L’atlantismo di Draghi impotente in Ucraina

di mercoledì, Febbraio 23, 2022 0 , , , , Permalink

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 23 febbraio 2022

Salvo ripensamenti più o meno notturni (è una specialità di Enrico Letta, quando prima approvò poi rifiutò la candidatura di Elisabetta Belloni al Quirinale) sembrerebbe che il “campo largo” potrebbe sostituire l’alleanza prospettata a suo tempo fra Democratici e Movimento 5 Stelle di Conte. Essendo largo, il campo includerebbe Pd, Lega, Forza Italia, Azione, Italia Viva e micro-centristi vari. Resterebbero fuori 5 Stelle e Fratelli d’Italia, che Renzi e Calenda giudicano equivalenti. Negli anni ’70 l’Italia fu chiamata alla riscossa contro gli “opposti estremismi”. Prima ancora, nel secondo dopoguerra, fu imposta la “conventio ad excludendum”: i comunisti andavano esclusi dai governi, per volontà non degli elettori ma di Washington e della Nato.

Quello scenario si ripete, adesso che la guerra fredda ricomincia e addirittura si riscalda in Ucraina, solo che la quarantena politica – morto il Pci – è riservata al leader di 5 Stelle: inaffidabile perché ebbe la sfrontatezza di aprire alla Via della Seta e di nutrire dubbi sulle sanzioni. Ecco dunque rispuntare i raggruppamenti centristi, sempre rassicuranti perché sempre allineati: quadripartiti, pentapartiti, e via allargando nella speranza che alle prossime elezioni il M5S perda più voti di quel che già perde per conto proprio.

Se nel descrivere la resurrezione di vecchi scenari citiamo Nato e Usa è perché il nuovo “campo largo” (si dice centrosinistra ma s’intende centrodestra) è andato rafforzandosi man mano che cresceva la tensione Usa-Russia sull’Ucraina. Tensione sfociata nella rabbiosa mossa di Putin che riconosce e garantisce militarmente l’indipendenza delle regioni del Donbass (Donec’k e Luhans’k) e alimentata per anni dall’afonia europea e, in Italia, dall’accresciuto appiattimento sulle bellicose posizioni statunitensi e britanniche. Macron almeno si è adoperato perché i negoziati riprendessero; Scholz ha sospeso ieri l’autorizzazione del gasdotto Nord Stream 2 – un disastro per gli europei – ma prima aveva almeno ammesso che l’ingresso di Ucraina e Georgia nella Nato “non è all’ordine del giorno” (cruciale obiettivo strategico di Putin). Draghi invece niente. Ha perso il treno del pomposamente annunciato viaggio a Mosca, e ieri ha definito “inaccettabile” la mossa russa: aggettivo futile, perché chi dice inaccettabile senza metter subito mano alla  pistola ha già accettato. Prima ancora, il 17 febbraio, ha emesso commenti piuttosto sbalorditivi. Nessun accenno alle richieste di Putin, né agli accordi di Minsk-2 (ampia autonomia delle autoproclamate Repubbliche di Donec’k e Luhans’k, mai concessa da Kiev), ma in cambio smilzi appelli al dialogo e un peculiare compiacimento: “Il punto numero uno è riaffermare l’unità atlantica. Questo è forse il fattore che ha più colpito la Russia! Inizialmente ci si poteva aspettare che essendo così diversi avremmo preso posizioni diverse, invece nel corso di tutti questi mesi non abbiamo fatto altro che diventare sempre più uniti. Il dispiegamento di quest’unità già di per sé è qualcosa di importante”.

Il Presidente del Consiglio dimentica che nel 2003 Parigi e Berlino si scontrarono con gli Usa e non parteciparono alla rovinosa guerra in Iraq. Lo spirito e gli interessi europei furono salvaguardati da un memorabile intervento all’Onu del ministro degli Esteri Dominique de Villepin, e il conflitto con Washington fu benefico. L’unità atlantica non è rassicurante a priori, nei rapporti con Mosca o anche Pechino. E per quanto ci riguarda: se la Nato non rispetta gli interessi di tutti gli europei vale solo il primo paragrafo dell’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra”.

Non pochi commentatori, istupiditi dalla “fermezza atlantista” di Palazzo Chigi, scoprono con otto anni di ritardo che nel Donbass c’è guerra tra forze ucraine (compresi battaglioni neonazisti) e popolazioni russofone che Kiev si limita a definire russofile. Temo che conoscano poco la situazione, nonostante le puntuali precisazioni offerte da esperti per niente estremisti come l’ex ambasciatore Sergio Romano o lo storico Gastone Breccia (“La Nato non è stata concepita per arrivare fino al Dnepr. Riconoscere le ragioni geopolitiche dell’avversario e i propri limiti strategici non significa tradire i principi fondativi dell’Occidente, ma soltanto applicarli con realismo e saggezza”).

Su questo punto Letta jr. è più realista del re. Il 25 gennaio giudicò improponibile la candidatura al Colle di Franco Frattini – ventilata da Conte e Salvini– per il solo fatto che l’Improponibile menzionava i millenari interessi russi (evocati con insistenza da Putin, lunedì) e sconsigliava altri allargamenti della Nato, in memoria delle promesse fatte a Gorbachev nel 1990.

Se così stanno le cose tuttavia, e se anche in politica interna il patto Pd-M5S si sbriciola, sarebbe ora di smettere il termine “centro-sinistra”. La sinistra non c’è, nel campo largo detto nuovo centro-sinistra. L’attributo non può essere accampato a vanvera per l’eternità. E non perché Conte rappresenti la sinistra. Ma su alcuni punti la tiene in vita: sul lavoro precario, il salario minimo, la corruzione, la giustizia, il reddito di cittadinanza, e non per ultimo sulla visione di un ordine mondiale multipolare, che metta fine all’unipolarismo Usa e al suo costante bisogno di nemico esterno. Il campo largo liquida questa sinistra, per sintonizzarsi con un atlantismo che cura interessi industriali-militari contrabbandandoli per Valori. Della storia russa (Leitmotiv significativo nel discorso di Putin) Italia e Occidente non sanno più nulla, da quando Clinton e Obama vollero allargare la Nato a Est. Nell’agosto 1991 Bush padre avversò l’indipendenza dell’Ucraina; nel 2014 Helmut Schmidt ricordò che “fino ai primi anni ’90 l’Occidente non dubitava che Crimea e Ucraina fossero parte della Russia. Il comportamento del leader del Cremlino è comprensibile”. Sono saggezze perdute, da ritrovare.

Le larghe intese –la formula Draghi senza Conte – fanno comodo a tutti coloro che ritengono bifolco ogni partito che non abbia, come unica cultura, quella “del governare”, non importa se nelle vesti di vassalli. Fa bene Conte – definito sull’«Espresso» “un ambizioso avvocato, scialbo e opportunista, privo di afflato politico”– a rispondere che “creare accozzaglie per puntare solo alla gestione del potere senza la reale prospettiva di un governo che serva davvero a cambiare il Paese a noi non interessa”. Si spera che non interessi troppi dirigenti, nel suo partito.

© 2022 Editoriale Il Fatto S.p.A.

Se non sei atlantista al Colle non ci vai

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 27 gennaio 2022

È bastato che Franco Frattini dicesse alcune cose sensate sulla crisi ucraina e sulla russofobia regnante in Occidente, perché il suo nome – suggerito fugacemente da Conte e Salvini nei giorni scorsi – scomparisse come per magia da tutte le rose dei candidati alla Presidenza della Repubblica.

Un grido di sdegno si è subito levato, proclamando che il futuro capo dello Stato o sarà geneticamente atlantista, o non sarà. Dovrà sostenere Kiev contro l’aggressore russo, incondizionatamente. Non dovrà muover dito perché l’inane riarmo dell’Ucraina e la seconda guerra fredda con la Russia – una messinscena geopolitica per Washington, una catastrofe per l’Europa – finalmente cessino. Dovrà agire e reagire come se l’Ucraina già fosse parte dell’Alleanza atlantica o dell’Unione europea.

