Il blocco delle navi è frutto velenoso del blocco negoziale sulla riforma di Dublino

di martedì, Giugno 12, 2018 0 , , , , Permalink

Comunicato stampa

Strasburgo, 12 giugno 2018

Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo dedicata a “Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione – Preparazione del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018”.

Di seguito l’intervento:

“Premetto che concordo con Vincent Cochetel, Inviato dell’Onu: la solidarietà europea non va discussa mentre arriva una nave di migranti sofferenti. La priorità è dar loro subito il porto più sicuro. Non farlo è illegale.

Al tempo stesso, dobbiamo riconoscere che l’Italia resta il Paese che per primo registra gli arrivi e ne è responsabile, e che nessuna riforma di questa regola iniqua è in vista.

Il blocco delle navi è frutto velenoso del blocco negoziale su Dublino IV, e usa i migranti come ostaggi. Se il Consiglio europeo cercherà l’unanimità su Dublino, come chiede Angela Merkel, sbatterà contro un muro e confermerà che c’è del marcio nell’Unione.

Al mio governo vorrei dire: fate vostra la riforma del Parlamento, ha difetti, vero, ma è la più avanzata possibile. Gran parte del Consiglio vuole ucciderla. Guardatevi da alleati come Orbán: non accetterà redistribuzioni automatiche di quote. Non è amico del governo italiano”.

Detenzione di minori non accompagnati nelle celle delle stazioni di polizia in Grecia

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001400/2018
alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL), Beatriz Becerra Basterrechea (ALDE), Tanja Fajon (S&D), Maria Grapini (S&D), Maria Gabriela Zoană (S&D), Tokia Saïfi (PPE), Pina Picierno (S&D), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Maite Pagazaurtundúa Ruiz (ALDE), Sergio Gaetano Cofferati (S&D), Mercedes Bresso (S&D), Silvia Costa (S&D), Bart Staes (Verts/ALE), Marlene Mizzi (S&D), Malin Björk (GUE/NGL), Carlos Coelho (PPE), Ramón Luis Valcárcel Siso (PPE), Antonio López-Istúriz White (PPE), Anna Hedh (S&D), Marita Ulvskog (S&D), Jytte Guteland (S&D), Jens Nilsson (S&D), Wajid Khan (S&D), Luigi Morgano (S&D), Javier Nart (ALDE), Ana Gomes (S&D), Gérard Deprez (ALDE), Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), Curzio Maltese (GUE/NGL), João Pimenta Lopes (GUE/NGL), João Ferreira (GUE/NGL), Vilija Blinkevičiūtė (S&D), Nikolaos Chountis (GUE/NGL), Molly Scott Cato (Verts/ALE), Javier Couso Permuy (GUE/NGL), Michaela Šojdrová (PPE), Petras Auštrevičius (ALDE), Julie Ward (S&D), Merja Kyllönen (GUE/NGL), Nathalie Griesbeck (ALDE), Jean Lambert (Verts/ALE), Barbara Lochbihler (Verts/ALE), Tania González Peñas (GUE/NGL), Marisa Matias (GUE/NGL), Claude Turmes (Verts/ALE), Dietmar Köster (S&D), Claude Moraes (S&D), Eva Joly (Verts/ALE), Soraya Post (S&D), Benedek Jávor (Verts/ALE), Hilde Vautmans (ALDE), Monika Beňová (S&D), Miguel Urbán Crespo (GUE/NGL), Elly Schlein (S&D), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Bodil Valero (Verts/ALE), António Marinho e Pinto (ALDE), Helmut Scholz (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Jordi Solé (Verts/ALE), Sirpa Pietikäinen (PPE), Martina Anderson (GUE/NGL), Stefan Eck (GUE/NGL), Sophia in ‘t Veld (ALDE), Josef Weidenholzer (S&D), Nessa Childers (S&D), Olle Ludvigsson (S&D), Anna Maria Corazza Bildt (PPE) e Caterina Chinnici (S&D)

Oggetto:  Detenzione di minori non accompagnati nelle celle delle stazioni di polizia in Grecia

Human Rights Watch riferisce che in Grecia, dalla fine del dicembre 2017, 54 minori non accompagnati sono stati trattenuti presso celle delle stazioni di polizia o centri di detenzione per immigrati [1]. La ricerca ha rilevato che tali minori vivevano in condizioni di insalubrità, spesso con adulti diversi dai loro familiari, e potevano essere oggetto di abusi e maltrattamenti da parte della polizia.

La detenzione di minori è contraria al diritto internazionale in materia di diritti umani [2], come dichiarato anche dal gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e dal relatore speciale sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

L’articolo 6 del regolamento (UE) n. 604/2013 stabilisce che gli Stati membri cooperano strettamente tra loro, tengono debitamente conto delle possibilità di ricongiungimento familiare e, in caso di minori non accompagnati, adottano “il prima possibile opportune disposizioni per identificare i familiari, i fratelli o i parenti del minore non accompagnato nel territorio degli Stati membri”.

È la Commissione a conoscenza di tale situazione e, in tal caso, quali iniziative intende intraprendere per sostenere misure alternative alla detenzione, accelerare il ricongiungimento dalla Grecia con i familiari e garantire la ricollocazione sicura dei minori non accompagnati richiedenti asilo, anche se non hanno legami familiari?

