla collera o al risentimento. Non è più il momento di difendere a spada tratta un ordine politico che si sta sgretolando sotto i nostri occhi, di redigere rapporti che si limitano a elogiare le politiche e le istituzioni europee: di limitarsi, in altre parole, a fotografare l’esistente e a rifiutare politiche e codici veramente nuovi di condotta costituzionale.

L’ordine vecchio cui mi riferisco si è manifestato nei modi più evidenti in questa legislatura: in primis il disastro della Grecia (ricordo che è stato proprio Jean-Claude Junker a parlare il 2 giugno scorso di disastro e della dignità di un popolo calpestata, per incuranza o disattenzione o indifferenza. Penso che l’indifferenza sia uno dei peccati maggiori del politico, assieme al peccato di omissione). Dopo la Grecia abbiamo avuto il Brexit, con connotazioni sociali non irrilevanti, poi lo scontro tra politiche espansive e politiche di austerità nei negoziati sulla legge di bilancio in Italia, e ancora, più di recente, i Gilet Jaunes in Francia.

È proprio a fronte di questo contesto che non vorrei rinunciare ad alcune questioni centrali sollevate nella relazione. Non vorrei che dimostrassimo tutti assieme di non saper vedere, non saper capire, non saper fronteggiare con coraggio e inventiva le lacerazioni sociali che sono all’origine di tanti fallimenti dell’Unione.

Allo scontento degli elettori – dei vostri, nostri elettori – non si può rispondere con lo scontento egualmente risentito – comunque asserragliato – di una classe politica, di élites e di istituzioni che dimostreranno solo la loro infinita debolezza, se non sapranno fare autocritiche e reinventarsi. Reinventarsi in modo particolare attorno ai diritti, in primis sociali. Colpevolizzare lo scontento, cercar rifugio in un nemico esistenziale cui si dà il nome sbrigativo di populismo, vuol dire rispondere allo scontento con lo scontento, e perpetuare l’inverno in cui continueremo a vivacchiare, senza convincere i cittadini e spingendoci sino a mostrare fastidio per il suffragio universale.

Ho voluto questa relazione della Carta perché in mancanza di una vera Costituzione – le vere costituzioni non sono Trattati, quella americana comincia con le parole “Noi, il popolo” ed è fatta di un nucleo evolutivo cui si aggiungono nel corso della storia emendamenti – è la Carta dei diritti fondamentali la nostra Costituzione più vera. E l’emendamento più importante è il formale riconoscimento che l’applicazione non passiva ma proattiva della Carta e dei diritti in essa sanciti non rappresenta in alcun modo un’estensione delle competenze dell’Unione ma dovrebbe costituire la sua essenza.

Concludo, per farmi meglio capire, con le parole di Machiavelli: “Il saggio agirà come gli arcieri più accorti, i quali, giudicando il luogo da colpire troppo lontano e conoscendo i limiti dell’arco, mirano molto più in alto del bersaglio: non per raggiungere con la loro freccia tanta altezza, ma per potere, con l’aiuto di così alta mira, centrare il bersaglio”.

***

Bruxelles, 21 novembre 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo.  

Punto in agenda:

Attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel quadro istituzionale dell’UE

  • Esame del progetto di relazione
  • Fissazione del termine per la presentazione di emendamenti

 Come prima cosa ringrazio i relatori ombra e per parere, oltre agli esperti esterni con cui abbiamo condiviso la fase di indagine.

Come sapete, ritengo che la Carta, pur essendo ormai un obbligo giuridico, sia solo parzialmente rispettata e che abbia potenzialità tutt’ora inesplorate.

Soprattutto nel primo documento di lavoro ho evidenziato i progressi compiuti dall’adozione del Trattato di Lisbona, riconoscendo alcuni innegabili meriti delle istituzioni europee, in primis Commissione e Parlamento. Permangono tuttavia, a mio avviso, parecchie zone d’ombra: su queste ho incentrato il nucleo della relazione. Solo per portarvi un banalissimo esempio: è paradossale che ancora oggi, in molti testi legislativi di estrema rilevanza, l’integrazione anche di una semplice menzione della Carta debba essere frutto di emendamenti e spesso infruttuosi negoziati, e che la sua inclusione non rappresenti un elemento necessario e scontato fin dall’inizio dell’iter legislativo.

