L’escamotage della democrazia nell’Unione europea

di giovedì, Giugno 29, 2017 0 , , Permalink

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL. Bruxelles, 28 giugno 2017.

Punto in Agenda:

Dibattito Strutturato “Democracy in the EU”, promosso da Nikolaos Chountis e Barbara Spinelli

Abstract in English

Prima di discutere il tema di questa conferenza, vorrei sottoporvi qualche riflessione su ambedue gli aspetti della questione: la democrazia dei governi nei loro rapporti con l’Unione, e la democrazia di quella che significativamente non è chiamata governo ma governance dell’Unione in quanto tale, con le sue istituzioni e le sue politiche sovranazionali. Di fatto siamo alle prese con un sistema politico ibrido, in parte nazionale in parte sovranazionale, e i due aspetti possono difficilmente essere disgiunti. Ma dal punto di vista del funzionamento democratico è utile esaminarli disgiuntamente, perché a entrambi i livelli la democrazia è oggi malata, e più o meno surrettiziamente messa in questione.

In genere le malattie connesse a quest’intrico di poteri sono affrontate ricorrendo al concetto della sussidiarietà, che dovrebbe fornire un equilibrio giusto, cioè democratico, tra quel che si fa a livello nazionale e quel che si decide attraverso le istituzioni o le politiche decise in comune, sul piano sovrannazionale. Ma dobbiamo riconoscere che man mano che la democrazia si esaurisce, il concetto di sussidiarietà si trasforma in pensiero magico, più che logico o razionale. Sappiamo che il pensiero diventa magico, in Freud, quando pretende di trasformarsi in realtà per il solo fatto di essere pensato.

Comincio con la democrazia nell’Unione. Se parlo di messa in questione surrettizia, è perché essa non è chiaramente esplicitata. Di regola, il vizio rende omaggio alle virtù democratiche. Nessuno, nella Commissione o nell’Eurogruppo o nel Consiglio europeo, si azzarderebbe a dire che le elezioni nazionali o i referendum sono una pietra di inciampo, se non di scandalo. La cosa viene però detta tra le righe, senza farsi molti scrupoli: regolarmente, a ogni tornata elettorale importante, la Commissione o il Presidente del Consiglio europeo o la Bce entrano nei giochi elettorali con prese di posizione a favore di questo o quel candidato a governare i Paesi membri. In genere sono candidati dello status quo, giudicati compatibili con le politiche non solo delle istituzioni ma anche dei mercati. Chi non è ritenuto compatibile viene denominato populista.

Gli interventi di questo tipo sono molti, ma ne vorrei citare uno che mi sembra emblematico, risalente ai primi anni della crisi del debito. Mi riferisco a quanto dichiarato da Mario Draghi in una conferenza stampa del 7 marzo 2013, subito dopo un’elezione legislativa in Italia che vide il consolidamento del Movimento Cinque Stelle. Il messaggio fu interpretato come un elogio della democrazia, imprevedibile per definizione: «I mercati sono stati meno impressionati dei politici e di voi giornalisti. Capiscono che viviamo in democrazia. Siamo 17 paesi, ognuno ha due turni elettorali, nazionali e regionali, il che fa 34 elezioni in 3-4 anni: penso sia questa la democrazia, a noi tutti assai cara». Ma Draghi ha detto qualcosa di meno placido e di più contorto, sul voto italiano e le sorprese (brutte o belle dal suo punto di vista) che il suffragio universale può riservare ai mercati, specie nei paesi debitori. Ha dato una forma compiuta e istituzionale a quello che un altro banchiere centrale, l’ex governatore della Bundesbank Hans Tietmeyer, aveva detto fin dal 1998 a proposito della necessaria convivenza, e dell’opportuna equiparazione, tra i due plebisciti: il plebiscito delle urne e il “plebiscito permanente dei mercati internazionali”. Di questi mercati Draghi ha voluto farsi portavoce, spiegando il perché della loro impermeabilità ai verdetti elettorali. Dopo essersi inchinato alla democrazia ha aggiunto, quasi en passant, che l’austerità sarebbe continuata tale e quale, divinamente indifferente a quel che si agita nei bassi mondi. «Dovete considerare – così Draghi ha completato il suo ragionamento – che gran parte delle misure italiane di consolidamento dei conti continueranno a procedere con il pilota automatico». Il Pilota Automatico è qualcosa di liscio e di impenetrabile, che comporta se necessario un’abdicazione delle democrazie. Nel discorso di Draghi, il “permanente plebiscito dei mercati mondiali” prende infine il sopravvento sulle sovranità popolari. L’erosione delle costituzioni nei singoli Stati membri è frutto di questo nuovo rapporto di forze: nelle istituzioni europee come negli Stati membri, i poteri degli esecutivi tendono ad accentrarsi, divenendo preminenti. Non stupisce che Emmanuel Macron, eletto Presidente di una delle costituzioni più autocratiche dell’Unione, sia descritto dalle élite come un Messia.

