Alfano richiami Frontex al rispetto dei compiti di salvataggio in mare

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli ad Alfano: Presidenza imponga a Frontex il rispetto dei compiti di salvataggio in mare previsti dai regolamenti UE

Bruxelles, 11 dicembre 2014

Nel corso dell’odierna riunione della Commissione LIBE (Libertà, giustizia e affari interni), Barbara Spinelli ha reso nota una lettera inviata dal direttore di Frontex al Viminale, in cui sono criticati gli eccessivi interventi di soccorso effettuati da Frontex sulla base di chiamate dal Centro operativo di controllo di Roma, fuori dall’area operativa di Triton. Le istruzioni impartite alle navi, scrive Klaus Rosler, «non sono coerenti con il piano operativo e purtroppo non saranno prese in considerazione in futuro». L’eurodeputata del GUE-Ngl, insieme alle colleghe Elly Schlein (S&D) e Laura Ferrara (EFDD), ha domandato chiarimenti sulla lettera e chiesto ad Angelino Alfano, in qualità di rappresentante della Presidenza italiana e di ministro italiano dell’Interno, «di esigere chiarimenti da Frontex, richiamando l’agenzia al rispetto dei regolamenti che la obbligano non solo a controllare le frontiere ma a fare search and rescue e a rispettare le leggi del mare». Il Ministro ha risposto positivamente, ricordando che il soccorso in mare «non deriva da una delibera di Frontex» ma dalla «insuperabile legge del mare» e dai diritti umani fondamentali. «Le leggi del mare», ha continuato Alfano, «precedono la nostra costituzione» e sono «regole assorbite nei codici fondamentali dei diritti, che nessuno può scavalcare», neanche quando il presidio operativo dell’operazione Triton dovesse limitarsi al controllo entro la linea di 30 miglia dalle coste italiane: «Quando arriva una chiamata nessuno può sottrarsi», ha concluso il Ministro, «nessuno può affidarsi alle parole»: queste operazioni di salvataggio sono fissate «su carta scritta», ovvero nei regolamenti che costituiscono e istruiscono il lavoro di agenzie come Frontex.


 

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di Carlo Lania, «Il Manifesto», 9 dicembre 2014

