Morti nel Mediterraneo: J’ACCUSE

COMUNICATO STAMPA

Sessione plenaria del Parlamento europeo
Strasburgo, 29 aprile 2015

Barbara Spinelli, eurodeputata del Gue-Ngl, si è rivolta al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, invitati a presentare le posizioni della Commissione e i risultati del Consiglio europeo straordinario del 23 aprile scorso. Il tema della sessione era: Le ultime tragedie nel Mediterraneo e le politiche dell’Unione su migrazione e asilo

“Accuso il Consiglio, i governi degli Stati membri, la Commissione. Ormai è chiaro: siete direttamente responsabili del crimine commesso ai danni dei migranti in fuga dalle guerre che l’Europa ha facilitato, dalle persecuzioni che ha tollerato. Dopo gli 800 morti del 19 aprile, anche l’Unione fa naufragio: nell’ipocrisia, nella negazione, nella cecità.

L’Unione dichiara la lotta contro trafficanti, fingendo di credere che siano loro i soli responsabili di tanti morti. Non sono i soli responsabili. Le morti si susseguono perché non esistono corridoi umanitari legali per i fuggitivi. Perché avete abolito Mare nostrum, che faceva Ricerca e Salvataggio in alto mare; perché continuate a finanziare operazioni – Triton, Poseidon – il cui mandato prioritario è il controllo delle frontiere, non il soccorso dei naufraghi.

La ringrazio, signor Juncker, per le parole che ha pronunciato oggi in quest’aula; ma “le porte” d’Europa non sono state aperte. Nel desiderio di sbarazzarvi delle vostre responsabilità, arrivate sino ad auspicare – cito il Commissario Avramopoulos – la “collaborazione con le dittature”: quella eritrea in testa, la più sanguinaria dittatura d’Africa.

La verità è che state violando, proprio come i trafficanti, la legge: il diritto del mare, del non-respingimento. Mi domando se sapete – se sappiamo noi qui in Parlamento – quel che si sta facendo: una guerra non dichiarata. Non contro i trafficanti, ma contro i migranti”.

 

Subito dopo, il Parlamento ha approvato una risoluzione congiunta sullo stesso tema. Il gruppo Gue-Ngl si è astenuto, non avendo ottenuto progressi sostanziali su istituzione di un corridoio umanitario e revisione del regolamento di Dublino. In cambio sono stati accolti alcuni emendamenti importanti del Gue e dei Verdi, che hanno migliorato la risoluzione per quanto riguarda le operazioni di Search & Rescue in alto mare e la concessione agevolata di visti umanitari.

Don Mussie Zerai: sì alla Giornata della Memoria in onore dei profughi scomparsi in mare, ma senza ipocrisie

Don Mussie Zerai è  fondatore e presidente dell’Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo (A.H.C.S ), istituita nel 2006 per svolgere  attività di volontariato con fini di solidarietà verso tutti i richiedenti Asilo e rifugiati. Nel 2015 è stato candidato al Premio Nobel della pace.

Don Zerai è stato invitato da Barbara Spinelli per il dibattito in Plenaria su “le ultime tragedie nel Mediterraneo”, svoltosi a Bruxelles il 29 aprile, per rappresentare davanti alle istituzioni europee le testimonianze dei profughi raccolte da Habeshia; ha inoltre partecipato alla conferenza stampa successiva alla discussione in aula ed è entrato in contatto con vari gruppi parlamentari: Marie-Christine Vergiat- GUE-Ngl; Cecilia Wikström-Alde; Cecile Kyenge-S&D; Judith Sargentini-Verdi.

Questo il suo intervento durante il dibattito in Plenaria:

Giornata della memoria in onore dei profughi scomparsi in mare: sì, ma senza ipocrisie

Il Parlamento italiano sta per discutere la proposta di istituire, ogni 3 ottobre, la data della tragedia di Lampedusa, una Giornata della memoria in onore delle 366 vittime di quell’alba tragica e di tutte le migliaia di disperati scomparsi in questi ultimi anni nel Mediterraneo, inseguendo un sogno di libertà e di umana dignità.

È impossibile non essere favorevoli a questa iniziativa. Quelle 366 vite spezzate sono diventate il simbolo della tragedia di tutti i profughi del pianeta, richiamando in particolare l’Italia e l’Europa alle proprie responsabilità nei confronti dei tantissimi giovani, donne e uomini, che gridano aiuto ai potenti della terra dai paesi del Sud del mondo, sconvolti da guerre, dittature, terrorismo, persecuzioni, carestia, fame, miseria endemica. Proprio mentre si propone di celebrare questa data simbolo, però, la politica italiana e quella europea stanno andando nella direzione esattamente opposta, dimenticando o facendo finta di dimenticare, che la maniera migliore per onorare la memoria dei morti è quella di salvare i vivi. Sono tanti, infatti, i provvedimenti e gli interventi che contrastano con quello che dovrebbe essere lo spirito della futura Giornata della Memoria. Vale la pena citare i più significativi.

– Mare Nostrum. Il primo novembre 2014 è stata abolita l’operazione Mare Nostrum: l’Italia afferma di non poterne più sostenerne le spese; l’Unione Europea, anziché farla propria, ha preferito puntare sull’operazione Triton, affidata all’agenzia Frontex, dotata di mezzi infinitamente minori e il cui unico obiettivo è quello di presidiare i confini mediterranei dell’Europa, attuando interventi di salvataggio solo in casi eccezionali. Sono stati ignorati sia il parere della stessa Marina Italiana, contraria alla soppressione del programma di soccorso, sia gli appelli dell’Unhcr e dell’Oim, che anche di recente hanno chiesto di varare una nuova Mare Nostrum su base europea. Tacitate di fatto le voci dei pochi parlamentari che hanno sollecitato la riedizione di Mare Nostrum “anche a costo di perdere voti”, mettendola magari sotto l’egida dell’Onu.

– Processo di Khartoum. È stato varato il Processo di Khartoum, l’accordo firmato dai 28 Stati dell’Unione Europea, su iniziativa in particolare proprio dell’Italia, che di fatto affida la gestione dell’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente a vari Stati dell’Africa Orientale, incluse alcune delle peggiori dittature del mondo, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al Bashir in Sudan, ma anche al regime egiziano di Al Sisi, messo sotto accusa ripetutamente da Amnesty e da altre organizzazioni internazionali per la sistematica violazione dei diritti umani e il soffocamento di ogni forma di dissenso: oltre 800 condanne a morte, centinaia di condanne all’ergastolo, migliaia di civili sottoposti, senza possibilità di appello e spesso senza alcuna difesa, al giudizio delle corti marziali militari.

– Finanziamenti alle dittature. Proprio sulla scia del Processo di Khartoum, l’Unione Europea, nel contesto dei progetti di cooperazione, ha deciso di stanziare un pacchetto di 300 milioni di euro in favore dell’Eritrea. L’obiettivo sarebbe quello di “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”. Così almeno si è detto a Bruxelles. Ma si ignora o si fa finta di ignorare che l’attuale esodo di tanti giovani eritrei è dovuto prima di tutto alla totale mancanza di libertà e democrazia e che le stesse condizioni di estrema povertà sono dovute proprio alla politica del regime, che ha militarizzato la nazione con una catena continua di guerre che dura, pressoché ininterrotta, addirittura dal 1994. Anzi, sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici eritrei, attivisti, i quali, a fine marzo, hanno denunciato come manchi qualsiasi prova che abbia fondamento la pretesa volontà del regime di allentare il “pugno di ferro” con cui governa l’Eritrea, cominciando finalmente a rispettare i diritti umani e le regole fondamentali della democrazia. Al contrario: tutto lascia credere che questo flusso di denaro dall’Europa finisca per legittimare e rafforzare la dittatura proprio mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà. E il caso dell’Eritrea non è isolato: c’è da ritenere che finanziamenti analoghi siano previsti anche per altre dittature della regione.

– Nuovi respingimenti. Nell’ultimo vertice europeo di Bruxelles l’Italia ha proposto di coinvolgere nel pattugliamento del Mediterraneo anche le marine militari della Tunisia e dell’Egitto. In questo modo – si afferma – potranno essere potenziati i servizi di salvataggio. Solo che – come ha rivelato un servizio giornalistico del Guardian – le navi tunisine ed egiziane non si limiteranno ai soccorsi: i profughi intercettati in mare verranno riaccompagnati in Africa. Praticamente respinti a priori, senza esaminare se sono nelle condizioni di essere accolti in Europa come profughi ed hanno diritto a una forma di protezione internazionale. Poco importa se questo significa di fatto riconsegnarli ai trafficanti di uomini o magari ai paesi dai quali sono stati costretti a fuggire. Il tutto, tra l’altro, per quanto riguarda l’Egitto, senza considerare che – come è già accaduto in passato e si è ripetuto anche in questi giorni – i profughi intercettati vengono considerati colpevoli di immigrazione clandestina, arrestati e gettati in carcere praticamente a tempo indeterminato, fino a quando, cioè, non saranno in grado di pagarsi il biglietto aereo per tornare nel paese d’origine.

