Pacchetto asilo: il Consiglio è colpevole di omissione di atti dovuti

COMUNICATO STAMPA

Strasburgo, 15 gennaio 2019

Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo dedicata alla discussione sulla “Riforma della politica dell’UE in materia di asilo e migrazione alla luce della perdurante crisi umanitaria nel Mediterraneo e in Africa”.

 L’intervento è stato pronunciato a seguito delle dichiarazioni del Consiglio, rappresentato dal Segretario di Stato per gli Affari europei (Presidenza rumena del Consiglio dell’UE) Melania-Gabriela Ciot, e della Commissione, rappresentata dal Commissario europeo per la Migrazione, gli affari interni e la cittadinanza Dimitris Avramopoulos.

«Sempre diciamo che la nostra è un’Unione fondata su diritto. È falso: sulle politiche migratorie non siamo un’unione e violiamo il diritto europeo e internazionale. I soli regolamenti su cui insiste il Consiglio sono quelli securitari – guardia frontiera, rimpatri – che esternalizzano gli obblighi d’asilo.

I dossier basati sulla solidarietà: tutti in blocco seppelliti. È passato un anno e mezzo e il Consiglio ancora non è in grado di presentarci controproposte su Dublino Quattro. Gli altri dossier – qualifiche per protezione internazionale, reinsediamenti – sono fermi da un anno, sempre per colpa del Consiglio.

Il risultato è davanti ai nostri occhi: litigi tra Stati membri; criminalizzazione della Ricerca e Salvataggio; accordi ad hoc fra Stati UE per aggirare le norme, comprese quelle di Dublino Tre; infine consegna di migranti ai Lager libici –  sono campi di morte, Signora Presidente del Consiglio, è insensato difendere le intese con Tripoli. Il Consiglio è colpevole di omissione di atti dovuti e la Corte dovrebbe occuparsene. Ha ragione il commissario Avramopoulos: The time is now!».

I falsi progressi dell’Agenda europea per la migrazione

Bruxelles, 26 marzo 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della discussione congiunta della Commissione Libertà pubbliche (LIBE) con la Commissione per gli Affari esteri (AFET) sull’Agenda per la migrazione:

Relazione sui progressi compiuti in merito all’attuazione dell’agenda europea sulla migrazione. Scambio di opinioni con rappresentanti del SEAE (Servizio europeo per l’azione esterna), della Commissione e del Centro per le politiche migratorie di Firenze

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Seconda relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia

Stato di avanzamento del progetto pilota della Commissione con paesi terzi per la migrazione legale

Ho qualche dubbio sui sondaggi che sono stati presentati dal rappresentante del Centro per le politiche migratorie di Firenze James Dennison (molto ottimisti sull’atteggiamento dei cittadini europei verso gli immigrati) ma non mi concentrerò su questo perché la discussione diverrebbe troppo complessa. Vorrei invece porre alcune domande alla Commissione e al Servizio per l’azione esterna su punti specifici.

Il primo punto riguarda la Turchia: le mie domande vertono sulla questione dei fondi europei messi a disposizione di questo Stato e sulle loro implicazioni strategiche.

Sulla questione dei fondi, diversi giornali europei – tra cui Mediapart, in collaborazione con la European Investigative Collaboration (EIC) – hanno pubblicato in questi giorni un’inchiesta secondo cui ingenti somme di denaro, pari a 83 milioni di euro, sarebbero state versate dall’Unione europea per finanziare l’acquisto da parte delle autorità turche di veicoli militari ed equipaggiamenti di sorveglianza, soprattutto lungo la linea di confine tra Turchia e Siria. È una notizia preoccupante e vorrei avere un chiarimento in merito.

La seconda domanda sulla Turchia concerne l’ultimo rapporto di Human Rights Watch, secondo il quale il refoulement di rifugiati siriani verso la Siria sta raggiungendo cifre molto alte: si parla di centinaia di persone e di numerosi attacchi armati contro i rifugiati.

