Cooperazione sulla migrazione nel Corno d’Africa

Bruxelles, 9 novembre 2015

Vertice di La Valletta sulla migrazione: una prospettiva sul Corno d’Africa

Audizione pubblica organizzata da Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL – Francia) in collaborazione con Europe External Policy Advisors (EEPA)

SESSIONE
Cooperazione sulla migrazione nel Corno d’Africa

Intervento di apertura

Ringrazio Marie-Christine Vergiat per aver organizzato questa audizione e per il suo costante impegno a fianco di chi combatte per la democrazia in Eritrea e nei paesi del Corno d’Africa, e contro la logica del processo di Khartoum, e ringrazio i rappresentanti della diaspora eritrea che oggi sono con noi.

Guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani, calamità naturali e crimini ambientali hanno costretto due milioni di cittadini del Corno d’Africa a lasciare le proprie case, in questi primi quindici anni del Duemila. Chi non è diventato profugo interno ha cercato di raggiungere l’Europa affrontando il deserto, le bande criminali, i campi in Libia, la traversata del Mediterraneo.

Queste persone d’ora in avanti troveranno ad accoglierli i cosiddetti hotspot, voluti da Commissione e Consiglio Europeo, dove si deciderà a quale categoria appartengono: se sono profughi titolati a presentare la domanda di protezione internazionale, o se sono migranti economici da rimpatriare. Ricordo che la maggior parte dei responsabili europei si ostina a parlare di “questione immigrati”, anziché di questione rifugiati. La distorsione semantica serve a sbarazzarsi delle proprie responsabilità. Ormai sappiamo bene che la stragrande maggioranza degli arrivi in Europa è composta di rifugiati. Comunque, la frontiera fra migrante e rifugiato è più che esile.

Ogni anno ricordiamo il naufragio di Lampedusa, quando morirono 360 fuggitivi eritrei e 8 fuggitivi somali. Era il 3 ottobre 2013.

“La maniera migliore per onorare la memoria dei morti è quella di salvare i vivi”, disse a Strasburgo don Mussie Zerai – invitato in Plenaria il 29 aprile di quest’anno da me e da Marie-ChristineVergiat – a proposito dell’istituzione, il 3 ottobre, di una giornata europea per la memoria dei profughi scomparsi in mare.

Ma come vengono salvati i vivi dai governanti dell’Unione? Riducendo il soccorso in mare a Frontex e a EunavforMed, il cui compito prioritario non è ufficialmente quello della Ricerca e Soccorso in mare? Riesumando il processo di Khartoum, che – in cambio di molto denaro – consegna il governo della migrazione dall’Africa e dal Medio Oriente alle peggiori dittature, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al Bashir in Sudan?

A luglio – quando la commissione delle Nazioni Unite presieduta dall’avvocato Mike Smith aveva da pochi giorni presentato al Consiglio per i Diritti umani un Rapporto sull’Eritrea – l’Unione Europea ha prospettato un pacchetto di 300 milioni di euro in aiuti allo sviluppo, in favore di quel paese: un regalo al regime di Afewerki. L’obiettivo dichiarato a Bruxelles: “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”.

Sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici, attivisti che denunciavano come il nuovo flusso di denaro dall’Europa avesse l’effetto di legittimare e rafforzare la dittatura che da anni combattono, proprio mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà.

La Commissione ONU sta valutando la possibilità di portare Afewerki davanti alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Ma l’Eritrea è stata invitata dal Consiglio europeo al Summit di La Valletta, l’11 e 12 novembre, e il ministro degli esteri di Afewerki – assieme al ministro degli esteri del presidente del Sudan Omar al-Bashir, accusato di crimini di guerra – siederà con gli altri leader africani.

So che una delegazione della diaspora eritrea e il coordinamento dell’Eritrea democratica saranno a Malta, in quei giorni, a far sentire la propria voce. È una voce che parla in nome nostro, che siamo orgogliosi di ospitare oggi a Bruxelles, e che vogliano continuare a rappresentare.

Processo di Khartoum e iniziativa UE-Corno d’Africa

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-004122/2015 al Consiglio
Articolo 130 del regolamento

Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Malin Björk (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Dennis de Jong (GUE/NGL) e Kostas Chrysogonos (GUE/NGL)

12.3.2015

Oggetto: Processo globale di Khartoum e imminente iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie

La Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea ha aperto un dialogo intitolato “Processo di Khartoum” che, il 28 novembre 2014, ha portato ad una dichiarazione in cui si chiedeva il varo dell’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie1.