Il primo marzo scorso in plenaria il Presidente Juncker ha detto una cosa simile, nel descrivere il White Paper sull’avvenire dell’Unione: “Il futuro dell’Europa non può divenire ostaggio dei cicli elettorali, delle politiche partitiche o delle vittorie di breve periodo”. Il che è come dire: l’Unione non può esser prigioniera di uno strumento paralizzante e potenzialmente devastante come il suffragio universale. Si è perfino avventurato in considerazioni storico-filosofiche: “L’Europa è sempre stata una scelta deliberata: una scelta che va difesa dagli attacchi di chi non vuol capire la Storia”. Una conclusione stupefacente, detta da un liberale. Che io sappia, il pensiero liberale classico non contempla questo genere di fideismo storico. Non dovrebbe esistere chi sta dentro e chi fuori dalla Storia, essendo la Storia qualcosa di completamente imprevedibile, che non marcia provvidenzialmente verso il migliore dei mondi possibili. Eppure sentiamo spesso i partiti della conservazione fare questa distinzione fra chi sta fuori e chi dentro la cosiddetta Storia: il pensiero dogmatico e ideologico ha ormai radici ben salde nei partiti che occupano le forze di centro del nostro emiciclo.

A ciò si aggiunga una considerazione, concernente la democrazia dentro l’Unione. Alcuni Paesi sono con ogni evidenza più eguali degli altri: il Parlamento tedesco può bloccare le politiche europee, i Parlamenti di altri paesi no. La Corte costituzionale tedesca può determinare il corso delle politiche europee e fissarne i limiti dettati dalle democrazie nazionali, la Corte portoghese non può mettere in questione nemmeno due paragrafi del memorandum di austerità (sentenza del 5 aprile 2013). Alla Grecia viene chiesto dalla Commissione di adattare le leggi nazionali alle politiche di rimpatri forzati di migranti verso la Turchia (per fortuna il governo greco ha risposto negativamente a questa domanda, per il momento). Ad altri Stati più potenti non è possibile fare richieste del genere.

Il secondo punto è la mancanza di democrazia delle istituzioni, e come ho detto il tema non è disgiunto dal primo. L’offensiva contro il suffragio universale e le sovranità popolari ha per forza di cose ripercussioni sulle politiche decise dalle istituzioni. Per meglio renderle invulnerabili, per evitare che il futuro dell’Unione sia preso in ostaggio dalle pratiche del suffragio universale, occorre che tali politiche siano il meno possibile sorvegliate, trasparenti, controllate ed eventualmente refutate: dai Parlamenti, dai referendum nazionali, o anche dal Parlamento europeo. L’accordo obbligatorio del Parlamento europeo sui Trattati tra Unione e Paesi terzi è evitato addirittura con escamotage semantici (è il caso dell’accordo con la Turchia sulla migrazione, chiamato furbescamente “statement” e non equiparabile dunque a un trattato su cui Il Parlamento avrebbe legalmente l’ultima parola). Oppure è evitato negando il coinvolgimento diretto in tali trattati o statement delle istituzioni UE, e sottraendo queste ultime ai giudizi della Corte di giustizia, non abilitata a giudicare accordi bilaterali di rimpatri di migranti. Lo stesso si può dire per quanto riguarda la conformità dei memorandum sull’austerità alle prescrizioni della Carta dei diritti fondamentali: anche qui si pratica l’escamotage, con la scusa che gli accordi sono stipulati tra il governo greco e i creditori, anche se questi ultimi si fanno rappresentare nei negoziati da istituzioni comuni europee come la Commissione e la Banca centrale europea, accanto al Fondo Monetario internazionale (a suo tempo la cosiddetta Troika).