Provvedimenti come questi legittimano il sospetto che si stia puntando ad attuare una politica di controllo militare del Mediterraneo, fondata non su un sistema di soccorso-accoglienza ma di soccorso-respingimento, che prevede di riportare i profughi in Africa e, in definitiva, di esternalizzare ancora di più i confini della Fortezza Europa, per spostarli quanto più a sud possibile, anche oltre il Sahara, appaltando il “lavoro sporco” del contenimento ad alcuni Stati africani, incluse feroci dittature. Non importa a che prezzo.

Allora, a fronte di una simile situazione, la proposta di istituire una Giornata della Memoria per i profughi, da celebrare ogni 3 ottobre, appare un’ipocrisia o, al massimo, un appuntamento vuoto, che rischia di risolversi nell’ennesima passerella per la dichiarazione di buone intenzioni, subito dimenticate. La Giornata della Memoria avrà un senso solo se sarà il primo passo per cambiare radicalmente il sistema di accoglienza e, più in generale, la politica dell’Europa e dell’Italia nel Sud del mondo. Partendo dalle stesse proposte lanciate da Habeshia il 3 ottobre 2014 a Lampedusa, in occasione del primo anniversario della strage, ma rimaste senza risposta. Sono proposte concrete che esigono risposte precise ed altrettanto concrete.

– Corridoi umanitari. Istituire una serie di corridoi umanitari che, con la collaborazione dell’Unhcr, consentano di aprire ai profughi le ambasciate europee nei paesi di transito e di prima sosta, in modo da esaminare sul posto le richieste di asilo e consentire così a tutti coloro che hanno diritto a una qualsiasi forma di protezione internazionale di raggiungere in condizioni di sicurezza il paese scelto e disposto ad accoglierli.

– Paesi di transito e di prima sosta. Con la collaborazione e d’intesa con i governi locali, studiare ed attuare interventi e programmi di aiuto per rendere più sicuri i paesi di transito e prima sosta, creando così condizioni di vita dignitose, nei tempi di attesa, per i profughi che presentano richiesta d’asilo all’Europa e, a maggiore ragione, per quelli (in realtà la grande maggioranza) che intendono restare invece proprio in quei paesi, non lontano dalla propria terra, nella speranza che si creino le condizioni per poter tornare sicuri in patria in tempi non troppo lontani. L’azione combinata di questo programma e dei corridoi umanitari può risultare l’arma più efficace per sottrarre i profughi e i migranti al ricatto dei mercanti di morte e alle loro organizzazioni criminali.

– Sistema europeo di accoglienza unico. In stretta connessione ed anzi come condizione perché i due punti sopra illustrati possano essere attuati, va organizzato un sistema unico di asilo e accoglienza, condiviso e applicato da tutti gli Stati aderenti all’Unione Europea che, ripartendo in modo equo i richiedenti asilo e i migranti forzati nei vari paesi Ue, preveda condizioni di vita dignitose e un processo di reinsediamento il più rapido possibile. In questo modo si andrebbe ad annullare anche il regolamento di Dublino 3, che impedisce la libertà di circolazione, residenza e lavoro, vincolando i migranti al primo paese Schengen al quale chiedono aiuto. E si supererebbero storture tutte italiane come la rete degli attuali Centri di accoglienza, l’abbandono dei migranti al loro destino una volta che hanno ottenuto lo status di rifugiato o un’altra forma di protezione, con la conseguente creazione di una enorme sacca di persone di fatto senza diritti, consegnate allo sfruttamento, al lavoro nero, talvolta alla criminalità.

Da notare che queste tre proposte sono tutt’altra cosa rispetto al progetto, previsto dal Processo di Khartoum, di aprire una serie di campi profughi sotto le insegne Unhcr, dove sia possibile presentare le richieste di asilo. A parte il fatto che campi gestiti dall’Unhcr già esistono, il punto è chi garantisce la sicurezza degli ospiti di quelle strutture in paesi del tutto inaffidabili, da anni sotto accusa per la violazione dei diritti umani: sono eloquenti in proposito i casi di violenza, rapimento, complicità delle stesse forze di sicurezza con i trafficanti di uomini, denunciati a più riprese in Sudan, che pure è uno dei paesi chiave dell’accordo. Per di più, l’attuazione del terzo punto è essenziale per il funzionamento dei primi due.

– Interventi nei “punti di crisi”. Varare una politica comune e mirata dell’Unione Europea nei cosiddetti “punti di crisi”, per eliminare o quanto meno ridurre le cause di questo esodo enorme direttamente nei paesi d’origine dei profughi. Non, però, con accordi al buio con gli stessi dittatori che sono la prima causa dell’esodo enorme a cui stiamo assistenza ma sostenendo i movimenti democratici che li combattono e, in ogni caso, pretendendo da quei dittatori il rispetto immediato dei diritti umani e delle regole democratiche come condizione preliminare irrinunciabile per l’apertura di qualsiasi forma di colloquio e collaborazione.

Su questi punti l’agenzia Habeshia torna a chiedere risposte rapide e concrete. È l’unico modo per onorare davvero la memoria dei 366 morti di Lampedusa, delle altre 26 mila vittime che si sono registrate dal duemila a oggi nel Mediterraneo, dei circa 900 giovani scomparsi dall’inizio di quest’anno. Risposte in grado di onorare le vittime, di asciugare le lacrime dei superstiti, di dare aiuto e dignità alle migliaia di disperati che bussano anche in queste ore alle porte dell’Europa.

don Mussie Zerai


 

Si veda anche:

Profughi: la soluzione c’è, ma si preferisce la guerra, di Emilio Druidi

 

 

Sul genocidio degli Armeni

Bruxelles, 15 Aprile 2015, Plenaria.
“Centesimo anniversario del genocidio armeno”: dichiarazioni del Consiglio e della Commissione.
Intervento di Barbara Spinelli
:

Il genocidio degli Armeni è un crimine contro l’umanità che Ankara continua a negare, cancellandolo dalla propria coscienza politica. Nei fatti, è egualmente censurato nei negoziati europei con Ankara, anche se alcuni Stati – e questo Parlamento nell’87 – hanno dato ai massacri il nome di assassinio di un popolo in quanto tale.

È come se l’Europa l’avessimo unita senza un riconoscimento tedesco dei genocidi nazisti. L’Unione non sarebbe nata senza tale riconoscimento, che è piena assunzione dell’eredità di regimi politici passati: nel caso di Ankara, piena responsabilità per quanto fatto dai Giovani Turchi e dall’impero ottomano.

Questa politica negazionista impedisce ai governi turchi non solo un’autentica pacificazione con l’Armenia, ma anche un’autocritica sull’invasione e la spartizione di Cipro nel 1974.

Concludo dicendo che sono desolata per quanto detto dopo la denuncia del Papa da un ministro italiano, secondo cui “non c’è una verità storica assoluta” sul genocidio armeno. [1]

Non si aiuta cosi la Turchia a lavorare sul proprio passato, e a costruire su di esso.

 

[1] Si veda al propostito anche: Armeni, sottosegretario Gozi: Inopportuno che governo prenda posizione

A proposito della situazione in Libia

di mercoledì, Marzo 11, 2015 0 , , , Permalink

Strasburgo, 11 marzo 2015, sessione plenaria. “Instabilità in Libia e sue conseguenze”: dichiarazione del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Intervento di Barbara Spinelli

Il nuovo direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri ha seminato il panico, il 6 marzo: un milione di migranti starebbe per giungere dalla Libia, e forse tra loro ci sarebbero jihadisti dell’Isis. Ha mobilitato in Europa le destre estreme, e rianimato piani d’intervento militare in Libia. Le chiediamo, vicepresidente, se condivide quest’allarme. Se condivide l’appello del commissario Avramopoulos in favore di più cooperazione con le dittature in tema di rimpatri. Se approva l’idea di Bernardino Léon, inviato speciale dell’ONU, favorevole a un blocco navale dell’Unione lungo le coste libiche.

Un intervento in Libia somiglierebbe, in peggio, alle guerre sovietiche e americane in Afghanistan. Metteremmo le mani in terre geopoliticamente caotiche, accrescendo il caos già scatenato col nostro primo intervento.

Oggi l’unica via è creare corridoi umanitari legali, coordinati con l’Onu come da Lei suggerito. Politicamente, si tratta di metter fine – anche questo Lei ha suggerito – a guerre intese a esportare la democrazia. Non di seminare panico senz’alcuna prova attendibile. Chiedo se non sia il caso di esigere le dimissioni dal direttore di Frontex, se queste prove non sa darle.