1. Qual è stato il coinvolgimento del Consiglio nel processo di Khartoum e ora nell’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie?

2. Vi è un coinvolgimento specifico della Presidenza lettone in questo follow-up?

3. Può il Consiglio fornire informazioni dettagliate sul contenuto della cooperazione con paesi terzi, tra cui l’Eritrea e il Sudan, in particolare sull’eventuale esistenza di impegni economici?


IT
E-004122/2015

Risposta
16.9.2015

L’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie – o processo di Khartoum – è stata varata a  Roma il 28 novembre 2014 con una dichiarazione firmata dai ministri di tutti gli Stati membri dell’UE e dai paesi del Corno d’Africa, dall’Egitto e dalla Tunisia, nonché dalla Commissione europea, dall’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e dalla Commissione dell’Unione africana.
Non è previsto alcun ruolo specifico per il Consiglio o la presidenza.
Il Consiglio invita pertanto gli onorevoli parlamentari a rivolgere i loro quesiti sulla cooperazione con i paesi terzi alla Commissione europea e/o all’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Iniziativa UE-Corno d’Africa e rotte migratorie

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-004123/2015 alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Malin Björk (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Dennis de Jong (GUE/NGL) e Kostas Chrysogonos (GUE/NGL)

Oggetto: Processo globale di Khartoum e imminente iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie

La Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea ha aperto un dialogo intitolato “Processo di Khartoum” che, il 28 novembre 2014, ha portato ad una dichiarazione in cui si chiedeva il varo dell’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie [1].

1. Può la Commissione fornire una documentazione che illustri la strategia alla base di questo processo e della nuova iniziativa in materia di rotte migratorie?

2. Può, altresì, fornire informazioni dettagliate sui diversi attori, all’interno e all’esterno delle istituzioni dell’UE, impegnati in questo processo e i rispettivi ruoli, tra cui in particolare il contenuto della cooperazione e la discussione con paesi come l’Eritrea e il Sudan?

3. Può fornire informazioni dettagliate sui progetti in corso in questo contesto e sui loro obiettivi, anche per quanto riguarda i contratti concessi (a chi, di quale importo, i criteri per la concessione di un contratto ad un attore specifico, la valutazione e la revisione previste qualora gli obiettivi non vengano realizzati, l’esistenza di un memorandum d’intesa)?

[1] Testo della dichiarazione (file .pdf)


IT

E-004123/2015

Risposta di Dimitris Avramopoulos a nome della Commissione

(26.6.2015)

L’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie ambisce a instaurare un dialogo con i paesi di origine e di transito sulla tratta degli esseri umani e sul traffico dei migranti, ma anche a trovare il modo migliore per affrontare questi fenomeni e le loro drammatiche conseguenze per i potenziali migranti lungo la rotta del Mediterraneo verso l’Europa. Il dialogo darà adito a azioni concrete e programmi per l’attuazione delle politiche decise. L’obiettivo ultimo è estendere il dialogo alle questioni migratorie e di mobilità. Le aree prioritarie sono quelle elencate nella dichiarazione ministeriale firmata a Roma il 28 novembre 2014.

I partecipanti all’iniziativa sono i 28 Stati membri dell’UE, i paesi del Corno d’Africa e i paesi di transito (Egitto e Tunisia), ma anche i servizi della Commissione, il servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e la Commissione dell’Unione africana (CUA). Poiché l’iniziativa è stata appena varata, bisogna ancora individuare altri attori potenziali, è tuttavia probabile che saranno chiamate a dare un contributo organizzazioni internazionali come l’OIM, il CIDM e l’UNHCR. Un comitato direttivo composto attualmente dai servizi della Commissione e da rappresentanti di SEAE, CUA, Egitto, Etiopia, Sudan, Sud Sudan, Eritrea, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Malta si è riunito il 23-24 aprile a Sharm el Sheikh per discutere le prossime fasi, tra cui l’individuazione degli attori coinvolti e dei ruoli rispettivi.

Poiché l’iniziativa è appena nella fase iniziale, non sono stati ancora avviati progetti specifici. L’UE dispone di diversi strumenti di finanziamento, ognuno con obiettivi, attività, partner di attuazione propri. Tutti i finanziamenti UE seguiranno le procedure interne in termini di identificazione dei partner, criteri, controllo e valutazione.