Il secondo punto riguarda le cosiddette “procedure accelerate” per le richieste di asilo in Grecia. Nel documento della Commissione è scritto che quest’ultima ha chiesto alla Grecia di cambiare le leggi nazionali concernenti le procedure d’asilo in modo da accelerarle al massimo, tramite l’eliminazione della possibilità di ricorso in appello. Vorrei sapere come questa richiesta dell’Unione si concili con il diritto al secondo grado di giudizio: un diritto che esiste nelle leggi nazionali come nelle leggi europee.

Il terzo punto è relativo alle prese di posizione del rappresentante dell’UNHCR in Germania, sia sul rimpatrio dei cittadini afghani sia sulla politica delle quote che i governanti della Grande coalizione vorrebbero adottare.

Secondo l’UNHCR, il rimpatrio degli afghani viola la legge internazionale, perché non esistono zone sicure protette all’interno dell’Afghanistan.

Per quanto riguarda le quote – cito ancora l’UNHCR – nella legge internazionale non esiste un limite massimo per le richieste di asilo.

Un’ultima domanda sul reinsediamento dei rifugiati, previsto dall’accordo con la Turchia e concernente anche i richiedenti asilo trasferiti dalla Libia in Niger. Le quote di resettlement sono ancora molto basse e vorrei sapere come si possano aumentare. Dal Niger sono state reinsediate solo 24 persone, da quel che mi risulta. Ma la cosa che più mi interessa è sapere se il paradigma della politica europea stia cambiando: se cioè il resettlement stia diventando un’alternativa alla richiesta di asilo fatta sul suolo europeo. Tutto questo, sempre per l’UNHCR, è legalmente molto dubbio, perché il resettlement non sostituisce l’accesso individuale alla protezione internazionale. Una cosa non compensa l’altra. Avrei altre domande ma mi fermo qui. Grazie presidente.

L’Africa, una nostra prigione a cielo aperto

di martedì, Settembre 12, 2017 0 , , , , Permalink

Strasburgo, 12 settembre. Barbara Spinelli è intervenuta nel corso della seduta Plenaria del Parlamento europeo dopo la dichiarazione del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, sui “Recenti sviluppi in materia di migrazione”. Di seguito l’intervento:

Immagino che il vicepresidente Mogherini conosca i moniti dell’Alto Commissariato Onu e di Medici senza frontiere, a proposito degli effetti degli accordi di Parigi su Libia, Ciad e Niger. Nei moniti si parla di campi di detenzione libici dove i migranti subiscono violenze e morte. L’allarme delle Ong concerne anche il controllo da parte del Ciad e del Niger delle rotte di fuga, a Sud della Libia. Saranno loro – assistiti da forze europee – a controllare le oasi dove le carovane si fermano per dissetarsi. Le nuove rotte saranno minate o prive di pozzi d’acqua.

La verità è che l’Africa diverrà una nostra prigione, dalle inaudite proporzioni, che co-finanziamo. E la cosa più impressionante è che l’Unione è al corrente di questo. Non ignora che l’80 per cento degli sfollati già è in Africa. Che in Europa arriva una parte minima. Che la Libia non ha firmato la convenzione di Ginevra.

Ciononostante, l’Unione si rallegra della diminuzione dei flussi, degli smuggler beffati. Questo rallegrarsi è il capitolo più nero della sua storia presente. Nei comunicati, l’ipocrisia giunge sino a sostenere che questo avverrà rispettando i diritti dell’uomo. Definire “inaccettabili” i centri di detenzione libici è del tutto insensato, Signora Mogherini, visto che l’Unione li ha accettati.

La cosa sicura è che l’Unione non potrà dire, quando sarà chiamata a render conto – perché prima o poi lo sarà: “Non sapevamo”.