Per limitazioni di carattere formale il testo non ha pretese di esaustività. Il mio tentativo è stato quello di concentrarmi su aree che presentano particolari criticità: aree di cui la Carta costituisce un elemento fondante o comunque uno specifico valore aggiunto. Ho suddiviso la relazione in cinque macro-tematiche che descriverò brevemente.

1) Il processo legislativo e decisionale dell’Unione, visto che le sue istituzioni rappresentano il destinatario delle disposizioni della Carta ai sensi dell’articolo 51 della stessa. Ciò che è emerso dalla fase di indagine è la predominanza di un atteggiamento passivo verso la Carta, fondato su un’analisi di compatibilità con la stessa piuttosto che sulla sua piena realizzazione e promozione – come richiesto dal diritto internazionale. Per questo motivo ho proposto la creazione di meccanismi ulteriori che allineino il diritto europeo agli sviluppi del diritto internazionale e l’inclusione, negli impact assessment della Commissione, della componente specifica “diritti umani”.

Inoltre, propongo che l’iter decisionale sia accompagnato da un coinvolgimento strutturato di expertise esterna e indipendente nell’ambito dei diritti fondamentali, che possa fornire input regolari per lo sviluppo legislativo e sia complementare alle procedure, tutte interne, delle istituzioni.

2) Le politiche dell’Unione, con un focus specifico sull’azione esterna e la governance economica.

Si tratta di aeree che possono avere effetti di vasta portata e coinvolgere molteplici diritti umani, con ripercussioni interne ed esterne all’Unione. Nell’ambito degli accordi commerciali con i paesi terzi ho richiesto, in linea con le raccomandazioni già emanate da altre istituzioni, la predisposizione di garanzie ulteriori quale l’esecuzione di analisi di impatto specifiche sui diritti umani prima della conclusione degli accordi.

La governance economica richiede una menzione particolare a causa delle sue peculiari connotazioni, ossia: la quasi totale assenza di richiami alla Carta negli specifici strumenti legislativi europei; la sovrapposizione di strumenti intergovernativi di regolamentazione agli strumenti propri del diritto dell’Unione; la centralità, nel processo decisionale, di organismi informali – quali l’Eurogruppo – non soggetti ad alcun controllo giurisdizionale. Se esaminati nel loro complesso, questi fattori hanno permesso di aggirare le prescrizioni della Carta, producendo conseguenze negative ancora tangibili. Ricordo in proposito che solo poche settimane fa il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, nel rapporto sulla propria missione in Grecia, ha messo in luce gli effetti devastanti che le misure di austerità hanno avuto e hanno ancora sui diritti sociali, in particolare sul diritto alla salute e all’educazione. La relazione si propone di riportare la politica economica dell’UE dentro gli argini della Carta.

3) Le agenzie dell’Unione. Come evidenziato nel testo, esse sono non solo pienamente vincolate dalle disposizioni della Carta ma hanno anche la potenzialità di fungere da anello di raccordo tra Unione e Stati Membri, potendo sostenere questi ultimi nell’adempiere ai propri obblighi legati alla Carta. Varie procedure sono già state sviluppate da talune agenzie (non tutte) in vista di tale adempimento. La relazione suggerisce di uniformare le attuali best practice, indicando strumenti aggiuntivi per facilitare una “prassi comune dei diritti umani” in tutte le agenzie.

4) La dimensione nazionale della Carta. Nonostante vi siano limitazioni rispetto agli Stati Membri per ciò che concerne l’applicazione della Carta, il suo sistema di tutela li vincola tutti e non può dunque fare a meno della dimensione nazionale.

In questa parte, la relazione cerca di rispondere alle lacune messe in evidenza dalla fase di indagine per ciò che concerne la conoscenza e l’utilizzo della Carta a livello nazionale, proponendo misure concrete di sostegno da parte delle istituzioni al fine di assistere gli Stati membri nell’effettiva implementazione.