Don Mussie Zerai: sì alla Giornata della Memoria in onore dei profughi scomparsi in mare, ma senza ipocrisie

Don Mussie Zerai è  fondatore e presidente dell’Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo (A.H.C.S ), istituita nel 2006 per svolgere  attività di volontariato con fini di solidarietà verso tutti i richiedenti Asilo e rifugiati. Nel 2015 è stato candidato al Premio Nobel della pace.

Don Zerai è stato invitato da Barbara Spinelli per il dibattito in Plenaria su “le ultime tragedie nel Mediterraneo”, svoltosi a Bruxelles il 29 aprile, per rappresentare davanti alle istituzioni europee le testimonianze dei profughi raccolte da Habeshia; ha inoltre partecipato alla conferenza stampa successiva alla discussione in aula ed è entrato in contatto con vari gruppi parlamentari: Marie-Christine Vergiat- GUE-Ngl; Cecilia Wikström-Alde; Cecile Kyenge-S&D; Judith Sargentini-Verdi.

Questo il suo intervento durante il dibattito in Plenaria:

Giornata della memoria in onore dei profughi scomparsi in mare: sì, ma senza ipocrisie

Il Parlamento italiano sta per discutere la proposta di istituire, ogni 3 ottobre, la data della tragedia di Lampedusa, una Giornata della memoria in onore delle 366 vittime di quell’alba tragica e di tutte le migliaia di disperati scomparsi in questi ultimi anni nel Mediterraneo, inseguendo un sogno di libertà e di umana dignità.

È impossibile non essere favorevoli a questa iniziativa. Quelle 366 vite spezzate sono diventate il simbolo della tragedia di tutti i profughi del pianeta, richiamando in particolare l’Italia e l’Europa alle proprie responsabilità nei confronti dei tantissimi giovani, donne e uomini, che gridano aiuto ai potenti della terra dai paesi del Sud del mondo, sconvolti da guerre, dittature, terrorismo, persecuzioni, carestia, fame, miseria endemica. Proprio mentre si propone di celebrare questa data simbolo, però, la politica italiana e quella europea stanno andando nella direzione esattamente opposta, dimenticando o facendo finta di dimenticare, che la maniera migliore per onorare la memoria dei morti è quella di salvare i vivi. Sono tanti, infatti, i provvedimenti e gli interventi che contrastano con quello che dovrebbe essere lo spirito della futura Giornata della Memoria. Vale la pena citare i più significativi.

– Mare Nostrum. Il primo novembre 2014 è stata abolita l’operazione Mare Nostrum: l’Italia afferma di non poterne più sostenerne le spese; l’Unione Europea, anziché farla propria, ha preferito puntare sull’operazione Triton, affidata all’agenzia Frontex, dotata di mezzi infinitamente minori e il cui unico obiettivo è quello di presidiare i confini mediterranei dell’Europa, attuando interventi di salvataggio solo in casi eccezionali. Sono stati ignorati sia il parere della stessa Marina Italiana, contraria alla soppressione del programma di soccorso, sia gli appelli dell’Unhcr e dell’Oim, che anche di recente hanno chiesto di varare una nuova Mare Nostrum su base europea. Tacitate di fatto le voci dei pochi parlamentari che hanno sollecitato la riedizione di Mare Nostrum “anche a costo di perdere voti”, mettendola magari sotto l’egida dell’Onu.

– Processo di Khartoum. È stato varato il Processo di Khartoum, l’accordo firmato dai 28 Stati dell’Unione Europea, su iniziativa in particolare proprio dell’Italia, che di fatto affida la gestione dell’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente a vari Stati dell’Africa Orientale, incluse alcune delle peggiori dittature del mondo, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al Bashir in Sudan, ma anche al regime egiziano di Al Sisi, messo sotto accusa ripetutamente da Amnesty e da altre organizzazioni internazionali per la sistematica violazione dei diritti umani e il soffocamento di ogni forma di dissenso: oltre 800 condanne a morte, centinaia di condanne all’ergastolo, migliaia di civili sottoposti, senza possibilità di appello e spesso senza alcuna difesa, al giudizio delle corti marziali militari.