[1]     Secondo Human Rights Watch e diversi studi, tra cui una relazione elaborata su richiesta della Commissione, la detenzione ha un grave impatto a lungo termine sui minori e provoca altresì danni allo sviluppo, ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico e perdita della memoria: http://odysseus-network.eu/wp-content/uploads/2015/02/FINAL-REPORT-Alternatives-to-detention-in-the-EU.pdf

https://www.hrw.org/news/2018/01/23/asylum-seeking-kids-locked-greece

http://www.unhcr.org/58a458eb4

[2]     Assemblea generale delle Nazioni Unite, dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti: risoluzione adottata dall’Assemblea generale il 3 ottobre 2016, A/RES/71/1, “Noi, capi di Stato e di governo e alti rappresentanti (…) perseguiremo inoltre alternative alla detenzione, mentre tali valutazioni sono in corso”. http://www.refworld.org/docid/57ceb74a4.html – Osservazione generale n. 21 (2017) del comitato delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo per quanto concerne i minori di strada – cfr. paragrafo 44 “la privazione della libertà, ad esempio in celle di detenzione o centri chiusi, non costituisce mai una forma di protezione”.

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IT

E-001400/2018

Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione

(7.6.2018)

La protezione dei minori è una priorità centrale della politica migratoria dell’UE. Il diritto dell’Unione prevede che il trattenimento, anche sotto forma di custodia protettiva, dovrebbe essere utilizzato in ultima istanza e in circostanze eccezionali, solo se strettamente necessario, per il minor tempo possibile e mai in istituti penitenziari. La Commissione ha recentemente sottolineato la persistente mancanza di adeguati centri di accoglienza per minori non accompagnati, sia sulle isole che sul territorio continentale. Le autorità greche dovrebbero accelerare il processo volto a creare, con il sostegno finanziario dell’UE, 2 000 nuovi posti in accoglienza […] in tutta la Grecia. In tutti i punti di crisi in Grecia sono state istituite e addestrate squadre di protezione dei minori” [1]. Pertanto, le autorità nazionali devono garantire la disponibilità e l’accessibilità di una serie di alternative percorribili per il trattenimento di minori migranti. I fondi dell’UE sono disponibili per sostenere tale obiettivo.

In base alle informazioni pubblicate dal Servizio greco di asilo [2], 9 168 richieste di trasferimento sono state inviate ad altri Stati membri per ragioni legate al ricongiungimento familiare, a legami di dipendenza e a questioni umanitarie e 4 758 trasferimenti hanno avuto luogo nel 2017, compresi i trasferimenti di minori non accompagnati, rispetto alle 4 912 richieste di trasferimento e ai 962 trasferimenti nel 2016. La Commissione continua a monitorare la situazione e ha sottolineato la necessità di rafforzare ulteriormente la capacità del servizio greco per l’asilo, compresa l’Unità Dublino greca, al fine di garantire la sostenibilità e il miglioramento delle operazioni.

Per quanto riguarda la ricollocazione dalla Grecia, 21 999 persone, tra cui 546 minori non accompagnati, sono state trasferite dalla Grecia in altri Stati membri.

[1]     Relazioni sullo stato di avanzamento dell’attuazione dell’agenda europea sulla migrazione, COM(2018) 250 final def. del 14.3.2018, COM(2018) 301 final def. del 16.5.2018.

[2]     http://asylo.gov.gr/en/wp-content/uploads/2018/03/Dublin-stats_feb18%CE%95%CE%9D.pdf

Libertà di espressione minacciata in Spagna

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001252/2018
alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Josep-Maria Terricabras (Verts/ALE), Jordi Solé (Verts/ALE), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Lola Sánchez Caldentey (GUE/NGL), Xabier Benito Ziluaga (GUE/NGL), Matt Carthy (GUE/NGL), Lynn Boylan (GUE/NGL), Liadh Ní Riada (GUE/NGL), Maria Lidia Senra Rodríguez (GUE/NGL), Miguel Urbán Crespo (GUE/NGL), Curzio Maltese (GUE/NGL), Igor Šoltes (Verts/ALE), Benedek Jávor (Verts/ALE), Bart Staes (Verts/ALE), Tania González Peñas (GUE/NGL), Josu Juaristi Abaunz (GUE/NGL), José Bové (Verts/ALE), Florent Marcellesi (Verts/ALE), Ángela Vallina (GUE/NGL), António Marinho e Pinto (ALDE), Ramon Tremosa i Balcells (ALDE), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Luke Ming Flanagan (GUE/NGL), Tatjana Ždanoka (Verts/ALE), Martina Anderson (GUE/NGL), Marie-Pierre Vieu (GUE/NGL), Mark Demesmaeker (ECR), Estefanía Torres Martínez (GUE/NGL), Stelios Kouloglou (GUE/NGL), Helmut Scholz (GUE/NGL) e Bodil Valero (Verts/ALE)

Oggetto:      Libertà di espressione minacciata in Spagna

Questa settimana il rapper di Mallorca Valtònyc è stato condannato a tre anni e mezzo di carcere dalla Corte suprema spagnola con l’accusa di esaltazione del terrorismo e diffamazione contro la Corona attraverso i testi delle sue canzoni[1]. All’inizio di questa settimana un tribunale ha ordinato il sequestro e l’interruzione della stampa e della vendita[2] delle copie del libro dal titolo “Fariña”, che rivela i rapporti tra i trafficanti di droga e alcuni politici, mentre un’opera d’arte sui prigionieri politici in Spagna è stata ritirata dalla mostra d’arte ARCO [3]. Anche il rapper Pablo Hasél, accusato di diffamazione contro la Corona e lo Stato, è in attesa dell’esito del suo processo e potrebbe subire il carcere [4].