Il mini­stro degli Interni Alfano dovrà far­sene una ragione. Se spe­rava che met­tere fine all’operazione Mare nostrum avrebbe com­por­tato una dimi­nu­zione degli sbar­chi di migranti, dovrà rifare i pro­pri cal­coli. Se si para­gona infatti il numero di arrivi regi­strati a novem­bre scorso, primo mese in cui uffi­cial­mente la mis­sione euro­pea Tri­ton ha sosti­tuito la navi della Marina mili­tare, con quelli avuti nel novem­bre del 2013 — primo mese di atti­vità di Mare nostrum dopo la strage di Lam­pe­dusa — si sco­pre che il numero di pro­fu­ghi arri­vati in Ita­lia è quasi quin­tu­pli­cato.
A rive­larlo, smen­tendo così la anche la pro­pa­ganda di quanti come la Lega con­ti­nuano ad accu­sare Mare nostrum di rap­pre­sen­tare un fat­tore di attra­zione per chi fugge dalle coste afri­cane, è stato l’ammiraglio Giu­seppe De Giorgi, capo di Stato mag­giore della Marina, ascol­tato ieri dalla com­mis­sione Diritti umani del Senato. E i dati for­niti dall’alto uffi­ciale lasciano poco spa­zio a inter­pre­ta­zioni. Nel novem­bre del 2013 gli immi­grati soc­corsi furono in tutto 1.883. Un anno dopo, cioè nel mese di novem­bre appena finito, gli arrivi sono stati invece 9.134, con un aumento del 485% rispetto all’anno pre­ce­dente. Di que­sti 3.810 sono stati soc­corsi sem­pre dalla nostra Marina mili­tare che li ha sot­to­po­sti a scree­ning sani­ta­rio prima dello sbarco, con­tra­ria­mente ai restanti 5.324 (1.534 dei quali inter­cet­tati dalla Capi­ta­ne­ria di porto impe­gnata nella mis­sione euro­pea e 2.273 dai mer­can­tili inter­ve­nuti in soc­corso) che hanno invece rice­vuto le prime visite medi­che solo una volta a terra. Per quanto riguarda Tri­ton invece, e soprat­tutto per capire quanto lo spi­rito della mis­sione euro­pea sia distante da quello che ha carat­te­riz­zato Mare nostrum, basta la let­tera inviata al dipar­ti­mento dell’Immigrazione della poli­zia di fron­tiera del Vimi­nale dal diret­tore di Fron­tex Klaus Rosler e in cui l’agenzia euro­pea si dice «pre­oc­cu­pata» per i troppi inter­venti di soc­corso avve­nuti «fuori area», ovvero oltre le 30 miglia marine fis­sate dall’Ue come con­fine euro­peo. A non pia­cere al diret­tore di Fron­tex sono state le indi­ca­zioni impar­tite nelle scorse set­ti­mane alle navi dal cen­tro di con­trollo di Roma, che dopo aver rice­vuto una serie di segna­la­zioni rela­tive a imbar­ca­zioni di migranti pre­su­mi­bil­mente in dif­fi­coltà, ha ordi­nato di veri­fi­care le richie­ste di soc­corso. Ope­ra­zioni che, secondo il diret­tore dell’agenzia Rosler, «non sono coe­renti con il piano ope­ra­tivo e pur­troppo non saranno prese in con­si­de­ra­zione in futuro».
A que­sto punto è legit­timo chie­dersi a cosa serva Tri­ton e se — al di là delle pro­messe fatte da Alfano — non sia solo un’operazione di imma­gine desti­nata tra l’altro a finire il 31 gen­naio 2015. Tanto più se si para­go­nano gli inter­venti messi a punto da Mare nostrum nel corso dell’anno con quelli della mis­sione euro­pea. Men­tre quest’ultima è impe­gnata infatti nel solo con­trollo delle fron­tiere marit­time, Mare nostrum ha garan­tito la sor­ve­glianza e la sicu­rezza in alto mare, i con­trolli e l’identificazione dei migranti, il con­trollo delle fron­tiere, la ricerca e il sal­va­tag­gio (Sar, Search and rescue) e l’assistenza sani­ta­ria e uma­ni­ta­ria ai migranti. Inol­tre le navi della marina hanno coperto un’area vasta 22.350 miglia qua­drate con­tro le sole 6.900 miglia qua­drate di Tri­ton. Che a quanto pare si lamenta anche.
«Sba­lor­dito» per il richiamo di Fron­tex si è detto Chri­sto­pher Hein, pre­si­dente del Con­si­glio ita­liano rifu­giati. «La stessa Fron­tex ha sot­to­li­neato all’operazione Tri­ton l’obbligo di sal­va­tag­gio di fronte a segna­la­zioni, e se ciò accade fuori dalle 30 miglia non c’è limi­ta­zione ter­ri­to­riale o di set­tore marino che possa essere presa in considerazione».

Fonte

Enrico Calamai: giustizia per i nuovi desaparecidos

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Giornate di studio del GUE/NGL

Firenze, 18-20 novembre 2014

Intervento di Enrico Calamai durante la sessione del 19 novembre, dedicata al tema “Reframing migration and asylum policies: from border surveillance to migrants and asylum seekers rights approach”.

La logica di quello che nei fatti è un aberrante dumping di vite umane sembra essere: ne colpisci uno, ne educhi cento o mille. Ma il fatto sorprendente è che anche se ne colpisci cento, continuano a tentare di arrivare perché privi di alternative, in fuga come sono da dittature, terrorismo, catastrofi ecologiche e miseria estrema e crisi troppo spesso da noi stessi provocate. E allora, ecco che le frontiere vengono spinte sempre più in là, fino a renderli impercettibili nella tragedia del loro respingimento, dispersi nell’ambiente, impensabili e inesistenti perché quod non est in actis, non est in mundo.

Sono, in una parola, i nuovi desaparecidos, e il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita nel cono d’ombra di un sistema mediatico ormai prevalentemente iconografico, in cui si dà per scontato che tutto ciò che esiste viene rappresentato e ciò che non viene rappresentato non esiste, in maniera che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere.

Vale la pena soffermarsi un momento sul rapporto visibità/invisibilità. La strage di Lampedusa dell’ottobre 2013, in cui persero la vita circa 350 persone, tra cui una giovane madre col figlioletto nato e morto tra le fiamme, fece un tale scalpore da costringere le autorità italiane e quelle di Bruxelles a recarsi sul posto, a vedere di persona quel mostruoso spiegamento di bare. Ne conseguì l’avviamento di Mare Nostrum, che pur con tutti limiti inerenti a un’operazione che agisce a valle delle scelte politiche che causano il problema, ha ridato dignità alla Marina militare italiana, permettendole di salvare 130mila vite umane in un anno, ma che, trascorso per l’appunto un anno, viene cancellato per asserite ragioni di bilancio, come se fosse possibile e lecito porre un prezzo alle vite umane.