5) Infine, la portata e l’ambito di applicazione della Carta. L’attività di indagine ha messo in luce le difficoltà di comprendere appieno l’operatività dell’articolo 51 della Carta sia per ciò che concerne l’astratta dicotomia diritti da rispettare/principi da osservare – dicotomia non presente in altri analoghi strumenti di diritto internazionali – sia per quel che riguarda l’ambito di applicazione della Carta nei confronti degli Stati Membri[1]. Difficoltà che si ripercuotono tanto sulla capacità di tutelare e promuovere in maniera uniforme i diritti sanciti nella Carta, quanto sul suo concreto utilizzo da parte degli operatori di diritto a livello nazionale.

Sono i motivi per cui nella relazione chiedo esplicitamente uno sforzo comune affinché si promuova un’interpretazione della Carta che ne garantisca al massimo l’unitarietà, e si esprima l’auspicio che si possa giungere in tempi non lontani al sostanziale superamento delle disposizioni dell’articolo 51.

Vi ringrazio ancora e attendo con grande interesse i vostri commenti.

 

[1] Articolo 51 – Ambito di applicazione

1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze.
2. La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati.

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Allegati:
Progetto di relazione (Draft Report)
Emendamenti

Intervento sulla Relazione “Istituzione di un meccanismo UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali”

Bruxelles, 21 aprile 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Istituzione di un meccanismo UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali” (Relatore: Sophie in’t Veld – ALDE)  nel corso della riunione ordinaria della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE).

Punto in agenda:

  • Esame del progetto di relazione
  • Fissazione del termine per la presentazione di emendamenti

Ringrazio la Relatrice per l’ottimo lavoro fatto su un dossier che è complicato, e per la consultazioni davvero ampie che ha avuto con molte ONG e portatori di interesse. Ho molto apprezzato il tentativo di trovare una base legale appropriata, che permetta di oltrepassare i limiti posti dai trattati e così procedere alla definizione di uno strumento che sia presto operativo e non richieda una revisione degli stessi nell’immediato. Allo stesso modo trovo interessanti e condivisibili le proposte inserite nella relazione: mi riferisco all’idea di istituire un fondo europeo di assistenza legale ai cittadini, nell’ipotesi di procedimenti in materia di violazioni dei diritti fondamentali e della rule of law, così come alle proposte avanzate nell’ipotesi di revisione dei trattati (penso all’abolizione dell’articolo 51[1] della Carta, all’articolo 2[2] del Trattato sull’Unione europea come base legale per procedure di infrazione, alla possibilità per i cittadini di promuovere azioni individuali di fronte alla Corte di giustizia).

A proposito del nucleo centrale del lavoro, ossia dell’accordo interistituzionale che viene annesso al rapporto vero e proprio, vorrei fare alcune considerazioni.

Trovo considerevole la Sezione I del documento, dedicata al cosiddetto “Scoreboard”, e apprezzo soprattutto la proposta di coinvolgere un ampio spettro di pareri autorevoli e indipendenti – anche se forse avrei delle riserve sul numero, particolarmente alto, di esperti individuati -, il tentativo di elaborare linee guida sicure e basate sugli sviluppi attuali nel campo dei diritti e della rule of law, di fondare la valutazione degli esperti su parametri legali certi, e – non per ultimo – di garantire il più possibile l’indipendenza dell’organo di valutazione.

Vorrei a questo punto elencare alcune riserve su tre punti:

1) Primo, il follow-up allo scoreboard. Un ruolo centrale in merito alla valutazione dello stesso è rimesso al Consiglio attraverso lo strumento del dialogo annuale. Non condivido pienamente l’idea di rimettere il controllo delle condotte degli Stati allo stesso organo che li rappresenta. Meglio forse un organo indipendente.

Allo stesso modo, ho qualche perplessità riguardo ai rimedi in caso di violazioni. L’unificazione degli strumenti esistenti permette sicuramente di aggirare una spinosa revisione dei trattati ma, allo stesso tempo e nella sostanza, non modifica lo status quo basato sul ricorso a uno strumento – l’articolo 7[3] del Trattato sull’Unione europea – caratterizzato da discrezione politica e da una sostanziale assenza di un intervento concreto della Corte di giustizia.