Si veda anche:

Immigrazione: Spinelli (Gue) a Mogherini, licenzi capo Frontex (Ansa)

Immigrazione: Alfano, lavorare con paesi transito (Euractiv)

Risoluzione sulle misure antiterrorismo

Il Parlamento ha adottato lo scorso 11 febbraio 2015 la proposta di risoluzione comune sulle misure anti-terrorismo con 532 voti a favore, 136 contrari e 36 astensioni. Come vuole la procedura della plenaria, vista l’adozione della risoluzione comune, le risoluzioni dei singoli gruppi sono tutte cadute senza essere sottoposte al voto.

Sono stata nominata, insieme alla mia collega Cornelia Ernst, relatrice ombra su questo dossier qualche settimana prima. Abbiamo steso (in stretta cooperazione con i Verdi, con i Liberali (ALDE), con i Socialisti (S&D) e con il gruppo dei 5 Stelle) un progetto di risoluzione comune molto buono ma molto criticato dalla destra (ECR, PPE). I suddetti partiti di destra hanno dunque proposto il proprio testo di compromesso co-firmato in seguito da EFDD, S&D e ALDE. Siamo riusciti con l’aiuto dei Verdi, del Movimento 5 Stelle, dei Liberali e dei Socialisti ad inserire comunque alcuni buoni emendamenti in questo testo finale, ma il senso del testo era comunque troppo securitario e poco centrato sulla prevenzione. Per tale ragione ho votato insieme al mio gruppo politico contro la proposta di risoluzione comune e restiamo convinti che la proposta iniziale dei gruppi di sinistra su cui avevo lavorato era decisamente migliore e mandava un messaggio di inclusione, tolleranza e prevenzione cui l’Europa ha bisogno in questo momento.

Ecco dunque il testo della risoluzione del GUE (che non è stato votato in plenaria dato che la risoluzione comune è passata).

PROPOSTA DI RISOLUZIONE2.2015

PE547.529v01-00

B8-0124/2015

presentata a seguito di una dichiarazione della Commissione

a norma dell’articolo 123, paragrafo 2, del regolament0

sulle misure antiterrorismo (2015/2530(RSP))

Cornelia Ernst, Barbara Spinelli, Marie-Christine Vergiat, Marina Albiol Guzmán a nome del gruppo GUE/NGL

Il Parlamento europeo,
– vista la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,– visti gli articoli 2, 3 e 6 del trattato sull’Unione europea (TUE),– visti gli articoli pertinenti del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE),– vista la sua risoluzione del 14 dicembre 2011 sulla strategia antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future(1),– vista la sua risoluzione del 10 ottobre 2013 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA(2),

– vista la sua risoluzione del 27 febbraio 2014 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2012)(3),

– vista la risoluzione del 12 marzo 2014 sul programma di sorveglianza dell’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, sugli organi di sorveglianza in diversi Stati membri e sul loro impatto sui diritti fondamentali dei cittadini dell’UE, e sulla cooperazione transatlantica nel campo della giustizia e degli affari interni(4),

– vista la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI(5),

– vista la relazione dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) del 27 ottobre 2010 dal titolo “Esperienze di discriminazione, marginalizzazione sociale e violenza: studio comparativo della gioventù musulmana e non musulmana in tre Stati membri dell’UE”,

– vista la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), dell’8 aprile 2014, che annulla la direttiva in materia di conservazione dei dati,

– visto il suo recente deferimento alla CGUE dell’accordo PNR UE-Canada,

– visti l’articolo 115, paragrafo 5, e l’articolo 110, paragrafo 4, del suo regolamento,

– visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che il rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà civili è un elemento fondamentale per il successo delle politiche antiterrorismo;

B. considerando che il recente aumento del razzismo, compresa l’islamofobia e l’antisemitismo, è estremamente preoccupante e non alimenta un dibattito costruttivo improntato all’inclusione ma contribuisce solamente a un’ulteriore polarizzazione;

C. considerando che la ricerca ha dimostrato che la discriminazione e la marginalizzazione sociale sono tra i principali fattori che scatenano comportamenti violenti; che studi recenti indicano che l’appartenenza religiosa non contribuisce a spiegare i comportamenti violenti(6);

D. considerando l’urgente necessità di una definizione giuridica chiara del concetto di “profilazione” sulla base dei pertinenti diritti fondamentali e delle norme in materia di protezione dei dati, onde ridurre le incertezze su quali siano le attività vietate e quali quelle non vietate;

E. considerando che la CGUE ha recentemente dichiarato nulla la direttiva in materia di conservazione dei dati per mancanza di proporzionalità, precisando nella sua sentenza le condizioni chiare a cui deve attenersi qualsiasi raccolta di dati su larga scala e qualsiasi misura di conservazione affinché soddisfino il criterio della legalità;

1. condanna tutti gli attacchi terroristici commessi nel mondo; esprime profondo cordoglio alle vittime dei recenti attacchi terroristi a Parigi, alle loro famiglie e alle vittime del terrorismo nel mondo;

2. esorta tutti gli Stati membri ad attuare adeguatamente la direttiva 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato;

3. ribadisce il proprio impegno per il rispetto della libertà di espressione, dei diritti fondamentali, della democrazia, della tolleranza e dello Stato di diritto nonché degli altri principi fondamentali sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale;

4. invita tutti gli Stati membri a sospendere il loro sostegno politico, economico o militare a regimi o gruppi terroristici che si impegnano in attività terroristiche o che le approvano; sottolinea in particolare la necessità che l’Unione europea, i suoi Stati membri e i suoi paesi partner fondino la propria strategia di lotta al terrorismo internazionale, al pari di qualsiasi altra forma di criminalità, sul rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali; sottolinea inoltre che le azioni esterne dell’Unione di lotta al terrorismo internazionale dovrebbero essere in primo luogo mirate alla prevenzione e a una politica che si opponga a qualsiasi intervento militare, con un ripensamento totale del ruolo dell’UE nei negoziati internazionali; sottolinea la necessità di promuovere il dialogo, la tolleranza e la comprensione tra diverse culture e religioni;

5. osserva che, come nel caso di attacchi precedenti, gli autori degli attacchi di Parigi erano già conosciuti dalle forze dell’ordine ed erano stati oggetto di indagini e di misure di controllo; ribadisce che ciò induce a chiedersi se le autorità avrebbero potuto fare un uso migliore dei dati già in loro possesso riguardanti tali individui;

6. rinnova l’invito alla Commissione e al Consiglio a effettuare una valutazione globale delle misure antiterrorismo e di sicurezza in vigore nell’UE, in particolare per quanto riguarda il loro rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, come sancito dai trattati, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avvalendosi della procedura di cui all’articolo 70 TFUE, e a pubblicare tale valutazione insieme al programma europeo sulla sicurezza;

7. ribadisce la sua ferma richiesta di un controllo democratico e giudiziario e di meccanismi di responsabilità relativi alle politiche antiterrorismo, sottolineando che occorre abrogare le misure che, in retrospettiva, si sono dimostrate non necessarie, efficaci e proporzionali nella lotta antiterrorismo; sottolinea inoltre che occorre indagare sui casi di violazione dei diritti fondamentali e porvi rimedio nonché mettere a punto nuove forme di controllo democratico, sulla base dei poteri conferiti dal trattato di Lisbona al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali;

Un approccio globale alla lotta contro la radicalizzazione e il terrorismo

8. è convinto che, onde prevenire la radicalizzazione violenta, l’obiettivo principale di qualsiasi società debba essere quello di lavorare a favore dell’inclusione e della comprensione reciproca delle convinzioni culturali, etniche e religiose, promuovendo in tal modo una tolleranza radicata;

9. esorta gli Stati membri a investire in sistemi d’istruzione che rispettino le pari opportunità, riducendo la discriminazione sociale sin dalle prime fasi della scolarizzazione, anche formando gli insegnanti a trattare le problematiche sociali e la diversità;

10. avverte che l’assenza di prospettive a lungo termine causata dalla povertà, dalla disoccupazione, dalla ghettizzazione nelle periferie e dall’isolamento di intere aree suburbane può portare alcune persone a un senso di impotenza e persino spingerle a comportamenti di auto-affermazione distruttivi e all’adesione a organizzazioni jihadiste o a movimenti di estrema destra; invita gli Stati membri a intensificare gli sforzi volti a ridurre la povertà, migliorare le prospettive occupazionali, riconoscere i diritti della persona e rispettarla e porre fine ai tagli alla protezione sociale e ai servizi pubblici, che hanno avuto gravi ripercussioni sulla capacità delle autorità locali, regionali e statali di lavorare per la risocializzazione, nonché a fornire un’adeguata assistenza sociale alle persone e alle famiglie che vivono nelle aree suburbane più degradate;

11. sottolinea che la discriminazione rafforza i modelli di radicalizzazione e violenza; rimarca che le norme in materia di parità e non discriminazione devono essere integrate da specifiche strategie volte a combattere ogni forma di razzismo, compresi l’antisemitismo e l’islamofobia;