– Finanziamenti alle dittature. Proprio sulla scia del Processo di Khartoum, l’Unione Europea, nel contesto dei progetti di cooperazione, ha deciso di stanziare un pacchetto di 300 milioni di euro in favore dell’Eritrea. L’obiettivo sarebbe quello di “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”. Così almeno si è detto a Bruxelles. Ma si ignora o si fa finta di ignorare che l’attuale esodo di tanti giovani eritrei è dovuto prima di tutto alla totale mancanza di libertà e democrazia e che le stesse condizioni di estrema povertà sono dovute proprio alla politica del regime, che ha militarizzato la nazione con una catena continua di guerre che dura, pressoché ininterrotta, addirittura dal 1994. Anzi, sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici eritrei, attivisti, i quali, a fine marzo, hanno denunciato come manchi qualsiasi prova che abbia fondamento la pretesa volontà del regime di allentare il “pugno di ferro” con cui governa l’Eritrea, cominciando finalmente a rispettare i diritti umani e le regole fondamentali della democrazia. Al contrario: tutto lascia credere che questo flusso di denaro dall’Europa finisca per legittimare e rafforzare la dittatura proprio mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà. E il caso dell’Eritrea non è isolato: c’è da ritenere che finanziamenti analoghi siano previsti anche per altre dittature della regione.

– Nuovi respingimenti. Nell’ultimo vertice europeo di Bruxelles l’Italia ha proposto di coinvolgere nel pattugliamento del Mediterraneo anche le marine militari della Tunisia e dell’Egitto. In questo modo – si afferma – potranno essere potenziati i servizi di salvataggio. Solo che – come ha rivelato un servizio giornalistico del Guardian – le navi tunisine ed egiziane non si limiteranno ai soccorsi: i profughi intercettati in mare verranno riaccompagnati in Africa. Praticamente respinti a priori, senza esaminare se sono nelle condizioni di essere accolti in Europa come profughi ed hanno diritto a una forma di protezione internazionale. Poco importa se questo significa di fatto riconsegnarli ai trafficanti di uomini o magari ai paesi dai quali sono stati costretti a fuggire. Il tutto, tra l’altro, per quanto riguarda l’Egitto, senza considerare che – come è già accaduto in passato e si è ripetuto anche in questi giorni – i profughi intercettati vengono considerati colpevoli di immigrazione clandestina, arrestati e gettati in carcere praticamente a tempo indeterminato, fino a quando, cioè, non saranno in grado di pagarsi il biglietto aereo per tornare nel paese d’origine.

Provvedimenti come questi legittimano il sospetto che si stia puntando ad attuare una politica di controllo militare del Mediterraneo, fondata non su un sistema di soccorso-accoglienza ma di soccorso-respingimento, che prevede di riportare i profughi in Africa e, in definitiva, di esternalizzare ancora di più i confini della Fortezza Europa, per spostarli quanto più a sud possibile, anche oltre il Sahara, appaltando il “lavoro sporco” del contenimento ad alcuni Stati africani, incluse feroci dittature. Non importa a che prezzo.

Allora, a fronte di una simile situazione, la proposta di istituire una Giornata della Memoria per i profughi, da celebrare ogni 3 ottobre, appare un’ipocrisia o, al massimo, un appuntamento vuoto, che rischia di risolversi nell’ennesima passerella per la dichiarazione di buone intenzioni, subito dimenticate. La Giornata della Memoria avrà un senso solo se sarà il primo passo per cambiare radicalmente il sistema di accoglienza e, più in generale, la politica dell’Europa e dell’Italia nel Sud del mondo. Partendo dalle stesse proposte lanciate da Habeshia il 3 ottobre 2014 a Lampedusa, in occasione del primo anniversario della strage, ma rimaste senza risposta. Sono proposte concrete che esigono risposte precise ed altrettanto concrete.

– Corridoi umanitari. Istituire una serie di corridoi umanitari che, con la collaborazione dell’Unhcr, consentano di aprire ai profughi le ambasciate europee nei paesi di transito e di prima sosta, in modo da esaminare sul posto le richieste di asilo e consentire così a tutti coloro che hanno diritto a una qualsiasi forma di protezione internazionale di raggiungere in condizioni di sicurezza il paese scelto e disposto ad accoglierli.