Inutile illudersi, Frontex e Triton rappresentano il ritorno a misure di polizia, non di salvataggio, facendo affidamento sulla stanchezza dell’opinione pubblica di fronte al periodico riaffiorare della sinusoide delle stragi, che, in ogni caso, riflette soltanto per difetto il numero delle vittime. Pur senza addentrarsi troppo in una contabilità evidentemente approssimativa, sorge comunque un dubbio: se in un anno di attività di Mare Nostrum ne sono stati salvati 130mila e ne sono comunque morti 3000 circa, quanti ne saranno morti negli ultimi vent’anni di cui 19 senza Mare Nostrum? Quanti ne seguiranno?

C’è, in tutto questo, qualcosa che rientra nella categoria dell’intollerabilità del diritto ingiusto, secondo la formula elaborata dal giurista tedesco Radbruch al termine della II guerra mondiale.

A noi della Campagna “Giustizia per i nuovi desaparecidos” sembra sia il caso di parlare di crimini di lesa umanità e che occorra intervenire con ogni possibile urgenza per porre fine allo stillicidio di morti, presumibilmente destinato a subire una nuova impennata con la chiusura di Mare Nostrum.

In occasione del semestre di Presidenza italiana, abbiamo presentato un appello al nostro Governo chiedendo che vengano intrapresi i passi necessari a smantellare la situazione di fatto e di diritto che è causa di tali crimini. E ci proponiamo di attivare tutte le vie legali, a livello nazionale e internazionale, a partire da un tribunale internazionale d’opinione, per porre fine all’impunità di coloro che risultino coinvolti, sia in passato che attualmente, nella formulazione e nell’attuazione della politica di morte sopra tratteggiata.

Chiediamo l’aiuto delle forze politiche di sinistra presenti a livello europeo per abbattere il muro di gomma dell’inconsapevolezza dell’opinione pubblica e avviare fin da subito un percorso di verità e giustizia.

Dobbiamo interrompere questa catena infame, porre al più presto fine a un meccanismo che costantemente rimescola vittime e benessere, trasformandoci in collettività subalterna e silenziosa di una democrazia, che non può essere altro che forma vuota ove non accompagnata da autentico rispetto dei diritti umani.

Annamaria Rivera: militarizzazione delle frontiere, retoriche del rifiuto e incremento del razzismo

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Giornate di studio del GUE/NGL

Firenze, 18-20 novembre 2014

Intervento di Annamaria Rivera durante la sessione del 19 novembre, dedicata al tema “Reframing migration and asylum policies: from border surveillance to migrants and asylum seekers rights approach”.

1. Il fatto che l’Unione Europea coltivi una sorta di sovranazionalismo armato, a difesa delle proprie frontiere, non solo è causa d’una strage di migranti e potenziali rifugiati di proporzioni mostruose, di cui dirò dopo, ma ha anche contribuito indirettamente, a mio avviso, a incoraggiare i nazionalismi “nazionalitari” o etnici, quindi al successo delle destre, anche estreme, in tutta Europa. Oltre che economica, la crisi europea è anche politico-ideologica, come ci ricorda da alcuni anni Slavoj Žižek.

Non per caso, nell’intero continente, a occupare il primo posto nella scala del rifiuto e del disprezzo sono rom, sinti e camminanti, le popolazioni che più di altre incarnano, almeno simbolicamente, il rifiuto di confini e frontiere.

Secondo un sondaggio recente (2014) sulle attitudini nei confronti di rom, musulmani ed ebrei, realizzato dal Pew Research Center, comparando l’Italia, la Francia, la Spagna, il Regno Unito, la Germania, la Grecia e la Polonia, per antiziganismo è l’Italia, seguita dalla Francia, a collocarsi in testa alla classifica. L’84% del campione intervistato esprime ostilità o paura per la presenza di appena 180mila fra rom e sinti (70mila dei quali cittadini italiani) corrispondenti a un magro 0,23% della popolazione totale [1].

In realtà, essi continuano a svolgere un ruolo vittimario assai simile a quello storicamente attribuito agli ebrei, a tal punto che sugli “zingari”, come un tempo sugli ebrei, tutt’oggi fioriscono e si propalano voci, leggende e “false notizie”, per dirle alla Marc Bloch: anche le più arcaiche, come quella della propensione al rapimento di bambini, pur smentita da dati e lavori scientifici (v. Tosi Cambini, 2008).

Insomma, fra le politiche di militarizzazione delle frontiere e il dilagare delle retoriche del rifiuto c’è un legame assai stretto, se non un circolo vizioso.