Il primo grido di sdegno è venuto da Enrico Letta, forte dell’appoggio zelante di Matteo Renzi: “Sono preoccupato per la situazione tra Ucraina e Russia e dobbiamo difendere l’Ucraina. Abbiamo bisogno di un profilo ‘atlantico’”, ha scritto in un tweet, virgolettando per ignoti motivi l’aggettivo atlantico. Ha ripetuto poi il dolente monito in un’intervista alla Cnbc, come se la candidatura dell’intruso russofilo fosse realmente esistente. È a quel punto che la già pallida figura di Frattini è del tutto svanita, come in certe fotografie ritoccate dei tempi di Stalin. Per meglio puntualizzare è scesa in campo anche Lia Quartapelle, responsabile Pd per gli affari internazionali ed europei: “I venti di guerra che soffiano dall’Ucraina ci ricordano che all’Italia serve un o una Presidente della Repubblica chiaramente europeista, atlantista, senza ombre di ambiguità nel rapporto con la Russia”.

Si ripete così dopo poco più di tre anni il gran rifiuto opposto dal Colle a Paolo Savona, designato ministro dell’Economia dal Conte-1. Il no di Mattarella fu netto: il Quirinale non poteva digerire un esponente che fosse “visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro”. Anche in questo caso Savona scomparve in un baleno dalle foto dei ministrabili. Savona non auspicava l’uscita dall’euro, limitandosi a prospettare una profonda revisione dell’architettura economica europea, ma che importa la verità, quel che conta è mostrarsi muscolosi gridando al lupo.

Fin da quando entrò a Palazzo Chigi – e già aspirando al Quirinale – Mario Draghi mise dunque le mani avanti: si disse “convintamente europeista e atlantista”, visto che le alte e altissime cariche si conquistano con questa carta d’identità. È segno che l’Italia non può permettersi critiche, all’Unione europea e ancor meno alle ormai confuse e convulse decisioni della Nato. Non abbiamo sovranità d’alcun tipo, e quale che sia il presidente della Repubblica, quale che sia il governo, restiamo quello che siamo: non uno Stato ma un Dispositivo della Nato.

Della Russia e dell’Ucraina gli atlantisti italiani sanno poco, anzi nulla. Si attengono al copione distribuito dai vertici degli Stati Uniti e della Nato, secondo cui Putin vuol ingoiare l’Ucraina, e l’Ucraina non è nella sfera di interesse russa, ma nostra. Fingono di dimenticare che l’unificazione della Germania e lo scioglimento del Patto di Varsavia furono ottenuti grazie a una promessa che Bush padre e i leader europei (Kohl, Genscher, Mitterrand, Thatcher) fecero a Gorbaciov nel 1990: la Nato non si sarebbe estesa “nemmeno di un pollice” a Est, garantì il Segretario di Stato, James Baker. Avrebbe rispettato l’antico bisogno russo di non avere vicini armati ai propri confini. Un bisogno speculare a quello statunitense, come si vide nella crisi di Cuba del 1962.

È l’assicurazione che Putin chiede da anni, invano. Washington e Londra hanno imposto il riarmo dell’Est europeo, si sono immischiate nelle rivoluzioni colorate in Georgia e poi Ucraina, e ora inviano ulteriori massicci aiuti militari a Kiev. Molti governi europei sono contrari, soprattutto in Francia e Germania (la prudenza di Scholz prevale al momento sull’atlantismo dei Verdi). L’Italia invece tace, perché non si sa mai: la Casa Bianca potrebbe innervosirsi, come accadde al vicesegretario di Stato Victoria Nuland nel 2014. L’Europa esitava durante la rivoluzione arancione? “Fuck the EU!” (che vada a farsi fottere), commentò Nuland in un’elegante telefonata con l’ambasciatore Usa a Kiev.

Nei mesi scorsi Frattini ha sottolineato l’evidenza dei fatti, e suggerito vie d’uscita. In primo luogo, occorre dire un no esplicito all’ingresso di Kiev (o della Georgia) nella Nato: “Un Paese come l’Ucraina, che al suo interno conta tre province indipendentiste, non può aderire all’Alleanza. La Nato dovrebbe essere la prima a dirlo. Purtroppo ha perso il ruolo di attore politico di primo piano che aveva in passato”. (L’ingresso nell’Ue è escluso, considerata l’accidentata integrazione dell’Est Europa.)

In secondo luogo bisogna rilanciare gli accordi di Minsk, nel “Formato Normandia” che include Russia, Ucraina, Francia, Germania e si è tornato a riunire ieri. Dice ancora Frattini che dopo l’occupazione della Crimea il governo Renzi poteva e doveva fare di più: “Allora l’Italia era ancora nelle condizioni di partecipare al Formato Normandia o di esercitare una forte azione su Putin che forse avrebbe ascoltato. Ha scelto invece di acquietarsi su un’acritica politica delle sanzioni di Obama. In diplomazia quando vuoi convincere chi la pensa all’opposto non lo cacci dal tavolo, aggiungi una sedia”.

Terza condizione per smorzare la crisi: spingere perché vengano ascoltate le popolazioni russe in Ucraina, e perché siano conferite vere autonomie a regioni come il Donbass, che nel 2014 si dichiarò unilateralmente indipendente dall’Ucraina (assieme alla Repubblica di Luhans’k) e dove si combatte da otto anni. I cittadini di origine russa in Ucraina sono circa 11 milioni e il loro status linguistico è calpestato: anche questo allarma Mosca.

Di fronte a tali complessità non si può far finta che le manovre Nato nell’ex Repubblica sovietica non esistano (l’ultima risale al settembre scorso) e che solo i russi si esercitino ai confini con l’Ucraina, non oltrepassando peraltro le proprie frontiere.

Forse sarebbe l’ora di dire che la Nato perde senso, essendosi sciolto il Patto di Varsavia. Che l’ascesa della Cina a potenza globale richiede politiche nuove, multipolari. Discuterne è impossibile in Italia. C’è il copione e se te ne discosti sei un appestato sovranista.

© 2022 Editoriale Il Fatto S.p.A.

Replica di Eleonora Forenza, Curzio Maltese e Barbara Spinelli a un articolo di «Internazionale»

Il 19 giugno 2018 è uscito su «Internazionale» un articolo, a firma Andrea Pipino, intitolato Il voto imbarazzante di 36 eurodeputati di sinistra

 

Questa la replica di Eleonora Forenza, Curzio Maltese e Barbara Spinelli, pubblicata da  «Internazionale» il 3 luglio 2018:

 

Abbiamo votato contro la Risoluzione sulla Russia e in particolare sulle condizioni di Oleg Sentsov, insieme a tutto il gruppo della Sinistra unitaria europea-Sinistra verde nordica (GUE/NGL), perché non crediamo che la difesa dei diritti umani possa essere strumentalizzata, né possiamo incoraggiare la tendenza a utilizzare alcune vicende per nasconderne altre. Il contenuto del testo infatti rivendica in blocco e appoggia la politica dell’Unione Europea verso la Russia che non condividiamo nel suo complesso: non è il momento di riconfermare sanzioni economiche alimentando la tensione fra questi paesi e rilanciando la guerra fredda, ma sono più che mai necessari dialogo e diplomazia. Ogni giovedì durante le riunioni di Plenaria vengono affrontati tre casi di violazione dei diritti umani posti all’attenzione dell’Assemblea, secondo criteri molto sovente parziali e fortemente sbilanciati, frutto di scelte di una maggioranza talvolta animata più da obiettivi politici che dal desiderio di difendere i diritti umani.

Ci opponiamo fortemente a qualsiasi misura coercitiva nei confronti dei media e delle ong, che non tuteli la dignità e la libertà di espressione e informazione di ogni persona. Questo vale per tutte le parti coinvolte, tanto nei conflitti come in tempo di pace. Purtroppo, la risoluzione che ha affrontato la questione di Sentsov non menziona, per esempio, i casi di numerosi prigionieri detenuti in Ucraina, fra cui giornalisti e attivisti dell’opposizione. Per tutti vale la richiesta di scarcerazione e di rispetto integrale dei diritti umani.