12. respinge qualsiasi uso della profilazione razziale, etnica e religiosa per individuare gruppi specifici nel quadro delle misure antiterrorismo, in quanto tale uso è contrario ai basilari principi democratici di uguaglianza di fronte alla legge e di non discriminazione; sottolinea le ripercussioni sproporzionate sulle comunità musulmane delle pratiche adottate dopo l’11 settembre;

13. esprime sostegno ai programmi finanziati dagli Stati in cooperazione con le associazioni locali della società civile che riconoscono i diritti delle minoranze etniche e religiose e contribuiscono a migliorare lo status socioeconomico delle rispettive comunità a medio e lungo termine;

Misure di sicurezza ben mirate che rispettano lo Stato di diritto

14. respinge la falsa dicotomia tra sicurezza e libertà; è del parere che la libertà individuale e il rispetto dei diritti fondamentali costituiscano il fondamento e il presupposto della sicurezza in ogni società;

15. ricorda che qualsiasi misura di sicurezza, comprese le misure antiterrorismo, dovrebbe essere concepita con l’intento di garantire la libertà individuale, deve essere pienamente conforme allo Stato di diritto nonché soggetta agli obblighi in materia di diritti fondamentali, compresi quelli relativi alla vita privata e alla protezione dei dati, e deve sempre garantire la possibilità di ricorso in sede giudiziaria;

16. sottolinea che i criteri della necessità e della proporzionalità delle misure che limitano le libertà e i diritti fondamentali assumono la forma di obblighi di legge imposti dalla Carta; si oppone, in tale contesto, alla tendenza a una giustificazione senza sfumature di qualsiasi misura di sicurezza con un riferimento generale alla sua “utilità” nella lotta al terrorismo o alle forme gravi di criminalità;

17. ribadisce che tutte le misure per la raccolta di dati devono basarsi unicamente su un quadro giuridico coerente di protezione dei dati, che offra norme di protezione dei dati personali giuridicamente vincolanti, segnatamente per quanto riguarda la limitazione delle finalità, la riduzione al minimo della quantità di dati, l’informazione, l’accesso, la rettifica, la cancellazione e il ricorso in sede giudiziaria;

18. si oppone all’attuale clima che fa leva sulla paura paranoica per accelerare l’adozione di altre misure antiterrorismo, come quelle sui PNR dell’UE, prima di aver valutato la loro necessità giuridica o l’insieme attuale delle misure antiterrorismo; sottolinea che esiste già un insieme significativo di norme e relativi provvedimenti antiterrorismo in ogni Stato membro, segnatamente:

– la verifica dei dati riportati sul passaporto dei passeggeri, che vengono messi a confronto con le banche dati dei criminali noti e delle persone inammissibili;

– l’accesso da parte delle autorità di contrasto ai dati relativi ai passeggeri e ai dati telefonici di sospettati o persino di gruppi di sospettati legati a una minaccia concreta;

– il sistema d’informazione Schengen, che consente la sorveglianza e la rapida cattura ed estradizione delle persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza o che intendono commettere un reato;

19. sottolinea pertanto la necessità che le autorità di contrasto sfruttino le opportunità già esistenti e rafforzino in via prioritaria la loro cooperazione;

20. ritiene che combattere il traffico di armi da fuoco debba essere una priorità dell’Unione nella lotta alla criminalità organizzata internazionale e alle forme gravi di criminalità internazionale; reputa in particolare che occorra rafforzare ulteriormente la cooperazione per quanto concerne i meccanismi per lo scambio di informazioni come pure la tracciabilità delle armi proibite e la loro distruzione; sottolinea a tal proposito la deprecabile applicazione di due pesi e due misure da parte di diversi Stati membri, che vendono armi e attrezzature militari a gruppi specifici in alcune zone di conflitto e condannano al contempo l’uso della forza;

21. chiede una rapida messa in atto della direttiva antiriciclaggio, recentemente approvata;

22. sottolinea che è già possibile effettuare controlli mirati su persone che beneficiano del diritto alla libera circolazione nel momento in cui attraversano i confini esterni in determinati periodi, su certe rotte o per determinati valichi di frontiera, a seconda del livello di minaccia; ribadisce che gli Stati membri dovrebbero utilizzare il quadro Schengen in vigore in modo più completo ed efficace, in luogo di cercare di reintrodurre controlli alle frontiere ulteriori rispetto alle possibilità esistenti;

23. esorta la Commissione a rivedere formalmente la proposta sui dati dei passeggeri (PNR) dell’Unione alla luce dei criteri di necessità e proporzionalità definiti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza sulla direttiva in materia di conservazione dei dati; incarica il suo servizio giuridico di svolgere un riesame analogo entro sei settimane dall’approvazione della presente risoluzione;

24. rammenta a questo proposito che non esiste una definizione comune di terrorismo e che ciò non fa che aumentare l’ambiguità delle misure antiterrorismo proposte;

Sicurezza informatica

25. ricorda che le misure intese a limitare i diritti fondamentali su Internet a fini di antiterrorismo devono essere necessarie e proporzionate; pone in evidenza che la rimozione di presunti contenuti illeciti dovrebbe essere effettuata esclusivamente sulla base di criteri definiti esplicitamente per legge, previa autorizzazione giudiziaria e nel rispetto delle garanzie procedurali applicabili, e non nel quadro di interventi di sorveglianza privata da parte dei fornitori di servizi Internet; rammenta in tale contesto il diritto alla libertà di espressione previsto dalla Carta e il pericoloso ricorso alla censura nei paesi terzi e negli Stati membri, che produce verosimilmente un effetto inibitore sulla partecipazione democratica libera e aperta dei cittadini;

26. sottolinea che l’utilizzo della crittografia da parte di governi, imprese e cittadini costituisce un pilastro fondamentale della sicurezza informatica europea; esorta la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri ad astenersi da qualsiasi tentativo di indebolire la sicurezza informatica regolamentando l’utilizzo della crittografia; pone in evidenza che il divieto dell’uso della crittografia rischia di far diminuire la sicurezza e di aumentare la nostra vulnerabilità agli attacchi informatici;

27. sottolinea l’importanza di software liberi e aperti nel quadro della sicurezza informatica, laddove i codici sorgente accessibili al pubblico possono essere controllati in maniera agevole e indipendente;

28. ricorda l’impegno dell’UE e dei suoi Stati membri per l’applicazione del principio della tutela della vita privata fin dalla progettazione (“privacy by design”) nella normativa in materia di protezione dei dati;

29. chiede una rapida adozione del pacchetto sulla protezione dei dati, anche attraverso l’adozione di un approccio generale all’interno del Consiglio che sia coerente con le norme minime stabilite nella direttiva 95/46/UE;

Dimensione giudiziaria

30. esorta gli Stati membri a intensificare la loro cooperazione giudiziaria sulla base degli strumenti dell’UE disponibili, come il Sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS), il mandato d’arresto europeo e l’ordine europeo di indagine penale, nel rispetto della proporzionalità e dei diritti fondamentali; chiede agli Stati membri di trovare al più presto un accordo su tutte le misure proposte in conformità della tabella di marcia sui diritti procedurali e ad affrontare quindi le questioni delle decisioni relative alla custodia cautelare e delle condizioni di detenzione;

31. è convinto che la finalità del nostro sistema di giustizia penale debba essere la riabilitazione delle persone affinché non rappresentino più un rischio al loro reintegro nella società; esorta gli Stati membri a mobilitare le risorse umane necessarie per contribuire alla riabilitazione e alla risocializzazione degli ex detenuti;

32. invita gli Stati membri e la Commissione a istituire o rafforzare sistemi di protezione degli informatori, in particolare nel settore della sicurezza nazionale e delle attività di intelligence;

Dimensione esterna

33. mette in guarda dalla tentazione di ripristinare le miopi e inefficaci prassi del passato caratterizzate dalla collusione con regimi autoritari in nome della sicurezza, della stabilità e della lotta contro l’estremismo violento;

34. critica fortemente il ruolo che i vari interventi occidentali degli ultimi anni hanno svolto nel fomentare la radicalizzazione dei singoli, soprattutto in Medio Oriente e nei paesi del vicinato meridionale; sottolinea che tali politiche promuovono – non combattono – il terrorismo e andrebbero pertanto abbandonate;

35. esprime preoccupazione per l’accento posto, nell’ambito delle politiche antiterrorismo dell’UE, sulle “soluzioni” militari, che si traducono in numerosi programmi di assistenza militare rivolti a regimi autoritari e intesi a rafforzare le capacità militari di questi ultimi, sostenendone così le politiche repressive;

36. fa notare che diversi Stati membri vietano in maniera generale il dispiegamento di forze militari sul proprio territorio; sottolinea che la clausola di solidarietà (articolo 222 TFUE) non deve in alcun caso essere invocata al fine di eludere tali restrizioni nazionali; segnala il pericolo che la clausola di solidarietà possa inoltre essere sfruttata per dispiegare soldati all’interno di uno Stato membro con il pretesto della lotta al terrorismo per combattere “catastrofi di origine umana”, che potrebbero potenzialmente comprendere anche le manifestazioni di protesta ecc.; sottolinea che una tale interpretazione della clausola di solidarietà deve essere respinta con fermezza;