Quanto alla Commissione, i suoi richiami alla democrazia e alla propria legittimità democratica sono costanti e poco credibili: tanto più costanti quanto meno credibili, si direbbe. La procedura dello Spitzenkandidat nelle elezioni del Parlamento non democratizza veramente l’istituzione, visto che il governo dell’Unione pretende di essere un governo tecnico e dunque senza mandato popolare, una volta passate le elezioni e le audizioni del Commissari. Basti ricordare la risposta che il Commissario al Commercio Cecilia Malmström diede nel 2015 a John Hilary, che l’interrogava sulle proteste popolari crescenti contro il TTIP: “Non ricevo il mio mandato dal popolo europeo – I do not take my mandate from the European people“. La cosa è aggravata dall’emendamento che Juncker vuole imporre alle regole di condotta della Commissione, nelle elezioni del Parlamento europeo: i Commissari possono candidarsi senza dover uscire dalla Commissione. Se accettato, l’emendamento contribuirà a politicizzare la Commissione e a de-politicizzare al tempo stesso lo scrutinio europeo e il Parlamento stesso.

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L’unico ricorso è spesso solo giuridico: Corte di giustizia e Corte europea dei diritti dell’uomo. Tanto più significativa la sentenza emessa il 10 maggio scorso dalla Corte di giustizia a Lussemburgo su un’Iniziativa Cittadina – “Stop TTIP” – che la Commissione aveva giudicato irricevibile.

Per questi motivi sono contraria a una fuga dall’Europa verso le sovranità nazionali assolute. Può darsi che la storia andrà in questa direzione, ma al momento la struttura decisionale dell’Unione resta un ibrido, composto di elementi nazionali e sovranazionali. L’Altra Europa cui aspiriamo deve democratizzarsi su ambedue i livelli.

Abstract in English

Democracy in the Union and of the Union: necessity to distinguish the two levels of decision making, as the political structure of the Union is an hybrid and constitutional democracy is today threatened on both “governmental” levels.

Democracy in the Union:

what we are facing today is a double erosion: erosion of the constitutions in the Member States (centralisation and preeminence of the executives) and of the popular sovereignties (growing calling in question of the universal suffrage, as expressed in elections and referenda).  Direct involvement in electoral competitions of the Commission and the ECB. The old dichotomy between the “plebiscite” of the national elections and the “permanent plebiscite of the international markets”, suggested as a viable formula in 1998 by Hans Tietmeyer, at the time President of the Bundesbank, has given way to the explicit preeminence of the second “plebiscite”: the constant plebiscite of the financial markets. (Examples).

Democracy of the Union:

what we are facing is a progressive shirking of responsibilities by the EU institutions. The increasing power of such institutions goes hand in hand with a deliberate loss of responsibility not only from a political point of view but also from a judicial one. Such power without responsibility is implemented through semantic and political escamotages and explains the growing disrespect – in EU policies –  of the Charter of fundamental rights, the Convention of human rights, the Court of justice, the European Court of human rights. An evidence of such democratic retrogression is given by the way the Commission denies its involvement and accountability in the austerity memoranda or in the stipulations of international agreement like the EU-Turkey deal or the negotiations on TTIP or Ceta. (Examples).

L’Onu e il rimpatrio di migranti in Libia

Bruxelles, 22 giugno 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione parlamentare Libertà civili, giustizia e affari interni – LIBE.

Punto in agenda:

Seguito della Dichiarazione di New York: scambio di opinioni sul Global compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare

  • Scambio di opinioni con Louise Arbour, rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la migrazione internazionale

Grazie Presidente.

La mia domanda riguarda gli accordi europei di rimpatrio di migranti e rifugiati, specie in Libia e con particolare riferimento ai recenti incidenti avvenuti nelle operazioni di soccorso delle guardie di costiere libiche in acque internazionali, e non solo in quelle della Libia.