Risoluzione sulla situazione in Ucraina

Il 15 gennaio 2015 il Parlamento ha adottato la proposta di risoluzione comune sulla situazione in Ucraina.

Con i colleghi Helmut Scholz, Miloslav Ransdorf, Kateřina Konečná, Patrick Le Hyaric, Kostas Chrysogonos e Georgios Katrougkalos ho proposto a nome del gruppo GUE/NGL una proposta di risoluzione comune che è decaduta senza essere sottoposta al voto, vista l’adozione della risoluzione comune.

Questo il testo della proposta di risoluzione del GUE/NGL:

PROPOSTA DI RISOLUZIONE12.1.2015

presentata a seguito di una dichiarazione del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

a norma dell’articolo 123, paragrafo 2, del regolamento

sulla situazione in Ucraina (2014/2965(RSP))

Helmut Scholz, Miloslav Ransdorf, Barbara Spinelli, Kateřina Konečná, Patrick Le Hyaric, Kostas Chrysogonos, Georgios Katrougkalos a nome del gruppo GUE/NGL

Il Parlamento europeo,–   visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A.  considerando che le elezioni parlamentari anticipate si sono svolte in un difficile ambiente politico e di sicurezza; che in alcune parti dell’Ucraina non è stato possibile per gli elettori partecipare alle elezioni; che la relazione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) precisa che sono emerse prove di “casi di intimidazione e ostruzione che hanno influenzato le proprie strategie della campagna elettorale; negli ultimi dieci giorni della campagna, gli osservatori hanno rilevato un marcato aumento della violenza nei confronti dei soggetti interessati alle elezioni, intimidazione e minacce contro candidati e attivisti e casi di mirata distruzione di materiale e uffici della campagna; vi è stata una serie di credibili asserzioni di voto di scambio”; che sono state riportate gravi tensioni presso alcune commissioni elettorali distrettuali all’intorno e all’interno delle quali erano presenti membri armati di un battaglione di volontari; che la “Rete civile OPORA” ucraina e il “Comitato di elettori dell’Ucraina” hanno spesso riportato varie violazioni presso i seggi, come ad esempio “tentativi di consegnare schede senza una verifica dell’identità, presenza di persone non autorizzate presso i seggi, tentativi di voto illegittimo, tentativo di rimuovere la scheda da un seggio, violazione del segreto del voto, fotografie di schede nonché tentativi di depositare schede illegali nell’urna”; che comunque, stando alle conclusioni dell’OSCE, le “elezioni parlamentari anticipate del 26 ottobre hanno segnato un importante passo nelle aspirazioni dell’Ucraina di consolidare le elezioni democratiche in linea con i propri impegni internazionali”;

B.  considerando che il processo politico in Ucraina è dominato dalla guerra civile in corso nelle regioni di Donezk e Lugansk; che i temi dell’unità nazionale, dell’integrità territoriale e della difesa continuano a dominare l’agenda politica; che, d’altro canto, rimangono irrisolti i problemi che hanno portato ai disordini in Ucraina nel 2012, fra cui corruzione, crisi economica e sociale, sfiducia nella politica e disinganno nei confronti del sistema politico dell’Ucraina dovute alla costante influenza politica delle strutture oligarchiche; che non vi è alcun progresso nell’attuazione dell’agenda di riforma; che il fallito avvio da parte del nuovo governo e parlamento della lotta contro la corruzione ha minato la fiducia del popolo ucraino e della comunità internazionale nel processo politico in Ucraina;

C. considerando che l’Ucraina è sull’orlo di un crollo economico e sociale; che il PIL dell’Ucraina si è contratto del 7,5 % da gennaio a novembre 2014 e l’inflazione è balzata al 21 % in novembre; che il rischio di default è in aumento e il paese ha bisogno di 15 miliardi di USD oltre a quanto previsto dagli attuali programmi di sostegno internazionale;

D. considerando che le richieste socioeconomiche del movimento Maidan sono state ampiamente sostituite dall’agenda neoliberale e nazionalistica del nuovo governo; che il bilancio 2015 prevede profondi tagli della spesa sociale con un contemporaneo aumento della spesa per la difesa al 5,2 % del PIL; che questi tagli sono stati decisi in una situazione economica e sociale estremamente difficile; che nei primi nove mesi del 2014 i prezzi sono aumentati del 16,2 %, mentre le tariffe dei servizi sono aumentate del 24,3 % in media; che 1,7 milioni di persone è disoccupato (l’8,4 % della popolazione economicamente attiva) e molte delle persone che lavorano non ricevono lo stipendio; che la situazione dei circa 5,2 milioni di persone che vivono nelle zone di conflitto e post-conflitto è particolarmente difficile a causa del crollo e del caos della infrastruttura economica e dei servizi sociali; che la disponibilità di assistenza sanitaria in queste zone è sempre più limitata;

E.  considerando che le unità paramilitari degli oligarchi e dell’estrema destra non sono state sciolte e continuano le proprie attività violente nel paese; che il ministro dell’interno ucraino, Arsen Avakov, ha offerto loro nuove armi pesanti tra cui carri armati, veicoli corazzati da trasporto truppa, rafforzandone la posizione nella gerarchia militare; che Vadim Troyan, vicecomandante del regimento conservatore Azof e membro attivo dell’organizzazione paramilitare “Patriota dell’Ucraina” è stato nominato dal ministro dell’Interno ucraino capo della polizia di Kiev; che Yuri Mykhalchyshyn, che ha apertamente promosso l’ideologia di Joseph Goebbels, sarà a capo dell’unità propaganda e analisi nel servizio di sicurezza ucraino;

F.     considerando che pace e stabilità a livello europeo e internazionale sono minacciate da crescenti tensioni tra l’UE, l’Ucraina, gli USA e altri paesi occidentali da un canto e la Federazione russa dall’altro; che si sta formando una escalation politica e militare estremamente pericolosa tra l’Occidente e la Russia; che l’anno scorso si sono registrate decine di incursioni militari sensibili tra la Russia e gli Stati membri della NATO, alcune delle quali hanno rischiato di scatenare le ostilità;

G. considerando che il mancato reperimento di una soluzione negoziata reciprocamente accettabile alla crisi ucraina ha avuto gravi conseguenze per l’economia russa; che le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’UE stanno aggravando i problemi finanziari ed economici della Russia con il conseguente declino dei prezzi del petrolio e altri problemi per l’economia russa;

H. considerando che, nonostante gli sforzi della comunità internazionale di portare le parti in conflitto al tavolo del negoziato, la guerra nell’Est dell’Ucraina prosegue; che le parti in conflitto evidenziano una mancanza di volontà politica di trovare un compromesso e applicare gli accordi raggiunti;

I. considerando che il parlamento ucraino ha appoggiato una proposta del presidente Poroshenko di cancellare lo status non allineato del paese ad appena alcune ore dall’annuncio di nuovi negoziati sulla soluzione del conflitto militare dell’Est dell’Ucraina; che l’annuncio di un referendum sull’adesione alla NATO dell’Ucraina aggrava ulteriormente le tensioni politiche nelle relazioni del paese con la Russia che percepisce un’eventuale adesione dell’Ucraina alla NATO come una minaccia diretta alla propria sicurezza e all’equilibrio militare strategico tra la Russia e la NATO;

 

1. chiede con urgenza dialogo e negoziati che pongano fine alla guerra in Ucraina e di trovare soluzioni politiche ai problemi che hanno portato alla crisi ucraina; ribadisce il suo invito a salvaguardare l’unità del popolo ucraino e l’integrità territoriale del paese; sostiene fermamente il processo di Minsk ed esorta le parti ad aderire agli accordi già raggiunti e a sviluppare questi accordi in nuovi negoziati per una tabella di marcia più trasparente e chiara con concreti parametri che devono essere soddisfatti da ogni parte negoziale; appoggia il rafforzamento del ruolo dell’OSCE nella soluzione della crisi ucraina;

