La Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni vota a favore del rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo

Il 16 marzo, la Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni (LIBE) del Parlamento Europeo riunita a Bruxelles ha adottato la relazione d’iniziativa sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione. La risoluzione sarà ridiscussa e votata dal Parlamento Europeo durante la seduta plenaria di aprile.

Co-relatrici: Cécile Kyenge (Partito Socialista) e Roberta Metsola (Partito Popolare Europeo)

Relatore ombra per il gruppo GUE/NGL: Barbara Spinelli

 Dopo il voto, Barbara Spinelli ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«Oggi la Commissione LIBE ha adottato la relazione sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione.

Il rapporto presenta notevoli punti positivi, soprattutto per quanto riguarda la necessità di riconoscere vie legali e sicure di accesso al territorio dell’Unione e la creazione di un sistema europeo di ricerca e salvataggio in mare.

Deploro, ciononostante, il processo decisionale che ha portato al voto di questo rapporto. Il rapporto è stato assegnato più di un anno fa a due relatrici – Cécile Kyenge (Partito Socialista) e Roberta Metsola (Partito Popolare Europeo) – e tale procedura, che affida la guida dei rapporti parlamentari ai due maggiori gruppi del Parlamento, non è mai di buon auspicio. L’esperienza insegna che, poiché i due gruppi politici formano da soli una maggioranza solida in Parlamento, l’opinione degli altri gruppi è messa in disparte e il pluralismo viene aggirato. Nel caso in specie e per volontà congiunta dei Socialisti e dei Popolari, i nostri 168 emendamenti, scritti con l’appoggio di numerosi accademici, associazioni della società civile e ONG, non sono stati sottoposti al voto. È il motivo per cui solo alcuni di essi sono stati incorporati negli emendamenti di compromesso votati oggi. Quel che deploro, è che l’insieme delle nostre controproposte non abbia trovato spazio né visibilità nei testi di compromesso.

Se alla fine una parte dei nostri emendamenti è stata inclusa, dopo difficili e lunghi negoziati, lo si deve alla tenacia con cui il Gue, i Verdi, l’Alde, i Cinque Stelle si sono battuti per incorporare alcuni punti importanti negli emendamenti di compromesso come:

– la necessità di prevedere misure di accoglienza, sostegno e opportunità di integrazione a migranti, richiedenti asilo e rifugiati;

– l’esortazione agli Stati membri a introdurre specifiche procedure per la determinazione dell’apolidia e a condividere pratiche di eccellenza (best practices);

– il richiamo al fatto che sia il diritto internazionale sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE impongono agli Stati membri di esaminare opzioni alternative alla detenzione;

– la critica forte del sistema di Dublino, e la richiesta, fatta alla Commissione e agli Stati membri, di superarne le rigidità e di diminuire il peso che grava sugli Stati di prima accoglienza (essenzialmente Grecia e Italia);

– la menzione delle cause profonde della fuga dei migranti: guerre, povertà, corruzione, fame, pulizie etniche, disastri naturali e cambiamento climatico;

Il rapporto presenta tuttavia alcune debolezze a mio parere gravi. Sono passate malgrado il voto negativo del mio gruppo paragrafi a favore del piano d’azione comune UE-Turchia, da me radicalmente criticato; disposizioni a favore di rimpatri e accordi di riammissione con Stati Terzi (processo di Khartoum); e una serie di capitoli sul rafforzamento dei controlli delle frontiere esterne di Schengen (criticabile è il nesso stretto stabilito con le frontiere interne), sulla proposta di una lista europea di Stati di origine sicuri e sulla creazione di una Guardia Costiera europea.

Le sezioni riguardanti il ricongiungimento familiare potevano e avrebbero dovuto essere ulteriormente rafforzate, favorendo il ricongiungimento di membri di famiglie allargate ed eliminando le restrizioni (burocratiche, pecuniarie) che intralciano il ricongiungimento intra e extra-europeo di moltissime famiglie. Infine, ed è una mancanza a mio parere cruciale, il rapporto non riconosce il ruolo svolto dagli interventi militari occidentali nella grave destabilizzazione degli Stati di origine o di transito di tanti rifugiati che arrivano in Europa.

Altra nostra domanda che non è stata accolta: la definizione di uno statuto giuridico – tuttora assente nel diritto internazionale – per i rifugiati ambientali.

