Una lettera di Barbara Spinelli e Marie-Christine Vergiat chiede chiarimenti alle autorità italiane sul Memorandum di intesa con il Sudan

Barbara Spinelli e Marie-Christine Vergiat scrivono ai ministri italiani dell’Interno e degli Affari esteri: «Sia fatta luce sul rimpatrio forzato di 40 profughi sudanesi e sulla natura degli accordi, anche finanziari, tra Italia e Sudan»

Bruxelles, 26 ottobre 2016

Le eurodeputate Barbara Spinelli e Marie-Christine Vergiat hanno inviato una lettera sottoscritta da 23 parlamentari europei al ministro dell’Interno italiano Angelino Alfano, al ministro degli Affari esteri Paolo Gentiloni, al capo della Polizia di Stato Franco Gabrielli – e per conoscenza all’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU e all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – a proposito del rimpatrio forzato di 40 cittadini sudanesi avvenuto lo scorso agosto.

«Tale espulsione di massa», scrivono, «ha portato alla luce l’esistenza di un Memorandum d’intesa con il Sudan sottoscritto il 3 agosto a Roma dal capo della polizia italiana Franco Gabrielli e dal suo omologo sudanese, generale Hashim Osman Al Hussein, alla presenza di funzionari del ministero dell’Interno e del ministero degli Affari esteri. Un accordo tenuto a lungo segreto, mai discusso né ratificato dal Parlamento italiano, che prevede la collaborazione delle polizie dei rispettivi Paesi nella gestione delle migrazioni e delle frontiere».

In cambio dell’erogazione di 1,8 miliardi di euro da parte del Fondo Fiduciario per l’Africa (EUTF), cui l’Italia contribuisce con 10 milioni di euro, «dittature come quella sudanese diventano partner dell’Unione nel processo di esternalizzazione del controllo delle frontiere, ricevendo finanziamenti che mescolano in maniera molto rischiosa gli aiuti allo sviluppo e misure probabilmente repressive contro i migranti».

La cosa è particolarmente preoccupante, affermano le eurodeputate, perché «secondo numerose fonti, tra i beneficiari dei Fondi europei per la gestione dei flussi migratori ci saranno le milizie Janjawid, note per la pulizia etnica attuata nel Darfur. Quel che si teme è che simili accordi, anche con il contributo di tali milizie, abbiano come scopo non dichiarato quello di impedire ai profughi eritrei, etiopi e sudanesi di raggiungere la Libia e attraversare il Mediterraneo». Non va dimenticato che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro il Presidente del Sudan Omar al-Bashir per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

I parlamentari europei co-firmatari della lettera ricordano che il mancato passaggio del Memorandum d’intesa alle Camere costituisce una violazione dell’art. 80 della Costituzione italiana e chiedono che «sia fatta luce sulla natura degli accordi, anche finanziari, con il Sudan. In questo ambito ricordiamo che il fondo fiduciario UE per l’Africa è in gran parte finanziato con fondi per lo sviluppo, e che questi ultimi non devono essere condizionati a politiche di controllo e dissuasione dei flussi migratori».

Si veda anche:

Sudan, l’accordo segreto con il governo italiano per il rimpatrio dei migranti, «La Repubblica», 26 ottobre 2016

 

Rispetto dei diritti fondamentali e del principio di leale cooperazione negli accordi relativi alle politiche di asilo e di migrazione

Interrogazione con richiesta di risposta scritta
al Consiglio
Articolo 130 del regolamento

(6.6.2016)

Barbara Spinelli (GUE/NGL) , Sophia in ‘t Veld (ALDE) , Stelios Kouloglou (GUE/NGL) , Sofia Sakorafa (GUE/NGL), Stefan Eck (GUE/NGL) , Iuliu Winkler (PPE) , Izaskun Bilbao Barandica (ALDE) , Barbara Lochbihler (Verts/ALE), Josef Weidenholzer (S&D) , Bodil Valero (Verts/ALE) , Josu Juaristi Abaunz (GUE/NGL) , Marisa Matias (GUE/NGL) , Hilde Vautmans (ALDE) , Ana Gomes (S&D) , Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL) , Jean Lambert (Verts/ALE) , Petras Auštrevičius (ALDE) , Curzio Maltese (GUE/NGL) , Nikolaos Chountis (GUE/NGL) , Soraya Post (S&D) , Julie Ward (S&D)

Oggetto:  Rispetto dei diritti fondamentali e del principio di leale cooperazione negli accordi relativi alle politiche di asilo e di migrazione

Dal 2014 il Consiglio ha lanciato una serie di accordi relativi all’asilo e alla migrazione, alcuni aspetti dei quali sono rimasti confidenziali e non sono stati sottoposti a un controllo parlamentare.

Il 23 marzo 2016 la Commissione, il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) avrebbero discusso di partenariati con paesi del Corno d’Africa – tra cui il Sudan – con lo scopo di mettere fine all’afflusso di rifugiati verso l’Europa con i fondi dell’UE, rispecchiando la “dichiarazione” UE-Turchia e il “patto sulla migrazione” avanzato dall’Italia. È opportuno sottolineare che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto nei confronti del presidente sudanese, accusato per il suo presunto ruolo nel genocidio del Darfur.