2. esorta tutte le parti del conflitto nell’Est dell’Ucraina a cessare la violenza; invita gli Stati Uniti, il Canada, gli Stati membri UE e la Russia ad imporre e ad attuare rigorosamente un embargo sulle armi contro tutte le parti del conflitto e chiede il ritiro dall’Ucraina di tutti i consiglieri militari stranieri e del personale militare e paramilitare; esorta vivamente la Federazione russa e l’Ucraina ad esercitare un effettivo controllo del proprio confine al fine di raggiungere una soluzione pacifica del conflitto e cessare le incursioni in Ucraina di personale armato e di attrezzature militari provenienti da qualsiasi altro paese;

3. denuncia l’ampliamento della NATO ai confini della Federazione russa; respinge fermamente i piani del nuovo governo ucraino di chiedere l’adesione alla NATO come elemento aggiuntivo di confronto con la Federazione russa che destabilizzerebbe ulteriormente la regione e il sistema di sicurezza internazionale nel suo insieme;

4. esorta vivamente la Russia, gli Stati Uniti e la NATO a cessare la politica di pressione militare e chiede l’immediato arresto della spirale di escalation militare, di porre fine alle manovre militari e alle azioni provocatorie e di ridurre la presenza militare nelle regioni in conflitto; respinge fermamente lo spiegamento di ulteriori unità e mezzi militari NATO nell’Europa orientale; avverte che la mancata ripresa di un dialogo orientato ai risultati con la Russia potrebbe avere conseguenze pericolose per la pace e la sicurezza in Europa e nel mondo;

5. chiede all’UE di rilanciare un dialogo politico orientato sugli obiettivi con la Russia, al fine di ricostruire la fiducia e trovare soluzioni a tutti i problemi in sospeso e alle questioni controverse; chiede di ripristinare i formati di dialogo esistenti tra l’UE e la Russia prima dell’inizio della crisi ucraina a tutti i livelli delle istituzioni UE; esorta l’UE a porre fine alle politiche sanzionatorie contro la Russia che hanno comportato una guerra commerciale tra due partner strategici con un impatto negativo in particolare sulle PMI, gli agricoltori e i consumatori in Russia, l’UE e i paesi del vicinato orientale dell’UE e che si sono oltretutto dimostrate politicamente inefficienti e controproducenti;

6. chiede di utilizzare il quarantesimo anniversario dell’Atto di Helsinki nel 2015 per confermarne e attuarne appieno norme e principi, ricostruire la fiducia e avviare i negoziati su un efficiente sistema di sicurezza e cooperazione in Europa sulla base della Carta dell’ONU e delle norme OSCE che tenga conto degli interessi di tutti i paesi d’Europa; sottolinea l’urgenza di riprendere e proseguire il controllo delle armi convenzionali e migliorare l’efficacia delle attuali misure di costruzione di fiducia e sicurezza, rafforzare i meccanismi di trasparenza, ammodernarli e ampliarne la portata; chiede l’elaborazione di nuove misure di costruzione della fiducia e della trasparenza, al fine di prevenire lo scoppio di analoghi conflitti in futuro;

7. prende atto dei risultati delle elezioni parlamentari in Ucraina; ribadisce la propria condanna del processo contro il partito comunista che è iniziato durante la campagna elettorale; invita il nuovo parlamento eletto e le autorità competenti ad affrontare le carenze individuate, ad esempio svolgendo efficaci indagini sulle irregolarità identificate dagli osservatori nazionali ed internazionali durante le elezioni, procedendo con le necessarie azioni legali contro i responsabili delle irregolarità durante le elezioni, riformando il sistema elettorale attraverso un miglioramento della rappresentanza regionale, e incrementando l’influenza degli elettori sui propri rappresentanti in Parlamento, grazie all’adozione di un sistema di rappresentanza proporzionale su collegi plurinominali, e ad attuare appieno le raccomandazioni sia dell’OSCE che della Commissione di Venezia, al fine di rafforzare la trasparenza del finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali, e garantire che la legislazione elettorale sia compatibile con gli standard internazionali;

8. invita il governo ucraino a rivedere la sua politica di austerità al fine di rispondere alle urgenti esigenze sociali della popolazione, in particolare in materia di riscaldamento, forniture energetiche e assistenza sanitaria;

9. invita il governo e la Verkhovna Rada dell’Ucraina a rispondere alle aspettative della popolazione del paese in materia di efficaci e profonde riforme, allo scopo di porre fine all’attuale crisi e portare il paese alla stabilità politica, economica e sociale, tra l’altro attraverso:

•  una ferma eradicazione della corruzione,

•  lo stabilimento dello Stato di diritto;

•  il decentramento e profonde garanzie di partecipazione democratica del popolo nelle regioni a tutti i principali processi decisionali, in particolare nel campo dello sviluppo socioeconomico;

•  il definitivo distacco degli oligarchi dalla politica sotto controllo democratico;

•  il rispetto dei diritti dell’uomo e dei diritti democratici, fra cui i diritti linguistici;

•  lo scioglimento delle unità paramilitari e il ripristino di un rigoroso controllo statale su polizia ed esercito;

•  un immediato controllo parlamentare trasparente, democratico e legale su tutte le forze di sicurezza del paese e il disarmo di tutte le forze paramilitari e delle cosiddette forze di sicurezza private;

10. esorta vivamente l’UE a subordinare all’attuazione di questa agenda di riforma l’ulteriore assistenza economica e finanziaria all’Ucraina;

11. esprime preoccupazione per il fatto che i politici e le autorità ucraine continuano a manifestare una inaccettabile ignoranza del pericolo dell’estrema destra e addirittura di forze apertamente neonaziste, cooperando con loro nelle elezioni e consentendo loro di assumere posizioni all’interno delle forze dell’ordine; sottolinea che consentire a persone con opinioni di estrema destra di controllare posizioni dotate di notevoli risorse di contrasto costituisce un ovvio rischio per la democrazia; esorta vivamente il governo ucraino e le forze politiche democratiche a spezzare tutti i legami con i gruppi e/o le milizie di estrema destra;

12. ribadisce che una politica in materia di vicinato orientale che trascura gli interessi di tutti gli attori, compresa la Russia, ha fallito; sottolinea l’esigenza di rimodellare la politica di vicinato orientale al fine di sviluppare una cooperazione regionale che non escluda nessun paese; invita la Russia a partecipare proattivamente a tale processo e a dimostrare la propria volontà a partecipare a politiche di buon vicinato;

Ed ecco il testo della risoluzione comune adottata dal Parlamento Europeo:

Il Parlamento europeo,
–  viste le risultanze preliminari dell’OSCE/ODIHR sulle elezioni parlamentari anticipate tenutesi in Ucraina il 26 ottobre 2014,

– viste l’8ª relazione dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) sulla situazione dei diritti umani in Ucraina, del 15 dicembre 2014, e la relazione n. 22 sulla situazione in Ucraina al 26 dicembre 2014 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA),

– viste la firma in data 27 giugno 2014 dell’accordo di associazione UE-Ucraina, che include un accordo di libero scambio globale e approfondito, e la sua ratifica simultanea da parte del Parlamento europeo e della Verkhovna Rada il 16 settembre 2014,

– visti il protocollo di Minsk del 5 settembre 2014 e il memorandum di Minsk del 19 settembre 2014 sull’attuazione del piano di pace in 12 punti,

– viste la relazione dell’ONU del 20 novembre 2014 sulle gravi violazioni dei diritti umani nell’Ucraina orientale e le relazioni dell’Osservatorio dei diritti umani sugli abusi in Crimea,

– vista la dichiarazione congiunta della commissione NATO-Ucraina del 2 dicembre 2014,