L’inadeguatezza di Federica Mogherini

COMUNICATO STAMPA

«Ignorando le domande dell’Onu e le denunce internazionali, la Commissione UE reitera il sostegno alla guardia costiera libica per ‘una
gestione della migrazione basata sui diritti’»

Bruxelles, 1 luglio 2017

L’Alto rappresentante e vicepresidente della Commissione europea Federica Mogherini ha risposto a un’interrogazione parlamentare con richiesta di risposta scritta presentata da Barbara Spinelli e sottoscritta da quaranta deputati europei appartenenti a differenti gruppi politici (PPE, ALDE, Verdi, S&D, EFDD, GUE/NG) per chiedere conto dei piani della Commissione sulla cooperazione con la Libia in materia di migrazione.

Di seguito, il testo dell’interrogazione e la risposta della Vicepresidente / Alto rappresentante Mogherini.

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001542/2017

alla Commissione (Vicepresidente / Alto rappresentante)

Articolo 130 del regolamento

3 febbraio 2017

«Stando a una relazione pubblicata il 13 dicembre 2016 dalla missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) e dall’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani (UNHCHR)[1], il collasso del sistema giuridico della Libia ha determinato uno stato di impunità in cui gruppi armati, bande criminali, trafficanti e persino funzionari pubblici ricorrono a metodi altamente illegali per controllare il flusso di migranti e richiedenti asilo in tutto il paese. I migranti sono detenuti arbitrariamente in centri di detenzione, gestiti per la maggior parte dal dipartimento per la lotta all’immigrazione illegale (DCIM), e vengono sottoposti a tortura e altri maltrattamenti per mano delle guardie di tale dipartimento. Le condizioni di detenzione sono degradanti e inumane: i migranti sono sottoposti a detenzione illecita, torture, uccisioni, sfruttamento sessuale e altre violazioni dei diritti umani. L’UNSMIL ha ricevuto informazioni da fonti credibili che taluni membri delle istituzioni statali e funzionari locali partecipano alla tratta, allo sfruttamento e alle violenze nei confronti dei profughi.

Alla luce di quanto precede e del parere delle Nazioni Unite secondo cui la Libia non è un paese sicuro, quali sono i criteri adottati dalla Commissione per la cooperazione con la Libia?

Può l’esternalizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso costituire, di fatto, un respingimento?

Qual è la base sostenibile per ritenere appropriata la conclusione di un partenariato con tale paese terzo, che manca tuttora di una struttura statale stabile e non ha neppure firmato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati?»

Risposta della Vicepresidente Federica Mogherini

a nome della Commissione

IT E-001542/2017

28 giugno 2017

«L’UE non persegue né prevede il rimpatrio dagli Stati membri in Libia dei migranti e richiedenti asilo. Le misure previste intendono potenziare la capacità della Libia di controllare la propria frontiera meridionale e le proprie acque territoriali, promuovendo al tempo stesso i diritti umani. I diritti umani e un trattamento corretto dei migranti sono altresì elementi importanti della formazione prevista dall’EUNAVFOR MED operazione Sophia a favore della guardia costiera e della marina libiche, nonché della missione dell’UE di assistenza alle frontiere (EUBAM) in Libia.

L’UE finanzia la formazione della guardia costiera libica e sostiene una gestione della migrazione basata sui diritti in Libia. Nel febbraio 2016 il mandato dell’EUBAM è stato modificato per integrare un’eventuale missione civile di gestione delle crisi riguardante lo sviluppo di capacità e assistenza nei settori della cooperazione di polizia, dello Stato di diritto e della gestione delle frontiere, volta a fornire consulenza e formazione alle autorità libiche.

Recentemente, il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa[2] ha adottato un programma di 90 milioni di EUR per rafforzare la protezione e la resilienza dei migranti, dei rifugiati e delle comunità di accoglienza in Libia. Il programma, attuato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, dalla Gesellschaft für Inernational Zusammenarbeit tedesca, dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, comprenderà tra l’altro una componente riguardante la protezione di tutte le persone in stato di necessità (migranti, rifugiati, sfollati interni e rimpatriati) e la promozione di soluzioni alternative alla detenzione, il rimpatrio volontario assistito e la reintegrazione, la promozione dello sviluppo socioeconomico a livello comunale e il sostegno alla governance locale in Libia.