L’articolo 13, paragrafo 2 del trattato sull’Unione europea (TUE) stabilisce che le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione e agiscono nei limiti delle attribuzioni che sono loro conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste.

Ritiene il Consiglio:

–     di aver rispettato il principio di leale cooperazione proponendo tali accordi, dal momento che il Parlamento non è stato né consultato né informato della loro esistenza?

–     che i fondi dell’UE destinati a questo piano d’azione non saranno utilizzati per reprimere la popolazione civile?

–     che tali accordi rispettino l’articolo 3 del TUE per quanto concerne gli obiettivi dell’UE di tutelare i diritti umani e osservare rigorosamente il diritto internazionale, compreso il diritto di chiedere asilo?
IT

E-004653/2016
Risposta

(26.9.2016)

Il Consiglio non ha discusso accordi ai sensi dell’articolo 218 del TFUE relativi all’asilo e alla migrazione, neanche con il Sudan.

Cooperazione sulla migrazione nel Corno d’Africa

Bruxelles, 9 novembre 2015

Vertice di La Valletta sulla migrazione: una prospettiva sul Corno d’Africa

Audizione pubblica organizzata da Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL – Francia) in collaborazione con Europe External Policy Advisors (EEPA)

SESSIONE
Cooperazione sulla migrazione nel Corno d’Africa

Intervento di apertura

Ringrazio Marie-Christine Vergiat per aver organizzato questa audizione e per il suo costante impegno a fianco di chi combatte per la democrazia in Eritrea e nei paesi del Corno d’Africa, e contro la logica del processo di Khartoum, e ringrazio i rappresentanti della diaspora eritrea che oggi sono con noi.

Guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani, calamità naturali e crimini ambientali hanno costretto due milioni di cittadini del Corno d’Africa a lasciare le proprie case, in questi primi quindici anni del Duemila. Chi non è diventato profugo interno ha cercato di raggiungere l’Europa affrontando il deserto, le bande criminali, i campi in Libia, la traversata del Mediterraneo.

Queste persone d’ora in avanti troveranno ad accoglierli i cosiddetti hotspot, voluti da Commissione e Consiglio Europeo, dove si deciderà a quale categoria appartengono: se sono profughi titolati a presentare la domanda di protezione internazionale, o se sono migranti economici da rimpatriare. Ricordo che la maggior parte dei responsabili europei si ostina a parlare di “questione immigrati”, anziché di questione rifugiati. La distorsione semantica serve a sbarazzarsi delle proprie responsabilità. Ormai sappiamo bene che la stragrande maggioranza degli arrivi in Europa è composta di rifugiati. Comunque, la frontiera fra migrante e rifugiato è più che esile.

Ogni anno ricordiamo il naufragio di Lampedusa, quando morirono 360 fuggitivi eritrei e 8 fuggitivi somali. Era il 3 ottobre 2013.

“La maniera migliore per onorare la memoria dei morti è quella di salvare i vivi”, disse a Strasburgo don Mussie Zerai – invitato in Plenaria il 29 aprile di quest’anno da me e da Marie-ChristineVergiat – a proposito dell’istituzione, il 3 ottobre, di una giornata europea per la memoria dei profughi scomparsi in mare.

Ma come vengono salvati i vivi dai governanti dell’Unione? Riducendo il soccorso in mare a Frontex e a EunavforMed, il cui compito prioritario non è ufficialmente quello della Ricerca e Soccorso in mare? Riesumando il processo di Khartoum, che – in cambio di molto denaro – consegna il governo della migrazione dall’Africa e dal Medio Oriente alle peggiori dittature, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al Bashir in Sudan?

A luglio – quando la commissione delle Nazioni Unite presieduta dall’avvocato Mike Smith aveva da pochi giorni presentato al Consiglio per i Diritti umani un Rapporto sull’Eritrea – l’Unione Europea ha prospettato un pacchetto di 300 milioni di euro in aiuti allo sviluppo, in favore di quel paese: un regalo al regime di Afewerki. L’obiettivo dichiarato a Bruxelles: “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”.

Sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici, attivisti che denunciavano come il nuovo flusso di denaro dall’Europa avesse l’effetto di legittimare e rafforzare la dittatura che da anni combattono, proprio mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà.

La Commissione ONU sta valutando la possibilità di portare Afewerki davanti alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Ma l’Eritrea è stata invitata dal Consiglio europeo al Summit di La Valletta, l’11 e 12 novembre, e il ministro degli esteri di Afewerki – assieme al ministro degli esteri del presidente del Sudan Omar al-Bashir, accusato di crimini di guerra – siederà con gli altri leader africani.

So che una delegazione della diaspora eritrea e il coordinamento dell’Eritrea democratica saranno a Malta, in quei giorni, a far sentire la propria voce. È una voce che parla in nome nostro, che siamo orgogliosi di ospitare oggi a Bruxelles, e che vogliano continuare a rappresentare.