Ancora manca un Mare Nostrum

Bruxelles 16 luglio 2015. Intervento di Barbara Spinelli in occasione della Riunione della Commissione Parlamentare per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Punto in Agenda: Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione

Co-relatori: Roberta Metsola (PPE – Malta), Kashetu Kyenge (S&D – Italia)

  • Esame dei documenti di lavoro sulla solidarietà e sull’accesso sicuro e legale (“working papers” dei relatori ombra Cecilia Wikström [ALDE – Svezia] e Judith Sargentini  [Greens/EFA – Paesi Bassi])

 

Cari colleghi,

ringrazio gli autori per il lavoro svolto su questi importanti working documents. Come stabilito, invierò a breve le raccomandazioni del mio gruppo a riguardo.

Vengo ora ai temi del dibattito.

Innanzitutto, il working document sulle vie di accesso sicure e legali per i richiedenti asilo. Ritengo che queste ultime siano l’unico strumento possibile per rendere del tutto impotente il fenomeno dello smuggling.

Tenuto conto della riforma in corso del codice dei visti, vorrei venissero incluse forti garanzie per i richiedenti asilo: mi riferisco in particolare alle condizioni di ammissibilità, di rilascio del visto, al diritto di appello e, soprattutto, a un cospicuo rafforzamento delle clausole attinenti i visti umanitari. Sono consapevole del fatto che è in corso un negoziato difficile con Commissione e Consiglio, ma ritengo comunque importante – come ricordato da Judith Sargentini – che tali visti diano accesso a tutto lo spazio Schengen.

Per quanto attiene al working document sulla solidarietà, considero di prioritaria importanza che le procedure di riconoscimento dello status di beneficiario di protezione internazionale abbiano, come criterio portante, la volontà dei richiedenti asilo riguardo alla scelta dello Stato di accoglienza, e solo secondariamente le loro eventuali qualifiche. Questo dovrebbe avvenire anche per le procedure di reinsediamento, di ricollocamento e per la normale procedura d’asilo.

Parlando di solidarietà, non possiamo dimenticare i tanti morti dello scorso 18 aprile. In molti abbiamo chiesto che venisse intensificata l’attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Abbiamo chiesto all’Unione di modificare il mandato della missione Triton e il limite di 30 miglia marine posto ai soccorsi. Pareva che navi tedesche, inglesi e irlandesi avessero dato vita a una missione umanitaria – una sorta di Mare Nostrum europeo – ma i tempi d’impegno erano circoscritti a poche settimane. Dall’inizio di luglio stanno riprendendo a poco a poco le morti in mare. Stando a quanto ci hanno riportato alcune nostre fonti in Italia, sono già avvenuti due nuovi naufragi a distanza di pochi giorni, davanti al confine tra Libia e Tunisia, e a soccorrere i naufraghi c’erano solo le unità della Guardia costiera italiana.

Combattenti stranieri e terrorismo: critiche a Rachida Dati

Bruxelles, 16 luglio 2015. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di Relatore ombra, in occasione della Riunione della Commissione Parlamentare per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Punto in Agenda: Prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche

Relatore: Rachida Dati (PPE – Francia)

Grazie alla collega Rachida Dati per il lavoro delicato e difficile che sta svolgendo.

Capisco la difficoltà di tale lavoro. Io stessa, in qualità di relatore ombra del mio gruppo, ho chiesto il parere a 14 ONG e ne ho esaminato i relativi rapporti. Dalla maggior parte di essi emergono le stesse preoccupazioni, focalizzate su tre punti cruciali.

Primo punto sottolineato dalle Ong: il Rapporto Dati è incentrato su misure di carattere repressivo piuttosto che preventivo;

Secondo punto: un gran numero di attacchi non proviene da combattenti stranieri, come lascia intendere il Rapporto, ma nasce nel cuore delle nostre società e delle nostre periferie urbane;

Terzo punto: il Rapporto riguarda quasi esclusivamente i cosiddetti “radicalizzati religiosi”, con il rischio che questo possa condurre, anche involontariamente, a forme di stigmatizzazione religiosa.

Vorrei ricordare, a tale proposito, due recenti rapporti redatti da Europol sugli attacchi terroristici violenti perpetrati nel 2013 e 2014. Secondo Europol, nel 2013 solo 2 attacchi su 152 erano motivati da “radicalizzazione” o estremismo religioso. Lo stesso vale per il 2014: la maggior parte degli attacchi non è stata di natura religiosa.