In gran parte dei paesi europei va diffondendosi sempre più l’uso politico e ideologico di tali retoriche: i cliché dell’“invasione”, dei migranti come fonte d’insicurezza e impoverimento dei “nazionali”, della “clandestinità” come sinonimo di criminalità sono ampiamente utilizzati perfino da istituzioni, talvolta anche da partiti di centrosinistra, soprattutto da formazioni populiste, di destra e di estrema destra, che in Europa conoscono oggi un’ascesa impressionante. In particolare, quella dell’”invasione” e della “marea montante” è una tipica falsa evidenza: come è ben noto, la quota preponderante dei flussi migratori parte dai paesi del Sud del mondo per dirigersi verso altri paesi del Sud.

Sul versante delle istituzioni, in una parte dei paesi dell’Unione Europea prevale un approccio di tipo emergenzialista, conseguenza, fra le altre cose, del fatto che, in realtà, migrazioni ed esodi non sono stati integrati –starei per dire “elaborati” come tendenze strutturali del nostro tempo.

Anche questo spiega perché il razzismo tenda a diventare “ideologia diffusa, senso comune, forma della politica” (Burgio, 2010). E non si tratta del ritorno in superficie dell’arcaico, bensì di una delle fasi del riemergere ricorrente del lato oscuro della modernità europea.

Le discriminazioni istituzionali, l’allarmismo dei media nonché la cattiva gestione dell’accoglienza, almeno in alcuni Statimembri, non fanno che produrre ondate ricorrenti di moral panic, alimentando anche violenza razzista ‘popolare’ nei confronti degli indesiderabili, spesso usati come capri espiatori, particolarmente in questa fase.

In non pochi paesi europei la crisi economica si coniuga con una crisi, altrettanto grave, della democrazia e della rappresentanza, talché la distanza fra i cittadini e il potere si fa siderale e la cittadinanza va trasformandosi sempre più in sudditanza (v. Balibar, 2012). Non sorprende affatto, quindi, che gli effetti sociali della crisi e delle politiche di austerità, coniugati con la condizione e il senso soggettivo di sudditanza, alimentino frustrazione, spaesamento, risentimento sociale, e conseguente ricerca del capro espiatorio. Una buona parte di cittadini penalizzati dalla crisi finisce così per identificare il proprio nemico negli immigrati “che rubano il lavoro” o nei rom che degraderebbero il loro già degradato quartiere di periferia. Sicché si potrebbe sostenere che il razzismo ‘popolare’ sia perlopiù rancore socializzato.

Illustra bene questa tendenza ciò che è accaduto di recente a Tor Sapienza, un sobborgo dell’hinterland romano. In questa “periferia composta da insediamenti casuali e frammentari, di enclave vissute nella cultura dell’emergenza e mai messe in condizione di poter comunicare o interagire, di crescere insieme per diventare società” (Goni Mazzitelli, 2014), una frazione di residenti ha compiuto ripetuti raid contro un centro di accoglienza che, oltre ad alcune famiglie di rifugiati, ospitava poche decine di minori non accompagnati, provenienti da Egitto, Bangladesh, Etiopia e altri paesi subsahariani. Dopo alcuni giorni di assalti violenti, istigati dall’estrema destra, i minori sono stati allontanati da quel centro – che ormai sta per chiudere e separati in diverse strutture provvisorie.

Etichettare questo caso, come altri simili, secondo la formula abusata di “guerra tra poveri” è, a mio avviso, un’espressione di quel “pensiero debole in un mondo complesso” di cui ha parlato qui Carlo Freccero. Infatti, ammesso sia opportuno usare la metafora della guerra, questa è tutt’altro che simmetrica: è, semmai, una guerra contro i più vulnerabili tra i poveri.

2. In assenza d’itinerari sicuri e legali per raggiungere l’Europa, i rifugiati in cerca di protezione e i migranti che aspirano a una vita migliore sono sottoposti dall’Unione Europea a un’autentica prova di sopravvivenza. Non tutti la superano.

Si tenga conto che nel corso del 2013 il 68% delle persone che hanno tentato di raggiungere l’Europa illegalmente per via marittima proveniva dalla Siria, Eritrea, Afghanistan e Somalia, paesi devastati da conflitti, persecuzioni e violenze (Amnesty International, Des vies à la dérive, 2014).

Secondo Fatal Journeys, il recente rapporto dell’OIM (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni), nonostante la missione Mare Nostrum della Marina Militare Italiana, che pure, dal 18 ottobre 2013, ha salvato 115.000 migranti, nei primi otto mesi di quest’anno sono morte nel Mediterraneo almeno 3.072 persone. Cioè il 75% di tutte le vittime di migrazioni illegali su scala mondiale, nello stesso periodo.