37. ritiene che l’Unione dovrebbe rivedere radicalmente la propria politica esterna, e in particolare la sua strategia per il Mediterraneo meridionale, nel quadro della revisione in corso della politica europea di vicinato – dato il suo insuccesso; invita l’Unione europea a istituire un nuovo quadro per le relazioni con questi paesi e regioni, che sia basato sulla non ingerenza nei loro affari interni e sul rispetto della loro sovranità e sia volto a sostenere lo sviluppo delle regioni limitrofe e a promuovere l’occupazione e l’istruzione, piuttosto che essere basato sulla conclusione di “accordi di associazione” destinati principalmente a definire zone di libero scambio a vantaggio degli interessi delle imprese europee;

38. ribadisce che gli Stati membri e, se del caso, l’Unione, dovrebbero affrontare le cause profonde dell’estremismo violento trattando l’estremismo religioso secondo un approccio che sia compatibile con i diritti umani e il diritto internazionale, piuttosto che incoraggiare o sostenere i gruppi o i regimi repressivi di questi paesi;

39. insiste sul fatto che la cooperazione in materia di sicurezza – dalla condivisione dell’intelligence allo Stato di diritto, dalla riforma della giustizia e dei programmi di giustizia penale all’esternalizzazione della politica di asilo, come nel quadro del processo di Khartoum – deve essere rigorosamente conforme al diritto internazionale;

40. è convinto che, nel settore della sicurezza, l’UE dovrebbe limitarsi ai programmi di cooperazione incentrati sulla deradicalizzazione e sulla lotta all’estremismo violento, ove ritenuto opportuno, ma astenersi dall’imporre le proprie idee economiche o politiche a Stati sovrani attraverso le proprie politiche esterne;

41. ricorda in questo contesto la propria opposizione all’accordo di associazione UE-Israele, considerato che l’UE e molti dei suoi Stati membri giocano nel conflitto israelo-palestinese un doppio ruolo, che continua ad alimentare l’impressione che vengano applicati due pesi e due misure e a fomentare programmi anti-musulmani/anti-arabi;

42. chiede maggiore trasparenza e responsabilità nelle decisioni di politica estera in materia di antiterrorismo; sottolinea la necessità di disporre di procedure giudiziarie adeguate affinché le singole persone o le organizzazioni possano chiedere il riesame giudiziario di eventuali decisioni di politica estera e di sicurezza comune (PESC) che le riguardano;

43. si oppone fermamente all’impiego di droni nelle esecuzioni extragiudiziali di persone sospettate di terrorismo e chiede che l’uso dei droni finalizzato alla sorveglianza e al controllo dei civili sia proibito;

44. chiede che la Commissione e gli Stati membri indaghino più approfonditamente sulla partecipazione europea al programma di torture e consegne elaborato dagli Stati Uniti e permettano all’opinione pubblica di venire a conoscenza del livello di coinvolgimento e di complicità dei loro governi in tali ignobili pratiche illegali, seguendo l’esempio dato dalla relazione di intelligence del Senato degli Stati Uniti;

45. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

Ed ecco il testo della risoluzione comune adottata dal Parlamento Europeo:

Evidenziate in verde, le proposte riprese dall’iniziale progetto di risoluzione comune (presentato da me e il mio gruppo GUE/NGL, dal Movimento5stelle, da S&D, ALDE e Verdi) nella proposta dell’ECR e PPE, prima dei negoziati a Strasburgo.

Evidenziate in giallo, le proposte inserite da me, il mio gruppo GUE/NGL, dal Movimento5stelle, S&D, ALDE e Verdi durante i negoziati con l’ECR e il PPE a Strasburgo e in rosso invece gli elementi eliminati.

 

Il Parlamento europeo,

– visti gli articoli 2, 3, 6, 7 e 21 del trattato sull’Unione europea (TUE) e gli articoli 4, 16, 20, 67, 68, 70, 71, 72, 75, 82, 83, 84, 85, 86, 87 e 88 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE),

– vista la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare gli articoli 6, 7 e 8, l’articolo 10, paragrafo 1, e gli articoli 11, 12, 21, da 47 a 50, 52 e 53,

– vista la comunicazione della Commissione del 20 giugno 2014 intitolata «Relazione finale sull’attuazione della strategia di sicurezza interna dell’UE per il periodo 2010-2014» (COM(2014)0365),

– vista la relazione di Europol sulla situazione e le tendenze del terrorismo nell’UE (TE-SAT) per il 2014,

– vista la risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 24 settembre 2014 sulle minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici (risoluzione 2178(2014)),

– vista la strategia di sicurezza interna dell’UE adottata dal Consiglio il 25 febbraio 2010,

– vista la sua risoluzione del 14 dicembre 2011 sulla strategia antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future(1) ,

– vista la sua raccomandazione, del 24 aprile 2009, destinata al Consiglio sul problema di definire un profilo, in particolare sulla base dell’origine etnica o della razza, nelle operazioni antiterrorismo, di applicazione della legge, di controllo dell’immigrazione, dei servizi doganali e dei controlli alle frontiere(2),

– vista la sua risoluzione del 12 settembre 2013 sulla seconda relazione sull’attuazione della strategia di sicurezza interna dell’UE(3),

– vista la valutazione, a cura di Europol, della minaccia sul crimine organizzato a mezzo Internet (iOCTA) per il 2014,

– vista la valutazione, a cura di Europol, della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e dalle forme gravi di criminalità (SOCTA) per il 2013,

– vista la sua discussione in Aula del 28 gennaio 2015 sulle misure antiterrorismo,

– visto il Consiglio informale Giustizia e affari interni (GAI) tenutosi a Riga il 29 e 30 gennaio 2015,

– vista la sua risoluzione del 17 dicembre 2014 sul rinnovo della strategia di sicurezza interna dell’UE(4) ,

– vista la dichiarazione del Consiglio informale GAI dell’11 gennaio 2015,

– viste le conclusioni del Consiglio GAI del 9 ottobre e del 5 dicembre 2014,

– vista la relazione del coordinatore antiterrorismo dell’UE destinata al Consiglio europeo del 24 novembre 2014 (15799/14),

– visto il programma di lavoro della Commissione per il 2015 pubblicato il 16 dicembre 2014 (COM(2014)0910),

– vista la comunicazione della Commissione del 15 gennaio 2014 dal titolo «Prevenire la radicalizzazione che porta al terrorismo e all’estremismo violento: rafforzare la risposta dell’UE» (COM(2013)0941),

– visto il parere del Gruppo dell’articolo 29 per la tutela dei dati, sull’applicazione dei principi di necessità e proporzionalità e la protezione dei dati nell’azione di contrasto (parere 01/2014),

– visti la sentenza della Corte di giustizia dell’8 aprile 2014 nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12, Digital Rights Ireland ltd e Seitlinger e a ., e il parere del Servizio giuridico del Parlamento sull’interpretazione della sentenza,

– visto l’articolo 123, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

A. considerando che il radicalismo terrorismo e l’estremismo violento sono tra le principali minacce alla nostra sicurezza e alla nostra libertà;

B. considerando che i recenti tragici eventi di Parigi hanno ricordato che l’Unione europea sta affrontando una minaccia terroristica costante e in continua evoluzione che, nello scorso decennio, ha colpito gravemente vari suoi Stati membri con attacchi mirati non solo alle persone, ma anche ai valori e alle libertà sulle quali si fonda l’Unione;

C. considerando che la sicurezza è uno dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ma che i diritti fondamentali, le libertà civili e la proporzionalità costituiscono elementi essenziali per il successo delle politiche antiterrorismo;

D. considerando che le strategie preventive di lotta al terrorismo dovrebbero affidarsi ad un approccio poliedrico volto a contrastare direttamente la preparazione di attacchi sul territorio UE, ma anche ad integrare la necessità di affrontare le cause alla radice del terrorismo; che il terrorismo è una minaccia globale che deve essere affrontata a livello locale, nazionale, europeo e mondiale, nell’ottica di rafforzare la sicurezza dei nostri cittadini, difendere i valori fondamentali della libertà, della democrazia e dei diritti umani e far rispettare il diritto internazionale;

E. considerando che diversi gravi attacchi terroristici avvenuti sul territorio dell’Unione dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, i più recenti dei quali risalgono a gennaio di quest’anno, hanno avuto un impatto notevole sul senso di sicurezza tra i cittadini e i residenti dell’UE; che negli ultimi anni la situazione della sicurezza in Europa è cambiata radicalmente a causa di nuovi conflitti e sconvolgimenti nell’immediato vicinato dell’UE, del rapido sviluppo di nuove tecnologie e della crescente e allarmante radicalizzazione che sfocia nella violenza e nel terrorismo, sia all’interno dell’UE sia nei paesi limitrofi;