Parallelamente, attraverso lo strumento europeo di vicinato, è in corso un pacchetto dell’UE di 120 milioni di EUR per la società civile, la governance, la sanità, la gioventù e l’istruzione, la migrazione, il sostegno al processo politico, alla sicurezza e alla mediazione».

 

Al Rapporto UNSMIL-UNHCHR, cui si riferiva l’interrogazione parlamentare, hanno fatto seguito le seguenti relazioni e denunce:

L’8 maggio 2017, il procuratore della Corte penale internazionale Fatou Bensouda ha riferito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull’indagine in corso sulle violazioni dei diritti umani in Libia, dicendosi «profondamente allarmata dai rapporti secondo cui migliaia di migranti vulnerabili, compresi donne e bambini, vengono detenuti in centri spesso in condizioni inumane».[3]

Il 18 maggio, l’Ong tedesca Sea-Watch ha denunciato alla Corte penale internazionale dell’Aja un incidente occorso il 19 maggio in acque internazionali: un pattugliatore libico aveva tentato di speronare la nave Sea-Watch 2 mentre si apprestava a eseguire un salvataggio, aveva aperto il fuoco ad altezza d’uomo contro un peschereccio carico di migranti e aveva riportato i migranti in Libia, violando il principio di non-refoulement.[4]

Il 1° giugno, il gruppo di esperti sulla Libia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto che parla di «esecuzioni, torture, deprivazione di cibo, acqua e servizi igienici», e ha dichiarato che «i trafficanti di esseri umani, il Dipartimento di contrasto all’immigrazione illegale libico e le guardia costiera libica sono direttamente coinvolti nelle violazioni dei diritti umani».[5]

Il 19 giugno, Human Rights Watch ha affermato che «le forze libiche hanno esibito un atteggiamento irresponsabile, tale da mettere in pericolo le persone a cui venivano in aiuto, e per questo motivo l’Italia e altri Paesi dell’Unione europea non dovrebbero cedere il controllo delle operazioni di soccorso in acque internazionali alle forze libiche».[6]

Il 20 giugno, il rappresentante speciale dell’ONU in Libia, Martin Kobler, ha affermato davanti alla Commissione affari esteri (AFET) del Parlamento europeo: «Sconsiglio di continuare la formazione della guardia costiera libica in assenza di un vigile controllo internazionale. […] Su Youtube potete vede tutto, comprese le guardie costiere libiche che respingono le persone e le gettano in acqua perché anneghino, oppure le riportano sulle spiagge. L’Unione europea dovrebbe cominciare a riflettere su come evitare le violazioni commesse da coloro che essa stessa sta formando».[7]

Il 21 giugno, Amnesty International ha lanciato un monito alle istituzioni europee: «l’UE sta consentendo alla guardia costiera libica di riportare migranti e rifugiati sulla terraferma in un Paese dove le detenzioni illegali, la tortura e lo stupro sono la regola. Mentre rafforza l’operatività della guardia costiera libica, l’Unione chiude gli occhi di fronte ai gravi rischi insiti in questa cooperazione».[8]

 Il 28 giugno – data della risposta della Vicepresidente Federica Mogherini – l’Upper Tribunal di Londra ha sentenziato che non si possono effettuare rimpatri in Libia perché «The violence in Libya has reached such a high level that substantial grounds are shown for believing that a returning civilian would, solely on account of his presence on the territory of that country or region, face a real risk of being subject to a threat to his life or person».[9]

[1] http://www.ohchr.org/Documents/Countries/LY/DetainedAndDehumanised_en.pdf

[2]   Decisione della Commissione, del 20 ottobre 2015, sull’istituzione di un fondo fiduciario di emergenza dell’Unione europea per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa, C(2015) 7293 final.

[3] http://webtv.un.org/search/-fatou-bensouda-icc-prosecutor-on-the-situation-in-libya-security-council-7934th-meeting/5426325092001?term=bensouda.

[4]  https://sea-watch.org/en/17246/

[5] Letter dated 1 June 2017 from the Panel of Experts on Libya established pursuant to resolution 1973 (2011) addressed to the President of the Security Council, § 104, http://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/N1711623.pdf.