Esaminando i punti positivi e quelli negativi del testo, ho tuttavia consigliato ai miei colleghi, nel mio ruolo di relatore ombra per il gruppo GUE/NGL,  di dare all’insieme del rapporto un voto positivo, pur raccomandando il voto negativo su una ventina di paragrafi di compromesso».

Allegati:

Gli emendamenti presentati da Barbara Spinelli al rapporto (file .pdf)

La bozza del rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo (file .doc)

Enhancing the democratic dimension of the European elections and reinforcing Union Citizenship

di mercoledì, Marzo 16, 2016 0 No tags Permalink

Bruxelles, 15 marzo 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel corso dell’Audizione pubblica organizzata congiuntamente dalla Commissione europea (DG Giustizia e Consumatori) e dal Parlamento europeo (Commissioni Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE), Petizioni (PETI), Affari Costituzionali (AFCO), Giuridica(JURI)) “Union Citizenship in Practice – Our common values, rights and democratic participation”. 

Part II: Fostering democratic participation and Union citizenship

Panel 3: Enhancing the democratic dimension of the European elections and reinforcing Union Citizenship

Moderatore:

  • Danuta Hübner, Presidente della Commissione Affari Costituzionali

Oratori:

  • Jo Leinen, MEP (S&D – Germania)
  • Ramon Jauregui Atondo, MEP (S&D – Spagna)
  • Gyorgy Schöpflin, MEP (PPE – Ungheria)
  • Paul Nemitz, Direttore della Direzione per i Diritti Fondamentali e la Cittadinanza dell’Unione, DG Giustizia e Consumatori, Commissione europea
  • Andrew Duff , Visiting Fellow, European Policy Centre
  • Yves Bertoncini, Direttore del Jacques Delors Institute
  • Carmen Preising, Capo Unità, Programma di lavoro e consultazione delle parti interessate, Segretariato Generale, Commissione europea
  • Ida Birkvad Sorensen, Membro del Consiglio, European Youth Forum
  • Adrijana Kos, autrice di petizione al Parlamento europeo

Vorrei riagganciarmi al tema della crisi della democrazia di cui si è parlato nel corso di questo panel. A mio avviso, vale la pena riflettere sul significato che possiamo trarre dall’avanzata, in questo momento, di movimenti critici dell’Europa, compresi i movimenti caratterizzati da un forte nazionalismo, spesso molto xenofobi. Questi movimenti ci dicono innanzitutto che la forma partito è superata, che si stanno formando nuove forme di partecipazione. Ci dicono, inoltre, che la loro presenza riduce notevolmente l’astensionismo – come si è visto in Germania nell’elezione dei Länder dello scorso weekend – e che siamo di fronte a una ripoliticizzazione della società. Si tratta di un fenomeno molto interessante.

Non sono d’accordo con l’idea, espressa dal Dott. Bertoncini, che l’astensionismo alle elezioni europee non sia un problema di cui ci si debba preoccupare. Kratos e partecipazione elettorale alta non devono finire col rappresentare due concetti ineluttabilmente e forse provvidenzialmente separati: altrimenti avremmo solo il kratos e non il dèmos. E sappiamo che è proprio lì dove c’è solo kratos che emerge la crisi della democrazia.

La conseguenza che traggo da tutto ciò è che forme transnazionali di partecipazione, come quelle proposte dal Dott. Duff, sono importanti. È soprattutto importante stabilire quali possano essere i grandi temi su cui modellare una formazione politica transnazionale. Non credo sia sufficiente dare più sovvenzioni pubbliche ai partiti esistenti o limitarsi a candidare qualche rappresentante transnazionale in liste nazionali; la crisi è troppo profonda per essere risolta con marginali espedienti tecnici.

 

E-Democracy in the European Union: potential and challenges

di martedì, Marzo 15, 2016 0 No tags Permalink

Bruxelles, 14 marzo 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel corso dell’Audizione pubblica organizzata dalla Commissione Affari Costituzionali (AFCO) su “E-Democracy in the European Union: potential and challenges”. 