– viste le conclusioni del Consiglio europeo sull’Ucraina del 21 marzo 2014, del 27 giugno 2014, del 16 luglio 2014, del 30 agosto 2014 e del 18 dicembre 2014,

– visto l’esito della prima riunione del Consiglio di associazione tra l’UE e l’Ucraina tenutasi il 15 dicembre 2014,

– viste le conclusioni del Consiglio del 17 novembre 2014,

– visto l’articolo 123, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

A. considerando che il 26 ottobre 2014 l’Ucraina ha tenuto elezioni politiche che sono state condotte in modo efficiente, ordinato e pacifico e nel rispetto generale delle libertà fondamentali, nonostante il conflitto in corso nelle regioni orientali e l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia;

B. considerando che il nuovo governo, formato da forze filoeuropee, gode della maggioranza costituzionale necessaria per portare avanti le riforme e ha già adottato un accordo di coalizione che getta le basi per un processo di riforma rigoroso volto a promuovere una maggiore integrazione europea, a modernizzare e sviluppare il paese, a instaurare un’autentica democrazia e lo stato di diritto, nonché a elaborare le modifiche costituzionali proposte dal piano di pace di Porošenko;

C. considerando che le cosiddette “elezioni presidenziali e parlamentari” tenutesi a Donec’k e Luhans’k il 2 novembre 2014 si sono svolte in violazione del diritto ucraino e degli accordi di Minsk e pertanto non possono essere considerate valide; che lo svolgimento di tali elezioni ha avuto un impatto deleterio sul processo di pace e di riconciliazione;

D. considerando che il cessate il fuoco del 5 settembre 2014 è stato violato quotidianamente dai separatisti e dalle forze russe; che dal 9 dicembre 2014, grazie all’iniziativa del presidente Porošenko di promuovere un “regime del silenzio”, il numero delle violazioni si è ridotto drasticamente; che tuttavia i punti principali del memorandum del 19 settembre non sono stati attuati dai separatisti sostenuti dalla Russia; che, stando a fonti attendibili, la Russia continua a sostenere le milizie separatiste attraverso un flusso costante di attrezzature militari, mercenari e unità russe regolari, accompagnate da carri armati, sofisticati sistemi anti-aerei e artiglieria;

E. considerando che il conflitto armato nell’Ucraina orientale ha provocato migliaia di vittime militari e civili, un numero ancora maggiore di feriti e centinaia di migliaia di persone che hanno abbandonato le proprie case, fuggendo prevalentemente in Russia, mentre la situazione nella zona di conflitto è fonte di profonda preoccupazione da un punto di vista sia umanitario che sanitario;

F. considerando che l’annessione illegale della penisola di Crimea costituisce il primo caso in Europa, dopo la seconda guerra mondiale, di incorporazione forzata di parte di un paese in un altro, ed è in violazione del diritto internazionale, ivi compresi la carta delle Nazioni Unite, l’atto finale di Helsinki e il memorandum di Budapest del 1994;

G. considerando che il Consiglio “Affari esteri” dell’UE del 17 novembre 2014 ha preso una decisione di principio su ulteriori sanzioni nei confronti dei leader separatisti;

H. considerando che sussistono violazioni diffuse dei diritti umani sia nelle zone occupate dell’Ucraina orientale che in Crimea, soprattutto ai danni dei tatari di Crimea, tra l’altro mediante intimidazioni e una nuova ondata di sparizioni;

I. che sarebbe auspicabile una più stretta cooperazione tra l’UE e gli Stati Uniti in materia di politiche connesse all’Ucraina;

J. considerando che il 23 dicembre 2014 il parlamento ucraino ha votato a favore della rinuncia dello status di paese non allineato;

1. esprime piena solidarietà all’Ucraina e alla sua popolazione; ribadisce nuovamente il proprio impegno a favore dell’indipendenza, della sovranità, dell’integrità territoriale, dell’inviolabilità delle frontiere e della scelta europea dell’Ucraina;

2. condanna gli atti di terrorismo e il comportamento criminale dei separatisti e di altre forze irregolari in Ucraina orientale;

3. accoglie con favore la valutazione positiva delle elezioni politiche del 26 ottobre 2014, nonostante le difficoltose circostanze sul piano politico e della sicurezza, e il successivo insediamento della nuova Verkhovna Rada; si compiace del forte impegno politico del presidente Porošenko, del primo ministro Jacenjuk e del presidente del parlamento Groysman teso a cooperare e a rafforzare il rigoroso processo di riforma; incoraggia vivamente il nuovo governo e il nuovo parlamento dell’Ucraina ad adottare e attuare senza indugio le tanto necessarie riforme politiche e socioeconomiche al fine di costruire uno Stato democratico e prospero fondato sullo stato di diritto;

4. deplora che, come risultato dell’attuale situazione nel paese, non tutte le parti del territorio e della popolazione dell’Ucraina siano rappresentate nella Verkhovna Rada; ricorda che il governo e il parlamento dell’Ucraina devono garantire la tutela dei diritti e delle esigenze dei cittadini che non hanno rappresentanza nel processo decisionale dello Stato;

5. condanna fermamente la politica aggressiva ed espansionistica della Russia, che costituisce una minaccia per l’unità e l’indipendenza dell’Ucraina e pone una potenziale minaccia per la stessa Unione europea, segnatamente l’annessione illegale della Crimea e la conduzione di una guerra ibrida non dichiarata contro l’Ucraina, ivi compresa una guerra informatica che combina elementi di ciberguerra, uso di forze regolari e irregolari, propaganda, pressioni economiche, ricatto energetico e destabilizzazione diplomatica e politica; sottolinea che queste azioni violano il diritto internazionale e costituiscono una grave minaccia alla situazione della sicurezza in Europa; sottolinea che non vi è giustificazione per l’uso della forza militare in Europa a difesa di cosiddette ragioni storiche e di sicurezza o per la protezione di sedicenti “compatrioti che vivono all’estero”; esorta Mosca a cessare di aggravare la situazione ponendo immediatamente fine al flusso di armi, di mercenari e di soldati in appoggio alle milizie separatiste e a esercitare la sua influenza sui separatisti per persuaderli a partecipare al processo politico;

6. chiede il proseguimento dell’attuale regime di sanzioni imposto dall’UE, in particolare in vista della prossima riunione del Consiglio del marzo 2015, finché la Russia non rispetterà pienamente e soprattutto non metterà in atto gli obblighi assunti a Minsk, ed esorta la Commissione a trovare opportune modalità per rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri nel caso in cui la crisi con la Russia dovesse persistere; sottolinea la necessità di adottare una serie chiara di obiettivi di riferimento che, una volta conseguiti, potrebbero evitare l’imposizione di nuove misure restrittive nei confronti della Russia o portare alla sospensione delle misure già adottate, obiettivi di riferimento tra i quali: attuazione del cessate il fuoco, ritiro incondizionato dall’Ucraina di tutte le truppe russe e dei gruppi illegali armati e mercenari appoggiati dalla Russia, lo scambio di tutti i prigionieri, tra cui Nadia Savchenko, e il ripristino del controllo dell’Ucraina sul suo intero territorio, inclusa la Crimea; invita il Consiglio europeo, nell’eventualità di ulteriori azioni russe volte a destabilizzare l’Ucraina, ad adottare misure restrittive aggiuntive e ad ampliarne la portata, includendo il settore nucleare e limitando la capacità degli enti finanziari russi di effettuare transazioni finanziarie internazionali; riconosce che l’UE deve essere pronta a sostenere gli Stati membri confinanti, a cui dovrebbe essere garantito il medesimo livello di sicurezza di tutti gli Stati membri;

7. ritiene che le sanzioni dovrebbero formare parte di un più ampio approccio dell’UE alla Russia e degli sforzi del vicepresidente/alto rappresentante volti a rafforzare il dialogo; ricorda che il solo scopo di queste sanzioni è quello di far sì che il governo russo si impegni a mutare la sua politica attuale e a contribuire in modo significativo a una soluzione pacifica della crisi ucraina; sottolinea che il mantenimento, l’inasprimento o il ritiro delle misure restrittive imposte dall’UE dipenderà dall’atteggiamento della Russia e dalla situazione in Ucraina;