[6] Dichiarazione di Judith Sunderland, direttore associato di Human Rights Watch per Europa e Asia centrale, Ue: delegare i soccorsi alla Libia significa mettere vite a repentaglio, https://www.hrw.org/it/news/2017/06/19/305148.

[7] Martin Kobler, L’UE doit arrêter de former les garde-côtes libyens!

[8] https://www.amnesty.it/amnesty-international-sulla-richiesta-collaborazione-la-guardia-costiera-libica/

[9] http://www.statewatch.org/news/2017/jun/uk-immigration-asylum-tribunal-zmm-v-home-sec-returns-to-libya-28-6-17.pdf

 

Russia, Siria e migrazione al Consiglio europeo

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo. Strasburgo, 5 ottobre 2016.

Punto in agenda: Preparazione della riunione del Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre 2016
Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione

Presenti al dibattito:
Jean-Claude Juncker – Presidente della Commissione europea
Ivan Korčok – Rappresentante plenipotenziario del governo per la presidenza slovacca del Consiglio dell’UE

Grazie Presidente Juncker. Riparlerete di rifugiati, ma non so se cercherete per davvero soluzioni. Mi chiedo se andrete alle radici della crisi, parlando del primo nemico in Siria – Isis, Al Qaeda – e immaginando un rapporto con Mosca alternativo al disordine mentale che regna in Usa: da una parte la rottura del dialogo annunciata da Obama, dall’altra la saggezza di Jimmy Carter: “Urge una co-leadership russo-americana”, e questo nonostante le violenze russe a Aleppo.

Non so nemmeno come discuterete il referendum ungherese: se Orbán vi convincerà che un referendum invalido lui lo renderà valido, con più muri ancora.

Una cosa soltanto so: che se non cominciamo a organizzare la convivenza con i rifugiati, l’Exit ci mangerà i cervelli. Perché l’Exit generalizzato è paura, rinuncia, nazionalismi. È pagare dittatori e Stati in guerra perché si tengano i fuggitivi: Eritrea, Sudan, e ora Afghanistan. È la fine dell’Unione, che le frontiere dovrebbe proteggerle, ma per meglio poterle riaprire.

Parere sul bilancio previsionale 2017

Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL del parere “Bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2017 – Tutte le sezioni” (Relatore per parere: Monica Macovei – ECR), nel corso della riunione straordinaria della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE). Strasburgo, 7 luglio 2016.

Punto in agenda:

  • Esame del progetto di parere

Ringrazio la relatrice per la bozza di parere e per la presentazione. Penso, per parte mia, che possa essere in più punti migliorata.

Facendo tesoro del lavoro svolto dai colleghi LIBE negli scorsi anni, ho lavorato su emendamenti che abbiano come obiettivo quello di mettere in risalto alcuni punti precisi:

– la separazione, in tutti i futuri progetti di bilancio, delle spese per il rafforzamento di strategie di rimpatrio dalle spese per la migrazione legale, e la promozione – per me essenziale – di un’effettiva integrazione nel mondo del lavoro;

– la creazione di un fondo Europeo per le operazioni di ricerca e salvataggio, al fine di potenziare e sostenere il search and rescue nei vari Stati membri, specie in quelli più esposti ai flussi migratori;

– lo stanziamento di fondi specifici destinati a iniziative di contrasto della crescita dell’antisemitismo, dell’islamofobia, dell’afrofobia e dell’antiziganismo negli Stati membri.

Evidenzierò inoltre come i fondi per lo sviluppo e gli aiuti umanitari a Stati Terzi non debbano essere condizionati alla capacità o volontà dei Paesi partner di collaborare al controllo della migrazione, ad esempio attraverso accordi di riammissione di migranti e rifugiati.

Allo stesso modo, ritengo che i progetti che potrebbero violare i diritti fondamentali dei migranti in Europa, o legittimare regimi dittatoriali, non dovrebbero essere sostenuti.