Quello che vorrei chiedere alla Signora Louise Arbour è di riferirci la posizione dell’ONU sui programmi di training e formazione delle guardie costiere libiche. Il 20 giugno Martin Kobler, rappresentante speciale dell‘ONU in Libia, è intervenuto nella Commissione affari esteri e si è detto estremamente preoccupato per la decisione UE di formazione di tali guardie costiere, invitando i parlamentari europei a guardare su YouTube i video che dimostrano come vengono trattati i migranti nelle operazioni di search and rescue effettuate dalle guardie costiere libiche che teoricamente dovrebbero avere il compito di salvare i migranti e rimpatriarli in Libia. I video mostrano immagini di violenza di guardie costiere armate e di migranti che vengono rigettati in mare, agendo chiaramente in violazione di diritti fondamentali, dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali. Sono preoccupata soprattutto perché l’Italia è all’avanguardia nell’operazione di formazione delle guardie costiere libiche. Mi piacerebbe conoscere la sua opinione a riguardo.

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Nella sua risposta, Luise Arbour non ha preso posizione ma si è ripromessa di indagare la situazione in occasione di una sua imminente missione a Roma.

Le critiche a Israele non sono antisemite

Barbara Spinelli è intervenuta nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo del 31 maggio 2017 in qualità di relatore – per il Gruppo GUE/NGL – della Risoluzione sulla lotta contro l’antisemitismo sottoscritta dai Gruppi GUE/NGL e Verdi/ALE, presentata in alternativa alla risoluzione maggioritaria su cui si è votato l’1 giugno (la risoluzione GUE/NGL-Verdi/ALE non è stata votata).

Il Parlamento europeo ha adottato la proposta di risoluzione dei gruppi PPE, S&D e ALDE e ha rigettato gli emendamenti proposti da GUE/NGL e Verdi/ALE che chiedevano:

– Emendamento 1: di introdurre un nuovo considerando C bis all’interno della risoluzione:

«Considerando che qualsiasi definizione di antisemitismo dovrebbe operare una netta distinzione tra l’incitazione, diretta o indiretta, alla violenza, all’odio o all’intolleranza nei confronti degli ebrei e la giustificazione di tali fenomeni, da un lato, e, dall’altro, il legittimo esercizio della libertà di espressione, come la critica delle azioni dello Stato di Israele».

– Emendamento 3: di aggiungere al paragrafo 16, le parole in grassetto:

«Invita la Commissione e gli Stati membri a potenziare il sostegno finanziario per attività mirate e progetti educativi, a sviluppare e consolidare partenariati con le comunità ebraiche e le organizzazioni della società civile e a incoraggiare gli scambi tra bambini e ragazzi di fedi diverse mediante attività in comune, varando e sostenendo campagne di sensibilizzazione in proposito».

Il GUE/NGL e i Verdi/ALE hanno fatto richiesta di votazione per parti separate (split-vote) chiedendo di escludere dal testo originale della Risoluzione le seguenti parti:

– Paragrafo 2: “ad adottare e applicare la definizione operativa di antisemitismo utilizzata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA), al fine” e “e incoraggia gli Stati membri a seguire l’esempio del Regno Unito e dell’Austria in proposito”.

– Paragrafo 13: “in relazione al codice di condotta concordato tra la Commissione e le principali aziende informatiche, a sollecitare gli intermediari online e le piattaforme dei media sociali”. 

Entrambe le richieste sono state rigettate.

È stato invece accolto l’emendamento 2 al paragrafo 3, presentato da GUE/NGL e Verdi/ALE, che al testo originario chiedeva di aggiungere le parole in grassetto:

«Invita gli Stati membri a prendere tutti i provvedimenti necessari per contribuire attivamente a garantire la sicurezza dei propri cittadini ebrei e degli edifici religiosi, scolastici e culturali ebraici, in stretta consultazione e in stretto dialogo con le comunità ebraiche, le organizzazioni della società civile e le Ong impegnate contro la discriminazione». L’emendamento è passato con 302 voti favorevoli, 280 contrari, 51 astenuti).

Il voto finale di Barbara Spinelli sulla risoluzione maggioritaria è stato negativo.

Al dibattito che ha preceduto il voto erano presenti Matti Maasikas, Vice Ministro degli Affari Europei della Repubblica di Estonia, e Věra Jourová, Commissario europeo per la giustizia, i consumatori e la parità di genere.