F. considerando che la diffusione della propaganda terroristica è facilitata dall’uso di Internet e dei social media; che il ciberterrorismo permette ai gruppi terroristici di tessere e intrattenere legami senza l’ostacolo fisico delle frontiere, riducendo pertanto l’esigenza di disporre di basi o rifugi nei vari paesi;

G. considerando che l’UE si trova dinanzi alla grave e crescente minaccia costituita dai cosiddetti «combattenti stranieri dell’UE», ossia singoli individui che si spostano in uno Stato diverso da quello di residenza o cittadinanza al fine di perpetrare o preparare atti terroristici o per impartire o ricevere addestramento terroristico, anche in connessione a conflitti armati; che, secondo le stime, tra i 3 500 e i 5 000 cittadini dell’UE hanno lasciato le proprie case per diventare «combattenti stranieri» a seguito dello scoppio della guerra e della violenza in Siria, Iraq e Libia, il che costituisce una gravissima minaccia per la sicurezza dei cittadini dell’Unione;

1. condanna con la massima fermezza le atrocità commesse a Parigi ed esprime nuovamente il suo profondo cordoglio alla popolazione francese e alle famiglie delle vittime, ribadendo la sua unità nella lotta mondiale contro il terrorismo e l’attentato ai nostri valori e alle nostre libertà democratiche;

2. condanna con forza e in modo categorico tutti gli atti terroristici, la promozione del terrorismo, la celebrazione di coloro che sono coinvolti in atti di terrorismo e il sostegno alle ideologie violente estremiste, ovunque abbiano luogo o siano promossi nel mondo; sottolinea che non vi è libertà senza sicurezza e non vi è sicurezza senza libertà;

3. osserva con preoccupazione il numero in rapida crescita di cittadini dell’UE che si recano in aree di conflitto per unirsi a organizzazioni terroristiche e successivamente tornano nel territorio dell’UE, con conseguenti rischi per la sicurezza interna dell’Unione e la vita dei suoi cittadini; chiede alla Commissione di proporre una definizione, armonizzata chiara e comune, di «combattenti stranieri dell’UE» allo scopo di accrescere la certezza giuridica;

4. evidenzia la necessità di misure maggiormente specifiche volte ad affrontare il problema dei cittadini dell’Unione che partono per andare a combattere al fianco di organizzazioni terroristiche all’estero; afferma che, sebbene in alcuni casi sia possibile avviare procedimenti giudiziari, è opportuno applicare altre misure per prevenire la radicalizzazione che sfocia in estremismo violento, interrompere il viaggio dei combattenti europei e di altre nazionalità e occuparsi di quelli che ritornano; invita gli Stati membri e la Commissione a elaborare migliori prassi sulla base di quelle degli Stati membri che hanno adottato strategie, piani d’azione e programmi efficaci in tale ambito;

Combattere le cause alla radice del terrorismo e la radicalizzazione che porta all’estremismo violento

5. sottolinea che per far fronte alla minaccia costituita dal terrorismo in generale occorre una strategia antiterrorismo basata su un approccio articolato in vari livelli, che affronti in modo esauriente i fattori alla base della radicalizzazione che porta all’estremismo violento, ad esempio dando impulso alla coesione sociale, all’inclusione e alla tolleranza politica e religiosa, impedendo la ghettizzazione, analizzando e controbilanciando l’istigazione online a compiere atti terroristici, contrastando gli espatri mirati all’adesione a organizzazioni terroristiche, prevenendo e bloccando il reclutamento e la partecipazione a conflitti armati, smantellando il sostegno finanziario alle organizzazioni terroristiche e agli individui che intendono aderirvi, assicurando una risoluta azione giudiziaria, ove del caso, e mettendo a disposizione delle autorità preposte all’applicazione della legge strumenti appropriati affinché assolvano ai loro compiti nel pieno rispetto dei diritti fondamentali;

6. invita gli Stati membri a investire in sistemi che affrontino le cause alla radice della radicalizzazione, prevedendo anche programmi educativi che promuovano l’integrazione, l’inclusione sociale, il dialogo, la partecipazione, l’uguaglianza, la tolleranza e la comprensione tra diverse culture e religioni, nonché programmi di riabilitazione;

7. mette in evidenza con profonda preoccupazione il fenomeno della radicalizzazione nelle carceri e invita gli Stati membri a procedere ad uno scambio delle migliori prassi in materia; chiede di riservare particolare attenzione alle condizioni carcerarie e di detenzione, con misure mirate volte a contrastare la radicalizzazione in questo contesto; invita gli Stati membri a impegnarsi maggiormente al fine di migliorare i sistemi amministrativi carcerari, in modo da facilitare l’individuazione dei detenuti coinvolti nella preparazione di atti terroristici, monitorare e prevenire i processi di radicalizzazione e impostare programmi specifici di disimpegno, riabilitazione e deradicalizzazione;

8. sottolinea l’urgente necessità di intensificare la prevenzione della radicalizzazione e di promuovere programmi di deradicalizzazione coinvolgendo le comunità e la società civile a livello nazionale e locale e potenziandone le capacità onde porre fine alla diffusione di ideologie estremiste; invita la Commissione a rafforzare la Rete di sensibilizzazione al problema della radicalizzazione (RAN), che riunisce tutti gli attori coinvolti nello sviluppo di campagne contro la radicalizzazione e nella creazione di strutture e processi di deradicalizzazione per i «combattenti stranieri» che rientrano nel paese di origine, e a sfidare direttamente le ideologie estremiste fornendo alternative positive;

9. sostiene l’adozione di una strategia europea volta a contrastare la propaganda terroristica, le reti radicali e il reclutamento online, che sviluppi gli sforzi già in atto e le iniziative già adottate su base intergovernativa e volontaria, al fine di garantire ulteriori scambi delle migliori prassi e metodi efficaci in tale settore;

10. chiede l’adozione di una raccomandazione del Consiglio riguardante le strategie nazionali per la prevenzione della radicalizzazione, che affronti l’ampia gamma di fattori alla base della radicalizzazione e rivolga raccomandazioni agli Stati membri per l’istituzione di programmi di disimpegno, riabilitazione e deradicalizzazione;

Attuazione e riesame delle misure di applicazione della legge esistenti

11. invita gli Stati membri a sfruttare in modo ottimale le piattaforme, le banche dati e i sistemi di allerta esistenti a livello europeo, come il sistema di informazione di Schengen (SIS) e il sistema di informazione anticipata sui passeggeri (APIS);

12. sottolinea che la libera circolazione nello spazio Schengen costituisce una delle libertà fondamentali dell’Unione europea ed esclude quindi di prendere in considerazione proposte volte a sospendere il sistema Schengen, incoraggiando invece gli Stati membri a rendere più severe le regole vigenti, che già prevedono la possibilità di introdurre temporaneamente controlli dei documenti, e ad applicare meglio il sistema SIS II; rileva che è già possibile effettuare alcuni controlli mirati sulle persone che attraversano le frontiere esterne;

13. si impegna ad adoperarsi per la finalizzazione di una direttiva PNR dell’UE entro la fine dell’anno; esorta pertanto la Commissione a illustrare le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia dell’UE sulla direttiva in materia di conservazione dei dati(5) e le sue possibili ripercussioni sulla direttiva PNR dell’UE; incoraggia il Consiglio a far avanzare i lavori sul pacchetto relativo alla protezione dei dati affinché i triloghi sullo stesso e sulla direttiva PNR dell’UE possano eventualmente svolgersi in parallelo; sollecita la Commissione a invitare esperti indipendenti facenti capo alle comunità dell’applicazione della legge, della sicurezza e dell’intelligence come pure rappresentanti del gruppo dell’articolo 29 a fornire opinioni e orientamenti, alla luce delle esigenze in materia di sicurezza, sulla necessità e la proporzionalità del PNR;

14. chiede alla Commissione di procedere a un’immediata valutazione degli attuali strumenti, da ripetere quindi su base periodica, e di condurre un corrispondente esame delle lacune ancora esistenti nella lotta contro il terrorismo, mentre il Consiglio è chiamato a valutare regolarmente le minacce cui è confrontata l’Unione onde consentire all’UE e agli Stati membri di adottare misure efficaci; invita la Commissione e il Consiglio a promuovere una nuova tabella di marcia per la lotta al terrorismo che fornisca un’efficace risposta alle attuali minacce e assicuri un’effettiva sicurezza per tutti, garantendo nel contempo i diritti e le libertà che costituiscono i principi fondanti dell’Unione europea;

15. sottolinea che un aspetto essenziale della lotta contro il terrorismo deve consistere nell’introduzione di politiche volte a proteggere e sostenere le vittime e le loro famiglie; invita pertanto tutti gli Stati membri ad attuare correttamente la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato;