Basta scorrere i grafici del Rapporto per constatare che l’Europa è largamente in testa alla classifica delle aree migranticide, per usare un neologismo. E ciò non solo per ovvie ragioni geografiche e per l’aumento vertiginoso di migranti e potenziali rifugiati che cercano di raggiungerla, ma soprattutto perché le politiche proibizioniste europee rendono i viaggi sempre più pericolosi. Al punto che il tentativo di raggiungere il nostro continente è costato la vita a ben 22.400 migranti in soli 14 anni.

I cosiddetti “trafficanti di esseri umani” rappresentano soltanto gli “utilizzatori finali” del sistema di frontiere e muri che l’Europa ha eretto intorno alla sua fortezza. Sono le politiche proibizioniste ad avere creato le condizioni perché si sviluppasse l’offerta di attività irregolari e dunque un aumento spaventoso delle stragi in mare.

Queste sono destinate a un incremento ulteriore, dal momento che si è deciso di abbandonare Mare Nostrum in favore dell’operazione Triton, uno degli avatar di Frontex. Come insiste Amnesty International nel rapporto che ho citato, Triton non è affatto un’operazione di ricerca e salvataggio. Privarsi di un Mare nostrum, magari « riformato » e sostenuto concretamente da altri Statimembri, è da cinici o irresponsabili, in presenza –rimarca Amnesty Internationaldi una crisi concernente i rifugiati che si configura come la più grave dopo la Seconda guerra mondiale.

Ricordo che il nuovo regime delle frontiere affermatosi in Europa ha prodotto non solo un’autentica ecatombe, ma anche la proliferazione e perfino l’esternalizzazione dei centri di detenzione per migranti, nei quali, in certi casi, sono rinchiusi finanche richiedentiasilo e minori; e talvolta anche per responsabilità di Frontex. Le condizioni di tali lager spesso muniti di gabbie e filo spinato, e controllati da forze dell’ordine e militari armati sono state condannate dalla stessa Corte di Strasburgo. In alcuni paesi, come l’Italia, sono istituzioni del tutto abusive, in quanto violano la Costituzione e lo stato di diritto.

Questo sistema si è rafforzato anche grazie agli accordi bilaterali con paesi dell’altra sponda del Mediterraneo, cui si delega una parte del “lavoro sporco”. L’Italia ha perpetuato fino a ieri gli accordi di cooperazione perfino con un paese devastato qual è la Libia, il quale, oltre tutto, non ha leggi sull’asilo, pratica gravissime violazioni dei diritti umani, non ha sottoscritto neppure la Convenzione di Ginevra del ’51. Come è ben noto, la Libia, tappa ineludibile soprattutto per i migranti e i profughi subsahariani, è un vero e proprio inferno. Come e peggio che al tempo di Gheddafi, pratiche tuttora correnti sono gli arresti arbitrari, il lavoro forzato e lo sfruttamento schiavile, le deportazioni, i taglieggiamenti, le torture, gli stupri: orrori la cui apoteosi è l’inferno della prigione di Kufra. L’unica differenza è che oggi sono le milizie armate a “dirigere” i centri di detenzione e a compiere le nefandezze cui ho fatto cenno.

È necessario, dunque, modificare radicalmente la legislazione europea (per non dire di quella italiana), nel senso indicato dai relatori/trici che mi hanno preceduta. Ma soprattutto occorre che tra le nostre stesse fila si affermi la consapevolezza che decisiva è la battaglia contro il razzismo e per i diritti dei migranti e dei rifugiati. Da essa non si può prescindere se si vuole scongiurare il lato oscuro della modernità europea, in favore della prospettiva di un’Europa della democrazia, della giustizia sociale, dell’uguaglianza dei diritti.

[1] Pew Reserch Center’s Global Attitudes Project: EU Views of Roma, Muslims, Jews, 12 maggio 2014.