– Paesi di transito e di prima sosta. Con la collaborazione e d’intesa con i governi locali, studiare ed attuare interventi e programmi di aiuto per rendere più sicuri i paesi di transito e prima sosta, creando così condizioni di vita dignitose, nei tempi di attesa, per i profughi che presentano richiesta d’asilo all’Europa e, a maggiore ragione, per quelli (in realtà la grande maggioranza) che intendono restare invece proprio in quei paesi, non lontano dalla propria terra, nella speranza che si creino le condizioni per poter tornare sicuri in patria in tempi non troppo lontani. L’azione combinata di questo programma e dei corridoi umanitari può risultare l’arma più efficace per sottrarre i profughi e i migranti al ricatto dei mercanti di morte e alle loro organizzazioni criminali.

– Sistema europeo di accoglienza unico. In stretta connessione ed anzi come condizione perché i due punti sopra illustrati possano essere attuati, va organizzato un sistema unico di asilo e accoglienza, condiviso e applicato da tutti gli Stati aderenti all’Unione Europea che, ripartendo in modo equo i richiedenti asilo e i migranti forzati nei vari paesi Ue, preveda condizioni di vita dignitose e un processo di reinsediamento il più rapido possibile. In questo modo si andrebbe ad annullare anche il regolamento di Dublino 3, che impedisce la libertà di circolazione, residenza e lavoro, vincolando i migranti al primo paese Schengen al quale chiedono aiuto. E si supererebbero storture tutte italiane come la rete degli attuali Centri di accoglienza, l’abbandono dei migranti al loro destino una volta che hanno ottenuto lo status di rifugiato o un’altra forma di protezione, con la conseguente creazione di una enorme sacca di persone di fatto senza diritti, consegnate allo sfruttamento, al lavoro nero, talvolta alla criminalità.

Da notare che queste tre proposte sono tutt’altra cosa rispetto al progetto, previsto dal Processo di Khartoum, di aprire una serie di campi profughi sotto le insegne Unhcr, dove sia possibile presentare le richieste di asilo. A parte il fatto che campi gestiti dall’Unhcr già esistono, il punto è chi garantisce la sicurezza degli ospiti di quelle strutture in paesi del tutto inaffidabili, da anni sotto accusa per la violazione dei diritti umani: sono eloquenti in proposito i casi di violenza, rapimento, complicità delle stesse forze di sicurezza con i trafficanti di uomini, denunciati a più riprese in Sudan, che pure è uno dei paesi chiave dell’accordo. Per di più, l’attuazione del terzo punto è essenziale per il funzionamento dei primi due.

– Interventi nei “punti di crisi”. Varare una politica comune e mirata dell’Unione Europea nei cosiddetti “punti di crisi”, per eliminare o quanto meno ridurre le cause di questo esodo enorme direttamente nei paesi d’origine dei profughi. Non, però, con accordi al buio con gli stessi dittatori che sono la prima causa dell’esodo enorme a cui stiamo assistenza ma sostenendo i movimenti democratici che li combattono e, in ogni caso, pretendendo da quei dittatori il rispetto immediato dei diritti umani e delle regole democratiche come condizione preliminare irrinunciabile per l’apertura di qualsiasi forma di colloquio e collaborazione.

Su questi punti l’agenzia Habeshia torna a chiedere risposte rapide e concrete. È l’unico modo per onorare davvero la memoria dei 366 morti di Lampedusa, delle altre 26 mila vittime che si sono registrate dal duemila a oggi nel Mediterraneo, dei circa 900 giovani scomparsi dall’inizio di quest’anno. Risposte in grado di onorare le vittime, di asciugare le lacrime dei superstiti, di dare aiuto e dignità alle migliaia di disperati che bussano anche in queste ore alle porte dell’Europa.

don Mussie Zerai


 

Si veda anche:

Profughi: la soluzione c’è, ma si preferisce la guerra, di Emilio Druidi

 

 

Perché ho scelto l’astensione sulla mozione diritti umani 2013

Il 12 marzo scorso a Strasburgo, Il Parlamento europeo ha approvato il Rapporto annuale 2013 sui diritti umani e la democrazia del mondo, firmato da Antonio Panzeri (Gruppo Socialisti e Democratici, S&D). È un rapporto con non pochi lati positivi ma con parecchi paragrafi in parte ambigui o non condivisibili, dal mio punto di vista. La stampa italiana si è occupata quasi esclusivamente del paragrafo sui matrimoni o le unioni civili tra persone dello stesso sesso, su cui il Parlamento europeo ha espresso – non per la prima volta – un voto positivo (su questo specifico paragrafo, il nr. 162, ho votato a favore).