2) Secondo, l’analisi e il monitoraggio delle istituzioni dell’Unione quando violano diritti e rule of law. La relazione dice chiaramente che il meccanismo in esame dovrebbe applicarsi sia agli Stati Membri sia alle istituzioni. La proposta di accordo interistituzionale, tuttavia, finisce col generare un duplice sistema, nel quale oltretutto lo Scoreboard non si applica nei confronti delle istituzioni UE. A questo si aggiunga che lo strumento dell’accordo interistituzionale sembra vincolare le sole istituzioni firmatarie, escludendo dal campo di applicazione una serie di organi e agenzie molto importanti dell’Unione. A mio avviso un meccanismo realmente efficace a tutela della democrazia, della rule of law e dei diritti umani dovrebbe coprire il più ampio spettro possibile di soggetti, estendendosi a tutti quelli che operano sotto l’ombrello dell’Unione. Manca, infatti, un esplicito riferimento a istituzioni quali il Consiglio europeo e la Banca Centrale Europea, ad agenzie come Frontex o Europol, nonché a organismi informali (come l’Eurogruppo), suscettibili di violare i diritti fondamentali. L’analisi delle condotte delle agenzie potrebbe essa stessa divenire un parametro di valutazione della funzione di controllo e vigilanza esercitata dalla Commissione europea. A mio parere sarebbe inoltre essenziale andare oltre la valutazione della fase puramente legislativa e prendere in considerazione tutti gli atti suscettibili, ai sensi dell’articolo 263 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.

3) Terzo punto e ultimo punto: i diritti sociali. Lo Scoreboard introduce espressamente la Carta dei diritti fondamentali come indicatore delle prestazioni. Tuttavia l’analisi sarebbe limitata dalle disposizioni della stessa Carta che definiscono la portata dei diritti sociali – definiti come “principi”, e quindi con rilievo inferiore rispetto ai diritti civili – in essa contenuti. Sarebbe a mio parere utile integrare la valutazione con parametri ulteriori e procedere, in futuro, a esplorare la possibilità di un’adesione dell’Unione alla Carta sociale europea del Consiglio d’Europa, e quindi di un’inclusione di tale Carta in quello che giustamente viene definito e delineato come “processo” dalla Relazione.

[1] Articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati. 2. La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati“.

[2] Articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini“.

[3] Articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea: “1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.
2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.
Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.
4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
5. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Nella proposta di istituire un elenco comune dell’UE di paesi d’origine sicuri dei richiedenti asilo mancano le garanzie sui diritti fondamentali

COMUNICATO STAMPA

Bruxelles, 1 febbraio 2016

Barbara Spinelli ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione europea, co-firmata dalle eurodeputate Martina Anderson (GUE/NGL), Soraya Post (S&D) e Ana Gomes (S&D).

«Numerosi esperti e ong hanno espresso seria preoccupazione per la proposta della Commissione europea di istituire un elenco comune dell’UE di “paesi d’origine sicuri” dei richiedenti asilo», ha dichiarato l’eurodeputata del gruppo GUE-NGL. «Una decisione grave soprattutto per quanto concerne la Turchia».

«Le critiche riguardano la possibile violazione del diritto al non respingimento, il divieto di espulsioni collettive, la possibile violazione del diritto alla non discriminazione e del diritto a un ricorso effettivo. Diritti sanciti rispettivamente dagli articoli 18, 19, 21, 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea».

«Vorrei qui ricordare», denuncia Barbara Spinelli, «che i Paesi elencati nella proposta della Commissione sono inclusi negli elenchi nazionali di soli dieci Stati membri (dunque non la maggioranza), a eccezione generalmente della Turchia. Inoltre, la relazione della Commissione che introduce la proposta di direttiva rileva che in tutti i Paesi interessati avvengono atti di persecuzione per motivi LGBTI, così come in alcuni Paesi vi è persecuzione contro i Rom, donne o bambini».