8. sottolinea che i canali politici e diplomatici verso la Russia devono rimanere aperti al fine di consentire soluzioni diplomatiche al conflitto ed è pertanto favorevole a formule del tipo “Ginevra” e “Normandia”, se possono essere conseguiti risultati concreti;

9. sostiene la politica di non riconoscimento dell’annessione illegale della Crimea da parte della Russia e, in questo contesto, prende atto con favore delle ulteriori sanzioni recentemente adottate sugli investimenti, i servizi e gli scambi con la Crimea e Sebastopoli;

10. sottolinea che l’attuazione dell’accordo di associazione/accordo di libero scambio globale e approfondito dovrebbe costituire la tabella di marcia per un’adozione rapida delle necessarie riforme da realizzare con urgenza, nonostante le difficoltà causate dal conflitto in alcune zone delle regioni di Luhans’k e Donec’k; invita il Consiglio e la Commissione a compiere ogni sforzo per assistere l’Ucraina nell’adozione e, soprattutto, nella realizzazione di tali riforme, nell’ottica di gettare le basi per la piena attuazione dell’accordo di associazione UE-Ucraina; si compiace, a tal riguardo, dell’avvio della missione consultiva dell’Unione europea (EUAM); condivide il parere della commissione di Venezia secondo cui, affinché una riforma costituzionale sia coronata da successo, è essenziale che sia preparata in maniera inclusiva, garantendo ampie consultazioni pubbliche;

11. chiede un’assistenza tecnica più rapida e più incisiva da parte del “gruppo di sostegno all’Ucraina” della Commissione, che includa l’individuazione dei settori in cui tale assistenza si rende necessaria per sostenere l’Ucraina nell’elaborazione e nell’attuazione di un programma globale di riforma nonché il ricorso a consulenti delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri; invita le autorità ucraine a istituire un ministero o un ufficio per il coordinamento dell’assistenza e per l’integrazione nell’UE nonché un comitato di coordinamento interministeriale di alto livello ai quali sia attribuito il potere di monitorare e sorvegliare efficacemente i progressi verso il ravvicinamento all’UE e le riforme e che siano in grado di preparare e coordinare la loro attuazione;

12. è fermamente convinto che sia necessario attuare con urgenza in Ucraina un ambizioso programma anticorruzione, compresa una politica di tolleranza zero nei confronti della corruzione; invita la dirigenza ucraina a eliminare la corruzione sistematica mediante l’attuazione immediata ed efficace della strategia nazionale contro la corruzione e sottolinea che la lotta contro tale pratica deve divenire una delle principali priorità del nuovo governo; propone, a tal fine, di istituire un Ufficio anticorruzione politicamente indipendente dotato delle competenze e delle risorse sufficienti per consentirgli di contribuire in modo significativo al buon funzionamento delle istituzioni statali; accoglie positivamente la richiesta dell’Ucraina a Interpol e l’emissione di un mandato d’arresto contro l’ex presidente Janukovyč con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici; invita gli Stati membri a eseguire il mandato d’arresto di Interpol e ad aiutare a recuperare i beni sottratti indebitamente; plaude alla creazione dell’istituzione del Mediatore per le imprese e invita il governo ucraino a presentare un relativo progetto di legge;

13. ricorda che il 16 luglio 2014 il Consiglio dell’Unione europea ha revocato l’embargo sulle armi all’Ucraina e pertanto non vi sono più obiezioni, né restrizioni giuridiche, che impediscano agli Stati membri di fornire all’Ucraina armi di difesa; ritiene che l’UE debba vagliare soluzioni per sostenere il governo ucraino nel rafforzamento delle sue capacità di difesa e nella protezione delle sue frontiere esterne, sulla base dell’esperienza della trasformazione delle forze armate degli Stati membri dell’UE che erano membri del Patto di Varsavia, in particolare nel quadro di missioni di formazione già effettuate per le forze armate in altre parti del mondo; sostiene l’attuale fornitura di attrezzature non letali;

14. prende atto dell’adozione di una legge che abolisce lo “status di paese non allineato” introdotto nel 2010; pur riconoscendo il diritto dell’Ucraina di operare in libertà le proprie scelte, sostiene la posizione del presidente Porošenko, secondo cui ora l’Ucraina ha urgente bisogno di concentrarsi sulle riforme politiche, economiche e sociali, e l’adesione alla NATO è una questione che dovrebbe essere sottoposta al giudizio dei cittadini in un referendum panucraino da tenersi in una fase successiva; sottolinea che la questione di una più stretta relazione dell’Ucraina con l’UE è distinta dalla questione dell’adesione alla NATO;

15. sottolinea l’importanza di un impegno della comunità internazionale a sostegno della stabilizzazione politica ed economica e delle riforme in Ucraina; invita la Commissione e gli Stati membri a elaborare un importante piano di assistenza per l’Ucraina basato sul principio “più progressi, più aiuti” e sulla condizionalità e a intensificare gli sforzi per fornire assistenza all’Ucraina organizzando, tra l’altro, una conferenza dei donatori e degli investitori e cooperando con le istituzioni finanziarie internazionali per definire ulteriori passi ai fini della ripresa economica e finanziaria del paese; accoglie con favore il pacchetto di sostegno di 11 miliardi di euro destinato all’Ucraina da erogare nei prossimi anni nonché la proposta della Commissione di destinare all’Ucraina 1,8 miliardi di euro aggiuntivi sotto forma di prestiti a medio termine;

16. ribadisce, in tale contesto, che l’accordo di associazione non costituisce l’obiettivo finale delle relazioni UE-Ucraina; sottolinea inoltre che, a norma dell’articolo 49 TUE, l’Ucraina, come qualsiasi altro Stato europeo, ha una prospettiva europea e può domandare di diventare membro dell’Unione europea, purché si attenga ai criteri di Copenaghen e ai principi democratici, rispetti le libertà fondamentali e i diritti umani e delle minoranze e garantisca lo Stato di diritto; esorta gli Stati membri dell’UE a ratificare l’accordo di associazione prima del vertice di Riga;

17. sottolinea l’importanza della sicurezza energetica in Ucraina e sottolinea la necessità di riforme nel settore energetico ucraino, in linea con i suoi impegni nel quadro della Comunità dell’energia; accoglie positivamente l’accordo tra l’UE, la Russia e l’Ucraina sul pacchetto “inverno” al fine di garantire la fornitura di gas dalla Russia fino al marzo 2015 e la solidarietà dimostrata dall’UE, nonché le accresciute quantità di gas che entrano in Ucraina attraverso flussi inversi dagli Stati membri dell’UE;

18. evidenzia la necessità di accrescere in modo radicale la sicurezza e l’indipendenza energetiche dell’Unione e la sua capacità di resistere alle pressioni esterne, nonché di ridurre la sua dipendenza dalla Russia, mettendo in atto nel contempo soluzioni alternative concrete per aiutare gli Stati membri che attualmente si avvalgono della Russia come unico fornitore; invita l’UE a perseguire un’autentica politica energetica esterna comune e ad adoperarsi per la creazione di un’Unione europea dell’energia; incoraggia la piena attuazione del mercato comune interno dell’energia, compreso il terzo pacchetto per l’energia, e il proseguimento incondizionato della causa pendente contro Gazprom;

19. sottolinea che occorre attribuire la priorità a progetti relativi a gasdotti che diversifichino la fornitura energetica verso l’UE e pertanto accoglie con favore l’interruzione del progetto South Stream; invita la Comunità europea dell’energia a sviluppare un programma di cooperazione con l’Ucraina e con i paesi del Caucaso meridionale, dell’Asia centrale, del Medio Oriente e del Mediterraneo, con l’obiettivo di sviluppare le infrastrutture e l’interconnessione tra l’UE e i suoi vicini europei indipendentemente dalla geopolitica russa in materia di gas; riconosce che la fornitura stabile di gas all’Ucraina è fondamentale anche per garantire la sicurezza energetica degli Stati membri;