Resta che la risoluzione, assai ampia, contiene altri punti molto sensibili e non chiariti, concernenti diritti non meno importanti del matrimonio gay. In particolare, sono stati approvati gli emendamenti dei Popolari (PPE), sulla base di un accordo blindato Popolari-Socialisti: mi riferisco tra gli altri al paragrafo sull’aumento delle risorse di Frontex, un’agenzia che sta dimostrando la propria totale inadeguatezza oltre che irresponsabilità, e a quello sull’immigrazione irregolare all’interno dell’UE a spese dei diritti dei migranti (ormai in massima parte richiedenti asilo), sostituito in seguito al voto da un paragrafo che concentra per intero l’attenzione sulla lotta ai trafficanti di esseri umani e dunque sul controllo delle frontiere. Infine, è stato fortemente annacquato il paragrafo 165, che criticava i referendum che vietano il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e che menzionava espressamente il referendum svoltosi in Croazia, e quelli previsti in Slovacchia e Macedonia. Queste critiche non sono più presenti, su pressione dei Popolari, nella risoluzione approvata.

Allo stesso tempo, sono stati respinti emendamenti che ritenevo essenziali, proposti dal gruppo cui appartengo (GUE-NGL), concernenti sia i diritti dei migranti e il processo di Khartoum (un tema cruciale, dopo le dichiarazioni del Commissario all’immigrazione Dimitris Avramopoulos sull’opportunità di “cooperare con le dittature” in tema di migrazione), sia gli effetti sui diritti fondamentali di politiche economiche e di austerità imposte dall’esterno a paesi democraticamente troppo fragili.

Sono questi i motivi per cui ho deciso, dopo molte esitazioni e ripetuti tentativi di mediazione col relatore Antonio Panzeri (intesi a convincere il gruppo S&D ad accogliere positivamente i nostri emendamenti), di votare in aula l’astensione. Ho condiviso tale scelta con 28 deputati del GUE-NGL, mentre 5 hanno votato a favore della risoluzione e 11 hanno addirittura espresso parere contrario.


Questo il testo della mozione originaria.

E questo il testo della mozione approvata (file .pdf).

Commissione UE, il vicepresidente Timmermans dia seguito alla promessa di passare da Mare nostrum a Europa nostra

Bruxelles, 4 marzo 2015

Dopo il ritrovamento nelle acque del Canale di Sicilia dei corpi senza vita di dieci migranti, il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, ha affermato che «l’immigrazione è un problema che riguarda tutti gli Stati membri». Non si tratta più «di Mare nostrum, ma di Europa nostra», ha precisato, annunciando la decisione della Commissione di anticipare a metà maggio l’approvazione dell’Agenda europea sulle migrazioni, già fissata per metà luglio.

«Ne prendiamo atto», commenta l’eurodeputata Barbara Spinelli, «anche se è sconcertante che, prima di questa ennesima tragedia, la Commissione avesse fissato una data tanto lontana, quasi che l’emergenza nel Mediterraneo non fosse già drammatica da troppo tempo. Ora è essenziale far succedere alle parole i fatti: fatti univoci e concreti».

«In Italia», ha detto Barbara Spinelli, «la Cild (Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili) ha promosso una petizione per chiedere al presidente del consiglio Matteo Renzi di riattivare l’operazione Mare nostrum e, parallelamente, premere sull’Unione europea per la condivisione di questa responsabilità, che riguarda le frontiere comuni dell’Unione. È una richiesta che faccio mia e che rivolgo alla Commissione, unitamente alla preoccupazione per le parole del commissario Dimitris Avramopoulos, il quale – nella conferenza stampa congiunta – ha sostenuto che l’Ue deve cooperare anche con i regimi dittatoriali per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione, opporre un contrasto “aggressivo” ai trafficanti di esseri umani e “proteggere meglio” i propri confini».

«L’organizzazione Habeshia, guidata dal candidato al premio Nobel per la pace don Mussie Zerai», ha continuato la parlamentare europea del Gue-Ngl, «denuncia da giorni la partenza di migliaia di uomini e donne africani con barconi malridotti e rapimenti di massa in Sudan, e chiede che venga fatto rispettare il processo di Khartoum per la liberazione delle persone sequestrate. Facendo mie le parole di don Zerai, mi rivolgo alla Commissione perché l’Unione “chieda e pretenda da questo Stato una seria lotta contro il traffico di esseri umani, e l’immediata liberazione dei profughi che si trovano in condizione di schiavitù”».