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’articolo 490 del codice penale spagnolo, che tutela determinate istituzioni contro un reato pubblico, non è in linea con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’articolo resta invariato e costituisce la base giuridica per le suddette sentenze.

Alla luce di quanto precede può la Commissione rispondere al seguente quesito:

Ritiene che la legge spagnola 4/2015 e il codice penale spagnolo siano pienamente in linea con gli articoli 11 e 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea?

[1]     https://politica.elpais.com/politica/2018/02/20/actualidad/1519138222_303069.html

[2]     http://www.publico.es/culturas/farina-jueza-ordena-secuestro-cautelar-libro-farina-narcotrafico-gallego-peticion-exalcalde-grove.html

[3]     http://www.lavanguardia.com/cultura/20180221/44950153381/arco-obra-santiago-sierra-presos-politicos-proces.html

[4]     http://www.publico.es/sociedad/twitter-son-62-tuits-cancion-fiscalia-pide-3-anos-prision-40500-euros-rapero-pablo-hasel.html

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IT

E-001252/2018

Risposta di Vera Jourová
a nome della Commissione

(7.6.2018) 

Come già sottolineato nelle risposte alle interrogazioni scritte E-013929/2013, E‑013763/2013, P-006472/2014, E-011174/2014 e E-001411/2015 la Commissione, nell’ambito delle sue competenze, è sempre stata e rimane fermamente impegnata ad assicurare che la libertà d’espressione e la libertà di riunione siano rigorosamente rispettate, in quanto sono alla base delle società libere, democratiche e pluraliste. Tuttavia, la Commissione non ha una competenza generale per quanto riguarda i diritti fondamentali. Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, la Carta si rivolge agli Stati membri soltanto quando essi attuano il diritto dell’UE.

Le questioni sollevate dagli onorevoli deputati non si riferiscono all’attuazione del diritto dell’UE. In tali casi, spetta agli Stati membri garantire che i diritti fondamentali siano rispettati, in base al loro ordine costituzionale e agli obblighi di diritto internazionale.

Di conseguenza, la Commissione non può commentare la legge spagnola n. 4/2015 e il Codice penale spagnolo, come riferito dagli onorevoli deputati.

Relazione su media freedom

Bruxelles, 2 maggio 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo.

Punto in agenda:
Pluralismo e libertà dei media nell’Unione europea

Breve Presentazione della Relazione

Presenti al dibattito:

  • Phil Hogan – Commissario Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale (per conto di Mariya Gabriel – Commissario europeo per l’Economia e la società digitali)

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di Relatore per il Parlamento europeo della Relazione sul pluralismo e la libertà dei media nell’Unione europea

La Risoluzione è stata adottata il 3 maggio 2018 con 488 voti a favore, 43 contrari e 114 astensioni.
Testo consolidato della relazione adottato in plenaria (in inglese e ancora in forma provvisoria).

Lo scandalo di Facebook e Cambridge Analytica è scoppiato quando la nostra relazione era già ultimata, ma le analisi e le raccomandazioni che essa contiene non cambiano nella sostanza. Lo scandalo ci rinforza ancor più nel nostro proposito: difendere e incoraggiare l’indipendenza e il pluralismo dell’informazione, sia su carta sia online, e non moltiplicare i mezzi per controllarla o addirittura reprimerla. È il motivo per cui siamo stati cauti nel trattare il tema delle fake news, ricordando che queste non nascono con internet. Sono a mio parere il frutto di comportamenti di gruppo – il cosiddetto “groupthink” – che affliggono e hanno afflitto i mezzi di comunicazione scritti oltre che online. La nozione di fake news, è scritto nella relazione, non va usata per escludere e criminalizzare le voci critiche.

La disinformazione internet ha una natura virale e aggressiva che non deve essere sottovalutata, ed è vero che pochi giganti di internet esterni all’Unione (Google, Facebook, Apple, Microsoft) esercitano un potere immenso di controllo e selezione delle notizie, di sorveglianza e profilazione degli utenti, ma la censura – soprattutto se affidata agli stessi giganti – non può essere la risposta. Al momento, le analisi più serie concordano sul fatto che né le fake news, né la profilazione psicografica degli utenti, né Cambridge Analytica – oggi finalmente chiusa – hanno determinato l’esito delle elezioni americane o francesi, o del referendum sul Brexit. Accusare l’algoritmo è una scappatoia troppo conveniente per evitare l’analisi di un risultato elettorale. Rimuovere da internet i contenuti più pericolosi – specie nei casi di pedopornografia e terrorismo – è una soluzione spesso necessaria, ma non può essere affidata alle compagnie private né può trascurare i tre principi del Patto internazionale sui diritti civili e politici: la necessità, la proporzionalità e la legittimità. Abbiamo chiesto che a giudicare siano organi indipendenti e che al tempo stesso siano assicurate la neutralità della rete e la protezione dei dati personali.

Sempre per lo stesso motivo esprimiamo preoccupazione riguardo alle leggi sulla diffamazione, sottolineando gli effetti paralizzanti che esse possono avere sul diritto a diramare e a ricevere informazioni. Al tempo stesso, abbiamo ricordato il ruolo chiave dei whistleblower nella salvaguardia del giornalismo di investigazione. In questo quadro abbiamo reso omaggio a chi, da giornalista investigativo, ha pagato con la vita la propria indipendenza: a Daphne Caruana Galizia come a Ján Kuciak.