20. sottolinea la necessità che l’UE, insieme alle autorità ucraine, presti maggiore attenzione alla crisi umanitaria in Ucraina e in Crimea e faccia fronte alla catastrofica situazione umanitaria, in particolare alla condizione degli sfollati interni; invita la Commissione e il commissario per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi a preparare un’azione umanitaria decisa e diretta, attesa ormai da tempo, escludendo le organizzazioni intermediarie, sotto forma di “convogli blu” chiaramente contrassegnati come provenienti dall’UE; invita la Commissione a presentare tale piano d’azione al Parlamento europeo entro i prossimi due mesi; sottolinea la necessità di un’ulteriore assistenza finanziaria per l’Ucraina da parte dell’UE e dei suoi Stati membri per aiutare il paese ad affrontare la disastrosa crisi umanitaria; fa eco all’allarme lanciato dall’OMS, che segnala come l’Ucraina si trovi a fronteggiare un’emergenza sanitaria, con ospedali che non funzionano pienamente e scarsità di medicinali e vaccini, e chiede che venga prestata una maggiore e più efficace assistenza umanitaria agli sfollati interni, in particolare ai bambini e agli anziani, e che il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) abbia un accesso libero e senza restrizioni alle zone interessate dal conflitto; accoglie con favore l’entrata in vigore della tanto attesa legge sugli sfollati interni nonché la decisione di ricorrere a esperti dell’UE attraverso il meccanismo di protezione civile dell’UE per fornire consulenza alle autorità ucraine sulle problematiche attinenti agli sfollati;

21. chiede ulteriori aiuti umanitari e assistenza per le popolazioni colpite dal conflitto; ricorda che la fornitura di aiuti umanitari all’Ucraina orientale deve avvenire nell’assoluto rispetto del diritto internazionale umanitario e dei principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza, nonché in stretto coordinamento con il governo ucraino, le Nazioni Unite e il CICR; invita la Russia a consentire l’ispezione internazionale dei convogli umanitari diretti nel Donbas al fine di fugare i dubbi circa i carichi trasportati;

22. sottolinea che l’OSCE ha un ruolo cruciale da svolgere ai fini della risoluzione della crisi ucraina in ragione della sua esperienza nell’affrontare i conflitti armati e le crisi e in quanto sia la Federazione russa che l’Ucraina sono membri dell’organizzazione; si rammarica che la missione di monitoraggio speciale dell’OSCE continui a essere sotto organico e abbia pertanto un rendimento inferiore alle aspettative; invita gli Stati membri, il vicepresidente/alto rappresentante e la Commissione a compiere ulteriori sforzi per rafforzare la missione speciale di monitoraggio dell’OSCE in Ucraina in termini di personale e di attrezzature; ritiene che l’UE debba inviare, se richiesto dalle autorità ucraine, una missione di monitoraggio dell’UE per contribuire a un efficace controllo e monitoraggio del confine russo-ucraino;

23. invita il vicepresidente/alto rappresentante e il commissario per la politica europea di vicinato e i negoziati di allargamento a fare tutto quanto in loro potere per facilitare una soluzione politica alla crisi ucraina che venga rispettata da tutte le parti coinvolte; sottolinea che tale soluzione deve evitare uno scenario di conflitto congelato nell’Ucraina orientale e in Crimea; invita il vicepresidente/alto rappresentante a tracciare un approccio che combini una posizione basata su principi e rigore per quanto riguarda la sovranità dell’Ucraina e la sua integrità territoriale e i principi del diritto internazionale, con la ricerca di una soluzione negoziata della crisi nell’Ucraina orientale e in Crimea; ribadisce che l’unità e la coesione tra gli Stati membri dell’UE costituiscono un presupposto per il successo di qualsiasi strategia dell’UE nei confronti della Russia; invita in tale contesto i governi degli Stati membri ad astenersi da azioni unilaterali e dalla retorica e a intensificare gli sforzi per sviluppare una posizione comune europea nei confronti della Russia;

24. chiede la ripresa di un dialogo nazionale autentico e inclusivo che possa anche condurre a una soluzione per il pagamento delle indennità e delle pensioni sociali e per la fornitura di assistenza umanitaria da parte del governo ucraino alla popolazione nelle zone in conflitto; ritiene che rivesta cruciale importanza lo svolgimento di indagini imparziali ed efficaci in merito a tutti i principali momenti di violenza, compresi quelli verificatisi in piazza Maidan, in via Rymarska, a Odessa, a Mariupol, a Sloviansk e a Ilovaisk; ritiene che le organizzazioni della società civile possano svolgere un ruolo importante nel facilitare i contatti interpersonali e la comprensione reciproca in Ucraina, nonché nel promuovere il cambiamento democratico e il rispetto dei diritti umani; sollecita l’Unione europea a intensificare il suo sostegno alla società civile;

25. accoglie con favore la decisione del governo francese di bloccare la consegna delle portaelicotteri di classe Mistral e invita tutti gli Stati membri a seguire un approccio analogo in merito alle esportazioni non coperte dalle decisioni dell’UE in materia di sanzioni, in particolare per quanto riguarda le armi e i materiali a duplice uso;

26. invita la Commissione e il commissario per la politica europea di vicinato e i negoziati di allargamento a preparare e presentare al Parlamento europeo, entro due mesi, una strategia di comunicazione rivolta all’UE, ai suoi vicini orientali e alla Russia stessa per rispondere alla campagna di propaganda russa, nonché a sviluppare strumenti che consentano all’UE e ai suoi Stati membri di far fronte alla campagna di propaganda a livello europeo e nazionale;

27. riafferma il proprio sostegno ai fini di un’inchiesta internazionale sulle circostanze del tragico abbattimento del volo MH17 delle Malaysia Airlines e ribadisce il proprio appello affinché i responsabili siano assicurati alla giustizia; deplora gli ostacoli incontrati in questo processo ed esorta tutte le parti a dare prova di un’effettiva volontà di collaborare, a garantire un accesso continuo, sicuro e senza restrizioni alla zona del disastro del volo MH17 e a consentire l’accesso a tutte le altre risorse pertinenti che possono contribuire alle indagini; esprime l’auspicio di essere tenuto informato sullo stato di avanzamento di questa inchiesta;

28. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, agli Stati membri, al Presidente dell’Ucraina, ai governi e ai parlamenti dei paesi del partenariato orientale e della Federazione russa, all’Assemblea parlamentare Euronest e alle assemblee parlamentari del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Ucraina, smentita a Giulietto Chiesa

Smentita di Barbara Spinelli – Voto su Ucraina alla sessione plenaria del Parlamento europeo tenutasi il 15 gennaio 2015

In un post sulla sua pagina Facebook, Giulietto Chiesa mi accusa di aver dato voto contrario su «un emendamento cruciale, che sollecitava “l’Unione Europea a interrompere la sua politica di sanzioni contro la Russia”».
L’accusa di Giulietto Chiesa è del tutto incomprensibile, ed è il motivo per cui mi domando se sia formulata in buona fede. Il testo cui si fa riferimento è l’emendamento 2 paragrafo 6, nel quale si “esorta l’Unione europea a cessare la sua politica di sanzioni nei confronti della Russia, che si è dimostrata inefficace e controproducente sul piano politico e ha portato a un conflitto commerciale con ripercussioni negative soprattutto sulle PMI, gli agricoltori e i consumatori in Russia, nell’Unione europea e nei paesi del vicinato orientale dell’UE, compresa l’Ucraina”.
Non solo ho inconfutabilmente votato a favore di questo emendamento, come testimoniato dal sito indipendente www.votewatch.eu, ma sono addirittura tra i suoi firmatari, assieme a Helmut Scholz, Miloslav Ransdorf e Patrick Le Hyaric del gruppo GUE-NGL.

Barbara Spinelli,
21 gennaio 2015.