Evidenzierò anche la necessità, a livello nazionale ed europeo, di garantire meccanismi per la trasparenza, il controllo e la responsabilità dell’uso dei fondi. E’ a mio parere necessario introdurre meccanismi di monitoraggio e valutazione in itinere e non solo ex post, che possano valutare obbiettivamente se l’Unione europea stia raggiungendo i suoi obiettivi. Infine, dovrebbero essere definiti indicatori qualitativi e quantitativi, per misurare l’efficacia dei fondi UE e il raggiungimento dei loro obiettivi. Le relazioni e i documenti relativi a tali fondi dovrebbero essere resi pubblici.

Interrogazione al Consiglio dell’Unione europea sugli accordi con i Paesi terzi in materia di asilo e migrazione

COMUNICATO STAMPA

Bruxelles, 10 giugno 2016

Barbara Spinelli ha depositato un’interrogazione scritta al Consiglio cofirmata da venti eurodeputati di differenti gruppi politici, per chiedere il rispetto dei diritti fondamentali e del principio di leale cooperazione negli accordi in materia di politiche di asilo e migrazione.

«Fin dal 2014», scrive la parlamentare del GUE/NGL, «il Consiglio ha avviato una serie di accordi in materia di asilo e migrazione di cui alcuni aspetti sono stati tenuti segreti, sottratti al controllo parlamentare. Presumibilmente, il 23 marzo la Commissione, l’EEAS (European External Action Service) e il COREPER (Comitato dei Rappresentanti permanenti del Consiglio) hanno discusso partenariati con i Paesi del Corno d’Africa – tra cui il Sudan – volti a fermare il flusso di profughi verso l’Europa per mezzo dei fondi UE, rispecchiando la “dichiarazione” UE-Turchia e la proposta italiana chiamata “Migration compact”. Va notato che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro il Presidente sudanese in seguito ad accuse relative al suo presunto ruolo nel genocidio nel Darfur».

Poiché «l’articolo 13 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che le istituzioni dell’Unione debbano attuare tra loro una leale cooperazione, agire nell’ambito delle proprie competenze e in conformità con le procedure, le condizioni e gli obiettivi stabiliti nei Trattati», Barbara Spinelli e gli altri venti parlamentari europei si rivolgono al Consiglio chiedendo se ritiene «che sia stato rispettato il principio di leale cooperazione nel proporre questi accordi, visto che il Parlamento non è stato né consultato né informato della loro esistenza; se i fondi UE stanziati nel piano d’azione non saranno utilizzati per reprimere le popolazioni civili; se gli accordi in oggetto rispettano l’art 3 TUE sugli obiettivi dell’Unione  relativi alla protezione dei diritti umani e la rigorosa osservanza del diritto internazionale, compreso il diritto a chiedere asilo».

Cooperazione sulla migrazione nel Corno d’Africa

Bruxelles, 9 novembre 2015

Vertice di La Valletta sulla migrazione: una prospettiva sul Corno d’Africa

Audizione pubblica organizzata da Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL – Francia) in collaborazione con Europe External Policy Advisors (EEPA)

SESSIONE
Cooperazione sulla migrazione nel Corno d’Africa

Intervento di apertura

Ringrazio Marie-Christine Vergiat per aver organizzato questa audizione e per il suo costante impegno a fianco di chi combatte per la democrazia in Eritrea e nei paesi del Corno d’Africa, e contro la logica del processo di Khartoum, e ringrazio i rappresentanti della diaspora eritrea che oggi sono con noi.

Guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani, calamità naturali e crimini ambientali hanno costretto due milioni di cittadini del Corno d’Africa a lasciare le proprie case, in questi primi quindici anni del Duemila. Chi non è diventato profugo interno ha cercato di raggiungere l’Europa affrontando il deserto, le bande criminali, i campi in Libia, la traversata del Mediterraneo.