Presentazione dell’Audizione:

  • Danuta Hübner, Presidente della Commissione Affari Costituzionali

Oratori:

  • Roberto Viola, Direttore Generale, DG CNECT, Commissione europea
  • Ramón Jáuregui Atondo (S&D – Spagna), Relatore per il Parlamento europeo della Relazione su “e-Democracy in the European Union: potential and challenges”
  • Rafał Trzaskowski, Ex Ministro polacco per l’Amministrazione e la Digitalizzazione, Ex parlamentare europeo
  • Elena García Guitián, Professoressa di scienze politiche e amministrazione all’Università autonoma di Madrid
  • Stefano Rodotà, Professore Emerito di Diritto all’Univerità di Roma “La Sapienza” ed Ex Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (Assente)
  • Alexander Trechsel, Professore di scienze politiche e Presidente del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’European University Institute (Presentazione dello studio provvisorio “Potential and challenges of e-Voting in the European Union”)
  • Elisa Lironi, Coordinatrice Digital Democracy, European Citizen Action Service (ECAS) (Presentazione dello studio provvisorio “Potential and challenges of e-Participation in the European Union”)
  • Jo Shaw, Senior Expert di Milieu Limited (Presentazione dello studio provvisorio “The legal and political context for setting up a European Identity Document”)

Nel corso dell’Audizione Barbara Spinelli ha letto un estratto della presentazione inviata dal Prof. Stefano Rodotà, non presente all’incontro. 

Vorrei porre una domanda partendo dalle considerazioni avanzate dal Prof. Rodotà. Se l’analisi sull’e-Democracy si attesta solamente sul “punto terminale del processo democratico”, cioè sul momento decisionale (voto o referendum che sia), si rischia di non scorgerne tutte le potenzialità e di avallare – di fatto – gli attuali squilibri di potere.

Taluni dei presenti in sala hanno messo in evidenza il potenziale rischio di “cattura” dei rappresentanti da parte dei rappresentati alla luce di un dialogo più diretto tra elettori ed eletti, soprattutto da parte di gruppi più attivi sui nuovi strumenti di comunicazione. Personalmente non vedo in questo un particolare pericolo; non ho nulla in contrario a essere un po’ “catturata” da parte dei rappresentati, alla luce della crisi della rappresentanza che caratterizza le democrazie odierne. È una scossa di cui queste ultime hanno oggi bisogno.

Piuttosto, il rischio reale è quello di circoscrivere l’esame della e-Democracy al solo anello finale della catena decisionale, rendendola di fatto meno trasformativa di quanto vorremmo.  Se i cittadini vengono semplicemente chiamati ad avvallare, attraverso un voto in rete, quesiti o proposte provenienti dall’alto, nulla cambia rispetto alla situazione precedente. Si tratta sempre e comunque di una forma di democrazia top-down in cui il “nuovo formato” e-Democracy non fa altro che perpetuare e rafforzare una governance di tipo oligarchico.

Sono questi i dubbi sui quali mi piacerebbe avere un parere non solo dagli oratori ma anche da parte dei rappresentanti, presenti in questa Commissione, di un gruppo che lavora in maniera costante con queste nuove tecnologie, ovvero il Movimento 5 Stelle.

Politica europea dei rifugiati e Mediterraneo

Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il gruppo GUE-NGL nel corso della riunione ordinaria della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni tenutasi a Bruxelles il 29 febbraio 2016.

Punto in agenda:

Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione

  • Esame degli emendamenti

Co-Relatori: Roberta Metsola (PPE – Malta), Kashetu Kyenge (S&D – Italia)

Ringrazio le co-relatrici per l’ottimo lavoro che hanno svolto e che in gran parte condivido: in particolare su temi come il search and rescue e le vie di accesso legale all’Unione europea.

Ringrazio anche le 20 ONG da cui ho ricevuto suggerimenti per i molti emendamenti che ho presentato. Sintetizzandoli al massimo, vorrei indicare i sei punti che a mio parere sono cruciali, e non ancora risolti:

  • L’emendamento “orizzontale” che ho proposto, e che prevede la possibilità per i richiedenti asilo di esprimere le proprie preferenze sullo Stato in cui vorrebbero chiedere asilo ed essere ricollocati.
  • Sulla detenzione dei migranti, chiedo un regolamento più dettagliato dei dati raccolti da Eurostat, e la promozione di alternative alla detenzione.
  • Ritengo necessario modificare i punti che riguardano sia i meccanismi di rimpatrio governati da Frontex in accordo con i Paesi terzi, sia la creazione di una lista di Stati di origine sicuri. Allo stesso modo è cruciale, secondo me, evidenziare l’assenza di garanzie procedurali e di trasparenza, nella creazione di una Guardia di costiera e di frontiera europea.
  • Sui fondi europei, chiedo che l’uso sia trasparente e controllato per scongiurare, almeno in parte, scandali come “Mafia Capitale”. Inoltre, penso che i fondi europei destinati all’asilo e alla migrazione dovrebbero essere esenti dalle regole di deficit previste dal Patto di Stabilità e di Crescita. Questo per aiutare i Paesi che sono i più esposti ai flussi migratori come Grecia e Italia.
  • In politica estera, sono contraria a missioni NATO di controllo delle frontiere e soprattutto ai recenti accordi per il rimpatrio con Stati che non rispettano né i diritti dei propri cittadini né quelli dei migranti. Penso al processo di Khartoum. E penso, in particolar modo, al governo turco e a un possibile intervento militare in Libia per risolvere il problema degli smuggler. Ritengo necessario, in questo quadro, dire a chiare lettere che l’Unione europea non può decidere le sue politiche assieme alla Turchia, quasi fosse un nuovo Stato membro. Siamo tutti a conoscenza dei massacri che il governo Erdoğan sta compiendo contro il popolo curdo nel Sud -Est della Turchia, e dei bombardamenti della Repubblica di Rojava in Siria.
  • Chiedo uno sguardo lungo, previdente, sulla filosofia di Schengen. Nell’immediato può aver senso lo stretto legame causale stabilito tra abolizione di frontiere interne e controllo più stretto delle frontiere esterne. Nel medio-lungo periodo, però, avremo bisogno di frontiere esterne più aperte, perché il nostro è un continente in forte declino dal punto di vista demografico.

Si veda anche:

As humanitarian crisis develops, we must take a whole new approach to refugee policy

Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale in materia di immigrazione

Strasburgo, 18 gennaio 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra, nel corso della riunione straordinaria della commissione Libertà civili, giustizia e affari interni.

Punto in agenda:

Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione

  • Esame del progetto di relazione
  • Fissazione del termine per la presentazione di emendamenti

Co-Relatori: Roberta Metsola (PPE – Malta), Kashetu Kyenge (S&D – Italia)
Relatore per Gruppo GUE/NGL: Barbara Spinelli

Ringrazio innanzitutto le relatrici per l’importante lavoro che hanno svolto.

Tuttavia, avendo ricevuto il progetto di relazione abbastanza tardi, posso reagire solo con un’opinione parziale, per punti.

C’è sicuramente una base solida da cui partire ed elementi che trovo apprezzabili. Penso alla necessità, come avete sottolineato nella Relazione, di dotarsi di un sistema permanente e robusto di search and rescue; alle vie legali di accesso all’Unione, tra cui la possibilità di rivedere la direttiva del 2001 sulla protezione temporanea in modo da stabilire corridoi umanitari veri; e alla proposta di un meccanismo permanente e vincolante di resettlement. Ritengo giusto che abbiate evidenziato come le differenti forme di aiuto umanitario non debbano essere criminalizzate, anche se non sono molto d’accordo sul fatto che lo smuggling continui a essere giudicato secondo criteri troppo sommari, dunque negativi.

Per quel che riguarda la mancanza di solidarietà tra Stati membri, personalmente proporrei il rafforzamento delle sanzioni agli Stati che non applicano il diritto europeo o si rifiutano di collaborare sulla base dell’articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

Ci sono invece alcuni punti su cui sono in totale disaccordo: sui rimpatri, sul rapporto con i Paesi terzi e soprattutto sulla questione Turchia e, di conseguenza, sulla lista dei “Stati d’origine sicuri”. Ancora, non condivido il ruolo attribuito a Frontex e il giudizio sugli “hotspot”. In quest’ultimo caso, il punto di vista della Commissione mi sembra sia stato accolto troppo acriticamente.

Intervento in qualità di Relatore ombra nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali del 14 gennaio 2016

Punto in agenda:

Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona

  • Esame del progetto di relazione
  • Fissazione del termine per la presentazione di emendamenti

Relatori: Mercedes Bresso (S&D-Italia) – Elmar Brok (PPE-Germania)

Relatore ombra per il gruppo GUE-NGL: Barbara Spinelli

Vorrei fare due considerazioni, una sul merito della bozza di Relazione, l’altra sul metodo che seguiremo tutti assieme, co-relatori e “shadow”.