A proposito delle votazioni sulla situazione in Ucraina

Comunicato stampa di Barbara Spinelli

Circola in rete la notizia secondo cui diversi deputati del GUE/NGL avrebbero votato, il 15 gennaio a Strasburgo, a favore della risoluzione di mozione comune “RC-B8-0008/2015” sull’Ucraina (tra questi Barbara Spinelli e alcuni deputati della Linke) o si sarebbero astenuti (Curzio Maltese e Syriza). La notizia è destituita d’ogni fondamento: il GUE/NGL ha votato compatto contro la risoluzione maggioritaria, radicalmente antirussa. Purtroppo l’approvazione di quella risoluzione non ha permesso al GUE di votare la propria mozione “B8-0027/2015“, che difendeva una linea diametralmente opposta e che resta agli atti.
La tesi di chi accusa Spinelli e la Linke di appoggio alla mozione maggioritaria rimanda a una pagina del sito indipendente www.votewatch.eu. Quella pagina riporta dati corretti, registrando la divisione all’interno del GUE su dei singoli emendamenti alla risoluzione approvata, ma non sulla risoluzione stessa. Tutti gli emendamenti presentati dal GUE/NGL sono stati bocciati dal Parlamento europeo. Le differenze all’interno di ciascun gruppo parlamentare sugli emendamenti non sono infrequenti, soprattutto quando si discutono argomenti particolarmente drammatici. Ben altra rilevanza avrebbe la divisione sul voto finale, che  tuttavia non c’è stata. Ed è bene che non ci sia stata, alla luce dell’offensiva militare che il governo di Kiev ha lanciato in questi giorni nell’Est dell’Ucraina.

—-

Questo nell’immediato.
Ci riserviamo di tornare in futuro sulla questione entrando più dettagliatamente nei meccanismi e nelle scelte politiche che il 15 gennaio 2015 hanno determinato l’insieme di votazioni (emendamenti compresi) sulla situazione ucraina nella sessione plenaria del Parlamento europeo riunitosi a Strasburgo.

Sull’accordo di associazione UE-Ucraina

Oggi, martedì 16 settembre, è stato firmato nella plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo l’accordo di associazione tra Unione e Ucraina. La firma è avvenuta in collegamento diretto con il Parlamento di Kiev, presenti Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo, a Strasburgo, e Petro Porošenko, Presidente ucraino, a Kiev.

Durante il dibattito, Barbara Spinelli ha così motivato il proprio voto contrario:

Ritengo che qualsiasi trattato con il governo ucraino necessiti di un dibattito più approfondito.
Il Parlamento si è dato troppo poco tempo. Ecco i punti che andrebbero chiariti prima di ogni intesa in piena guerra civile:

• Non si può contestualmente provocare la Russia, includendo l’Ucraina nella Nato.

• Al governo di Kiev, considerato illegittimo da metà degli ucraini, l’Unione dovrebbe chiedere di sciogliere subito le milizie di estrema destra e neonaziste alle dipendenze del ministero dell’Interno a Kiev.

• Devono esser protette le popolazioni russe nell’Est e nel Sud dell’Ucraina, altrimenti diamo a Putin tutte le ragioni di un’invasione.

• Dovremmo discutere seriamente sulle sanzioni alla Russia: una politica a mio parere sbagliata. Anzi: una non-politica.

Grazie.

 

Video dell’intervento

 

Gli strabismi sulla guerra in Ucraina

Lettera al direttore de «La Stampa», 15 settembre 2014

Caro direttore,

fin dal marzo scorso, Helmut Schmidt mise in guardia i governi europei e Washington, su Ucraina e Russia: troppo grande era l’«agitazione» occidentale. Troppo pericoloso mimare la riedizione della guerra fredda con Putin, troppo vasta l’ignoranza della storia e di quel che essa dovrebbe insegnare. Ci insegna che si entrò così nella Prima guerra mondiale: barcollando come ubriachi che non vogliono quel che fanno, ma lo fanno lo stesso. E si precipitò nella catastrofe anche quando le guerre furono volute, pianificate: quando Napoleone invase la Russia nel 1811-12, quando Hitler ripeté la spedizione nel 1941.

La terza guerra mondiale che oggi stiamo rischiando nasce dagli stessi vizi: incompetenza, forme di ignoranza militante, scarsa prudenza, infine sterile agitazione. Lo stato di concitazione cui allude l’ex Cancelliere ha come principale conseguenza la disinformazione su quel che veramente accade sul terreno, e responsabili sono quindi non solo i governi ma, forse in prima linea, la stampa. Mancano autentici reportage sull’Est ucraino (sul Donbass essenzialmente, regione industrial-mineraria a prevalenza russofona; sul pogrom antirusso a Odessa del 2 maggio; sull’aereo abbattuto della Malaysia Airlines); come mancano sul governo di Kiev e come è nato: non da moti di piazza filoeuropei (il famoso Euromaidan fu presto catturato da nazionalisti russofobi). Lo sguardo di giornali e governi è affetto da grave strabismo, mettendosi di fatto al servizio di chi vuole disseppellire la guerra fredda. «Fuck the EU!», disse a febbraio il vice segretario di Stato Victoria Nuland, e i dirigenti europei hanno eseguito, accettando di negoziare il futuro di Kiev con Mosca e anche con Washington, che con l’Ucraina ha poco a che vedere. C’è un tono, nella stampa mainstream, che ricorda l’euforica depravazione semplificatrice che Karl Kraus mette in bocca ai giornalisti, descrivendo la Prima guerra mondiale negli Ultimi giorni dell’umanità.

Continua a leggere

Sulla guerra ucraina e i conflitti a sud dell’Unione

Bruxelles, 2 settembre 2014. Intervento durante l’audizione del ministro degli Esteri Federica Mogherini

In un recente incontro informale dei ministri e segretari di stato per gli affari europei cui ho partecipato come vicepresidente della Commissione costituzionale, il 28 e 29 agosto a Milano, ho notato quanto grande sia l’autocompiacimento nell’Unione, non solo sulle strategie economiche anti-crisi ma anche in politica estera e in modo speciale sulla guerra in Ucraina e i rapporti con la Russia. La rapidità con cui sono state adottate le sanzioni contro Mosca sarebbe non solo un atto coraggioso dell’Europa, ma un segno di vitalità, di forza, e di inedita coesione. È un compiacimento che non condivido, come ho avuto l’occasione di dire nella riunione a Milano: la soddisfazione è fuori luogo, e inoltre infeconda. Più che una forza, conferma una debolezza europea che persiste e dura.

Le sanzioni non sono l’equivalente di una politica, se per politica intendiamo agire con cura e conoscenza nei conflitti che tormentano il nostro “estero vicino”, a est come a sud dell’Unione. E non sono una politica europea, fintantoché quest’ultima continuerà ad adeguarsi passivamente alla linea statunitense: una linea interessata a integrare di fatto l’Ucraina nella Nato (integrazione respinta dalla metà dei cittadini ucraini, come si deduce dai sondaggi), e dunque a riproporre la guerra fredda con Mosca.

Continua a leggere

Ucraina: la verità vittima della guerra.
L’Europa ha qualcosa da dire?

di giovedì, Maggio 8, 2014 0 , , , , Permalink

di Barbara Spinelli, Eleonora Forenza, Fabio Amato, Guido Viale

Come in tutte le guerre, la verità e l’informazione sono vittime designate. Il caso ucraino non fa eccezione. Si omette deliberatamente di dare notizia sull’uso di paramilitari nazisti al servizio del governo di Kiev, così come dei tragici eventi accaduti ad Odessa (46 persone disarmate uccise in un vero e proprio pogrom antirusso, imputabile alle milizie filogovernative di Pravyi Sektor, Settore di Destra). Criminale è l’aver fomentato, soprattutto da parte degli USA, una guerra civile e aver sdoganato in Europa forze naziste, che speravamo di aver cancellato definitivamente dal futuro dell’Europa.

Continua a leggere