Intervento di Barbara Spinelli:

«La risoluzione maggioritaria (PPE, S&D, Alde) punta il dito su un fatto innegabile: l’incremento di atti antisemiti in Europa.

Assieme ai Verdi il mio gruppo ne è consapevole, ma è profondamente contrario alla definizione dell’antisemitismo presa in prestito dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto, perché essa tende a includere ciò che non va incluso: le critiche a Israele. Tale inclusione è una trappola micidiale, perché tarpa la libertà d’espressione e l’opposizione di gran parte della diaspora ebraica alle condotte israeliane. Insidiosamente, si suggerisce che la fonte dell’antisemitismo può essere non nello sguardo dell’antisemita, ma nella persona guardata: compreso l’ebreo, se in disaccordo con Israele o magari con il sionismo. Per definire l’antisemitismo, basti dire che è l’ostilità verso l’ebreo in quanto ebreo. Punto.

È un’ostilità che precede di molto la nascita di Israele. Tutti gli Europei che hanno memoria di sé lo sanno (in Germania, Francia, Italia, Austria, Polonia).

Vi prego di esaminare gli emendamenti che abbiamo presentato con i Verdi. La nostra intenzione è quella di dar voce alle tante associazioni ebraiche critiche di Israele. È anche il tentativo di combattere tutte le xenofobie – islamofobia, antiziganismo – perché sempre l’antisemitismo è precursore di altre fobie o stigmatizzazioni».

Documenti allegati:

risoluzione del Parlamento europeo del 1° giugno 2017 sulla lotta contro l’antisemitismo;

proposta di risoluzione sulla lotta contro l’antisemitismo dei Gruppi GUE/NGL-Verdi/ALE

emendamenti del GUE/NGL e dei Verdi/ALE presentati alla risoluzione sulla lotta contro l’antisemitismo redatta dai gruppi PPE, S&D e ALDE;

lista di voto con risultato delle votazioni per appello nominale, con indicazione degli split-vote presentati dai Gruppi GUE/NGL e Verdi/ALE;

parere legale sulla definizione di antisemitismo adottata dall’International Holocaust Remembrance Alliance.

Si veda anche:
We must stand against anti-Semitism while maintaining the right to be critical of the Israeli state (Comunicato stampa Gue/Ngl)

Il grande inganno delle ricollocazioni

di martedì, Maggio 16, 2017 0 , , , , Permalink

COMUNICATO STAMPA

Strasburgo, 16 maggio 2017. Barbara Spinelli è intervenuta nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo sul punto in agenda “Far funzionare la procedura di ricollocazione”, a seguito delle Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione e alla presenza del Commissario europeo per la Migrazione, gli affari interni e la cittadinanza Dimitris Avramopoulos.

«Non è la prima volta che questo Parlamento chiede agli Stati membri di rispettare gli impegni di ricollocazione, e alla Commissione di smettere l’ottimismo in cui da troppo tempo si compiace. Agli Stati membri chiediamo anche di evitare i sotterfugi: penso al rifiuto di ricollocare i migranti giunti in Grecia dopo il 20 marzo 2016, all’indomani dell’accordo con la Turchia. Un rifiuto illegale, secondo la Corte dei Conti.

Per parte mia aggiungo una considerazione. La ricollocazione stessa rischia di essere un inganno,se abbinata all’“approccio hotspot” e alla decisione di ritrasferire in Grecia e Italia, sulla base del sistema Dublino, i migranti recatisi in altri Paesi. Messe insieme, tali misure minano l’abilità della Grecia e dell’Italia di gestire i flussi di rifugiati e migranti.

Per quanto riguarda l’Italia, nel 2015-2016 vi sono stati 5.049 trasferimenti Dublino e 3.936 ricollocazioni. Cioè: più persone sono state rispedite in Italia di quante ne siano state trasferite dall’Italia. La ricollocazione è necessaria ma non basta. La verità è che la Commissione sta facendo di tutto per aiutare Italia e Grecia a perfezionare un sistema sbagliato, che perpetua situazioni divenute insostenibili.

«Vorrei chiedere  a chiunque parli delle ONG come di un pericolo e di un “pull factor” di fornire le prove di quello che dice, perché le ONG sono sotto attacco in maniera molto disonesta».