Queste persone d’ora in avanti troveranno ad accoglierli i cosiddetti hotspot, voluti da Commissione e Consiglio Europeo, dove si deciderà a quale categoria appartengono: se sono profughi titolati a presentare la domanda di protezione internazionale, o se sono migranti economici da rimpatriare. Ricordo che la maggior parte dei responsabili europei si ostina a parlare di “questione immigrati”, anziché di questione rifugiati. La distorsione semantica serve a sbarazzarsi delle proprie responsabilità. Ormai sappiamo bene che la stragrande maggioranza degli arrivi in Europa è composta di rifugiati. Comunque, la frontiera fra migrante e rifugiato è più che esile.

Ogni anno ricordiamo il naufragio di Lampedusa, quando morirono 360 fuggitivi eritrei e 8 fuggitivi somali. Era il 3 ottobre 2013.

“La maniera migliore per onorare la memoria dei morti è quella di salvare i vivi”, disse a Strasburgo don Mussie Zerai – invitato in Plenaria il 29 aprile di quest’anno da me e da Marie-ChristineVergiat – a proposito dell’istituzione, il 3 ottobre, di una giornata europea per la memoria dei profughi scomparsi in mare.

Ma come vengono salvati i vivi dai governanti dell’Unione? Riducendo il soccorso in mare a Frontex e a EunavforMed, il cui compito prioritario non è ufficialmente quello della Ricerca e Soccorso in mare? Riesumando il processo di Khartoum, che – in cambio di molto denaro – consegna il governo della migrazione dall’Africa e dal Medio Oriente alle peggiori dittature, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al Bashir in Sudan?

A luglio – quando la commissione delle Nazioni Unite presieduta dall’avvocato Mike Smith aveva da pochi giorni presentato al Consiglio per i Diritti umani un Rapporto sull’Eritrea – l’Unione Europea ha prospettato un pacchetto di 300 milioni di euro in aiuti allo sviluppo, in favore di quel paese: un regalo al regime di Afewerki. L’obiettivo dichiarato a Bruxelles: “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”.

Sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici, attivisti che denunciavano come il nuovo flusso di denaro dall’Europa avesse l’effetto di legittimare e rafforzare la dittatura che da anni combattono, proprio mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà.

La Commissione ONU sta valutando la possibilità di portare Afewerki davanti alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Ma l’Eritrea è stata invitata dal Consiglio europeo al Summit di La Valletta, l’11 e 12 novembre, e il ministro degli esteri di Afewerki – assieme al ministro degli esteri del presidente del Sudan Omar al-Bashir, accusato di crimini di guerra – siederà con gli altri leader africani.

So che una delegazione della diaspora eritrea e il coordinamento dell’Eritrea democratica saranno a Malta, in quei giorni, a far sentire la propria voce. È una voce che parla in nome nostro, che siamo orgogliosi di ospitare oggi a Bruxelles, e che vogliano continuare a rappresentare.

Durata del trattenimento amministrativo

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-011010/2015
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Tanja Fajon (S&D), Dennis de Jong (GUE/NGL), Nathalie  Griesbeck (ALDE), Cecilia Wikström (ALDE), Martina Anderson (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Jean Lambert (Verts/ALE), Ulrike Lunacek (Verts/ALE) e Malin Björk (GUE/NGL)

Oggetto: Durata del trattenimento amministrativo

La direttiva sui rimpatri (2008/115/CE) e la direttiva sull’accoglienza (2013/33/UE) affermano che gli stranieri e i richiedenti asilo possono essere trattenuti soltanto in circostanze eccezionali, e per il
minor tempo possibile, in base al principio secondo cui il trattenimento non rappresenta altro che un’eccezione al diritto fondamentale alla libertà.

Nella comunicazione sulla politica di rimpatrio del 28 marzo 2014, la Commissione ha rilevato che la
durata massima del trattenimento è diminuita in 12 Stati membri. Tuttavia, se confrontata con il
numero totale di trattenuti, tale diminuzione riguarda meno del 10 % di loro.

In alcuni Stati membri, come Cipro e il Belgio, gli stranieri sono trattenuti nonostante la mancanza di prospettive di allontanamento ragionevoli. Per alcuni di loro il periodo di trattenimento può essere prolungato oltre la durata massima (Belgio) o a tempo indeterminato (Grecia) in violazione delle disposizioni delle summenzionate direttive.