Approfondimenti:

Annamaria Rivera: militarizzazione delle frontiere, retoriche del rifiuto e incremento del razzismo

 

Mos Maiorum, retate all’antica

Intervento davanti al gruppo GUE/NGL, 9 ottobre 2014

Nello stesso momento in cui i governi europei fingono di piangere i morti di Lampedusa, a un anno dalla strage del 3 ottobre, si sta preparando in tutta l’Unione un’autentica retata di migranti, promossa dal governo italiano nelle vesti di presidente di turno del Consiglio. Sono felice che il nostro gruppo si mobiliti, e un grande grazie a chi, nello staff del Gue-Ngl, sta cercando di costruire iniziative in vista della prossima plenaria assieme al gruppo dei Verdi. [1]

L’operazione, battezzata Mos Maiorum, si svolgerà dal 13 al 26 ottobre, ed è stata decisa dal Consiglio dei ministri dell’Interno e della Giustizia il 10 luglio scorso. Ne siamo venuti a conoscenza tardi: in parte perché come Parlamento non siamo stati avvisati, in parte perché non siamo stati attenti. Sarà condotta dentro lo spazio Schengen e, con la scusa della lotta alla tratta di esseri umani, intende rintracciare il più gran numero possibile di migranti cosiddetti irregolari: il più delle volte richiedenti asilo senza documenti, perché in fuga da zone di guerre cui noi stessi abbiamo contribuito.

Mos maiorum – già il nome inquieta, rimanda a tempi di imperi e schiavi – sarà assistita dall’agenzia Frontex, che in teoria controlla le frontiere dell’Unione, non il suo spazio interno. Avviene inoltre quando l’agenzia Frontex è più contestata, per non rispetto del divieto di respingimento sancito dalla Carta europea dei diritti fondamentali, oltre che dalla convenzione di Ginevra. Sono numerosi i casi di respingimento collettivo dai porti dell’Adriatico, e dagli aeroporti siciliani di Comiso (Ragusa) verso l’Egitto e di Palermo verso la Tunisia.

La mancanza di canali legali di ingresso in Europa ha prodotto una crescita esponenziale di fuggitivi, costretti ad entrare (e poi spostarsi nell’area Schengen) senza documenti. Il Regolamento Dublino III, mal congegnato, prevede tempi lunghi delle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale e produce movimenti secondari di richiedenti asilo verso il Nord Europa, attraverso canali irregolari. Queste persone rischiano di essere le prime vittime di un’operazione di polizia che, a parole, vuol contrastare il crimine che fa profitti sui migranti, sia quando entrano nell’Unione sia quando circolano al suo interno

Si potrebbe verificare il contrario esatto di quel che si dice di voler ottenere: una criminalizzazione non delle mafie ma delle loro prede: cioè di chi sarà trovato senza regolari documenti di ingresso e soggiorno. Si estenderà la loro possibile reclusione nei centri di detenzione. Saranno ancor più svalutati gli istituti della protezione internazionale.

In assenza dell’apertura di vie legali di ingresso e senza una modifica del Regolamento Dublino III, Mos Maiorum potrebbe costringere i migranti a rivolgersi ancor più ai cosiddetti trafficanti di terra, rafforzando il potere di ricatto delle reti criminali. I meccanismi di emarginazione prodotti dalla fuga nella clandestinità, ­ sostiene il docente di diritto d’asilo Fulvio Vassallo Paleologo, sono una manna per le reti che forniscono servizi e beni primari in cambio non solo di denaro, ma dell’affiliazione a correnti politiche e religiose radicali. Le retate non abbattono le mafie. Le tengono in vita e le nutrono.

[1] Su Mos Maiorum, il gruppo Gue-Ngl ha successivamente deciso, nel pomeriggio del 9 ottobre, di inviare subito una lettera al Consiglio dei ministri degli Affari interni e della Giustizia, riuniti nella stessa giornata a Lussemburgo, e di preparare una “richiesta di dichiarazione” del Consiglio durante la prossima plenaria del Parlamento europeo. Alla richiesta aderirà il gruppo dei Verdi.

 

La lettera del gruppo GUE/NGL al Consiglio dei ministri degli Affari interni e della Giustizia (file .pdf)


Approfondimenti:

Decisione del Consiglio dei ministri, 10 luglio 2014 (file .pdf)

“Mo(r)s maiorum”: ordinanza contro i migranti irregolari

Controlli, identificazioni e arresti: al via Mos Maiorum, operazione europea di polizia con a capo l’Italia

I migranti tornano nemici. Il Cipsi condanna ‘Mos Maiorum’ e Triton

Du 13 au 26 octobre, attention aux rafles dans toute l’Europe

Police roundup operation of undocumented migrants must be called off!

Via all’operazione “Mos Maiorum” contro l’immigrazione illegale

A Lampedusa, 4-5 ottobre 2014

Il cimitero delle barche di Lampedusa

Lampedusa, il cimitero delle barche

Barbara Spinelli, presente con una delegazione di europarlamentari del gruppo Gue-Ngl al Festival Sabir di Lampedusa, che si è tenuto dall’1 al 5 ottobre, il 4 ottobre è intervenuta al Forum Migranti nella sessione tematica Frontiere e prima accoglienza, coordinata da Arci, Migreurop, REMDH.