Quanto al merito, sono rimasta molto colpita dall’intervento del collega Elmar Brok. A mio parere, ha giustamente drammatizzato la situazione dell’Unione, quando ha parlato di “anno del destino”. Sono completamente d’accordo con lui. In effetti questo è l’anno in cui un’ulteriore mancanza di trasparenza, di assunzione di responsabilità, rischia di aggravare più che mai la situazione. Perché è vero, citando ancora il collega Brok, che “quel che il cittadino percepisce è dal suo punto di vista la realtà” e, oggi, la realtà appare quantomeno confusa. E non perché l’Unione europea stia accelerando troppo, come sostengono alcuni anche in questa Commissione – non credo che il cittadino chieda di rallentare il processo di integrazione – ma piuttosto perché ritengo che il cittadino voglia comprendere cosa stia succedendo, voglia sentirsi parte integrante di un progetto, voglia soprattutto essere ascoltato e rispettato quando avanza esigenze.

Credo sia importante che la Relazione riaffermi e renda comprensibile il nostro obiettivo, che dovrebbe restare quello di un’”Unione sempre più stretta” cui molti – governi e partiti – vogliono rinunciare.

Vorrei soffermarmi in questo quadro su alcuni temi precisi. Anch’io, come il Gruppo dei Verdi, sono convinta che sia necessario ricorrere con maggiore frequenza alle cosiddette “clausole passerella”, in modo da passare con più frequenza dal voto all’unanimità al voto a maggioranza. Questo renderebbe molte decisioni meno opache.

Sono inoltre preoccupata per il peso sempre più cospicuo assunto da una serie di organismi che, a mio avviso, rappresentano in modo emblematico l’attuale situazione, caratterizzata da una crescente assenza di trasparenza. Penso in particolare all’Eurogruppo. L’Eurogruppo non risponde davanti al Parlamento europeo, non è trasparente, corrobora una sensazione di non-responsabilità. Praticamente agisce al di fuori dei trattati. Non tiene nemmeno i verbali delle proprie riunioni.

Il rafforzamento del suo ruolo è allarmante, proprio se si tiene a mente la percezione che i cittadini hanno delle attività dell’Unione. Penso cose analoghe di altri soggetti, tipo la Bce o Frontex, cui saranno affidati compiti nuovi, anche in paesi terzi, molto simili a competenze di politica estera.

Quanto alle politiche – rifugiati, sicurezza, terrorismo, unione monetaria, clima – la cosa a cui invito è di avere un pensiero lungo, non emergenziale. Il lavoro che state facendo, e per cui vi sono grata per il tempo e le energie che avete dedicato alla Relazione, deve essere fondato su una prospettiva di lungo periodo. Ad esempio, quando si parla di rifugiati, è necessario ricordare che accanto alla sicurezza interna e delle frontiere vanno salvaguardati i diritti, e rispettata sino in fondo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Lo stesso vale per quel che riguarda l’unione monetaria e la politica di austerità. Anche in questo caso è in gioco la salvaguardia dei diritti. In materia di politiche sul clima, presto avremo anche rifugiati climatici; nella Relazione sarebbe opportuno un accenno al tema.

Vengo ora al secondo punto, la questione del metodo. Purtroppo, la vostra Relazione è arrivata molto tardi, l’abbiamo ricevuta soltanto ieri. Non sarebbe male avere il tempo di analizzarla nei dettagli e, forse, poter avere nel frattempo anche un incontro tra Relatori principali e Relatori ombra, proprio per l’importanza del documento su cui state lavorando. A questo proposito mi chiedo se non sia utile uno slittamento della scadenza fissata per la presentazione degli emendamenti, per avere il tempo di discutere in maniera più approfondita i vari punti del Rapporto.

Vi ringrazio ancora entrambi per il lavoro che avete fatto.


Sul rapporto Bresso-Brok “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona”

Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona

Brexit: breve elenco dei punti critici

Bruxelles, 9 dicembre 2015

Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di coordinatore della Commissione Affari Costituzionali per il gruppo, nel corso della riunione del Gruppo GUE/NGL

Punto in agenda: Brexit

Come prima cosa, vorrei indicare il contesto in cui si discute di Brexit. Il contesto è l’avanzata di Marine Le Pen, e di destre xenofobe e nazionaliste nell’Unione. Queste destre utilizzeranno a propri fini il negoziato britannico – Marine Le Pen lo ha detto esplicitamente – imitando la via inglese. Penso che come gruppo non sarà male tenerne conto, quando si parlerà di Brexit.