Citando il caso C-383/13, in cui la Corte di Giustizia ha sancito il diritto a essere sentiti da giudici o funzionari pubblici e il diritto ad accedere al proprio fascicolo, «entrambi diritti fondamentali dell’ordinamento giuridico dell’Unione, consacrati dalla Carta», l’eurodeputata ha chiesto alla Commissione «in che modo ritenga che la proposta garantirà che le richieste di asilo di ciascun richiedente saranno esaminate e che le decisioni saranno prese in modo individuale, obiettivo e imparziale, come previsto dall’Articolo 10 (a) della Direttiva 2013/32/UE, nel rispetto dei diritti sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione di Ginevra».

Qui il testo dell’interrogazione scritta (file .doc)

Interrogazione sull’hotspot di Lampedusa

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli presenta un’interrogazione sull’hotspot di Lampedusa con 22 eurodeputati di diversi gruppi politici 

Bruxelles, 9 dicembre 2015

L’eurodeputata Barbara Spinelli (Gue-Ngl) ha presentato un’interrogazione alla Commissione contestando le pratiche che le autorità Italiane stanno svolgendo nell’hotspot di Lampedusa, centro ufficialmente gestito dall’Unione Europea.

“Da settembre le autorità Italiane hanno adottato nuove pratiche illegali in violazione dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo presso l’hotspot di Lampedusa”, ha dichiarato. “Arrivati nell’hotspot, i migranti sono frettolosamente intervistati e ricevono un formulario incompleto senza informazioni sul diritto all’asilo. Pertanto, molti migranti ricevono provvedimenti di respingimento senza avere avuto l’opportunità di chiedere asilo ai sensi delle direttive 2011/95/UE detta ‘Direttiva Qualifiche’ e 2013/32/UE detta ‘Direttiva Procedure’. Una volta ricevuti i provvedimenti di respingimento, i migranti sono cacciati dai centri con un documento che li obbliga a lasciare il paese entro sette giorni dall’aeroporto di Roma-Fiumicino”.

“La direttiva 2013/32/UE stabilisce, qualora migranti detenuti in centri di trattenimento desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, che tutte le informazioni sulla possibilità di farlo sia loro garantita (Articolo 8). Peraltro”, ha continuato l’eurodeputata “il §27 della stessa direttiva stabilisce che i cittadini di paesi terzi e gli apolidi che hanno espresso l’intenzione di chiedere protezione internazionale siano considerati richiedenti protezione internazionale: in quanto tali, devono poter godere dei diritti di cui alle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE”.

L’interrogazione si conclude considerando che tali pratiche dimostrano gravi mancanze riguardo la tutela dei diritti umani dei migranti e richiedenti asilo. In particolare, non avendo tenuto conto delle circostanze specifiche di ciascun caso nel rilascio di provvedimenti di respingimento, contravvengono all’articolo 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e alla giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’eurodeputata, insieme a 22 colleghi di diversi gruppi politici (Socialisti, Liberali, Verdi, Sinistra unitaria europea) chiede alla Commissione di indagare sulla compatibilità di tali pratiche di gestione degli hotspot con il diritto dell’Unione Europea.

Firmatari:

Barbara Spinelli, Philippe Lamberts, Michèle Rivasi, Yannick Jadot, Pascal Durand, Eva Joly, José Bové, Karima Delli, Igor Soltes, Eleonora Forenza, Merja Kyllönen, Dimitrios Papadimoulis, Malin Björk, Josu Juaristi Abaunz, Takis Hadjigeorgiou, Julie Ward, Liisa Jaakonsaari, José Inácio Faria, Nedzhmi Ali, Neoklis Sylikiotis, Sofia Sakorafa, Kostadinka Kuneva, Patrick Le Hyaric

Testo dell’interrogazione (file .pdf)


Si veda anche:

Barbara Spinelli presenta un’interrogazione sull’hot spot di Lampedusa con 22 eurodeputati di diversi gruppi politici

L’Ue accusa l’Italia: “Non prende le impronte ai migranti”

Interrogazione sull’hotspot di Lampedusa

 

Scambio di opinioni con Frans Timmermans

AFCO – Riunione ordinaria di commissione del 3 dicembre 2015

Punto in agenda:

Scambio di opinioni con Frans Timmermans, primo Vicepresidente della Commissione europea, competente per il programma “Legiferare meglio”, le relazioni interistituzionali, lo Stato di diritto e la Carta dei diritti fondamentali

Buongiorno Vice-Presidente, grazie per l’introduzione.