È il motivo per cui la mia preferenza anche linguistica – su questo sono completamente d’accordo con quanto detto prima di me dalla collega Sophie Int’ Veld [Alde, NdR] – va a termini più precisi, anche se apparentemente generici. Meglio parlare di “estremismo violento” piuttosto che, genericamente, di radicalismo o fondamentalismo: il fondamentalista o “radicale” può anche essere non violento e non dovrebbe, quindi, essere stigmatizzato solo sulla base delle sue convinzioni.

Ho concentrato la mia attenzione e gli emendamenti che ho proposto a nome mio e del mio gruppo sul ruolo che l’esclusione sociale e la ghettizzazione urbana hanno nel marginalizzare persone tendenzialmente vulnerabili, facendole sentire estranee alla società, se non addirittura reiette in questa “nostra” Unione europea.

Mi sono inoltre opposta alla segregazione nelle prigioni, suggerita nel Rapporto di iniziativa. Prendo atto che il relatore ha idee meno punitive e più sofisticate in materia, come ribadito in una precedente sessione di questa Commissione parlamentare e ancora una volta oggi. Fatto sta che in tutte le lingue in cui il suo Rapporto viene tradotto la parola è segregazione o isolamento. Quindi bisogna veramente, secondo me, trovare un termine più preciso e inequivocabilmente diverso da quello impiegato (segregazione carceraria, celle di isolamento). Il lessico ha la sua rilevanza e sarebbe quindi necessario trovare un accordo su una parola di compromesso.

Mi sono inoltre opposta a controlli estesi o censura dei contenuti internet. Il nostro gruppo è particolarmente sensibile in materia e, a nostro parere, ogni meccanismo di controllo e/o censura andrebbe esaminato con riferimento alle sue conseguenze sul diritto alla libertà di espressione e di informazione.

Nel settore dell’educazione ho raccomandato la promozione di corsi sulla tolleranza e sul rispetto della diversità.

Per quel che riguarda una questione che mi sta specialmente a cuore, cioè la cooperazione giudiziaria con Stati terzi, ho chiesto che qualsiasi accordo abbia quale condizione irrinunciabile il rispetto da parte degli Stati in questione degli standard europei in materia di diritti fondamentali, se non di standard più alti di quelli europei.

Infine, ho chiesto di eliminare qualsiasi sovrapposizione tra migrazione e terrorismo, e mi sono opposta a ogni profiling etnico o razziale.

Mi auguro naturalmente che qualche compromesso possa essere raggiunto, quantomeno sul piano lessicale, e spero in ogni caso che i miei emendamenti, o almeno una gran parte di essi, siano presi in considerazione.

Il Gue non riesce a fermare il PNR europeo

Bruxelles, July 15, 2015

Today the EP LIBE committee voted through the infamous EU PNR proposal, with an unholy alliance of EPP, ECR and some Liberals and Social-democrats, who were heavily lobbied by their governments to vote in favour of yet another mass data collection measure in the so-called fight against terrorism. The final vote was 32 in favour, 27 against and 4 abstentions.

Our Group has opposed this measure from its very inception, as it has never been showed that such far-reaching bulk data collection measures are indeed necessary and proportionate to the stated objectives, while they are a clear infringement on the fundamental rights to privacy and data protection of all citizens. We also demanded to stop the negotiations of this file until we hear back from the European Court of Justice on the compatibility of the EU-Canada PNR agreement with the fundamental rights charter.

Even after the initial rejection of this proposal in 2013 by the EP Civil Liberties Committee and in light of the European Court of Justice judgment annulling the infamous data retention Directive, arguing that untargeted mass collection of personal data is a violation of fundamental rights, the Commission never withdrew its proposal. After the horrible Charlie Hebdo attacks in January 2015, the right-wing has shamelessly used these attacks as a false justification for the necessity of this EU PNR model, even though it was clear that the perpetrators were known to various Member States but the information was not properly exchanged. Lack of cooperation between intelligence agencies was the problem here, not lack of data.

The currently adopted report makes it obligatory for Member States to collect the personal flight data (including credit card info, address, email, telephone number, food preferences etc) of all passengers flying into, our of or through EU territory. This is an outright attack on the right to personal data protection and the presumption of innocence, as it allows collecting the personal data of any passenger, without the requirement that they are officially suspect in any specific ongoing investigation on terrorist activity or serious transnational crime. Furthermore, the PNR data will be stored for a period of 5 years, and can be easily obtained by third countries with lower data protection standards than the EU or the EU agency Europol which can then share it with other ‘partners’, which means personal data of EU citizens risks at being scattered all around the globe with little or no protection or judicial remedies.

Today’s vote has once again shown that the right-wing and centre parties do not care about citizen’s rights, nor about the fundamental legal safeguards aiming at protecting these rights but blindly follow those who thrive on popular fear-driven rhetoric.

Our Group will continue to oppose this measure during trilogues, and hope we can still reject this in Plenary.

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Olivier WINANTS

Policy Advisor
United European Left Group (GUE/NGL)
Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs
European Parliament

I costi delle politiche della Fortezza Europa

Bruxelles, 2 Luglio 2015. Discussione nella Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni sui “fondi europei destinati agli affari interni nel contesto delle migrazioni e dello sviluppo, ivi compresi i fondi di emergenza”.

Il dibattito si è svolto nel quadro del rapporto di iniziativa del Parlamento Europeo sulla “Situazione nel Mediterraneo e la necessità di una visione olistica dell’immigrazione da parte dell’UE”. Hanno presentato rapporti i seguenti oratori:

– Prof. dr. Jörg Monar, rettore del Collegio d’Europa, Bruges;

– H. J. Koller, capo dell’Autorità responsabile, ministero della Sicurezza e della Giustizia dei Paesi Bassi;

– Gabriel Barbatei, capo dell’unità per l’attuazione dei programmi appartenente all’ispettorato generale per l’immigrazione.

Intervento di Barbara Spinelli:

“Come relatore ombra del gruppo GUE/NGL, vorrei presentare alcuni punti riguardanti non solo i costi delle politiche di accoglienza, ma anche quelli legati alla chiusura delle frontiere, in corso nell’Unione.

Comincio dai Fondi dedicati alle politiche europee di contrasto dell’immigrazione “irregolare”. Politiche che si traducono sempre più in carcerazioni, respingimenti, rimpatri forzati, e che hanno un costo molto elevato del quale si parla assai poco. Si preferisce guardare ai costi dell’accoglienza e dell’inclusione, per lamentare un presunto danno al sistema di welfare. Eppure nel 2014 sono stati identificati 441mila migranti irregolari, nel territorio dell’Unione. Di questi, 252mila hanno ricevuto un provvedimento di espulsione e 161mila sono stati realmente rimpatriati. I respingimenti sono stati 114mila.

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Prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche

Bruxelles, 16 giugno 2015. Riunione della Commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Prevention of radicalisation and recruitment of European citizens by terrorist organisations (Discussione sul rapporto di iniziativa presentato da Rachida Dati, Mep PPE)

Intervento di Barbara Spinelli, “relatore ombra” per il GUE-NGL

Ringrazio innanzitutto Rachida Dati per il suo rapporto ampliamente argomentato e per alcuni punti importanti che sottolinea: i contatti essenziali con le vittime, il riconoscimento dato alle ONG e agli attori della società civile e anche la conclusione su prevenzione e repressione. Ma, su quest’ultimo punto, sorgono alcuni miei dubbi e propongo suggerimenti migliorativi.

Il dubbio riguarda l’impostazione generale, che contraddice la premessa iniziale del rapporto, volta alla prevenzione e contraria alla repressione. La risoluzione sembra invece unificare i due elementi, per cui alla fine ci troviamo di fronte ad una sorta di “repressione preventiva” che appare come qualcosa di inquietante, che ricorda per molti versi la caccia al potenziale assassino nel film Minority Report.

Vengo ora a punti più precisi:

1) La radicalizzazione nelle prigioni.

Ho alcuni dubbi riguardo alla creazione di una “segregazione” all’interno delle prigioni, a un ghetto dentro ad un altro ghetto. E’ un’esperienza che conosco bene in Italia; la legge di segregazione 41bis viene applicata ai mafiosi più pericolosi e non ritengo si possa applicare a quello che riteniamo un terrorista “potenziale”, quindi a qualcuno che non ha ancora compiuto reati.

2) La prevenzione della radicalizzazione su internet.

Ho preoccupazioni in proposito e penso che il controllo di internet sia sempre una questione molto spinosa. Lei definisce internet “campo virtuale dei terroristi radicali”. E’ una frase che mi ricorda quanto detto qualche giorno fa dallo scrittore Umberto Eco: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli È l’invasione degli imbecilli”. In ambedue i casi si tratta di generalizzazioni che non mi sento accettare.

3) L’educazione e l’inclusione.

Trovo che sia fondamentale e interessante quello che dice sulla religione musulmana. Penso che sia necessaria una vera e propria formazione degli Imam e la promozione del loro lavoro nelle prigioni.

4) Il PNR. Assieme al mio gruppo, sono contraria alla sua istituzione.

5) Infine, e chiudo, la collaborazione con gli Stati Uniti e i paesi del Golfo, anche per quel che riguarda i flussi finanziari.

In merito alla prima collaborazione, ricordiamo che la lotta al terrorismo promossa dagli Stati Uniti è un grande fallimento. Quanto alla collaborazione con i paesi del Golfo la trovo altamente pericolosa, considerati i finanziamenti sauditi all’Isis. A proposito dell’Isis, ricordo che lo Stato islamico è stato finanziato inizialmente anche dagli Stati Uniti.

Richiesta di chiarimento sulla questione dei whistleblower

Point 5 – Follow-up to the European Parliament Resolution of 12 March 2014 on the electronic mass surveillance of EU citizens (Discussione sul rapporto di inziativa di Claude Moraes, S&D)

Intervento di Barbara Spinelli

Grazie Presidente.

La ringrazio per il magnifico rapporto, per le insoddisfazioni che esprime, e anche per la volontà di presentare, eventualmente, un ricorso per carenza nei confronti della Commissione per mancata attuazione dei programmi.

Le pongo solo una domanda sui whistleblower. Purtroppo non abbiamo avuto risposte chiare alle domande che ci siamo posti nella nostra Commissione, e questo lo trovo grave. Trovo gravissimo, inoltre, che in quest’aula siano state espresse esplicite condanne di Edward Snowden, accusato di aver “danneggiato persone”: cosa che non ha fatto.

In questo quadro, vorrei chiederle se sia possibile includere nel Suo rapporto il tema della protezione dell’informatore/giornalista, quando viene chiamato a mantenere il segreto da parte di aziende e multinazionali. Lei sa che al momento circola un appello in difesa di tale figura di whistleblower, e contraria alla direttiva della Commissione e del Consiglio dell’Unione Europea riguardante i segreti commerciali (“Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti”).

Intervento in Commissione LIBE sulla pena di morte

Bruxelles, 7 maggio 2015. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione LIBE (Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni) sulla Pena di morte (dichiarazioni del Premier ungherese Viktor Orbán)

Non ho molto da aggiungere a quanto è stato detto in questa Commissione da chi ha espresso dispiacere e vergogna per le dichiarazioni del Premier Viktor Orbán. Dichiarazioni ritirate, a seguito della reazione negativa della Commissione europea e dell’Unione. Quello che vorrei dire, innanzitutto, è che non si tratta solo di una questione di “valori”. È vero, infatti, quello che alcuni in questa Commissione ha fatto notare: chi decide i valori? chi detta l’ “agenda” in materia etica? Il vero problema concerne non tanto i “valori”, ma i diritti, le Carte su cui è costruita l’Unione Europea, le convenzioni internazionali cui essa aderisce.

Chi non aderisce alla Convenzione dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa e dunque all’abolizione della pena di morte, per esempio, ha uno statuto di osservatore, non di Paese membro; anche se magari si chiama democrazia, come gli Stati Uniti, ma attua ancora la pena capitale.

La dichiarazione di Orbán, e questa specie di “diritto di discussione” che si arroga, è parte di una banalizzazione del tema della pena di morte e del tema dell’intolleranza che va molto oltre il caso ungherese. Se è andato tanto oltre vuol dire che la Commissione europea, che gli organi comuni dell’Unione, hanno lasciato che tale banalizzazione crescesse. Voglio qui ricordare che prima di Orbán, si sono espressi in favore della pena di morte non solo personalità dell’opposizione come Marine Le Pen, o il padre di Marine Le Pen. Nel 2006 il presidente della Polonia Lech Kaczynski ha detto esattamente le stesse cose di Orbán; la Lega, partito di estrema destra in Italia, le ha dette più volte quando era al governo, e ancora di recente il Vice-Presidente del Senato Calderoli, della Lega, le ha ripetute.