16. ritiene che combattere il traffico di armi da fuoco dovrebbe essere una priorità dell’UE nella lotta alla criminalità organizzata internazionale e alle forme gravi di criminalità internazionale; reputa in particolare che occorra rafforzare ulteriormente la cooperazione per quanto concerne i meccanismi per lo scambio di informazioni come pure la tracciabilità delle armi proibite e la loro distruzione; invita la Commissione a valutare con urgenza le norme dell’UE vigenti in materia di circolazione di armi da fuoco illegali, ordigni esplosivi e traffico di armi collegato alla criminalità organizzata;

17. si compiace dell’imminente adozione a livello europeo di un quadro giuridico aggiornato in materia di lotta al riciclaggio di denaro, quale passo decisivo che dovrà essere attuato a tutti i livelli per garantirne l’efficacia e contrastare così una fonte significativa di finanziamento delle organizzazioni terroristiche;

18. invita gli Stati membri a intensificare la loro cooperazione giudiziaria sulla base degli strumenti dell’UE disponibili, come ECRIS, il mandato d’arresto europeo e l’ordine europeo di indagine penale;

Sicurezza interna dell’UE e capacità di applicazione della legge dell’UE e delle agenzie

19. invita gli Stati membri a prevenire la circolazione di sospettati terroristi rafforzando i controlli alle frontiere esterne, procedendo a controlli più sistematici ed efficaci dei documenti di viaggio, contrastando il traffico illegale di armi e l’uso fraudolento dell’identità nonché individuando i settori a rischio;

20. rileva con preoccupazione l’uso crescente di Internet e della tecnologia delle comunicazioni da parte di organizzazioni terroristiche per comunicare, pianificare attacchi e diffondere propaganda; chiede che le imprese operanti nel campo di Internet e dei social media cooperino con i governi, le autorità preposte all’applicazione della legge e la società civile per combattere tale fenomeno, garantendo nel contempo il rispetto in ogni circostanza dei principi generali della libertà di espressione e della tutela della vita privata; sottolinea che le misure volte a limitare l’utilizzo e la diffusione di dati su Internet a fini di antiterrorismo devono essere necessarie e proporzionate;

21. ribadisce che tutte le attività di raccolta e condivisione dei dati, anche ad opera di agenzie dell’UE come Europol, dovrebbero essere svolte nel rispetto del diritto dell’UE e nazionale ed essere basate su un quadro coerente in materia di protezione dei dati, che preveda norme di protezione dei dati personali giuridicamente vincolanti a livello di Unione europea;

22. sollecita con forza un migliore scambio di informazioni tra le autorità nazionali preposte all’applicazione della legge e le agenzie dell’UE; sottolinea inoltre l’esigenza di migliorare, intensificare e accelerare la condivisione globale delle informazioni nell’ambito dell’applicazione della legge; chiede una cooperazione operativa più efficace tra gli Stati membri e i paesi terzi attraverso il maggiore l’utilizzo dei validi strumenti esistenti, come le squadre investigative comuni, il programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi e accordi sui dati del codice di prenotazione (PNR), nonché una condivisione più rapida ed efficiente di dati e informazioni pertinenti, con garanzie appropriate in materia di protezione dei dati e della vita privata;

23. invita la Commissione e il Consiglio a svolgere una valutazione d’insieme delle misure antiterrorismo dell’UE e delle misure correlate, in particolare per quanto riguarda la loro attuazione nella legge e nella pratica negli Stati membri e la misura in cui gli Stati membri cooperano con le agenzie dell’Unione in materia, segnatamente con Europol ed Eurojust, nonché ad effettuare una corrispondente valutazione delle lacune che permangono ricorrendo alla procedura di cui all’articolo 70 TFUE e a includere tale processo di valutazione insieme al nel quadro dell’Agenda europea sulla sicurezza;

24. sottolinea la necessità che le agenzie europee e le autorità nazionali preposte all’applicazione della legge lottino contro le principali fonti di finanziamento delle organizzazioni terroristiche, tra cui riciclaggio di denaro, tratta di esseri umani e commercio illegale di armi; sollecita al riguardo la piena attuazione della legislazione dell’UE in materia, onde pervenire a un approccio coordinato su scala dell’UE; osserva che solo il 50% delle informazioni riguardanti il terrorismo e la criminalità organizzata sono fornite dagli Stati membri a Europol ed Eurojust;

25. invita gli Stati membri a utilizzare meglio le capacità uniche offerte da Europol, garantendo che le loro unità nazionali forniscano a Europol le informazioni pertinenti in maniera più sistematica e regolare; sostiene inoltre la creazione di una piattaforma europea antiterrorismo all’interno di Europol, così da ottimizzare le sue capacità operative, tecniche e di scambio di intelligence;

26. sottolinea la necessità di rafforzare l’efficacia e il coordinamento della risposta della giustizia penale attraverso Eurojust, di armonizzare in tutta l’UE la qualificazione penale dei reati connessi ai combattenti stranieri per creare un quadro giuridico e di facilitare la cooperazione transfrontaliera, onde evitare lacune dell’azione penale e far fronte alle difficoltà pratiche e giuridiche nella raccolta e ammissibilità delle prove nei casi di terrorismo, aggiornando la decisione quadro 2008/919/GAI;

27. chiede un solido controllo democratico e giudiziario delle politiche antiterrorismo e dell’attività di intelligence all’interno dell’UE, assicurando il pieno controllo democratico indipendente, e insiste sul fatto che la cooperazione nell’ambito della sicurezza dovrebbe essere rigorosamente conforme al diritto internazionale;

Adozione di una strategia esterna dell’UE per la lotta al terrorismo internazionale

28. chiede che l’UE promuova in modo più attivo un partenariato globale contro il terrorismo e cooperi strettamente con interlocutori regionali come l’Unione africana, il Consiglio di cooperazione del Golfo e la Lega araba, e segnatamente con i paesi che confinano con la Siria e l’Iraq e con quelli che risentono maggiormente delle conseguenze del conflitto come Giordania, Libano e Turchia, nonché con le Nazioni Unite e in particolare con il suo comitato antiterrorismo; chiede al riguardo un dialogo più intenso tra gli esperti nei settori dello sviluppo e della sicurezza dell’UE e di tali paesi;

29. sottolinea in particolare la necessità che l’Unione europea, i suoi Stati membri e i paesi partner fondino la propria strategia di lotta contro il terrorismo internazionale sul rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali; sottolinea inoltre che le azioni esterne dell’Unione per combattere il terrorismo internazionale dovrebbero essere innanzitutto finalizzate a prevenire, contrastare e perseguire il terrorismo;

30. invita il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) ad adottare una strategia esterna dell’UE per la lotta contro il terrorismo internazionale, al fine di affrontare le cause di tale fenomeno e integrare l’antiterrorismo; sollecita la Commissione e il SEAE a sviluppare una strategia di cooperazione antiterrorismo con i paesi terzi, garantendo nel contempo che siano rispettate le norme internazionali in materia di diritti umani;

31. esorta l’Unione europea a rivedere la propria strategia per il Mediterraneo meridionale nel quadro del riesame della politica europea di vicinato attualmente in corso e ad adoperarsi per sostenere i paesi e gli attori realmente impegnati a favore di valori condivisi e del processo di riforma;

32. sottolinea la necessità di porre l’accento sulla prevenzione e sul contrasto della radicalizzazione nei piani d’azione e nei dialoghi politici tra l’UE e i paesi partner, tra l’altro rafforzando la cooperazione internazionale, ricorrendo ai programmi e alle capacità esistenti e cooperando con gli attori della società civile nei paesi interessati per combattere la propaganda terroristica e radicale attraverso Internet e altri mezzi di comunicazione;

33. sottolinea che una strategia globale dell’UE in materia di misure antiterrorismo deve avvalersi pienamente anche della politica estera e della politica di sviluppo dell’Unione, al fine di lottare contro la povertà, la discriminazione e l’emarginazione, di combattere la corruzione e promuovere la buona governance nonché di prevenire e risolvere i conflitti, poiché tutti questi problemi contribuiscono all’emarginazione di alcuni gruppi e settori della società rendendoli più vulnerabili alla propaganda dei gruppi estremisti;

34. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai parlamenti degli Stati membri.