Brexit: I cittadini vulnerabili rischiano di non riprendere il controllo cui aspirano, ma di perderlo

di mercoledì, Aprile 5, 2017 0 , , Permalink

Strasburgo, 5 aprile 2017. Barbara Spinelli è intervenuta nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo in qualità di co-relatore della Proposta di Risoluzione del gruppo GUE/NGL sui negoziati con il Regno Unito a seguito della notifica della sua intenzione di recedere dall’Unione europea.

Nel corso delle votazioni, il Parlamento ha approvato, con 516 voti a favore, 133 contrari e 50 astenuti, la Risoluzione comune presentata dai Gruppi PPE, S&D, ALDE, GUE/NGL e Verdi/ALE.

Di seguito l’intervento:

«Sono d’accordo con l’impianto della risoluzione congiunta, anche se non contiene le autocritiche che avrei desiderato. Ma nella difesa dei diritti dei cittadini è più precisa delle linee guida del Consiglio europeo.

La nostra battaglia parlamentare comincia oggi, e spero che tutti saremo vigilanti su due punti cruciali: i diritti dell’Irlanda del Nord, garantiti dal Good Friday Agreement, e quelli di milioni di cittadini che vivono nel Regno Unito, provenienti dall’Unione o no.

In Irlanda sono in gioco la pace o la guerra. Per i cittadini sono in gioco i fondamenti normativi dell’Unione. Preferisco parlare di fondamenti normativi più che di valori, troppo soggettivi dunque opinabili.

Il Brexit da questo punto di vista mi preoccupa. Milioni di cittadini europei nel Regno Unito, e di britannici nell’Unione, rischiano di perdere diritti fondamentali – sia sociali che civili – attualmente garantiti dal diritto europeo. Uno degli scopi del Brexit è il Great Repeal Bill: che cancellerà tale diritto, creerà un’economia ancora più sregolata, e potrebbe preludere all’uscita dalla Convenzione dei diritti dell’uomo.

Ecco un equivoco della campagna sul Brexit: i cittadini vulnerabili rischiano di non riprendere il controllo cui aspirano, ma di perderlo. Solo a una condizione vedranno tutelati precisi diritti acquisiti: che questi ultimi non diventino merce di scambio, e che siano iscritti nero su bianco nell’accordo di recesso. Spetta a questo Parlamento dare certezze legali e fiducia agli Irlandesi del Nord e ai cittadini impauriti. Spetta a noi capire i nostri errori, e costruire un’Unione sociale che eviti il rigetto di tanti suoi cittadini, e una fuga dall’Europa che dovremo prima o poi cercare di comprendere».

Materiali:
Risoluzione GUE/NGL
Risoluzione comune (testo presentato per il voto)

Le accuse rivolte alle Ong che fanno soccorso umanitario nel Mediterraneo rispondono a direttive politiche degli Stati membri?

COMUNICATO STAMPA

Bruxelles, 22 marzo 2017

Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nello scambio di opinioni con Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex, nel corso del “Dibattito congiunto sulle attività volte a rendere pienamente operativa la guardia di frontiera e costiera europea” che si è svolto oggi a Bruxelles, nella Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo.

«C’è un punto specifico del Rapporto Risk Analysis for 2017 che mi preoccupa e mi è poco chiaro. Mi riferisco al paragrafo 6.1 a pagina 32, dedicato alle operazioni di Ricerca e Salvataggio nel Mediterraneo centrale, in cui le Ong vengono indicate come elementi di pull factor nelle migrazioni. Secondo Frontex, le loro operazioni di Search and Rescue aiuterebbero, pur in maniera non intenzionale, i trafficanti e i criminali. Questa affermazione mi preoccupa e vorrei sapere se ci sono direttive politiche degli Stati membri in tal senso, dal momento che in Italia la Procura di Catania sta facendo indagini sulle Ong basandosi sullo stesso tipo di considerazioni, e in Belgio il ministro della migrazione Theo Francken ha accusato Medici Senza Frontiere di causare morti nel Mediterraneo».

Celebrazioni europee fuori luogo

Strasburgo, 15 marzo 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo.