1. Non ritiene la Commissione necessario rendere obbligatoria per tutti gli Stati membri la pubblicazione, almeno su base annua, dei periodi di trattenimento medio, cumulativo e
prolungato per categoria di trattenuti (donne, uomini, bambini, richiedenti asilo, ecc.), incluso chi
attende l’allontanamento?

2. Quali misure concrete intende la Commissione adottare per mettere fine agli eccessivi periodi di
trattenimento applicati in alcuni Stati membri, che costituiscono un rischio di trattamento inumano
e degradante?


 

IT

E-011010/2015
Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione

(5.10.2015)

La Commissione, insieme agli Stati membri, rivede regolarmente la raccolta di dati e di statistiche dell’UE riguardanti la migrazione e l’asilo rispetto alla legislazione europea in vigore. Si tratta di una misura introdotta per fornire dati fattuali e obiettivi che possano servire come base per l’elaborazione di politiche basate su elementi concreti. Finora gli Stati membri hanno partecipato e contribuito in modo molto proattivo a questo processo con Eurostat, in un quadro di cooperazione strutturato basato sul consenso. Misure obbligatorie non sono quindi ritenute necessarie, mentre si è convenuto di migliorare le serie di dati individuali e di aggiornarle regolarmente se considerato pertinente e necessario.

Come annunciato nell’Agenda sulla migrazione [1], la Commissione ha adottato un Manuale sul rimpatrio. Pur non essendo vincolante sul piano giuridico, questo documento fornirà alle autorità competenti degli Stati membri orientamenti comuni, buone pratiche e raccomandazioni affinché le utilizzino nello svolgimento delle attività relative al rimpatrio e per le valutazioni Schengen connesse al rimpatrio. Il manuale affronta, fra gli altri punti, la promozione delle partenze volontarie, l’uso proporzionato delle misure coercitive, il monitoraggio dei rimpatri forzati, il rinvio dell’allontanamento, il rimpatrio dei minori, i mezzi di ricorso effettivi, le garanzie in attesa del rimpatrio, condizioni di trattenimento umane e dignitose e le garanzie per le persone vulnerabili.

La Commissione controlla da vicino l’attuazione dell’integralità dell’acquis in materia d’asilo, e non esiterà a prendere le dovute iniziative procedurali nel rispetto dei trattati per garantire che i diritti fondamentali siano sempre rispettati quando uno Stato membro potrebbe avere agito in violazione dei suoi obblighi legali.

La Commissione rinvia inoltre gli Onorevoli Deputati alla sua risposta all’interrogazione E‑009662/2014.

[1]    COM(2015) 240.

Migrazione: indecenze del Consiglio

Bruxelles, 16 settembre 2015. Intervento di Barbara Spinelli durante la mini plenaria sulle conclusioni del Consiglio Giustizia e Affari Interni sulla migrazione (14 settembre 2015).

Le conclusioni del Consiglio sono indecenti. L’85 per cento dei rifugiati vive nei paesi poveri, e gli Stati membri decidono di ricollocarne appena 32.000 entro la fine del 2017. Una maggioranza accoglie la proposta della Commissione di distribuirne altri 120.000 (da Italia, Grecia, Ungheria), ma si fa bloccare da alcuni Stati. Risultato: la ricollocazione è approvata solo “in linea di principio”, non è  vincolante né permanente. Quest’Europa chiacchiera di valori, dimenticando che l’asilo e la solidarità fra Stati membri sono diritti e leggi, non astratti valori. Le sole misure che sa decidere sono inefficaci, e impaurite: muri; interventi militari in Libia che aumenteranno il numero dei fuggiaschi; lotta agli smuggler che esistono perché mancano vie legali di fuga; e liste di “paesi sicuri” dove rispedire i profughi, col rischio di discriminarli secondo le nazioni e di violare il diritto internazionale.


Si veda anche: EU leaders must take more responsibility in migration crisis