La crisi economica, combinandosi con l’ascesa della comunicazione online, ha gravemente colpito un mestiere chiave nelle democrazie. Il quarto potere è oggi impoverito, e le condizioni di chi investiga sono talmente precarie che non si può più parlare veramente di un potere indipendente, capace di evitare l’autocensura e la dipendenza da altri poteri, politici, finanziari o pubblicitari. Questo degrado è sottolineato nella nostra relazione.

Non tutti i miei convincimenti si rispecchiano nella relazione – specie riguardo alla depenalizzazione del reato di diffamazione, su cui non è stata raggiunta un’intesa – ma ringrazio i vari gruppi che hanno mostrato spirito di collaborazione nello stilare questo testo.

Comunicato stampa del Gruppo GUE/NGL

Comunicato stampa del Parlamento europeo

 

Democrazia in bilico nell’Unione europea

Intervento di Barbara Spinelli alla tavola rotonda “Democracy in the EU: between Theory and Practice”, Istituto Universitario Europeo, Firenze 27 aprile 2018

Partecipanti alla tavola rotonda: Armin von Bogdandy, direttore dell’Istituto MaxPlanck di Diritto Pubblico Comparato e Diritto Internazionale, e Mercedes Bresso, deputata del Parlamento Europeo (S&D)

Some preliminary remarks are necessary.

When we speak about democracy and rule of law – i.e. constitutional democracy, a system which is much more than a simple reflection of the will of a majority, and which ensures the separation of powers and strong institutional guarantees for the minorities – we should distinguish between democracy within the Union and democracy of the Union: because we have two levels of decision making, two levels of parliamentary control and as a consequence two levels of sovereignties. Constitutional democracy is today threatened at both national and supranational level. Moreover, we should bear in mind that there are other sovereignties, which have a substantial weight but are not codified nor democratically controlled: I’m referring in a specific way to the market forces, and to the famous formula coined in 1998 by Hans Tietmeyer, at the time President of the Bundesbank, according to whom there is, in parallel to national elections, the “permanent plebiscite of the international markets”. Tietmeyer defended the legitimacy of such plebiscite, equating the latter to the legitimacy of democratic elections: a very questionable short circuit to say the least. Finally there are regional sovereignties, which are becoming more and more important and challenging from the point of view of democracy and rule of law – I’m referring to the Northern Irish or Scottish or Catalan cases – and which are the result of the progressive erosion of national sovereignties, combined with ill-defined democratic rules at supranational level. In the case of Northern Ireland, the citizens’ right to determine their future and their borders is codified in international treaties like the Good Friday Agreement. Future developments of a more decentralized, regional Union could learn much from this treaty.

Let’s begin with democracy in the Union, even if I’m perfectly aware of the intertwining of the different levels I mentioned:

What we are facing today is a double erosion: erosion of the constitutions in the Member States (strong tendency, except in Germany, to emulate the French model of centralisation and pre-eminence of the executives) and erosion of the popular sovereignties (increasingly calling into question of the universal suffrage, as expressed in national elections). This evolution is enhanced by the direct involvement of the EU Commission and of the ECB in electoral competitions, as we have seen in Greece, and by the aversion often demonstrated by these institutions to the constraints set by national elections or referenda. I remember what Mario Draghi said after a delicate Italian election, in 2013: elections come and go, since the EU is composed by democratic States, but one thing remains sure: “Structural budget reforms and fiscal adjustments will continue on automatic pilot“.

The EU Commission and the European Parliament are very active on democracy and rule of law: in relation to Poland, Hungary and other Countries of Eastern Europe like Slovakia. I’m very in favour of such EU struggles, but there is a danger that Eastern Europe, because of ill-defined enlargements in 2004, becomes a sort of convenient punching-bag for the EU, hiding the fact that there is a problem of democracy in the Union as a whole, not only in the East. The strict criteria established since 1993 for the accession countries – the so called Copenhagen criteria – cease to operate once a country has joined the Union as a full member. It’s called the Copenhagen dilemma and it’s still not solved.

And now democracy of the Union:

We are experiencing a progressive shirking of responsibilities towards citizens by EU institutions – Commission, Council, EU agencies – and the European Parliament is not always the exception as we shall see. The increasing power of such institutions goes hand in hand with a deliberate avoidance of responsibility towards citizens not only from a political point of view but also from a judicial one. Such power without responsibility is exerted in different ways, through semantic and political escamotages, and explains the growing disrespect – in EU policies – of the Charter of fundamental rights, the European Convention of human rights, the Court of justice, the European Court of human rights.

As regards the austerity memoranda, the democratic retrogression is evidenced by the way in which the Commission denies its involvement and accountability in policy decisions which are taken by the European Stability Mechanism (ESM, that is an intergovernmental organization), but are nevertheless negotiated, supported and implemented by the Commission and the ECB (the ex-troika). Some ideas are circulating about the reform of the Eurozone and its governance, proposing the transformation of the ESM in an EU Monetary Fund (EMF) with full veto power over Member States’ budget decisions: an even more disturbing evolution, if adopted.

As regards the EU-Turkey agreement on migration, the deal was negotiated by the States but implemented and financed by the Commission: it received a particular name (it was called statement), in order to avoid the control on international treaties normally exercised by the European Parliament.

As regards finally the trade negotiations, the Commission has an exclusive competence, hence an effective power (albeit limited on certain areas where the competence is shared) but the specific responsibility towards citizens is denied or avoided.