E ora vengo alla lettera di Cameron a Tusk: ai suoi punti più pericolosi. Ne elenco alcuni, perché sia un po’ più chiaro cosa sarà discusso, si spera, nella Commissione affari costituzionali.

Dico “si spera”, perché quel che dovremmo ottenere è che i cambiamenti chiesti da Londra siano oggetto di discussione in questo Parlamento, e non nascano da accordi intergovernativi. Tutto rischia infatti di avvenire nel chiuso del Consiglio Europeo: un organo già indebitamente soverchiante nell’UE, e poco propenso alla cultura del render conto.

Alcune proposte di Cameron non sorprendono: Londra già beneficia di opt-out, e il Premier ne chiede di più. Pericolosa non è la tattica degli opt-out. È la degradazione dell’Unione nel suo insieme, con ripercussioni su tutti i soggetti che ne fanno parte. Tale fu l’obiettivo di Blair prima del Trattato di Lisbona: non un’Europa diversa – più forte o più democratica – ma l’accentuazione di caratteri negativi che essa possiede sin dalla nascita. Quel che va codificato, secondo Londra, è che l’Unione non dovrà essere altro che una zona di libero scambio: competitività e produttività sono i soli collanti citati da Cameron. Nemmeno ai margini si parla di questione sociale.

Faccio un piccolo elenco dei punti pericolosi:

1) la volontà di mettere la parola fine, in modo irreversibile e legalmente vincolante, all’obbligo del Regno Unito di adoperarsi verso “un’Unione sempre più stretta”, eliminando tale concetto dal Trattato.

2) l’invito a ridurre al massimo la regolamentazione comune, considerata eccessiva. Esistono complicità su questo, soprattutto con l’Est Europa e potenzialmente con le estreme destre nell’Unione.

3) la proposta di introdurre meccanismi che consentano ai Parlamenti nazionali di bloccare proposte legislative non desiderate. I Parlamenti nazionali avrebbero un potere di veto, non propositivo. Il veto può aver senso, se le democrazie sono messe in pericolo. Ma il Parlamento europeo perderebbe molti poteri che possiede. Inoltre, ricordo che l’articolo 1 del Trattato fa riferimento ai popoli, non agli Stati, e l’Unione “più stretta” è pensata proprio per oltrepassare i limiti del mercato unico: è l’unione dei diritti riconosciuti al successivo articolo 2, che non devono avere confini o limiti.

In realtà, siamo di fronte al tentativo di ridurre le garanzie che il Trattato, anche se difettoso, contiene: garanzie che con la libertà di manovra nazionale Londra vuole aggirare.

Le intenzioni di Cameron diventano evidenti se si guarda alle proposte sull’immigrazione: chiusura delle frontiere per i non europei, libera circolazione per i futuri Stati Membri solo se sarà assicurata “una più stretta convergenza economica”, limitazione infine della libertà di circolazione interna. Su questo tema, si aggiunge anche una critica forte alla Corte di giustizia europea. Obiettivo: non subire pressioni su un welfare che, internamente, è già in parte demolito.

Tutto questo si inserisce nell’altra proposta, cui ha fatto accenno Martina Anderson (Sinn Fein) in questa riunione: quella di sostituire lo Human Rights Act con un “Bill of rights nazionale”, per spezzare ogni legame con la Corte europea dei diritti umani.

Nella Commissione Afco, penso che dovremmo contestare il metodo intergovernativo dell’attuale discussione. Se riforma del Trattato deve proprio essere, questa può farsi solo, secondo me, attraverso la procedura ordinaria di revisione, che consenta l’inclusione del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Personalmente credo che il Trattato dovrebbe diventare una Costituzione. Ma temo che ogni modifica, che parta dalle proposte inglesi, sia oggi peggiorativa.

So bene che esistono differenze nel nostro gruppo, ma penso valga la pena cogliere quest’occasione per affermare un diverso tipo di integrazione, che non riduca l’Europa a un mercato unico ma punti a un’Europa fondata su giustizia sociale e diritti, oltre che a una politica estera indipendente da quella statunitense. E qui torno al contesto cui accennavo all’inizio: sarebbe anche l’occasione di differenziarci, come gruppo, dai falsi sovranismi proposti oggi dalle destre estreme.