Punto in agenda:

Conclusioni della riunione del Consiglio europeo del 9 e 10 marzo, inclusa la dichiarazione di Roma

Dichiarazioni del Consiglio europeo e della Commissione

Presenti al dibattito:

Donald Tusk – Presidente del Consiglio europeo

Jean-Claude Juncker – Presidente della Commissione europea

Paolo Gentiloni – Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana

Louis Grech – Presidente in carica del Consiglio dell’Unione Europea e Vice Primo Ministro della Repubblica di Malta

Siccome non mi sento di celebrare, né sono oggi fiera dell’Unione, posso dire solo quello mi augurerei si dicesse e facesse, in quest’anniversario.

Mi piacerebbe che l’Unione riconoscesse gli errori che ha fatto, da quando è iniziata la crisi. Che desse assoluta priorità alla giustizia sociale e a un New Deal di grandi dimensioni, perché solo così convincerà i cittadini sempre più disgustati dalle nostre istituzioni.

Mi piacerebbe che smettesse di chiamare populisti tutti coloro che non ottenendo un vero cambio di marcia sentono disgusto, e paura.

Mi piacerebbe che l’Unione cominciasse a pensarsi come terra d’immigrazione, e smettesse di scaricare sull’Africa questioni che noi non sappiamo risolvere, se non con muri e prigioni per rifugiati. Sembrerà un’utopia, ma non dimentichiamo che anche l’unione era, in piena guerra, un’utopia di pochi.

Brexit e le minacce alla libera circolazione

Bruxelles, 1 marzo 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo.

Punto in agenda:

  • Violazione degli attuali diritti di libera circolazione dei cittadini europei che risiedono nel Regno Unito e ricorso a provvedimenti di allontanamento dopo sei mesi

Interrogazione orale 

Presenti al dibattito:

Věra Jourová – Commissario europeo per la giustizia, i consumatori e la parità di genere

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di co-autrice dell’interrogazione orale.

Se ci rivolgiamo alla Commissione con questa interrogazione è perché vogliamo dare voce ai più di 3 milioni di cittadini europei che vivono in Inghilterra, e al milione e più di cittadini britannici che vivono nell’Unione. L’ansia degli uni e degli altri è grandissima, e i loro diritti di circolazione, di soggiorno, di lavoro dovranno essere garantiti nella maniera più dettagliata nel futuro accordo di recesso.

Contrariamente a quanto affermato dai fautori del Brexit infatti, sarà estremamente difficile far valere i loro diritti acquisiti. Molte menzogne sono state raccontate in occasione del referendum sulle possibilità di appellarsi alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo o al diritto internazionale, troppo silenziosi e reticenti sono stati su questo punto i fautori del Remain, ed è cruciale che almeno la Commissione parli chiaro.

La House of Lords lo ha già detto in modo inequivocabile: in assenza di accordo negoziato, le conseguenze della perdita dei diritti di cittadinanza europea saranno severe.

Per questo è importante sapere come la Commissione intenda procedere, per far fronte alle infrazioni di cui il Regno Unito si è reso responsabile, negli ultimi anni, con leggi molto restrittive sulla residenza dei cittadini europei in Inghilterra. Fino al giorno in cui si raggiungerà un accordo di separazione il Regno Unito è soggetto al diritto europeo, alla Direttiva sulla libera circolazione, e deve dunque rispondere delle eventuali sue violazioni unilaterali, allo stesso modo in cui sono obbligati a farlo tutti i Paesi membri. Fino ad allora, non potrà limitarsi a dire che l’Inghilterra farà entrare dall’Unione solo “the brightest and the best”, oltre naturalmente i più benestanti, come si ripromette di fare dopo l’uscita.

Tajani e il refoulement dei migranti in Libia

Bruxelles, 1 marzo 2017

Barbara Spinelli è intervenuta all’inizio della miniplenaria del Parlamento europeo per chiedere chiarimenti a nome del gruppo Gue-Ngl sull’intervista rilasciata da Antonio Tajani al gruppo di stampa tedesco Funke Mediengruppe, in cui il neo eletto Presidente del Parlamento europeo ha sostenuto la necessità di tenere migranti e rifugiati nei campi di detenzione libici per un periodo di tempo indefinito. 