 

A proposito delle votazioni sulla situazione in Ucraina

Comunicato stampa di Barbara Spinelli

Circola in rete la notizia secondo cui diversi deputati del GUE/NGL avrebbero votato, il 15 gennaio a Strasburgo, a favore della risoluzione di mozione comune “RC-B8-0008/2015” sull’Ucraina (tra questi Barbara Spinelli e alcuni deputati della Linke) o si sarebbero astenuti (Curzio Maltese e Syriza). La notizia è destituita d’ogni fondamento: il GUE/NGL ha votato compatto contro la risoluzione maggioritaria, radicalmente antirussa. Purtroppo l’approvazione di quella risoluzione non ha permesso al GUE di votare la propria mozione “B8-0027/2015“, che difendeva una linea diametralmente opposta e che resta agli atti.
La tesi di chi accusa Spinelli e la Linke di appoggio alla mozione maggioritaria rimanda a una pagina del sito indipendente www.votewatch.eu. Quella pagina riporta dati corretti, registrando la divisione all’interno del GUE su dei singoli emendamenti alla risoluzione approvata, ma non sulla risoluzione stessa. Tutti gli emendamenti presentati dal GUE/NGL sono stati bocciati dal Parlamento europeo. Le differenze all’interno di ciascun gruppo parlamentare sugli emendamenti non sono infrequenti, soprattutto quando si discutono argomenti particolarmente drammatici. Ben altra rilevanza avrebbe la divisione sul voto finale, che  tuttavia non c’è stata. Ed è bene che non ci sia stata, alla luce dell’offensiva militare che il governo di Kiev ha lanciato in questi giorni nell’Est dell’Ucraina.

—-

Questo nell’immediato.
Ci riserviamo di tornare in futuro sulla questione entrando più dettagliatamente nei meccanismi e nelle scelte politiche che il 15 gennaio 2015 hanno determinato l’insieme di votazioni (emendamenti compresi) sulla situazione ucraina nella sessione plenaria del Parlamento europeo riunitosi a Strasburgo.

Sicurezza interna UE non parla di diritti ma di repressione

Strasburgo, 16 dicembre 2014, Sessione Plenaria

Risoluzione sul rinnovo per il 2015-2020 della Strategia sulla Sicurezza Interna dell’UE

«Ringrazio il commissario Avramopoulos per le promesse di collaborazione con il Parlamento europeo, ma la Strategia sulla Sicurezza Interna non mi convince», ha detto Barbara Spinelli nel corso della discussione parlamentare a Strasburgo sull’adozione della risoluzione di sicurezza per i prossimi cinque anni. «Mi sembra un programma che imita l’antiterrorismo statunitense, da troppi punti di vista. È autocelebrativo, è gestito da chiuse agenzie (Europol essenzialmente), e piú che debole è la cooperazione con gli organi cui dovrebbe essere affidata la definizione delle minacce all’Unione: Consiglio, parlamenti nazionali, Parlamento europeo». La Strategia di Sicurezza dell’UE, ha continuato la deputata del GUE-Ngl, «contempla quasi solo misure di repressione. Non c’è quasi nulla sulla prevenzione. La parola “Diritti fondamentali” appare solo 2 volte nei 12 paragrafi “dichiarativi” della risoluzione, senza citare articoli specifici della Carta.
In nome della sicurezza, i diritti sono stati più volte calpestati nell’ultimo decennio e più: in America e nell’Unione. Mi domando se continueremo ad aver notizia dal Senato americano delle torture e delle extraordinary rendition che sono avvenute in Europa, o se saremo capaci anche noi di ammettere le nostre derive, e di emendarle nel nostro Parlamento».

Perché l’Europa deve riconoscere lo Stato della Palestina

di mercoledì, Novembre 26, 2014 0 , , Permalink
Israele, Giordania, Libano, Siria e Palestina in una fotografia scattata da un membro dell'equipaggio della Stazione spaziale internazionale. Image credit: NASA

Israele, Giordania, Libano, Siria e Palestina in una fotografia scattata dalla Stazione spaziale internazionale. Image credit: NASA.

Strasburgo, 26 novembre 2014. Intervento in plenaria di Barbara Spinelli in occasione della Dichiarazione del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza*

Perché l’Europa deve riconoscere lo Stato della Palestina? Non per indebolire Israele, ma per sanare le sue ferite e restituirgli una forza politica condannata a perire, se è solo forza militare. Perché nessuno Stato può sopravvivere come democrazia se occupa terre non sue. Penso che Israele abbia bisogno di darsi infine frontiere non solo legali ma legittime. Penso che non si possa chiedere ai palestinesi l’assoggettamento senza fine e la rinuncia alla statualità. Anche in Europa le cose andarono così. L’unificazione fu possibile quando le frontiere non furono più contese. Solo frontiere non più contese sono sormontabili.

Israele deve la sua nascita a capitoli neri della storia d’Europa. Ne siamo co-responsabili. Per questo è così importante che sia l’Unione – non solo una serie di suoi Stati – a compiere il gesto simbolico ma decisivo: riconoscere ai Palestinesi il riscatto d’una statualità.

Se il gesto non viene compiuto, i governi israeliani proveranno un sollievo breve. Ricadranno in sempre nuove guerre, come i sonnambuli governi nazionalisti che distrussero l’Europa in nome di un’etnia o una terra colpevolmente sacralizzata.

 

* il voto sulla mozione era previsto per oggi, 26 novembre. È stato rinviato a dicembre, su pressioni del Partito Popolare.

L’inizio di un possibile crimine contro la civiltà europea

Lampedusa. Image credit:  Sara Prestianni; Noborder Network

Lampedusa. Image credit: Noborder Network

Strasburgo, 25 novembre 2014. Intervento in plenaria di Barbara Spinelli durante il dibattito sul tema “Situazione del Mediterraneo e bisogno di un approccio olistico dell’Unione Europea alla migrazione” (“Situation in the Mediterranean and the need for a holistic EU approach to migration”)*

Vorrei richiamare l’attenzione su due recenti dichiarazioni sull’immigrazione dal Mediterraneo. Quella del ministro dell’Interno italiano Alfano, secondo cui il primo novembre Mare Nostrum s’è chiuso, e dopo un intervallo, grazie a Frontex, “non si spenderà più un euro” per salvataggi in mare. La seconda dichiarazione è del ministro inglese dell’immigrazione, James Brokenshire. I salvataggi nel Mediterraneo – ha detto testualmente quest’ultimo – “vanno fermati al più presto”, dal momento che “incoraggiano” i fuggitivi e i richiedenti asilo.

Vi invito a meditare queste parole, perché segnano l’inizio di un possibile crimine contro la civiltà europea. La legge del mare, il diritto alla vita, all’asilo: sono lettera morta. Insostenibile non è provocare annegamenti in massa, nel nostro mare comune. Non è lasciare soli centinaia di siriani che in queste ore sono in sciopero della fame a Piazza Syntagma a Atene. Insostenibile è “spendere euro” per salvare i naufraghi. Gli applausi di stamattina a papa Bergoglio potevamo risparmiarceli. Sono ipocriti se questo Parlamento non cambia rotta, a cominciare dal regolamento di Dublino che ha portato a questa regressione formidabile.

 

* La mozione sarà votata a dicembre.

In alternativa al Piano Juncker:
l’iniziativa New Deal 4 Europe

Strasburgo, 21 ottobre 2014. Intervento di Barbara Spinelli in riunione plenaria sul prossimo Consiglio europeo del 23-24 ottobre

Rilancio dell’economia, sicurezza energetica, clima: sono i tre temi che verranno trattati al prossimo Consiglio europeo, e spero che vengano trattati insieme, perché perché nessuno di essi esiste per conto proprio, ognuno dipende dagli altri due. Quest’interdipendenza è appena accennata nel piano di 300 miliardi su tre anni che il Presidente Juncker ha promesso ai paesi dell’Unione.

C’è, nel Piano, un accenno alla green economy. Ma non basta. Per far ripartire le economie europee, dopo anni di un’austerità distruttiva, occorre un vero New Deal europeo. Penso al New Deal per l’Europa: un’Iniziativa cittadina che dovrebbe esser fatta propria dall’Unione, anche se potrebbe mancare il milione di firme richieste. È l’unico orizzonte che permette di tenere insieme obiettivi pericolosamente disgiunti: la protezione del clima dalle emissioni di anidride carbonica, la nuova occupazione, e al tempo stesso gli investimenti in energie alternative e nella sicurezza degli approvvigionamenti. Il Piano Juncker non risponde a queste tre sfide, cui ne aggiungerei una quarta, cruciale: una politica estera autonoma soprattutto verso la Russia e l’Ucraina, che preservi la neutralità di quest’ultima.

Il Piano Juncker dipende dai contributi nazionali ai Fondi strutturali e alla Bei: dunque gli Stati più indebitati non potranno contribuire, limitati come sono nelle loro azioni dai vincoli di bilancio. Il Cancelliere Angela Merkel l’ha fatto capire in maniera chiara, nel recente vertice sul lavoro che si è tenuto a Milano. Il New Deal 4 Europe, proponendo autentiche risorse proprie dell’Unione – una tassa sulle transazioni finanziarie, una carbon tax – è il piano di cui l’Europa ha bisogno, per dare finalmente alla crescita una dimensione ecologica e tassare non il lavoro sempre più precario, ma le rendite finanziarie.

Ricordo qui che invece di tassare le rendite finanziarie, il Consiglio degli affari economici e finanziari (Ecofin) ha purtroppo deciso di rinviare ancora una volta l’applicazione della direttiva sulla lotta ai grandi evasori.

Grazie