Davanti all’ecatombe di esseri umani nel Mediterraneo, ha detto Spinelli, non ci si può contentare di vuote frasi di solidarietà, occorre invece agire con iniziative concrete, come l’immediata istituzione di corridoi umanitari e una politica di visti, ma anche pretendendo il rispetto delle leggi e degli accordi già esistenti tra i Paesi membri dell’Unione.

Non è accettabile, ha affermato l’europarlamentare, la sostituzione di Mare Nostrum –iniziativa presa dal governo italiano proprio in conseguenza dell’immane naufragio dello scorso anno a Lampedusa – con l’operazione Frontex Plus, ora rinominata Triton. Ci hanno parlato di un’operazione ambigua, ha spiegato Spinelli, la cui evidente funzione di respingimento viene sovrapposta, con grandi retoriche autocelebrative, alla missione umanitaria finora svolta da Mare Nostrum. La verità è che Triton farà controlli e pattugliamenti, più che ricerche e salvataggi, e non si avventurerà in acque internazionali. Triton ha l’evidente scopo di chiudere i muri della Fortezza Europa.

Vittime della guerra, ha detto Spinelli, non sono solo gli esseri umani, ma la verità e la legalità. Nel caso della guerra contro i migranti, vittime sono una serie di articoli della nostra Carta dei diritti fondamentali, a cominciare dall’articolo 2 (diritto alla vita) e dall’articolo 19 (divieto di respingimento). Così come è violato il Trattato di Lisbona (articolo 80), che prescrive la solidarietà anche finanziaria tra Stati membri “ogni qualvolta sia necessario”.

Spinelli ha concluso con un invito a ricordare la storia europea: il problema è politico, ha affermato, perché abbiamo un diritto europeo al quale non corrisponde una politica europea. Avere una politica verso il Sud del Mediterraneo significa costruire uno spazio inclusivo di pace, solidarietà, cooperazione: un New Deal mediterraneo, che comporti una politica di aiuti nei confronti di quei paesi che, molto più dell’Europa, si fanno carico di masse di rifugiati in fuga dai paesi in guerra, primo tra tutti la Siria.

Nel corso della missione a Lampedusa, Barbara Spinelli ha preso parte, il 5 ottobre, alla partenza simbolica della Carovana antimafia “contro la tratta dei nuovi schiavi”, avvenuta dal molo Favaloro del porto, punto di approdo nell’isola per migliaia di migranti.

Sempre il 5, la deputata del Gue ha visitato la sede di Mediterranean Hope – Osservatorio sulle Migrazioni di Lampedusa, un progetto della FCEI finanziato dall’Unione delle chiese metodiste e valdesi, dove ha incontrato Francesco Piobbichi, operatore sociale incaricato della costruzione di un “osservatorio” delle migrazioni a Lampedusa. Nella sede di Hope, Spinelli ha preso visione dei disegni, prossimamente esposti in una mostra, con i quali Piobbichi dà forma e memoria ai racconti dei testimoni: storie di naufragi, salvataggi, incontri tra isolani e migranti.

I muri della Fortezza Europa

Bruxelles, 30 settembre 2014. Intervento di Barbara Spinelli durante l’audizione del Commissario all’immigrazione e affari interni Dimitris Avramopoulos presso la Commissione parlamentare Libertà, giustizia e affari interni

Quand’era ministro della Difesa, e ancora una volta oggi, davanti agli europarlamentari, Lei si è vantato del muro di filo spinato costruito alla frontiera tra Grecia e Turchia. Il muro, come lei sa, ha avuto come principale effetto quello di dirottare le fughe dei migranti verso il Mediterraneo centrale e verso l’Italia. Il dramma dunque resta immutato, e il numero di morti nel Mediterraneo cresce. Ecco il risultato dei muri europei.

Coerentemente con questa convinzione, Lei afferma che la sua priorità numero uno sarà la lotta contro il traffico di profughi, e non l’apertura di vie legali per chi fugge da situazioni di guerre o carestie, e per forza di cose è un migrante irregolare, ovvero illegale.

Le chiedo innanzitutto se ribadisce questa priorità e, in secondo luogo, come pensa di dar seguito all’intenzione – comunicata nel marzo scorso dalla Commissione al Parlamento Europeo – di introdurre regole vincolanti sul mutuo riconoscimento del diritto d’asilo, affinché nasca quello “status uniforme in materia di asilo » o di protezione sussidiaria, « valido in tutta l’Unione », come prescrive testualmente l’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. [1]

Grazie.