Le vorrei porre una domanda su un tema che mi interessa particolarmente in quanto Rapporteur di un Relazione di Iniziativa sull’implementazione della Carta dei diritti. È una domanda che le pongo in seguito ai terribili attacchi terroristici a Parigi, nel Mali, in Tunisia. Mi ha molto preoccupato la decisione del Governo francese – oltre alla scelta di dare l’avvio ad uno stato di emergenza, sicuramente comprensibile, ma molto lungo – di richiedere l’attivazione della clausola derogatoria prevista dall’articolo 15 della Convenzione europea sui diritti umani. [1] Nel frattempo assistiamo alla sospensione della libertà di circolazione nello spazio Schengen, che si estende nell’Unione, e in precedenza Parigi aveva adottato una legge molto controversa sulla sorveglianza, che avrà implicazioni sui diritti dei cittadini. Considerato il rapporto che c’è tra i diritti sanciti nell’European Convention on Human Rights e le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali, quello che le vorrei chiedere è se questa decisione di invocare la clausola derogatoria avrà influenza anche sull’applicazione del diritto primario dell’Unione. E che cosa significhi in sostanza questo continuo riferimento a uno stato di guerra e a cambiamenti costituzionali dovuti allo stato di guerra. Lo stato di guerra è una condizione nuova, in grado di sospendere i diritti umani. Mi piacerebbe avere una sua opinione a riguardo.

Grazie

[1] http://www.coe.int/en/web/secretary-general/home/-/asset_publisher/oURUJmJo9jX9/content/france-informs-secretary-general-of-article-15-derogation-of-the-european-convention-on-human-rights?_101_INSTANCE_oURUJmJo9jX9_viewMode=view

La Commissione faccia luce sul rimpatrio delle venti giovani nigeriane

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli e trenta eurodeputati chiedono alla Commissione europea di far luce sul rimpatrio di venti giovani donne nigeriane potenziali vittime di tratta

Bruxelles, 10 novembre 2015

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione europea per chiedere che venga fatta luce sul rimpatrio di venti giovani donne nigeriane, potenziali vittime di tratta di esseri umani, in violazione della sospensione di rimpatrio rilasciata a loro nome dal Tribunale di Roma (Prima Sezione).

L’interrogazione è stata firmata, tra gli altri, da Claude Moraes, presidente della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo, e dagli eurodeputati Elly Schlein, Ignazio Corrao, Laura Ferrara, Fabio Massimo Castaldo, Marina Albiol Guzman, Malin Björk, Marie-Christine Vergiat e Cornelia Ernst.

Il testo dell’interrogazione:

“Lo scorso 17 settembre circa venti donne nigeriane, potenziali vittime di tratta di esseri umani, sono state rimpatriate in Nigeria dall’aeroporto romano di Fiumicino. Man mano che giungeva copia delle notifiche di sospensione – emesse dal Tribunale nel mentre si svolgevano le procedure di rimpatrio e prontamente inviate alla Questura dagli avvocati e della Clinica Legale dell’Università di Roma 3 – attivisti radunati all’aeroporto chiedevano alla Polizia di Frontiera che le persone interessate venissero fatte scendere dall’aereo. Tuttavia una sola donna nigeriana cui era stata concessa dal Tribunale la sospensione dell’esecutività del rimpatrio è stata fatta sbarcare. Almeno altre due destinatarie di un ordine analogo – notificato alle 13.43 dagli avvocati alla Questura di Roma, dunque ben prima che l’aereo lasciasse il territorio italiano, alle 15.30 circa – sono state rimpatriate, contravvenendo alla pronuncia del Tribunale.

Chiediamo alla Commissione di far luce su questi recenti episodi e valutare se ciò costituisca una violazione dell’articolo 19 (2) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, degli articoli 9 e 13 §2 della direttiva 2008/115/CE sui rimpatri e degli articoli 20 e 21 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE.

