I disastri dello status quo

La versione inglese di questo testo è stata pubblicata da openDemocracy

È opinione molto diffusa che Alexis Tsipras abbia smentito chi lo considerava sconfitto, annunciando il ritorno alle urne il 20 settembre e chiedendo un nuovo mandato popolare. È un’opinione non solo affrettata ma soprattutto irrealistica, perché nella sostanza nulla cambierà in Grecia, tutto è già scritto nel Memorandum d’intesa che il Premier ha sottoscritto con le istituzioni europee il 12 luglio scorso: l’austerità che continua e si inasprisce, la svendita di gran parte del patrimonio ellenico a imprese in gran parte tedesche, il fallimento di una sinistra che si illudeva di scardinare l’europeismo realmente esistente per fondarne un altro, non più germanocentrico e non più prigioniero del dogma neoliberista. Anche se il debito greco venisse ristrutturato – prima o poi lo sarà, dal momento che resta insostenibile – la strada è tracciata e non sono i greci ad averla decisa né a poterla cambiare. La constatazione di Stefano Fassina, ex vice ministro dell’economia uscito dal Pd italiano, è impietosa e appropriata: «Promettere un’interpretazione ‘sociale’ del Memorandum è propaganda. Quando ti sei impegnato a fare un avanzo primario di 3,5 punti percentuali e tagli pesanti già da quest’anno puoi dire addio al sostegno del reddito».[1]

Una via d’uscita differente era ed è possibile? Fuori dalle istituzioni europee era forse possibile, ma impraticabile: un Grexit gestito in maniera ordinata non è al momento consentito né dagli Stati forti dell’Unione né dalla Bce. Quanto alla proposta fatta a suo tempo da Yanis Varoufakis (rifiutare il memorandum, creando la liquidità necessaria a fronteggiare la chiusura delle banche tramite una provvisoria moneta parallela), sarebbe stata rigettata durante una riunione ristretta di gabinetto. Restano le riforme interne, che Tsipras vuol ottenere all’ombra del Memorandum: associando ad esempio il Parlamento europeo, “unico organo dell’Unione eletto dai cittadini” al Quartetto dei Creditori che ha preso il posto della Trojka (Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo Monetario, Meccanismo europeo di stabilità). Difficile pensare che gli elettori greci si entusiasmino all’idea che il loro potere venga prima svuotato, poi trasferito a un Parlamento europeo dominato stabilmente da ben diverse coalizioni di forze. Il Premier dimissionario è certamente consapevole che il suo odierno orizzonte è quello di un fallimento: altrimenti non avrebbe ammesso di aver firmato “sotto ricatto” il Memorandum.

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Ad Atene hanno imposto un colpo di Stato postmoderno

di martedì, Luglio 14, 2015 0 , , , , Permalink

Intervista di Stefano Citati, «Il Fatto Quotidiano», 14 luglio 2015

Non siamo al Grexit ma questo accordo-capestro costringe Tsipras a un esercizio di equilibrismo pericolosissimo e impoverisce ancor più la Grecia. 

“Un’umiliazione” secondo l’ala “critica” di Syriza…
Al di là di un dato non irrilevante, ovvero che è stato per ora evitato il Grexit, l’intesa non solo umilia profondamente Atene, ma distrugge non meno profondamente il progetto europeo. Lo «Spiegel» parla di “catalogo delle crudeltà”. Atene è trattata come un bambino cattivo; non è un partner uguale ma viene infantilizzata, anche nell’uso delle parole. Torna il termine “memorandum”. E la“troika” torna a installarsi ad Atene, anche se pudicamente riceve il nome di “istituzioni”. È umiliata anche la democrazia: nessuna decisione sarà discussa nel Parlamento greco, che non sia stata preliminarmente concordata con la troika. A ciò si aggiungano i tagli alle pensioni, le tasse,  le privatizzazioni: è una nuova stretta di austerità. È già un miracolo che il Fondo delle privatizzazioni non sia collocato a Lussemburgo ma, su richiesta di Tsipras, in Grecia.

Cosa succederà ora alle anime di Syriza? Si rischia la frantumazione del partito…
Probabilmente voteranno contro alcuni deputati; già Tsipras non aveva la maggioranza assoluta. Dovrà cercar voti centristi e socialiti. Forse si andrà alle elezioni e seguirà una nuova coalizione.

Ma allora a cosa è servito il referendum? È stato usato più per il fronte interno che per quello europeo…
Oggi possiamo dirlo. Gli effetti esterni si sono rivelati irrilevanti. L’accordo sembra una vendetta contro il voto. Ma così è stata distrutta la sovranità popolare: cioè la democrazia. Tsipras sostiene che la sovranità nazionale è salvaguardata. La situazione mi pare più grave: la sovranità popolare è ignorata, sostituita da una sovranità europea non democratica.

E che facce europee emergono dalla notte di Bruxelles?
Sono volti crudeli contro i popoli. Vengono alla luce tutti i difetti dell’euro: senza un’unione politica federale è impossibile una solidarietà fra aree in deficit e in surplus. Per come è stata costruita la moneta unica, prima o poi doveva accadere: non c’è spazio per la solidarietà, ma una lotta tra più forti e più deboli. E a quanto emerge, di unione politica si parlerà solo nel 2025.

Ci sono “buoni” e “cattivi”?
Ci sono potenti e prepotenti che hanno voluto mettere in riga la Grecia e la sinistra: capitanati da Germania, Olanda, Finlandia, Est Europa. E poi i “mediatori”, Francia e Italia, anche se il ruolo dell’Italia non è chiaro. Spagna e Portogallo sono più che altro filo-tedeschi. L’Unione muore e si torna al “bilanciamento fra potenze” dell’Ottocento.

Secondo alcuni analisti picchiare sulla Grecia è un modo per “educare” gli altri sudeuropei riottosi…  
È stato un colpo di Stato postmoderno, compiuto attraverso regolamenti feroci e la teoria dei “compiti a casa”: un’imposizione che esclude qualsiasi idea di unione.

Un segnale anche a noi italiani?
Un avvertimento, sì. Ma noi siamo già da tempo in condizioni da memorandum”, pur senza troika. È dai tempi della lettera Trichet-Draghi a Berlusconi che è stata implementata la regola delle misure economiche da far visionare prima a Bruxelles e poi nel Parlamento italiano. Siamo commissariati. Un regime change, come disse Tsipras nella campagna elettorale europea ricordando il “colpo di Stato in Italia” del 2011.

Così rimangono in secondo piano le colpe dei greci…
Risalgono all’ingresso nell’euro; avevano i conti sballati e l’Europa non ha detto niente per anni. Goldman Sachs dava ottimi giudizi su Atene fino a poco prima del disastro. Certo i greci devono migliorare l’amministrazione, combattere l’evasione fiscale, ma perché farlo con misure dottrinalmente rigide imposte da fuori, impoverendo il Paese e senza nessuna promessa di ristrutturazione parziale del debito?