I would like to briefly dwell on the last point: the TTIP negotiations, and the discretionary, opaque power exerted by the Commission in this field. In this case the responsibility is not denied – it is on the contrary strongly defended against interferences by the Member States – but at the same time it is restricted and re-interpreted in its relations with the EU citizens. What I call into question, in this case, is not the communitarisation of national trade policies. The federal evolution of the EU is a good thing, but federalism is not an end in itself. It has been originally thought as an instrument intended to facilitate and consolidate policies aimed at enhancing democracy, rule of law, social cohesion and – last but not least – peaceful external policies, in the States belonging to the Union. The federal instrument makes sense if conceived as a bulwark against the return of aggressive nationalisms and centralistic dictatorships in Europe, as well as against social injustice, inequality and poverty. Too many elements of such project are missing in today’s Union. Re-nationalisation of EU policies won’t certainly do the trick, but “more of this Europe” – even if you call it federalist – won’t help.

A vivid example of the wrong use of federalisation and of the transfer of powers to the Commission in trade deals comes from an episode occurred during the TTIP negotiation. When John Hilary, executive Director at War on Want, asked the trade commissioner Cecilia Malmström how she could continue her persistent promotion of the deal – including the most controversial clauses concerning the Investor-state dispute settlement – in the face of massive public opposition, her response – I quote an article written by Hilary in The Independent, on 15 October 2015 – came back icy cold: “I do not take my mandate from the European people”.

So, from whom does Cecilia Malmström take her mandate? Officially, EU commissioners are supposed to take into account the popular will of the Member states, as well as their respective constitutional traditions, and make a synthesis of their diverging aims. Yet the European Commission has carried on the trade negotiations behind closed doors, ignoring the objections coming from the citizens – included a successful Citizens’ Initiative against TTIP – and denying any dependence on them. In reality, as a report from War on Want revealed in autumn 2015, the Commission has been deeply involved in negotiations with lobbies, being dependent (i.e. responsible) on them. Hence the conclusion of John Hilary: “The European Commission makes no secret of the fact that it takes its steer from industry lobbies such as BusinessEurope and the European Services Forum.  It’s no wonder that the TTIP negotiations are serving corporate interests rather than public needs”.

Lack of transparency is an essential ingredient of this misguided conception of the “mandate” granted to the supranational institutions: bodies like the Eurogroup, or the Council’s obscure behaviour in the “trilogues” (decisions negotiated between the Commission, the Council and the Parliament) generate opaque decision making and procedures, out of any democratic control. This is the opinion expressed by the EU Ombudsman, especially on the Council and on the relation between the Commission and the lobbies. I quote a passage of the Mrs O’Reilly’s recommendations of last February: “It is important to note that Member State representatives involved in legislative work are EU legislators and should be accountable as such. Democratic accountability demands that the public should know which national government took which position in the process of adopting EU legislation. Without this “minimum and essential item of evidence”, citizens will never be able to scrutinise how their national representatives have acted. It is also important for national parliaments, in their task of overseeing their own governments’ actions, to be able to know the positions taken by their own government”.

I mentioned the European Parliament, the only really elected body of the EU. On 22 March, the European Court of justice has annulled a decision by the Parliament on transparency of the “trilogues” with a sentence of utmost importance. The Parliament had decided that certain provisional compromises between the three institutions had to remain secret, in order not to hamper negotiations and avoid interferences by lobbies. The Court has denied such dangers, prioritising the citizens’ right to have full knowledge of the decision making in the trilogues.

But let’s be clear on this point: lack of transparency is a symptom, not the disease itself. It makes no sense to have full transparency – as it makes no sense to have a full European sovereignty – if EU policies erode democracies in Member States and are in contradiction with article 2 and 6 of the Treaty. If they are in conflict with the “general principles” of the EU, including the respect of the Charter of fundamental rights, of the European Convention on human rights and of the Constitutional norms of the Member States.

Misure a sostegno degli Stati membri con tassi di disoccupazione di lunga durata e giovanile superiori alla media della zona euro

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-007248/2017

alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Kostadinka Kuneva (GUE/NGL), Jean Lambert (Verts/ALE), Dietmar Köster (S&D), Ana Gomes (S&D), Estefanía Torres Martínez (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Jiří Maštálka (GUE/NGL), Martina Michels (GUE/NGL), Maria Arena (S&D), Tatjana Ždanoka (Verts/ALE), Merja Kyllönen (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Jean-Paul Denanot (S&D), Rina Ronja Kari (GUE/NGL), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Vilija Blinkevičiūtė (S&D), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Bart Staes (Verts/ALE), Marie-Pierre Vieu (GUE/NGL), Gabriele Zimmer (GUE/NGL), Stelios Kouloglou (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL) e Jutta Steinruck (S&D)

Oggetto:  Misure a sostegno degli Stati membri con tassi di disoccupazione di lunga durata e giovanile superiori alla media della zona euro

Secondo Eurostat, i tassi di disoccupazione di lunga durata e giovanile in almeno dieci Stati membri sono superiori alla media della zona euro. In sette paesi, il tasso di disoccupazione di lunga durata (in percentuale sulla disoccupazione totale) è tra il 4 % e il 23 % più elevato rispetto alla media della zona euro (49,7 %), il che indica una potenziale tendenza permanente. In risposta a tale tendenza, il viceministro greco del lavoro Antonopoulou e il ministro lussemburghese del lavoro Schmit hanno suggerito le seguenti misure nel corso di una riunione della commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo il 30 agosto 2017:

–     esenzione dal patto di stabilità e crescita dell’UE per le risorse finanziarie destinate ai programmi a sostegno dei disoccupati, principalmente attraverso politiche attive del mercato del lavoro, compresa la creazione di posti di lavoro in paesi con tassi di disoccupazione superiori alla media della zona euro, in quanto investimenti in capitale umano a sostegno del potenziale di crescita;

–     assegnazione di almeno il 5 % del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) a tali programmi, con la possibilità di un contributo superiore al limite del 50 % del totale richiesto, se necessario, vista l’eccezionale situazione di svantaggio che affrontano tali paesi.