Si veda anche:

Rinegoziazione delle relazioni costituzionali del Regno Unito con l’Unione europea

I parlamentari GUE/NGL criticano la direttiva PNR

PRESS RELEASE

GUE/NGL MEPs criticise PNR directive as ineffective in countering terrorism

Brussels 10 December 2015

Following this morning’s vote in the LIBE Committee which endorsed a draft EU directive regulating the use of Passenger Name Record (PNR) data, GUE/NGL MEPs have criticised it as ineffective and a breach of privacy.

German MEP, Cornelia Ernst, expressed the need for more effective measures to counter terrorism: “The despicable events in Paris should have prompted a serious discussion about how to prevent terrorism and which security measures are actually effective for this purpose. But instead we are getting more off-the-shelf policies. The proposed PNR directive has been on the table since 2012. It would not have made the world safer back then, and for sure it will not do so in 2016.”

Swedish MEP, Malin Björk, commented: “The European Court of Justice recently stated that collecting personal data of citizens without specific targeting contravenes the EU Charter of Fundamental Rights, and now we see this again in the draft Passenger Name Record directive. Framing the PNR directive as a counter-terrorism initiative is unacceptable; it is just another instrument for mass surveillance of people.”

French MEP, Marie-Christine Vergiat, added: “This vote represents an unprecedented decline in the Community acquis on data protection and privacy. The European PNR proposal was revived following the attacks in Paris in January 2015and accelerated after the attacks in Paris on November 13 which highlighted the problem of cooperation between member states in the fight against terrorism and cross-border organised crime. It is therefore incomprehensible that the agreement reached between the Council and Parliament does not mandate the exchange of information resulting from the processing of PNR data. The apologists for this system have managed to set up an inefficient and expensive system, built on the exploitation of fear.”

Italian MEP, Barbara Spinelli, further explained the position of GUE/NGL MEPs: “We stand against the introduction of a PNR Directive which the European Data Protection Supervisor and other important authorities have declared as neither necessary nor proportionate. I think the Union should not fall prey to a policy of fear, but it seems to be doing just that: preparing to adopt further counter-terrorism measures before assessing their proportionality and their legal necessity, while member states are resisting real cooperation using the existing instruments. I believe there will be a time when the European Court of Justice will prove that we were right all along, as happened in the case of the Digital Rights Ireland (C-293/12) and Schrems (C-362/14) judgements. Hopefully that time will come sooner rather than later.”

The draft directive on PNR will be put to a vote by Parliament as a whole early next year.

Rinegoziazione delle relazioni costituzionali del Regno Unito con l’Unione europea

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari del 3 dicembre 2015

Punto in agenda:

Rinegoziazione delle relazioni costituzionali del Regno Unito con l’Unione europea (scambio di opinioni)

Ritengo ci siano molti punti controversi e veramente rischiosi dal punto di vista istituzionale nella lettera inviata dal Primo Ministro Cameron al Presidente del Consiglio europeo Tusk. Alcune proposte non sorprendono: di fatto, ci troviamo di fronte alla richiesta di ennesimi opt-out da parte del Governo britannico. Veramente pericolosa secondo me è la degradazione dell’Unione nel suo insieme, con ripercussioni su tutti i soggetti che ne fanno parte. Tale fu peraltro l’ambizione di Tony Blair durante la Convenzione che precedette il Trattato di Lisbona: non costruire un’Europa diversa, cioè migliorarla, e nemmeno starsene in disparte con una propria politica, ma influenzare profondamente l’attuale, diminuendola e accentuando caratteristiche negative che la Comunità possiede in realtà fin dalla nascita. Lo scopo è codificare il fatto che l’Unione non è né deve essere altro che una zona di libero scambio: competitività e produttività sono l’unico collante menzionato nella lettera di Premier britannico. Lo scopo è di evitare non tanto l’Europa politica di cui ha parlato poco fa Mercedes Bresso, ma un’Unione che di fronte a una crisi economica lunga, come quella in cui ci troviamo, metta al centro la giustizia sociale – che secondo me dovrebbe diventare il nuovo fondamento dell’Unione. Altrimenti non ha molto senso parlare di Europa politica.

Fatta questa premessa, passo ad alcuni punti che mi sembrano particolarmente contestabili.

1) La volontà di mettere la parola fine, in maniera irreversibile e legalmente vincolante, all’obbligo del Regno Unito di adoperarsi verso “un’Unione sempre più stretta”: eliminando, di fatto, tale concetto dal Trattato.