Barbara Spinelli, Matt Carthy, Neoklis Sylikiotis, Malin Björk, Kostandinka Kuneva, Eleonora Forenza, Patrick Le Hyaric, Luke ‘Ming’ Flanagan, Younous Omarjee, Marie-Christine Vergiat, Josep-Maria Terricabras, Jean Lambert, Beatriz Becerra, Sophie in ‘t Veld, Juan Fernando Lopez Aguilar, Claude Moraes, Jude Kirton-Darling, Julie Ward, Ana Gomes, Nessa Childers, Elly Schlein, Alessia Maria Mosca, Laura Ferrara, Fabio Massimo Castaldo, Maria Arena, Angelika Mlinar, Mary Honeyball, Ignazio Corrao, Cornelia Ernst, José Inácio Faria, Marina Albiol Guzman

Violazione del diritto europeo nell’Organizzazione europea dei brevetti

26 maggio 2015

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-008382/2015
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Kostadinka Kuneva (GUE/NGL), Lynn Boylan (GUE/NGL), Martina Anderson (GUE/NGL), Pablo Iglesias (GUE/NGL), Lola Sánchez Caldentey (GUE/NGL), Stelios Kouloglou (GUE/NGL), Paloma López Bermejo (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Fabio De Masi (GUE/NGL), Tania González Peñas (GUE/NGL), Helmut Scholz (GUE/NGL), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Matt Carthy (GUE/NGL) e Miloslav Ransdorf (GUE/NGL)

Oggetto:  Violazione dei diritti del lavoro e sindacali nell’Organizzazione europea dei brevetti (EPO)

La Corte d’appello olandese ha recentemente stabilito (causa 200.141.812 / 01 / 17-2-2015) che l’Organizzazione europea dei brevetti (OEB) ha violato i diritti del lavoro di cui i lavoratori sono titolari in virtù dei trattati UE e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Di conseguenza la corte olandese, in via eccezionale, non ha riconosciuto l’immunità di cui l’OEB gode in quanto organizzazione internazionale, dal momento che tale immunità non può consentire violazioni dei diritti umani. Ciononostante l’OEB ha dichiarato che ignorerà la decisione eccependo l’ immunità dall’esecuzione.

Ciò premesso, si domanda:

– la Commissione concorda con questa sentenza, secondo cui, in materia di garanzia dei diritti fondamentali, i trattati UE e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevalgono sugli accordi bilaterali e multilaterali, inclusi quelli che assicurano l’immunità a organizzazioni quale l’OEB?

–  In caso affermativo, che cosa intende fare per impedire l’abuso dei diritti d’immunità e per difendere i diritti dei cittadini e dei lavoratori dell’UE nonché l’acquis comunitario all’interno di organizzazioni come l’OEB, che, mentre da una parte esercita funzioni giudiziarie, al tempo stesso viola le norme dell’ordinamento giuridico europeo?

–  In che modo la Commissione controlla che le posizioni che i rappresentanti degli Stati membri dell’UE adottano nell’amministrazione dell’OEB siano compatibili con i diritti sanciti dai trattati UE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – tenendo conto del fatto che in tale organizzazione gli Stati membri dell’UE costituiscono la maggioranza?


IT
E-008382/2015
Risposta del Vicepresidente Frans Timmermans
a nome della Commissione
(24.8.2015)

La Commissione prende atto della sentenza della Corte d’appello dell’Aia del 17 febbraio 2015 nella causa 200.141.812/01. Tuttavia, è sua prassi non esprimersi sulle sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali degli Stati membri.

Alla Commissione sembra che la sentenza della Corte d’appello dell’Aia si basi sulle disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, della Carta sociale europea e delle convenzioni 87 e 98 dell’OIL. Non sembra che la Corte d’appello abbia fatto valere i trattati UE e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come suggerito dagli onorevoli deputati nella loro interrogazione. La Carta, ai sensi del suo articolo 51, paragrafo 1, si applica solo alle istituzioni e agli Stati membri (nell’attuazione del diritto dell’Unione) e non ad altre organizzazioni internazionali.