Tenendo conto che le suddette proposte sono sostenute da diversi paesi (Spagna, Portogallo, Italia, Slovenia) e da deputati al Parlamento europeo e che tali questioni saranno sottoposte al sig. Juncker e ai commissari competenti, come prevede di procedere la Commissione per promuovere il dialogo e agire in tal senso?

Sostenitori [1]

[1]  La presente interrogazione è sostenuta da deputati diversi dagli autori: Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL) e Tania González Peñas (GUE/NGL).

IT

E-007248/2017

Risposta di Marianne Thyssen

a nome della Commissione

(18.4.2018)

Al fine di garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche, tutte le spese devono essere adeguatamente finanziate. Gli Stati membri possono stabilire priorità nel modo in cui effettuano le spese, rispettando nel contempo il patto di stabilità e crescita. Agli Stati membri è permesso deviare dall’obiettivo a medio termine o dal relativo percorso di avvicinamento alle condizioni menzionate nella Posizione comune sulla flessibilità nel patto di stabilità e crescita, per esempio quando attuano importanti riforme strutturali, comprese le riforme del mercato del lavoro [1]. Gli obblighi di aggiustamento di bilancio inoltre vengono fissati in termini strutturali prendendo in considerazione il ciclo economico.

Il pilastro europeo dei diritti sociali, proclamato il 17 novembre 2017, beneficerà di investimenti dell’UE in capitale umano e coesione sociale, in particolare mediante il Fondo sociale europeo e altri fondi strutturali e di investimento europei. La Commissione ha inoltre recentemente presentato proposte [2] di nuovi strumenti di bilancio volti a sostenere la convergenza e le riforme strutturali, comprese le riforme dei mercati del lavoro. L’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile inoltre continuerà a sostenere giovani delle regioni più colpite mediante un incremento delle risorse pari a 1,2 miliardi di EUR per il periodo 2017-2020. Nell’ambito del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) sono stati inoltre sviluppati strumenti finanziari volti a sostenere l’imprenditoria sociale, l’impiego sostenibile e l’innovazione sociale, mediante l’integrazione degli obiettivi di occupazione giovanile. Sebbene questo fondo sia guidato dalla domanda e non fissi quote settoriali, la Commissione riconosce che l’investimento nel capitale sociale è una priorità fondamentale.

Nel maggio del 2018 la Commissione presenterà la sua proposta per il quadro finanziario pluriennale post-2020. La preparazione del nuovo bilancio dell’UE sarà l’occasione per un dibattito aperto su come progettare al meglio strumenti dell’UE per combattere la disoccupazione di lunga durata e giovanile.

[1]     Approvata il 12 febbraio 2016 dal Consiglio “Economia e finanza” (ECOFIN). http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-14345-2015-INIT/en/pdf.

[2]     https://ec.europa.eu/info/publications/economy-finance/completing-europes-economic-and-monetary-union-policy-package_en

In sostegno delle Ong che difendono i principi dell’articolo 2 del Trattato

Strasburgo, 17 aprile 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo.

Punto in agenda:

Uno strumento per i valori europei a sostegno delle organizzazioni della società civile che promuovono la democrazia, lo Stato di diritto e i valori fondamentali nell’Unione europea

Dichiarazione della Commissione

Presenti al dibattito:

  • Věra Jourová – Commissario europeo per la giustizia, la tutela dei consumatori e l’uguaglianza di genere

Per vari motivi vale la pena creare uno strumento europeo a sostegno delle Organizzazioni della società civile che difendono e promuovono i principi dell’articolo 2 del Trattato [1].

Innanzitutto, vorrei ricordare che il progetto europeo nacque nel dopoguerra non per creare un vasto mercato, ma per proteggere i cittadini dalle malattie della democrazia e dalla povertà che l’aveva devastata. Nacque dalla volontà di Paesi che uscivano dal fascismo, dal nazismo, e via via accolse altri Paesi usciti dalle dittature: Grecia, Portogallo, Spagna, Paesi dell’Est. È ora di tornare alle radici di quel progetto.

Secondo: i meccanismi che proteggono lo stato di diritto nei Paesi membri sono spesso percepiti come congegni top down. Cadono dall’alto, invece di partire dal basso (bottom-up). Per questo è importante sostenere le Ong che si occupano di monitoraggio della rule of law, di patrocinio legale, di contenziosi giudiziari (advocacy e litigation). La crisi dei partiti e la povertà che ritorna danno alle ONG una nuova centralità. Sono loro, spesso, a mediare tra potere e società. La loro forza e indipendenza sono importanti come la forza e l’indipendenza del potere giudiziario e della stampa.

Terzo: l’Unione dedica fondi, e giustamente, per difendere la democrazia in Paesi terzi (inclusi i Paesi candidati). Non spende nulla per le Ong nazionali e locali dell’Unione. È una disparità che va a mio parere superata.

Quarto: il sostegno alle Ong nei Paesi membri è praticamente assicurato, oggi, solo dal Fondo EEA-Norvegia e da associazioni filantropiche. Spesso è percepito come sostegno che viene da fuori, e questo crea malintesi. Anche per superare tali malintesi conviene avere, in parallelo, un comune strumento che faccia capo alle istituzioni europee.