Nella sua risposta, il Presidente ha dichiarato di non aver auspicato la costruzione di campi di concentramento: un’accusa mai formulata da Spinelli, e purtroppo ripresa da alcuni giornali internazionali.

Di seguito l’intervento in aula:

«Mi rivolgo a lei, Presidente, appellandomi all’articolo 22 del regolamento, perché sono stupita da quanto ha detto ieri alla stampa tedesca sugli accordi di rimpatri in Libia. Senza che il Parlamento ne avesse ancora discusso, e conoscendo le obiezioni di tanti deputati, si è dichiarato favorevole a campi di detenzione in Libia, dove migranti e rifugiati potranno essere rinchiusi – cito – “anche per anni”.

Il mio gruppo, ma non solo, è contrario all’accordo. Anche l’Alto Commissariato Onu per i diritti dell’uomo ritiene la Libia uno Stato non sicuro dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. Nell’intervista Lei dice che non dovranno essere campi di concentramento, e ci mancherebbe! Non so però come l’Unione possa garantirlo, non essendo la Libia un protettorato. Sono stupita perché a suo tempo Lei promise di essere un Presidente imparziale, rispettoso delle diversità di quest’aula. Temo sia una promessa non mantenuta».

Si veda anche:

Tajani’s position on locking up refugees in Libya condemned by GUE/NGL

Fiscal Compact nei Trattati: un’Unione al riparo del suffragio universale

Strasburgo, 16 febbraio 2017, Voto del Parlamento europeo sulla Relazione “sulla possibile evoluzione e l’adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea” (Relatore Guy Verhofstadt – ALDE), sulla Relazione “sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso – S&D, Elmar Brok – PPE) e sulla Relazione “sulla capacità di bilancio della zona euro” (Relatori Reimer Böge – PPE, Pervenche Berès – S&D)

 Le relazioni sono state approvate con le seguenti maggioranze:

Relazione Verhofstadt: 283 favorevoli, 269 contrari, 83 astenuti

Relazione Bresso-Brok: 329 favorevoli, 223 contrari, 83 astenuti

Relazione Böge-Berès: 304 favorevoli, 255 contrari, 68 astenuti

Dichiarazione di Barbara Spinelli, Relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL delle Relazioni Verhofstadt e Bresso-Brok

«Oggi il Parlamento europeo ha approvato quello che viene comunemente soprannominato “Pacchetto sul futuro dell’Unione”. Si tratta di una triade di Relazioni – Relazione Bresso-Brok, Relazione Verhofstadt, Relazione Böge-Berès – tra loro strutturalmente e politicamente interconnesse. Come relatore ombra delle due relazioni istituzionali (Verhofstadt e Bresso-Brok) ho consigliato al mio gruppo un voto contrario. Ambedue le relazioni confermano in effetti che la maggioranza del Parlamento (anche se una maggioranza risicata, nel caso della relazione Verhofstadt) nulla ha imparato dalla crisi dell’Unione.

L’obiettivo di tutte e tre le relazioni è quello di dar vita a una struttura decisionale che sia il più possibile al riparo dagli azzardi del suffragio universale: nelle scelte economiche, migratorie, della politica estera e di difesa. Si spiega così la richiesta di inserire nei Trattati il Fiscal Compact: una politica socialmente rovinosa, che ha profondamente diviso e indebolito l’Unione. Alcuni nel gruppo socialista e liberale l’hanno fatta propria nell’illusione falsamente federalista di “comunitarizzare” un Patto di Stabilità che pure giudicano nefasto: è un compromesso con la loro coscienza che non ha rapporto alcuno con la realtà vissuta dai cittadini europei, e che è dunque puramente ideologico.

Il tentativo da me intrapreso di cancellare tale inserimento, attraverso specifici emendamenti, non ha trovato il consenso di un numero sufficiente di deputati socialisti, che si aggiungesse alle domande del Gruppo GUE-NGL e del Movimento 5 Stelle. Cosa stupefacente se si considera che personalità di spicco del PD (e in primis il sottosegretario Sandro Gozi) continuano a dire – almeno dal dicembre scorso – che il Fiscal Compact non deve essere iscritto nei Trattati».

Si veda anche:

Strasburgo, 14 febbraio 2017: intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo