Fuori legge l’assistenza umanitaria a migranti e profughi?

di mercoledì, Luglio 4, 2018 0 , , , Permalink

Strasburgo, 3 luglio 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo. 

Punto in agenda:

Orientamenti per gli Stati membri per evitare la criminalizzazione dell’assistenza umanitaria

Presenti al dibattito:

  • Dimitris Avramopoulos – Commissario europeo per la Migrazione, gli affari interni e la cittadinanza

Da tempo, nei nostri Stati membri è in atto una criminalizzazione più o meno esplicita di chiunque – Ong o individuo – venga in aiuto di persone provenienti da paesi terzi, via mare o via terra. In pratica l’aiuto umanitario è messo fuori legge, a dispetto di chiare indicazioni che vietano di considerare reato il soccorso a chi è in pericolo o minacciato da naufragio: parlo del protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di migranti o della Convenzione sul diritto del mare. La direttiva europea sul favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali contiene purtroppo notevoli ambiguità, consentendo deroghe agli Stati che abbiano l’intenzione di penalizzare i soccorsi.

Una dopo l’altra, le norme del diritto europeo e internazionale vengono ignorate, sbeffeggiate o smantellate – in Ungheria perfino costituzionalmente.

Si impedisce alle navi che fanno ricerca e salvataggio di sbarcare nei nostri porti, si arresta chi alberga migranti in fuga nelle Alpi, lungo i confini tra Italia e Francia. Nel Mediterraneo non ci saranno più navi che salvano i naufraghi, in assenza di operazioni in questo senso dell’Unione, che non europeizzò Mare Nostrum in tempo utile.

Stiamo tornando agli anni 30, quando gli organi internazionali cedettero all’arbitrio di Stati canaglia. Se l’Unione, custode dei Trattati europei, non offrirà linee guida più chiare, tali da mettere al bando il reato di solidarietà, si ripeterà il colossale fallimento della Lega delle Nazioni.

Profughi. Lettera aperta al commissario Ue Avramopoulos

L’Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo scrive una lettera aperta – cofirmata da Barbara Spinelli e da altri europarlamentari – al Commissario europeo alla migrazione, denunciando una politica di chiusura e respingimento. Qui il testo in inglese.

Gentile commissario,

le scriviamo a nome dell’Agenzia Habeshia che, come forse saprà, si occupa della tragedia dei profughi e dei migranti e che, dunque, vorrebbe vedere in lei un alleato nel difficile cammino teso a dare libertà, dignità e sicurezza ai milioni di persone costrette ad abbandonare la propria terra.

Partiamo da una delle ultime, drammatiche richieste di aiuto. Certamente conoscerà il rapporto dell’Onu che appena poche settimane fa ha denunciato che oltre 400 mila bambini sono vittime della carestia, in Nigeria, a causa della situazione provocata dai miliziani fondamentalisti di Boko Haram. Anzi, secondo l’Unicef, 75 mila rischiano di morire di fame nei prossimi mesi, al ritmo di 200 al giorno. Senza contare le uccisioni, i rapimenti, i saccheggi che investono interi villaggi, gli attentati, le stragi e tutto il nord del paese precipitato da anni sotto il controllo diretto dei fondamentalisti fedeli all’Isis. E allora qualcosa non torna se ripensiamo alle sue dichiarazioni, diffuse da tutti i media europei, secondo cui non occorre cambiare i criteri delle nazionalità dei rifugiati da accogliere e “ricollocare” in qualcuno degli Stati dell’Unione.

“Se confrontiamo Italia e Grecia, vediamo che fino all’80 per cento dei migranti che attraversano l’Egeo sono profughi, mentre la maggioranza di quelli che arrivano in Italia dal Mediterraneo centrale, anche in questo caso l’80 per cento, sono irregolari. Non intendiamo cambiare i criteri…”: questa è la dichiarazione che le ha attribuito la stampa, in risposta a chi le chiedeva se non pensasse a qualche modifica per le nazionalità da ridistribuire, visto che in Italia non ci sono “abbastanza siriani ed eritrei”. Ecco, già questa idea delle nazionalità come “requisito a priori” sembra a dir poco assurda. Se non altro perché – lei lo sa bene – secondo il diritto internazionale e la Convenzione di Ginevra, le richieste di asilo vanno esaminate caso per caso, ascoltando le storie individuali di ciascuno e non, invece, espletate in base a criteri di “appartenenza nazionale” come purtroppo si sta ormai facendo, tanto da accogliere solo coloro che fuggono dalla Siria sconvolta dalla guerra o dall’Eritrea schiavizzata dalla dittatura di un regime autoritario.

Se proprio vuole, tuttavia, parliamo pure di nazioni e paesi. Abbiamo detto della Nigeria, dove per migliaia di persone l’alternativa è morire sotto i colpi di Boko Haram o di fame. Andiamo oltre: ad esempio, prendiamo il Sud Sudan. Anche in questo caso, lei è troppo ben informato, per il ruolo che riveste, per non sapere che la guerra civile che sta devastando il paese da tre anni, tanto da provocare almeno 10 mila morti e 3 milioni di profughi, rischia di trasformarsi in un vero e proprio genocidio, con le fazioni in lotta pronte ad ammazzare e a fare strage in base all’etnia, seguendo la logica perversa della pulizia etnica. Lo denuncia un rapporto dell’Onu pubblicato all’inizio di dicembre, in aggiunta all’ormai “abituale” corollario di uccisioni, rapimenti, villaggi saccheggiati e incendiati, incursioni persino all’interno dei campi profughi posti sotto le insegne dell’Unhcr. Per non dire della “carestia provocata”: già, a parte i cambiamenti climatici e la siccità, da almeno due anni non si fanno più le semine a causa della guerra e, dunque, non ci sono raccolti per soddisfare almeno in parte i bisogni alimentari della popolazione.

Allora, che dire? Chi fugge da questo inferno non deve essere accolto in Europa come rifugiato?

Ma l’elenco di situazioni come questa è lunghissimo. La Somalia implosa e in preda alla guerra civile, con i miliziani di Al Shabaab, affiliata ad Al Qaeda, che mettono a segno una media di oltre 900 attentati l’anno, con centinaia, migliaia di morti e, anche qui, una siccità e una carestia che investono milioni di uomini e donne. Il Mali dove, contrariamente a quanto si continua a dire in Europa, la guerra esplosa con la rivolta del 2012 nelle regioni del nord, il cosiddetto Azawad, non è mai finita, come dimostra la lunga, quotidiana catena di attacchi, attentati, agguati, uccisioni. Il calvario del Darfur, la martoriata regione del Sudan che non conosce pace da anni e che alimenta, appunto, un flusso costante di profughi che vedono nella fuga l’unica via di salvezza dalle violenze di ogni genere perpetrate dalla polizia del regime di Al Bashir, i famosi “diavoli a cavallo”. Lo Yemen, travolto dalla guerra tra sciiti e sunniti: anche qui migliaia di morti e milioni di profughi o sfollati, disperati scacciati dalle loro case e dalle loro città anche dalle bombe e dalle armi che l’Europa (e l’Italia in particolare) vende, insieme agli Stati Uniti, ad una delle fazioni in lotta. O, ancora, il Gambia, soggiogato per anni da una dittatura feroce, che speriamo sia stata davvero scacciata dalle elezioni di qualche giorno fa. O la Repubblica Centrafricana. O lo stesso Niger, scelto dall’Europa per farne un grande “hub” di smistamento per i profughi ma che sembra tutt’altro che sicuro, in seguito alla crescente escalation di attacchi terroristici da parte di Boko Haram dalla Nigeria e di jihadisti di Aqim e dell’Isis dal Mali, tanto che nel giugno scorso il coordinatore delle Nazioni Unite, Fode Ndiaye, si è appellato alla comunità internazionale parlando senza mezzi termini di “crisi umanitaria”…

Si potrebbe continuare – lei lo sa – per chissà quanto ancora. Con l’Afghanistan, ad esempio, dove l’Unione Europea vuole “rimpatriare” 80 mila profughi, come se il paese fosse diventato all’improvviso “pacifico e sicuro”. Purtroppo i media parlano poco di queste tragedie e l’opinione pubblica ne sa poco. Ma che si tratti, appunto, di tragedie lo denunciano i profughi che continuano a bussare alle porte dell’Europa, in fuga dalla Nigeria, dal Sud Sudan, dal Sudan, dalla Somalia, dal Gambia e così via: basta scorrere l’elenco delle nazionalità dei tanti giovani sbarcati in Italia. Però, stando alle sue dichiarazioni, a quanto pare queste situazioni non sarebbero “sufficienti” ad aprire le porte della solidarietà in Europa. Non bastano a garantire – come pure prevede il diritto internazionale – aiuto e accoglienza.

Perché questa scelta? Habeshia non riesce a spiegarselo. A meno che il motivo non sia che questi Stati da cui si è costretti a fuggire sono in buona parte proprio gli stessi con cui l’Unione Europea ha stretto tutta una serie di trattati per fermare i profughi prima ancora che arrivino alle sponde del Mediterraneo. Ci riferiamo ai Processi di Rabat e Khartoum, agli accordi firmati a Malta nel novembre 2015, al patto con la Turchia da lei esaltato e che, in effetti, funziona benissimo come “barriera” posta al di là dell’Egeo: peccato che funzioni sulla pelle dei profughi. Già, perché accordi e patti di questo genere servono all’Europa per esternalizzare le sue frontiere addirittura al di là del Sahara o comunque lontano dalla sponda meridionale del Mediterraneo, delegando ad altri il lavoro sporco di sorvegliarle, queste frontiere, e renderle invalicabili. E le sue dichiarazioni, ora, rischiano di dare voce ulteriore a chi vuole alzare ancora di più le barriere dell’egoismo e dell’indifferenza e si appella da sempre a una politica di chiusura e respingimento.

Noi speriamo davvero, come Habeshia, di essere smentiti. Ma – a meno di smentite, appunto – proprio questo emerge dalle sue parole riferite dai media. Parole che sembrano dimenticare che lasci la casa solo quando la casa non ti lascia più stare [1]

Cordiali saluti,

Don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia
Emilio Drudi, portavoce dell’Agenzia
Barbara Spinelli, Gruppo GUE/NGL
Patrick Le Hyaric , Gruppo GUE/NGL
Ana Maria Gomes, Gruppo S&D
Dimitrios Papadimoulis, Gruppo GUE/NGL
Josu Juaristi Abaunz, Gruppo GUE/NGL
Marie-Christine Vergiat, Gruppo GUE/NGL
Rina Rojna Kari, Gruppo GUE/NGL

[1] Giuseppe Cederna, Home. I versi successivi dicono: Nessuno lascia la casa a meno che la casa non ti cacci fuoco sotto i piedi, sangue caldo in pancia, qualcosa che non avresti mai pensato di fare, finché la falce non ti ha segnato il collo di minacce…

La realtà inventata della Commissione

Strasburgo, 12 dicembre 2016. Intervento di Barbara Spinelli, per conto del Gruppo GUE/NGL in apertura dei lavori della Sessione Plenaria.

Punto in agenda: Ordine dei lavori – Richiesta del Gruppo GUE/NGL di introdurre nell’agenda dei lavori di mercoledì 14 dicembre 2016 il seguente dibattito: “Raccomandazione della Commissione europea sull’attuazione della dichiarazione UE-Turchia e il ripristino dei trasferimenti nell’ambito del sistema di Dublino. (Dichiarazione della Commissione)“.

La richiesta del Gruppo GUE/NGL è stata approvata dall’aula a grande maggioranza, con 204 voti a favore e 149 contrari.

Chiediamo per mercoledì una dichiarazione della Commissione e un roll call vote su due stupefacenti raccomandazioni: il ripristino dei trasferimenti Dublino, e l’implementazione dell’accordo UE-Erdogan. Anche i profughi più vulnerabili vanno deportati in Turchia, e Atene è pregata di riscrivere le leggi che lo vietano.

Sono raccomandazioni disattente al diritto. I ri-trasferimenti in Grecia sono vietati fin dal 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, poi dalla Corte europea di giustizia e da Corti nazionali. Mi domando quale sia il metodo, in tanta follia. Una Commissione incapace di ricollocare i profughi, indifferente alla miseria economica imposta ad Atene, finge una potenza che non ha sradicando i diritti dell’uomo. Dice che i rifugiati in Grecia stanno oggi molto meglio. Non c’è una sola testimonianza che confermi questa realtà totalmente inventata.

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Si veda anche:

La petizione lanciata da DiEM25, e cofirmata da Barbara Spinelli, per fermare l’accordo tra Unione europea e Turchia.

Risposta all’interrogazione sui 500 profughi scomparsi nel Mediterraneo

di mercoledì, Agosto 24, 2016 0 , Permalink

Risposta della Commissione all’interrogazione scritta proposta da Dimitrios Papadimoulis e firmata anche dall’on. Spinelli

E-003338/2016
Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione
(23.8.2016)

La Commissione è a conoscenza del tragico incidente del 16 aprile 2016 al quale sarebbero sopravvissute 41 persone, e segue attentamente la situazione. I paesi interessati sono responsabili delle operazioni di ricerca e soccorso.

Fin dalla sua istituzione nel 2015, l’operazione Eunavformed Sophia (ENFM) ha sviluppato una buona conoscenza delle reti e del modello operativo dei trafficanti. Tramite operazioni condotte in alto mare, ENFM ha arrestato 71 presunti trafficanti, che sono stati consegnati alle autorità giudiziarie italiane, e ha neutralizzato 148 imbarcazioni utilizzate per il traffico. Ad oggi, l’operazione ha soccorso un totale di 15.997 migranti.

La Commissione continua ad attuare il piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti[1].

Basandosi sul reinsediamento di 22.504 rifugiati nel periodo 2015-2016, la Commissione ha proposto un regolamento che istituisce un quadro di reinsediamento dell’Unione[2].

Il 7 giugno 2016 la Commissione ha presentato una riforma del regime della Carta blu UE[3] per promuovere la migrazione legale.

La Commissione rinvia gli onorevoli parlamentari alle risposte alle interrogazioni scritte E-000842/2016 e E-002569/2016[4], alla sua quinta relazione su ricollocazione e reinsediamento[5] e alla comunicazione sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi nell’ambito dell’agenda europea sulla migrazione[6].

[1]     COM(2015) 285, consultabile all’indirizzo http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/e-library/documents/policies/asylum/general/docs/eu_action_plan_against_migrant_smuggling_en.pdf

[2]     COM(2016) 468 final

[3]     COM(2016) 378 final

[4]     http://www.europarl.europa.eu/plenary/en/parliamentary-questions.html

[5]     COM(2016) 480 final

[6]     COM(2016) 385 final

La paura può terrorizzare ma anche insegnare

Strasburgo, 24 novembre. In un’intervista rilasciata a Enrico Ciccarelli di Parleuropa Tv, Barbara Spinell iparla dei temi dell’attualità europea, dall’emergenza profughi alla minaccia terroristica. E ammonisce contro il rischio che l’Europa edifichi la sua casa comune nel segno di quel “federalismo degli Esecutivi” teorizzato da Jürgen Habermas.

 

La Merkel affronta i guasti prodotti da Usa ed Europa

Intervista a Barbara Spinelli di Stefano Citati, «Il Fatto Quotidiano», 11 settembre 2015

Dopo la svolta impressa dalla Merkel la proposta di corridoi umanitari che lei Barbara Spinelli ha formulato nel luglio 2014 può essere effettivamente realizzata?
Certo di svolta si tratta, e la presa di coscienza di tanti cittadini l’ha di sicuro accelerata; la Merkel e Junker hanno per la prima volta parlato di vie legali per chi fugge e muore in mare o in terra. È la legalizzazione dell’immigrazione: l’unica misura che debilita i trafficanti. L’aumento delle quote dalle 40.000 previste in estate alle 160.000 proposte dal presidente della Commissione è un segnale importante, che aiuta i paesi più esposti: Italia, Grecia, Ungheria. Ma bisogna vedere se il Consiglio Ue lo ratificherà. È lì che gli Stati litigano: il Consiglio è il vero distruttore delle buone iniziative. Va ricordato che mentre l’Unione si agita, i migranti finora arrivati rappresentano lo 0,1% della sua popolazione. L’85% dei profughi è nei paesi poveri del mondo. E ricordiamo che i profughi fuggono da guerre e caos prodotti il più delle volte da Usa ed Europa. Nel caso siriano, c’è chi parla di “regime-change refugees”: di un esodo causato da strategie che pur di abbattere Assad hanno finanziato, in origine, formazioni jihadiste come l’Isis o Al Nusra. Risultato: alle nostre porte s’erge un altro Afghanistan. I profughi e le guerre che li provocano sono effetti collaterali di politiche sbagliate, come ben spiegato da Alberto Negri sul Sole 24 Ore.

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Misure temporanee nel settore della protezione internazionale: intervento in Plenaria

Progetto di risoluzione del Parlamento Europeo sulla proposta di decisione del Consiglio che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (dibattito prima del voto)

Intervento di Barbara Spinelli

I trattati mentono, su quel che siamo: non siamo un faro di civiltà, non abbiamo una comune politica d’asilo e migrazione. Non siamo stati solidali con la Grecia. Non lo siamo con i migranti. Ricordo qui una sola cifra: l’85 per cento dei rifugiati si trovano nei paesi poveri del mondo. Non da noi. Domani voteremo il rapporto della collega Ska Keller, che propone una modesta, giusta ripartizione dei profughi. Il Consiglio sta già cominciando a corroderlo. Ieri il sito Statewatch ha scritto: se il Parlamento non impone a Commissione e Consiglio misure vincolanti e permanenti, è insensato indire future elezioni europee. Sono d’accordo. Penso che il Parlamento dovrà licenziare la Commissione, se entro l’anno non organizza vie legali d’accesso in Europa e non dichiara morto il sistema di Dublino. E deve minacciare il taglio dei fondi di funzionamento al Consiglio: il più colpevole di incompetenza, il più incapace di azione collettiva.

Don Mussie Zerai: sì alla Giornata della Memoria in onore dei profughi scomparsi in mare, ma senza ipocrisie

Don Mussie Zerai è  fondatore e presidente dell’Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo (A.H.C.S ), istituita nel 2006 per svolgere  attività di volontariato con fini di solidarietà verso tutti i richiedenti Asilo e rifugiati. Nel 2015 è stato candidato al Premio Nobel della pace.

Don Zerai è stato invitato da Barbara Spinelli per il dibattito in Plenaria su “le ultime tragedie nel Mediterraneo”, svoltosi a Bruxelles il 29 aprile, per rappresentare davanti alle istituzioni europee le testimonianze dei profughi raccolte da Habeshia; ha inoltre partecipato alla conferenza stampa successiva alla discussione in aula ed è entrato in contatto con vari gruppi parlamentari: Marie-Christine Vergiat- GUE-Ngl; Cecilia Wikström-Alde; Cecile Kyenge-S&D; Judith Sargentini-Verdi.

Questo il suo intervento durante il dibattito in Plenaria:

Giornata della memoria in onore dei profughi scomparsi in mare: sì, ma senza ipocrisie

Il Parlamento italiano sta per discutere la proposta di istituire, ogni 3 ottobre, la data della tragedia di Lampedusa, una Giornata della memoria in onore delle 366 vittime di quell’alba tragica e di tutte le migliaia di disperati scomparsi in questi ultimi anni nel Mediterraneo, inseguendo un sogno di libertà e di umana dignità.

È impossibile non essere favorevoli a questa iniziativa. Quelle 366 vite spezzate sono diventate il simbolo della tragedia di tutti i profughi del pianeta, richiamando in particolare l’Italia e l’Europa alle proprie responsabilità nei confronti dei tantissimi giovani, donne e uomini, che gridano aiuto ai potenti della terra dai paesi del Sud del mondo, sconvolti da guerre, dittature, terrorismo, persecuzioni, carestia, fame, miseria endemica. Proprio mentre si propone di celebrare questa data simbolo, però, la politica italiana e quella europea stanno andando nella direzione esattamente opposta, dimenticando o facendo finta di dimenticare, che la maniera migliore per onorare la memoria dei morti è quella di salvare i vivi. Sono tanti, infatti, i provvedimenti e gli interventi che contrastano con quello che dovrebbe essere lo spirito della futura Giornata della Memoria. Vale la pena citare i più significativi.

– Mare Nostrum. Il primo novembre 2014 è stata abolita l’operazione Mare Nostrum: l’Italia afferma di non poterne più sostenerne le spese; l’Unione Europea, anziché farla propria, ha preferito puntare sull’operazione Triton, affidata all’agenzia Frontex, dotata di mezzi infinitamente minori e il cui unico obiettivo è quello di presidiare i confini mediterranei dell’Europa, attuando interventi di salvataggio solo in casi eccezionali. Sono stati ignorati sia il parere della stessa Marina Italiana, contraria alla soppressione del programma di soccorso, sia gli appelli dell’Unhcr e dell’Oim, che anche di recente hanno chiesto di varare una nuova Mare Nostrum su base europea. Tacitate di fatto le voci dei pochi parlamentari che hanno sollecitato la riedizione di Mare Nostrum “anche a costo di perdere voti”, mettendola magari sotto l’egida dell’Onu.

– Processo di Khartoum. È stato varato il Processo di Khartoum, l’accordo firmato dai 28 Stati dell’Unione Europea, su iniziativa in particolare proprio dell’Italia, che di fatto affida la gestione dell’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente a vari Stati dell’Africa Orientale, incluse alcune delle peggiori dittature del mondo, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al Bashir in Sudan, ma anche al regime egiziano di Al Sisi, messo sotto accusa ripetutamente da Amnesty e da altre organizzazioni internazionali per la sistematica violazione dei diritti umani e il soffocamento di ogni forma di dissenso: oltre 800 condanne a morte, centinaia di condanne all’ergastolo, migliaia di civili sottoposti, senza possibilità di appello e spesso senza alcuna difesa, al giudizio delle corti marziali militari.

– Finanziamenti alle dittature. Proprio sulla scia del Processo di Khartoum, l’Unione Europea, nel contesto dei progetti di cooperazione, ha deciso di stanziare un pacchetto di 300 milioni di euro in favore dell’Eritrea. L’obiettivo sarebbe quello di “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”. Così almeno si è detto a Bruxelles. Ma si ignora o si fa finta di ignorare che l’attuale esodo di tanti giovani eritrei è dovuto prima di tutto alla totale mancanza di libertà e democrazia e che le stesse condizioni di estrema povertà sono dovute proprio alla politica del regime, che ha militarizzato la nazione con una catena continua di guerre che dura, pressoché ininterrotta, addirittura dal 1994. Anzi, sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici eritrei, attivisti, i quali, a fine marzo, hanno denunciato come manchi qualsiasi prova che abbia fondamento la pretesa volontà del regime di allentare il “pugno di ferro” con cui governa l’Eritrea, cominciando finalmente a rispettare i diritti umani e le regole fondamentali della democrazia. Al contrario: tutto lascia credere che questo flusso di denaro dall’Europa finisca per legittimare e rafforzare la dittatura proprio mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà. E il caso dell’Eritrea non è isolato: c’è da ritenere che finanziamenti analoghi siano previsti anche per altre dittature della regione.

– Nuovi respingimenti. Nell’ultimo vertice europeo di Bruxelles l’Italia ha proposto di coinvolgere nel pattugliamento del Mediterraneo anche le marine militari della Tunisia e dell’Egitto. In questo modo – si afferma – potranno essere potenziati i servizi di salvataggio. Solo che – come ha rivelato un servizio giornalistico del Guardian – le navi tunisine ed egiziane non si limiteranno ai soccorsi: i profughi intercettati in mare verranno riaccompagnati in Africa. Praticamente respinti a priori, senza esaminare se sono nelle condizioni di essere accolti in Europa come profughi ed hanno diritto a una forma di protezione internazionale. Poco importa se questo significa di fatto riconsegnarli ai trafficanti di uomini o magari ai paesi dai quali sono stati costretti a fuggire. Il tutto, tra l’altro, per quanto riguarda l’Egitto, senza considerare che – come è già accaduto in passato e si è ripetuto anche in questi giorni – i profughi intercettati vengono considerati colpevoli di immigrazione clandestina, arrestati e gettati in carcere praticamente a tempo indeterminato, fino a quando, cioè, non saranno in grado di pagarsi il biglietto aereo per tornare nel paese d’origine.

Provvedimenti come questi legittimano il sospetto che si stia puntando ad attuare una politica di controllo militare del Mediterraneo, fondata non su un sistema di soccorso-accoglienza ma di soccorso-respingimento, che prevede di riportare i profughi in Africa e, in definitiva, di esternalizzare ancora di più i confini della Fortezza Europa, per spostarli quanto più a sud possibile, anche oltre il Sahara, appaltando il “lavoro sporco” del contenimento ad alcuni Stati africani, incluse feroci dittature. Non importa a che prezzo.

Allora, a fronte di una simile situazione, la proposta di istituire una Giornata della Memoria per i profughi, da celebrare ogni 3 ottobre, appare un’ipocrisia o, al massimo, un appuntamento vuoto, che rischia di risolversi nell’ennesima passerella per la dichiarazione di buone intenzioni, subito dimenticate. La Giornata della Memoria avrà un senso solo se sarà il primo passo per cambiare radicalmente il sistema di accoglienza e, più in generale, la politica dell’Europa e dell’Italia nel Sud del mondo. Partendo dalle stesse proposte lanciate da Habeshia il 3 ottobre 2014 a Lampedusa, in occasione del primo anniversario della strage, ma rimaste senza risposta. Sono proposte concrete che esigono risposte precise ed altrettanto concrete.

– Corridoi umanitari. Istituire una serie di corridoi umanitari che, con la collaborazione dell’Unhcr, consentano di aprire ai profughi le ambasciate europee nei paesi di transito e di prima sosta, in modo da esaminare sul posto le richieste di asilo e consentire così a tutti coloro che hanno diritto a una qualsiasi forma di protezione internazionale di raggiungere in condizioni di sicurezza il paese scelto e disposto ad accoglierli.

– Paesi di transito e di prima sosta. Con la collaborazione e d’intesa con i governi locali, studiare ed attuare interventi e programmi di aiuto per rendere più sicuri i paesi di transito e prima sosta, creando così condizioni di vita dignitose, nei tempi di attesa, per i profughi che presentano richiesta d’asilo all’Europa e, a maggiore ragione, per quelli (in realtà la grande maggioranza) che intendono restare invece proprio in quei paesi, non lontano dalla propria terra, nella speranza che si creino le condizioni per poter tornare sicuri in patria in tempi non troppo lontani. L’azione combinata di questo programma e dei corridoi umanitari può risultare l’arma più efficace per sottrarre i profughi e i migranti al ricatto dei mercanti di morte e alle loro organizzazioni criminali.

– Sistema europeo di accoglienza unico. In stretta connessione ed anzi come condizione perché i due punti sopra illustrati possano essere attuati, va organizzato un sistema unico di asilo e accoglienza, condiviso e applicato da tutti gli Stati aderenti all’Unione Europea che, ripartendo in modo equo i richiedenti asilo e i migranti forzati nei vari paesi Ue, preveda condizioni di vita dignitose e un processo di reinsediamento il più rapido possibile. In questo modo si andrebbe ad annullare anche il regolamento di Dublino 3, che impedisce la libertà di circolazione, residenza e lavoro, vincolando i migranti al primo paese Schengen al quale chiedono aiuto. E si supererebbero storture tutte italiane come la rete degli attuali Centri di accoglienza, l’abbandono dei migranti al loro destino una volta che hanno ottenuto lo status di rifugiato o un’altra forma di protezione, con la conseguente creazione di una enorme sacca di persone di fatto senza diritti, consegnate allo sfruttamento, al lavoro nero, talvolta alla criminalità.

Da notare che queste tre proposte sono tutt’altra cosa rispetto al progetto, previsto dal Processo di Khartoum, di aprire una serie di campi profughi sotto le insegne Unhcr, dove sia possibile presentare le richieste di asilo. A parte il fatto che campi gestiti dall’Unhcr già esistono, il punto è chi garantisce la sicurezza degli ospiti di quelle strutture in paesi del tutto inaffidabili, da anni sotto accusa per la violazione dei diritti umani: sono eloquenti in proposito i casi di violenza, rapimento, complicità delle stesse forze di sicurezza con i trafficanti di uomini, denunciati a più riprese in Sudan, che pure è uno dei paesi chiave dell’accordo. Per di più, l’attuazione del terzo punto è essenziale per il funzionamento dei primi due.

– Interventi nei “punti di crisi”. Varare una politica comune e mirata dell’Unione Europea nei cosiddetti “punti di crisi”, per eliminare o quanto meno ridurre le cause di questo esodo enorme direttamente nei paesi d’origine dei profughi. Non, però, con accordi al buio con gli stessi dittatori che sono la prima causa dell’esodo enorme a cui stiamo assistenza ma sostenendo i movimenti democratici che li combattono e, in ogni caso, pretendendo da quei dittatori il rispetto immediato dei diritti umani e delle regole democratiche come condizione preliminare irrinunciabile per l’apertura di qualsiasi forma di colloquio e collaborazione.

Su questi punti l’agenzia Habeshia torna a chiedere risposte rapide e concrete. È l’unico modo per onorare davvero la memoria dei 366 morti di Lampedusa, delle altre 26 mila vittime che si sono registrate dal duemila a oggi nel Mediterraneo, dei circa 900 giovani scomparsi dall’inizio di quest’anno. Risposte in grado di onorare le vittime, di asciugare le lacrime dei superstiti, di dare aiuto e dignità alle migliaia di disperati che bussano anche in queste ore alle porte dell’Europa.

don Mussie Zerai


 

Si veda anche:

Profughi: la soluzione c’è, ma si preferisce la guerra, di Emilio Druidi

 

 

Lettera aperta a Dimitris Avramopoulos sulla questione dei profughi siriani

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Su iniziativa degli eurodeputati greci Kostadinka Kuneva e Kostas Chrysogonos (Syriza, GUE/NGL) è stata indirizzata a Dimitris Avramopoulos, Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, una lettera aperta in cui si denuncia la situazione dei duecento profughi siriani in sciopero della fame da una decina di giorni davanti alla sede del Parlamento greco per ottenere il diritto di lasciare il paese legalmente, e, nell’attesa, di ricevere riparo, cibo e cure mediche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sullo status dei Rifugiati. Queste persone sono state costrette a lasciare la Siria a causa della guerra civile che ha provocato più di 100.000 morti e ha costretto alla fuga quasi tre milioni di persone.
Il governo greco, per voce del suo ministro dell’Interno, ha informato i profughi siriani che in base al regolamento di Dublino possono sottoporre richiesta d’asilo esclusivamente alla Grecia, primo paese di accoglienza: non otterranno documenti di viaggio per raggiungere altri paesi dell’Unione Europea, e non sarà possibile garantire l’alloggio a tutti. Ai profughi è stato inoltre comunicato che la ricerca di un impiego in Grecia, con 1,24 milioni di disoccupati, sarebbe inutile. Il ministro si è rifiutato di prendere in considerazione le possibilità contemplate dalla Direttiva del Consiglio europeo 2001/55/EC del 20 luglio 2001 a proposito delle norme minime sulla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e l’adozione di misure intese a garantire l’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono tali persone e subiscono le conseguenze dell’accoglienza delle stesse. Si chiede pertanto al ministro di attivare la Direttiva, consentendo ai profughi siriani di chiedere asilo ai paesi in cui spesso si trovano altri membri delle loro famiglie, favorendo una distribuzione equilibrata dei profughi siriani nei vari paesi europei e permettendo all’Unione Europea di mostrarsi responsabile e solidale nei confronti di coloro che cercano riparo da una guerra.

Aggiornamento, venerdì 5 dicembre: è stata data notizia della morte di due profughi siriani di piazza Syntagma.

By this letter, we would like bring to your attention a case that you might already be aware of. For the last twelve days, a group of about two hundred Syrian refugees, among which women with their children, elderly and injured, are staging a protest in Syntagma Square in Athens, just across the Greek Parliament. For almost ten days now, most of them are on hunger strike. Until this very moment, seventeen hunger strikers have shown signs of exhaustion (faints) and were sent for hospitalization.

Syrian refugees are requesting for travel documents that would enable them to travel safely and with dignity to other European countries. But until this request succeeds, they are seeking for shelter, food, medical care and social protection, fundamental rights foreseen and protected in the UN Convention Relating to the Status of Refugees, as well as in the European legislation. These people have been forced to leave Syria due to the civil war which has been going on for over three years, costing the lives of over 100,000 people and forcing almost three million people to flee the country and become refugees. Those people took a huge risk, crossing Turkey and reaching on a boat to Greece, a country serving as a transit point for their final destinations, which are other countries of EU. Their desire is to reunite with members of their families, who have managed to reach safer destinations which have the structure to receive the refugees and asylum seekers.

In a resolution drafted by the Syrians refugees themselves, who are located in Syntagma Square since November 19th, it is emphatically stated the following: “We are here to demand the only solution that can exist for us and for our families: the right to continue our journey in order to be able to set up a new life in a new place, in another corner of the world, with safety, freedom and dignity for us and for our children. We ask the European countries to take their share of responsibility for the suffering of the Syrian people and to welcome the war refugees into their territory. We ask the Greek Government to initiate the procedures that would enable us to continue our journey. ”

The Greek Government, through its Ministry of Interior, informed Syrian refugees that their only option is to submit an asylum request to Greece, as foreseen in Dublin Regulations which obliges the asylum seekers to submit their application to the country of first reception. They were warned that no travel document can be given to them in order to travel to other EU countries and that housing for everyone cannot be ensured. Additionally, they notified them that searching for employment in Greece, where there are 1.24 million unemployed, would be futile. The Minister refuses to acknowledge and use the possibilities provided in the Council Directive 2001/55/EC of 20 July 2001 on minimum standards for giving temporary protection in the event of a mass influx of displaced persons and on measures promoting a balance of efforts between Member States in receiving such persons and bearing the consequences thereof, ratified by Presidential Decree 80/2006, which could come into force, if Greece requested the Commission to submit a proposal to the Council.

The influx of Syrian refugees in Greece illustrates the pressure created to EU countries which form part of its external borders. This situation leads both the EU as a whole and its Member States separately, to violate the responsibilities they have assumed by signing and ratifying human rights treaties, especially those that have been set for the protection of refugees.

During your hearing at the European Parliament you set as priority “to respond in effective way to migratory pressures at our borders and to ensure the full respect of human rights”. You further acknowledged that “as long as the humanitarian crisis is on-going due to the Syrian civil war, the Iraq crisis and the general instability in our area, we will continue to see a large number of people from various parts of the world to seek international protection.  You also committed yourself to properly implement the Common European Asylum System.

This is the time where you can take the first step and effectively realize some of your commitments. We urge you to take initiative in addressing the situation of the Syrian refugees in Greece, in cooperation with European and Greek authorities. It is well known that Greece cannot respond alone to the massive influx of refugees or provide them with adequate or even decent means of living, a flagrant example of that is the situation with the rest of the hundreds of Syrian refugees saved from drowning a few days ago in the South of Crete. By activating Directive 2001/55/EC, you will give the Syrian refugees the opportunity to seek asylum in countries that they really want to reside with other members of their families. Also, you will allow a balanced distribution of Syrian refugees in the different EU countries and, mostly, you will allow EU to show true solidarity to these people who have escaped war.

We are also expressing our serious concerns on possible massive police operations against them and we are looking forward to see your immediate initiatives and actions, before the Syrians hunger strikers suffer in Greece what they escaped from Syria of horror and of war.

Emergenza profughi in Grecia: Spinelli chiede soluzione politica

Nel pomeriggio del 3 dicembre, il greco Dimitris Avramopoulos, Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, ha incontrato la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari Interni del Parlamento europeo.

L’onorevole Barbara Spinelli (GUE-Ngl), membro della Commissione – dopo aver letto e appoggiato la lettera scritta dagli eurodeputati greci Kostadinka Kuneva e Kostas Chrysogonos – ha chiesto al Commissario Avramopoulos spiegazioni e soluzioni politiche riguardo alla situazione che ha portato duecento profughi siriani approdati in Grecia a iniziare uno sciopero della fame che prosegue a oltranza, in piazza Syntagma, davanti alla sede del Parlamento.

Domanda di Barbara Spinelli:

“Buon giorno, commissario Avramopoulos. Visto che nell’audizione che ebbe in questa commissione parlamentare il 30 settembre Lei auspicò una comune politica dell’asilo, vorrei richiamare la sua attenzione su quello che sta succedendo in queste ore ad Atene. Da più di una settimana, duecento siriani sono in sciopero della fame a Piazza Syntagma. Ci sono bambini; ci sono già molte persone che sono state portate in ospedale. La situazione è perversa: perché vogliono andare in un paese terzo, ma sono bloccati nel paese di arrivo per via del regolamento di Dublino (che obbliga il migrante a chiedere asilo nel primo paese dell’Unione dove giunge nella sua fuga, ndr). Allo stesso tempo, il governo greco fa loro sapere che non può garantire né il rifugio, non possedendo strutture adeguate, né il lavoro. È così che si creano zone di non diritto, e si moltiplicano nell’Unione paesi non sicuri dal punto di vista del rispetto dei diritti fondamentali europei. La collega Laura Ferrara (eurodeputata del M5S) ha citato l’Italia, e infatti c’è anche l’Italia come paese che secondo la Corte dei diritti dell’uomo a Strasburgo non è in grado di assicurare condizioni civili di accoglienza (sentenza Tarakkhel del 4-11-2014, ndr).

Quello che le voglio chiedere è cosa intende fare, nell’immediato, per venire incontro alla situazione drammatica in Grecia. E se non sia il caso di accertare l’esistenza di un “afflusso massiccio” di rifugiati. L’afflusso massiccio prevede infatti l’attuazione della Direttiva del 2001 (grazie alla quale la Commissione impone la concessione della protezione temporanea e la solidarietà tra Stati membri negli sforzi di accoglienza, ndr). Le chiedo infine se non pensa sia il caso di rivedere il Regolamento Dublino III, proprio perché generatore di questa situazione perversa, nella quale il fuggitivo si trova incastrato tra il Paese dove non può andare e quello di accoglienza dove non può restare”.

Risposta del Commissario Avramopoulos:

“(Sono al corrente di) ciò che succede in piazza Syntagma. Sono in contatto con le autorità greche, ne sono informato e so qual è la situazione. Questo gruppo di profughi siriani ha ricevuto da parte dell’autorità greca la proposta di dar loro l’asilo, per motivi ovvi. Però c’è un vuoto. E tuttavia le autorità greche hanno dato l’assistenza necessaria a questi profughi siriani in piazza Syntagma. Come Lei stessa ha detto, sono stati portati in ospedale.

Lunedì andrò a Ginevra, dove si svolgerà una grande conferenza dedicata proprio ai profughi siriani. Il flusso migratorio continua ad aumentare, perché le pressioni esercitate su questa popolazione sono particolarmente forti. Si tratta di cose che non valgono solo per la Grecia, ma anche per altri paesi. La decisione di chi chiede asilo è assolutamente personale, quindi non ci sonopossibilità legali, per uno Stato membro, di convincere i singoli a fare domanda, anche se le esigenze di protezione di quelle persone sono quelle che sono. Vorrei però ricordare che gli Stati membri hanno sì l’obbligo giuridico di tutelare le persone, ma anche quello di procedere alla registrazione delle impronte digitali: cosa che le persone in fuga non accettano. Anche in altri paesi è così. Per quanto riguarda i siriani, c’è un consenso fra gli Stati membri sul fatto che non è possibile un rimpatrio, vista la situazione in Siria, e questo indipendentemente dalla natura del soggiorno di questi siriani negli Stati membri.

Non parlo come greco, ma so della situazione perché ne sono informato: già dal 2010 le autorità greche stanno attuando un programma di asilo per i siriani, e le carenze che furono notate allora sono state affrontate, come già detto.

Noi, come Commissione, abbiamo (assunto) un’iniziativa: ne discuterò con i colleghi nella Commissione, ma poi sarà un tema di discussione internazionale a Ginevra”.

Controreplica di Barbara Spinelli:

“Commissario, ma di quale assistenza sta parlando, a Piazza Syntagma? Ai fuggitivi non è stato dato cibo, né acqua. Sono stati portati all’ospedale, è vero, ma non mi dica che è questa l’assistenza!”