 

[1] Articolo 2 – L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

Uso improprio del mandato di arresto europeo da parte della Spagna

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-000746/2018

alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Ramon Tremosa i Balcells (ALDE), Josep-Maria Terricabras (Verts/ALE), Jordi Solé (Verts/ALE), Martina Anderson (GUE/NGL), José Bové (Verts/ALE), Bodil Valero (Verts/ALE), Igor Šoltes (Verts/ALE), Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), Josu Juaristi Abaunz (GUE/NGL), Jill Evans (Verts/ALE), António Marinho e Pinto (ALDE), Bart Staes (Verts/ALE), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Maria Lidia Senra Rodríguez (GUE/NGL) e Rolandas Paksas (EFDD)

Oggetto: Uso improprio del mandato di arresto europeo da parte della Spagna

Il 5 dicembre 2017 la Corte suprema spagnola, in una decisione senza precedenti, ha revocato il mandato di arresto europeo emesso il 3 novembre 2017 contro il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, e quattro dei suoi ministri di governo.

Il 6 dicembre 2017 il governo spagnolo ha annunciato la sua intenzione di proporre una riforma delle disposizioni che disciplinano il mandato di arresto europeo in occasione del Consiglio «Giustizia e affari interni» [1].

La revoca del mandato di arresto europeo è stata una mossa tattica per evitare la sconfitta in un tribunale belga, dal momento che il procedimento penale avviato in Spagna nei confronti di Puigdemont e dei suoi colleghi è stato coinvolto in varie violazioni dei diritti fondamentali mentre le imputazioni di ribellione e sedizione non esistono in Belgio.

Il 22 gennaio 2018 Carles Puigdemont ha partecipato a una conferenza in Danimarca e il giudice della Corte suprema spagnola ha rifiutato di emettere un nuovo mandato di arresto europeo per ragioni politiche.

L’8 dicembre 2017 il commissario Věra Jourová ha dichiarato che la decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo non necessita di modifiche, contrariamente alle affermazioni del ministro spagnolo. Tuttavia, il suo uso opportunistico solleva la questione se vi debba essere la possibilità di revocare o di emettere un mandato di arresto europeo a propria discrezione.

Alla luce di quanto precede può la Commissione rispondere ai seguenti quesiti:

– Ritiene che tale uso improprio del mandato di arresto europeo possa pregiudicare la fiducia reciproca esistente tra i sistemi giudiziari degli Stati membri e compromettere la sua efficacia?

– In che modo intende evitare un uso opportunistico del mandato di arresto europeo in futuro?

[1] https://www.larazon.es/espana/catala-pide-a-la-ue-revisar-los-delitos-por-los-que-la-euroorden-se-activa-de-manera-automatica-GC17154103.

IT

E-000746/2018

Risposta di Věra Jourová

a nome della Commissione

(13.4.2018)

Il mandato d’arresto europeo (MAE) è una procedura esclusivamente giudiziaria basata sulle circostanze specifiche di ogni singolo caso.

Pertanto, né la Commissione europea né le autorità governative degli Stati membri possono interferire o influire sulle decisioni delle autorità giudiziarie belghe o spagnole per quanto riguarda il mandato d’arresto europeo che è stato emesso contro Carles Puigdemont e altri ministri il 3 novembre 2017 e che è stato revocato il 5 dicembre 2017.

Inoltre, la Commissione ha pubblicato un manuale [1] nel 2017 al fine di agevolare l’uso di questo strumento, il quale ha fornito orientamenti importanti per le autorità giudiziarie nazionali. Continuerà inoltre a organizzare riunioni di esperti al fine di garantire che la decisione quadro sia applicata in tutti gli Stati membri.

[1]     Manuale sull’emissione e l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, GU C335 del 06.10.2017

I falsi progressi dell’Agenda europea per la migrazione

Bruxelles, 26 marzo 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della discussione congiunta della Commissione Libertà pubbliche (LIBE) con la Commissione per gli Affari esteri (AFET) sull’Agenda per la migrazione:

Relazione sui progressi compiuti in merito all’attuazione dell’agenda europea sulla migrazione. Scambio di opinioni con rappresentanti del SEAE (Servizio europeo per l’azione esterna), della Commissione e del Centro per le politiche migratorie di Firenze

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Seconda relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia

Stato di avanzamento del progetto pilota della Commissione con paesi terzi per la migrazione legale

Ho qualche dubbio sui sondaggi che sono stati presentati dal rappresentante del Centro per le politiche migratorie di Firenze James Dennison (molto ottimisti sull’atteggiamento dei cittadini europei verso gli immigrati) ma non mi concentrerò su questo perché la discussione diverrebbe troppo complessa. Vorrei invece porre alcune domande alla Commissione e al Servizio per l’azione esterna su punti specifici.

Il primo punto riguarda la Turchia: le mie domande vertono sulla questione dei fondi europei messi a disposizione di questo Stato e sulle loro implicazioni strategiche.

Sulla questione dei fondi, diversi giornali europei – tra cui Mediapart, in collaborazione con la European Investigative Collaboration (EIC) – hanno pubblicato in questi giorni un’inchiesta secondo cui ingenti somme di denaro, pari a 83 milioni di euro, sarebbero state versate dall’Unione europea per finanziare l’acquisto da parte delle autorità turche di veicoli militari ed equipaggiamenti di sorveglianza, soprattutto lungo la linea di confine tra Turchia e Siria. È una notizia preoccupante e vorrei avere un chiarimento in merito.