Risposta del Commissario Avramopoulos

Riguardo al mutuo riconoscimento dello status di rifugiato esiste già un quadro ben preciso: il “pacchetto asilo” che sarà applicato a partire dal giugno 2015.

Lei ha parlato del muro costruito ai confini nord-orientali della Grecia. Io vorrei dirle che all’epoca era così. L’effetto sorpresa che ha investito i nostri paesi li ha portati tutti ad adottare una politica autonoma, e ciascuno ha adottato le proprie misure. È dopo tutto questo che viene l’Europa.

Lei ha ragione. Bisogna uniformare le politiche dell’immigrazione perché ce ne sia una sola. Ecco perché giustamente lei parla di asilo: in questo caso esistono norme legali e legittime. Io spero che giunga presto il giorno in cui potremo dirci orgogliosi di aver lasciato un’importante eredità per il futuro: una politica legale, e organizzata in base ai principi e ai valori dell’Europa, con il massimo rispetto dei diritti fondamentali, della dignità dell’uomo, specie per quanto riguarda le categorie più vulnerabili di persone che stanno solo cercando una vita migliore in un’Unione che sia ospitale.

NOTE

[1] Articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea
1. L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti.
2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa:
a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione;
b) uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell’asilo europeo, necessitano di protezione internazionale;
c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio;
d) procedure comuni per l’ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria;
e) criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo o di protezione sussidiaria;
f) norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria;
g) il partenariato e la cooperazione con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea.
3. Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo.

Sullo stesso argomento:
Respingere Dimitris Avramopoulos, commissario della Fortezza Europa
Commento di Barbara Spinelli sull’audizione di Dimitris Avramopoulos (video)

Rifugiati: Commissione si batta
per il mutuo riconoscimento

di mercoledì, Settembre 24, 2014 0 , , , Permalink

Bruxelles, 24 settembre 2014

La Commissione e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) hanno presentato oggi alla Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni il resoconto annuale sulle loro attività.

Dopo la presentazione dei due documenti, numerosi eurodeputati hanno espresso i propri dubbi sulla situazione reale dei richiedenti asilo nell’Unione Europea.

Barbara Spinelli ha lamentato l’assenza di un programma Europeo adeguato all’attuale situazione di emergenza caratterizzata da guerre che si stanno moltiplicando intorno a noi. Secondo l’eurodeputata, una vera politica di asilo europeo dovrebbe prevedere il mutuo riconoscimento dello status di rifugiato: la possibilità, in altre parole, che chi ottiene protezione in uno Stato Membro possa andare a vivere e a lavorare anche in altri Stati dell’Unione.

Ha deplorato in questo contesto il disinteresse dimostrato dagli Stati Membri nel discutere della possibile riallocazione dei rifugiati all’interno dell’Unione Europea: disinteresse segnalato dal rapporto della Commissione.

Ha chiesto infine al Direttore Esecutivo dell’EASO se, visto l’accordo firmato fra FRONTEX e l’EASO nel 2012, sarebbe auspicabile la presenza operativa di un funzionario EASO in ogni operazione di ricerca, pattugliamento e eventuale salvataggio di FRONTEX in modo da assicurarsi che i diritti dei richiedenti asilo siano sempre tutelati.

Riunioni della Commissione parlamentare
Libertà civili, giustizia e affari interni.
3-4 settembre 2014

3 settembre 2014

Domanda rivolta a Luigi Soreca (Direttore della sicurezza interna, DG affari interni, Commissione europea), in seguito alla presentazione di due rapporti: sulla strategia dell’Unione europea in materia di sicurezza interna negli anni 2010-2014 e sull’accordo fra Unione europea e Australia sul trattamento e la conservazione dei dati personali (PNR) dei passeggeri.

Barbara Spinelli ha iniziato il proprio intervento ricordando l’importante ruolo svolto dal Parlamento Europeo, e in particolare dalla Commissione Libertà civili, nel processo di decisione europea in materia di politica interna. In questo quadro ha evocato la creazione nel 2012 della Commissione temporanea sul crimine organizzato, la corruzione e il riciclaggio di denaro (CRIM): commissione istituita nella precedente legislatura dall’europarlamentare Sonia Alfano, il cui lavoro di indagine sulle mafie in Italia ed Europa è stato di notevole importanza. Quella Commissione dovrebbe essere ristabilita, ha detto l’europarlamentare, chiedendo a Luigi Soreca se il giudizio positivo sulla Commissione CRIM, e la proposta di ripristinarne un’analoga, siano condivisi dalla Direzione affari interni della Commissione europea.

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