A mio parere, la banalizzazione di questo tema è rafforzata dal clima che si è creato attorno alla paura del terrorismo, alla paura del migrante. E qui vorrei, soffermandomi sul questionario inviato dal governo Orbán ai cittadini ungheresi, citare solo alcuni articoli che esso contiene. In particolare l’articolo 5 dove, in maniera manipolatrice, si fa capire che il migrante mette in pericolo non solo l’occupazione, ma il “modo di vivere” del popolo ungherese; l’articolo 7, in cui si denuncia – altra manipolazione – la politica “permissiva” di Bruxelles; e soprattutto l’articolo 12, in cui si chiede ai cittadini ungheresi se non preferiscano sostenere le famiglie ungheresi e la nascita di bambini ungheresi piuttosto che le famiglie e i bambini degli immigrati. Vi prego tutti di leggere l’articolo 12. Grazie.

Intervento a proposito dell’Agenda europea sulla sicurezza

Bruxelles 6 maggio 2015, Commissione libertà pubbliche

«The European Agenda on Security »-  Presentation by the Commission and exchange of views.
In nome della Commissione: Luigi Soreca, Direttore della Direzione Sicurezza della DG Home.

Intervento di Barbara Spinelli

Grazie per la presentazione dell’Agenda da parte della Commissione.

Devo dire che sono sempre più perplessa sull’uso che viene fatto nell’Unione del concetto di sicurezza interna. Perplessa, perché in verità non capisco quale sia l’idea che la Commissione si fa in proposito. Vediamo continuamente documenti e agende in cui si annunciano misure, forme di cooperazione, sorveglianze comuni, nuovi fondi; tuttavia, ogni volta che la Commissione si trova ad affrontare interrogazioni da parte dei parlamentari o dei cittadini sulle condotte dei singoli Stati – parlo ad esempio di quello che sta accadendo in Germania a seguito delle rivelazioni sulla sorveglianza di massa in cooperazione con la NSA (Agenzia di Sicurezza Nazionale Usa), o delle misure di sorveglianza appena approvate in Francia, che in molto assomigliano al Patriot Act statunitense – la risposta è sempre la stessa: “Noi non c’entriamo niente”, “Questo appartiene completamente alle sovranità nazionali”. Capisco che simili risposte abbiano fondamento nei Trattati, tuttavia ci troviamo di fronte a contraddizioni sempre più grandi perché, in realtà, soprattutto quando mette sullo stesso piano migrazione, crimine, terrorismo, la Commissione sta assumendosi precise responsabilità in questo campo e non può, poi, tirare indietro la mano quando viene interrogata sul mancato rispetto dei diritti fondamentali.

L’altra domanda che vorrei fare, ma il tempo mi manca, riguarda la cooperazione con i paesi terzi – e in particolare con la Turchia – di cui si parla nell’Agenda quando menziona la lotta alla radicalizzazione ed al terrorismo. È un ulteriore punto su cui nutro molte perplessità.

È inadeguato concentrare tutte le forze sulla lotta a trafficanti e scafisti

23 aprile 2015, Bruxelles. Commissione libertà civili, giustizia e affari interni.
“Unità operativa congiunta (Joint Operational Team – JOT) “Mare”
[1]

Presentazione a cura di Europol e di Laurent Muschel, rappresentante della Commissione

Interventi di Barbara Spinelli:

Come prima cosa, vorrei dire il mio stupore per la frase che è stata detta in apertura dei lavori dal rappresentante della Commissione, dott. Laurent Muschel: dopo l’ultima catastrofe umanitaria nel Mediterraneo – queste le parole – “Tutti siamo d’accordo sulla priorità della lotta a trafficanti e scafisti”. Non è vero, non tutti siamo d’accordo e prima di me già sono state espresse forti riserve in questa Commissione parlamentare, a cominciare dalla collega Soraya Post.

Diciamo piuttosto che è la Commissione a far propria quest’assoluta priorità, com’è evidente nei 10 punti approvati dopo i 700 morti nel Mediterraneo e come verrà con ogni probabilità ribadito nell’agenda sull’immigrazione che sarà presentata a maggio. Lo stesso si può dire degli Stati membri, se guardiamo alla bozza di comunicato su cui stanno discutendo oggi i capi di Stato o di Governo del Consiglio europeo.

Tutte le azioni si concentrano su trafficanti e scafisti, come se fossero davvero loro la causa di tanti morti in mare. Come se il trafficante non fosse lì a riempire un vuoto di legalità, che l’Unione si rifiuta di colmare con l’istituzione di vie legali di fuga verso l’Europa. Come se distruggendo i “barconi” degli scafisti risolvessimo le radici del male, che consiste nella fuga in massa da guerre e persecuzioni.