La seconda domanda sulla Turchia concerne l’ultimo rapporto di Human Rights Watch, secondo il quale il refoulement di rifugiati siriani verso la Siria sta raggiungendo cifre molto alte: si parla di centinaia di persone e di numerosi attacchi armati contro i rifugiati.

Il secondo punto riguarda le cosiddette “procedure accelerate” per le richieste di asilo in Grecia. Nel documento della Commissione è scritto che quest’ultima ha chiesto alla Grecia di cambiare le leggi nazionali concernenti le procedure d’asilo in modo da accelerarle al massimo, tramite l’eliminazione della possibilità di ricorso in appello. Vorrei sapere come questa richiesta dell’Unione si concili con il diritto al secondo grado di giudizio: un diritto che esiste nelle leggi nazionali come nelle leggi europee.

Il terzo punto è relativo alle prese di posizione del rappresentante dell’UNHCR in Germania, sia sul rimpatrio dei cittadini afghani sia sulla politica delle quote che i governanti della Grande coalizione vorrebbero adottare.

Secondo l’UNHCR, il rimpatrio degli afghani viola la legge internazionale, perché non esistono zone sicure protette all’interno dell’Afghanistan.

Per quanto riguarda le quote – cito ancora l’UNHCR – nella legge internazionale non esiste un limite massimo per le richieste di asilo.

Un’ultima domanda sul reinsediamento dei rifugiati, previsto dall’accordo con la Turchia e concernente anche i richiedenti asilo trasferiti dalla Libia in Niger. Le quote di resettlement sono ancora molto basse e vorrei sapere come si possano aumentare. Dal Niger sono state reinsediate solo 24 persone, da quel che mi risulta. Ma la cosa che più mi interessa è sapere se il paradigma della politica europea stia cambiando: se cioè il resettlement stia diventando un’alternativa alla richiesta di asilo fatta sul suolo europeo. Tutto questo, sempre per l’UNHCR, è legalmente molto dubbio, perché il resettlement non sostituisce l’accesso individuale alla protezione internazionale. Una cosa non compensa l’altra. Avrei altre domande ma mi fermo qui. Grazie presidente.

Pluralismo e libertà dei media nell’Unione europea

di martedì, Marzo 27, 2018 0 , , Permalink

Bruxelles, 27 marzo 2018

Dichiarazione di Barbara Spinelli (GUE/NGL), in qualità di Relatrice per il Parlamento europeo, a seguito del voto in Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) sulla Relazione “Pluralismo e libertà dei media nell’Unione europea”.

La Relazione è stata adottata con 44 voti favorevoli, 3 contrari e 4 astenuti. Il voto finale avverrà nella prossima plenaria di maggio.

In questa versione consolidata sono riportati tutti gli emendamenti approvati che si aggiungono al rapporto finale. Sono evidenziati con colori diversi gli emendamenti dei vari gruppi, gli emendamenti “suppletivi” di Barbara Spinelli e i compromessi.

Questa è epoca di torbidi per l’indipendenza e il pluralismo dei media, e l’obiettivo principale del nuovo rapporto è comprendere la natura di tali torbidi e affrontarli.

La relatrice ha cercato di attenersi alle disposizioni principali del diritto internazionale, riguardanti la libertà dei media e i tre prerequisiti imperativi per le sue restrizioni (necessità, proporzionalità e legittimità). Il punto di riferimento cruciale del rapporto è l’articolo 19 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR), ratificato da tutti gli Stati membri dell’UE, così come l’articolo 11 della Carta europea dei diritti fondamentali.

Barbara Spinelli ha voluto sottolineare la vaghezza e la parzialità di concetti come “fake news”, sempre più applicati alla sola sfera di internet, e ha rispettato quanto più possibile le linee guida della Dichiarazione congiunta del marzo 2017 sulla «libertà di espressione e “fake news”, disinformazione e propaganda» (firmata dal relatore speciale delle Nazioni Unite assieme ai suoi omologhi dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) e della Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli (ACHPR)).

La relatrice condivide i punti di vista della Dichiarazione: il diritto umano a comunicare e ricevere informazioni e idee non può essere limitato ad affermazioni “corrette”, mainstream, ma deve anche «proteggere informazioni e idee che possono colpire, offendere e disturbare».

«Questo è lo “stile di vita” democratico che intendiamo sostenere, in tempo di pace come in risposta all’attuale ripresa della guerra fredda», ha commentato alla vigilia della votazione, aggiungendo che «le fake news sono nate prima nei giornali mainstream che su internet, a cominciare dalla guerra di Corea sino alle false notizie sulle armi di distruzione di massa in Iraq».

Il rapporto sottolinea la necessità di proteggere gli informatori (whistleblowers) e i diritti relativi alla crittografia, invita a riconoscere gli effetti negativi delle leggi sulla diffamazione, mette in guardia contro l’imposizione arbitraria di stati d’emergenza e insiste sull’opportunità di investire nell’alfabetizzazione mediatica e digitale per coinvolgere attivamente i cittadini e gli utenti on line.

In seguito ai negoziati con gli altri gruppi politici del Parlamento europeo, il testo originario è stato parzialmente ridimensionato rispetto alla sua originaria portata, ma resta un imperativo di fondo: ogni restrizione del diritto alla libertà di espressione e informazione deve essere inserita nel quadro del diritto internazionale, nel pieno rispetto dell’articolo 19 dell’ICCPR e della Carta europea dei diritti fondamentali.