Il Processo di Khartoum e l’esternalizzazione delle frontiere

Strasburgo, 17 dicembre 2014. Sessione Plenaria. Interventi di Barbara Spinelli sul Processo di Khartoum

Doru-Claudian Frunzulică (eurodeputato, S&D):
Presidente, ogni anno conflitti armati, persecuzioni, mancanza di prospettive economiche, violazioni dei diritti umani, calamità naturali, costringono milioni di persone a lasciare le proprie case nel Corno d’Africa per imbarcarsi in viaggi perigliosi attraverso paesi ostili per raggiungere l’Europa. Durante questo viaggio la speranza per la sicurezza propria e un futuro sono minacciati da gang di criminali, contrabbandieri, trafficanti di esseri umani. Una volta giunti in Europa spesso questi migranti si trovano di fronte alla minaccia dello sfruttamento, dell’esclusione e del razzismo. Noi con la nostra politica dobbiamo cambiare il destino di milioni di persone, e per farlo dobbiamo innanzitutto garantire che le politiche che attuiamo vadano alle radici della migrazione: se sosteniamo le organizzazioni civili e i governi nei paesi in via di sviluppo per promuovere una buona governance e costruire una società più giusta, allora la migrazione finalmente diventerà una scelta individuale e non una costrizione. Dobbiamo ricordare i benefici che i migranti protetti possono comunque apportare nei paesi da cui hanno origine [e] nei paesi in cui si recano. Gestire l’immigrazione può creare nuove opportunità e motivare i giovani ad acquisire le giuste competenze, promuovere uno scambio di conoscenze. La migrazione in futuro è destinata ad aumentare, ma se riusciamo a chiarire a noi stessi e alla pubblica opinione che c’è un nesso tra immigrazione e sviluppo, allora la migrazione non sarà più un problema ma parte della soluzione: grazie all’interconnessione che è emersa nelle conclusioni del Consiglio adottate venerdì scorso, questo è un primo passo importante. Sono lieto e attendo di vedere come saranno attuate queste conclusioni del Consiglio.

Barbara Spinelli (eurodeputata, GUE/NGL, rivolgendo una domanda “cartellino blu” al collega):
Collega, sono d’accordo che bisogna andare alla radice dei problemi ma le vorrei chiedere, quando dice che bisogna aiutare e sostenere i governi da cui vengono i migranti, e che questa è la radice del problema, le voglio chiedere se lei ha presente i paesi da cui questi migranti fuggono: le guerre, la fame, le dittature atroci. Perché non è che vengono così, perché lì non c’è abbastanza sviluppo, vengono perché altrimenti finiscono in galera, o peggio. Grazie.

Doru-Claudian Frunzulică (eurodeputato, S&D, in risposta al Cartellino Blu di Barbara Spinelli):
So perfettamente di che paesi si tratta; come lei sa ci sono programmi dell’Unione europea a favore di questi paesi, e tutti questi programmi dovrebbero in qualche modo essere accompagnati da richieste nei confronti dei governi che rispettino i diritti umani, la democrazia, perché applichino un’economia di mercato etc. Noi dobbiamo aiutare questi paesi affinché essi possano dare ai propri cittadini la ragione di rimanere a vivere in patria.

Intervento di Barbara Spinelli:
Parlerò in nome di tante associazioni che denunciano il Processo di Khartoum, e l’esternalizzazione dei controlli di frontiera in vista di respingimenti contrari alle leggi europee.
Temono soprattutto accordi con la dittatura eritrea da cui oggi fugge il 30 per cento dei 150.000 profughi arrivati in Italia.
Abbiamo già visto come l’esportazione della democrazia sia un disastro, un imbroglio. Anche l’esportazione di migranti in campi concentrazionari in Eritrea o Sudan produrrà disastri, e imposture. [Già abbiamo visto quel che produce negli accordi tra l’Italia di Berlusconi e la Libia, sul rimpatrio dei fuggitivi.]*
Il Processo di Khartoum è descritto dal governo italiano come uno salto di qualità storico. Il “salto” è piuttosto in direzione di nuovi accordi con i paesi di transito per bloccare le partenze con il pretesto di esternalizzare il diritto di asilo. Diritto che già oggi in quei paesi non viene garantito effettivamente, neanche in base alle previsioni più restrittive della Convenzione di Ginevra.

*La frase non è stata pronunciata in aula, per mancanza di tempo.