Concentrare tutte le forze e l’attenzione sul contrasto di trafficanti e scafisti è del tutto inadeguato, ed è uno scandalo che l’Unione parli solo di questo contrasto.

In questo quadro chiedo ai rappresentanti di Europol e della Commissione:

  1. perché questa moltiplicazione di agenzie e operazioni tutte tese allo stesso obiettivo – il controllo delle frontiere e la lotta al trafficante – e qual è il valore aggiunto di quest’ennesima iniziativa, JOT “Mare” , rispetto al lavoro di agenzie come Europol?
  2. Quali sono i costi delle agenzie e dei centri di controllo e sorveglianza che si stanno creando, e quanto costerà l’intervento civile e militare lungo le coste libiche per la distruzione dei “barconi”? Possibile che d’un tratto ci siano tante risorse, quando ne mancano totalmente, come più volte confermato dalla Commissione, per operazioni di search and rescue?

Nel rispondere, il rappresentante della Commissione ha affermato che il primo dei 10 punti presentati lunedì dalla Commissione affronta proprio la questione delle operazioni di Ricerca e Soccorso in mare, visto che agli Stati si chiede un rafforzamento di Frontex e Triton (oltre che un’estensione delle miglia assegnate alle loro operazioni marittime).

Barbara Spinelli ha ripreso la parola, affermando che “Né Frontex né Triton hanno ufficialmente il mandato di fare search and rescue”, come più volte ribadito dai rappresentanti delle due agenzie. Certo può capitare che una nave di Triton salvi una barca che sta affondando sotto i suoi occhi: ci mancherebbe altro, glielo impone la legge del mare. Ma qui si parla del “mandato” di search and rescue, e il mandato non c’è. Nel dicembre scorso, fu proprio il direttore operativo di Frontex a inviare una lettera all’ufficio immigrazione del Ministero dell’Interno italiano, in cui ci si lamentava per alcune operazioni di salvataggio compiute dalla guardia costiera italiana oltre le 30 miglia dalle costa previste dall’agenzia europea.

1 JOT MARE viene descritta dall’ufficio stampa di Europol come “un team di intelligence congiunto formato da agenti dell’Europol ed esperti distaccati degli Stati membri, il cui scopo è affrontare i ‘gruppi criminali organizzati’ che agevolano il movimento via nave dei migranti irregolari nel Mediterraneo verso l’UE e organizzano i successivi movimenti secondari all’interno dell’Unione”.

Migrazione: i trafficanti di esseri umani riempiono un vuoto di legalità di cui è responsabile l’Unione

Bruxelles, 14 aprile 2015, Commissione LIBE (Libertà civili, Giustizia e Affari interni).

Incontro su “Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio olistico alla migrazione”. Primo scambio di vedute alla presenza di Dimitris Avramopoulos, Commissario con delega a Migrazione, Affari interni e Cittadinanza.

Intervento di Barbara Spinelli, Relatore ombra del Rapporto di iniziativa sulla situazione nel Mediterraneo:

“Vorrei parlare di quelli che considero difetti gravi, e persistenti, della politica europea nel Mediterraneo e della strategia della Commissione in materia di migrazione e sicurezza: il breve termine, e una logica emergenziale che per forza di cose tende a sfociare in violazioni sistematiche dei diritti. È il contrario della tanto sbandierata visione olistica della migrazione in Europa”.

“Sono i difetti che ritrovo nelle sue ultime prese di posizione, Commissario Avramopoulos, sia nel discorso che ha tenuto qui oggi, sia qualche giorno fa, dopo la sua visita al quartier generale di Europol a L’Aja. Le priorità che Lei indica sono da un lato il controllo delle frontiere, la lotta all’immigrazione clandestina e il contrasto dei trafficanti; dall’altro i rimpatri e la cooperazione con i Paesi di transito. Non mi sembra una visione olistica e Le domando, in questo quadro, che senso abbia lottare in maniera prioritaria contro i trafficanti, quando i trafficanti non fanno che riempire un vuoto: non esistono vie legali di fuga, quindi l’illegalità si installa e prospera”.

“La seconda domanda è: a che serve Triton? A che serve aver affossato Mare nostrum se – secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – i seimila salvati degli ultimi giorni sono stati salvati dalle unità della Guardia costiera italiana e non da Triton? Sappiamo infatti che Triton si occupa soltanto di proteggere le trenta miglia dalla costa: dal punto di vista del soccorso e salvataggio si è rivelata un’operazione inutile.”