2) L’invito a ridurre al massimo la regolamentazione comune, considerata già ora eccessiva. Su ambedue i punti Londra sa di poter contare su inclinazioni simili nell’Unione – penso al governo olandese, a molti governi dell’Est, alle destre estreme che ovunque si rafforzano.

3) La proposta di introdurre un meccanismo che consenta ai Parlamenti nazionali di bloccare proposte legislative europee non desiderate. I Parlamenti nazionali avrebbero in tal modo un mero potere di veto, mai un potere propositivo. Vero è anche che il veto acquista senso ed è comprensibile, quando le democrazie e i diritti sociali, nei singoli Stati Membri, vengono messi in pericolo. Oggi dobbiamo riconoscere che i cittadini hanno più fiducia nei Parlamenti nazionali – quando ce l’hanno – che nel Parlamento europeo. È ovvio che in questo quadro il Parlamento europeo perderebbe molti poteri che possiede.

Inoltre l’articolo 1 del Trattato fa specifico riferimento ai popoli, non agli Stati nazione, e quando si parla di “Unione più stretta”, si intende dunque più unione dei diritti politici e sociali riconosciuti nel successivo articolo 2, che come tali non hanno e non devono avere confini o limitazioni.

In realtà ci troviamo di fronte al tentativo di ridurre al minimo garanzie chiaramente riconosciute dai trattati, con la scusa di recuperare margini di manovra nazionali. Questo, purtroppo, vale soprattutto per il capitolo immigrazione, su cui Cameron fa una serie di proposte: chiusura delle frontiere nei confronti dei cittadini degli Stati non UE, libera circolazione per i futuri Stati Membri solo se sarà assicurata “una più stretta convergenza economica”, limitazione infine della libertà di circolazione dentro lo spazio europeo.

Particolarmente preoccupante è anche la critica delle Corti, assieme all’opt-out giuridico che viene prospettato. E’ criticata la Corte di giustizia europea in materia di libera circolazione, con la scusa dell’emergenza sicurezza e di un welfare che in Gran Bretagna è da tempo sotto attacco. E nel mirino del governo inglese c’è anche, ben prima della lettera a Tusk, la Corte di Strasburgo, e dunque la Convenzione europea sui diritti dell’uomo (CEDU). Ricordo l’altra proposta/minaccia inglese: quella di sostituire lo Human Rights Act con un “Bill of rights nazionale” al fine di spezzare definitivamente il legame con la Corte europea dei diritti umani.

Non da ultimo, considero molto grave il metodo bilaterale e intergovernativo con cui si rischia di discutere e negoziare. Quello che si vuole evitare, mi pare, è un confronto serio con questo Parlamento.

Se una riforma del Trattato deve proprio avvenire, questa, a mio parere, non può che essere condotta attraverso la procedura ordinaria di revisione, in modo che siano pienamente inclusi sia il Parlamento europeo sia i Parlamenti nazionali.

Detto questo, ritengo che sarebbe pericoloso chiedere oggi una riforma dei trattati partendo dalla lettera di Cameron, per le ragioni espresse anche dal collega Jo Leinen in questa sessione: ognuno cercherà di raccogliere più vantaggi possibili per se stesso. Personalmente, penso che il Trattato un giorno bisognerà cambiarlo e trasformarlo in una Costituzione, ma temo che al momento ogni modifica rischi di andare in una direzione peggiorativa.

Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona

Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di Relatore Ombra, nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali del 3 dicembre 2015

Punto in agenda:

Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona

Relatori: Mercedes Bresso (S&D-Italia) – Elmar Brok (PPE-Germania)

Relatore ombra per il gruppo GUE: Barbara Spinelli

Prima di tutto volevo ringraziare i relatori di quest’inizio di lavori sulle potenzialità del Trattato di Lisbona. Lo considero solo un inizio poiché, a mio parere, ci sono alcuni aspetti che vanno ulteriormente approfonditi. Trovo positivo l’appello a un ritorno del metodo comunitario in molti settori, ma altri punti della bozza di Relazione ancora non mi convincono. Desidererei inoltre che tra i due relatori ci fosse accordo su alcune questioni che sembrano dividerli e che a mio avviso sono importanti, tra cui il ruolo dei Parlamenti nazionali e l’ipotesi di un’introduzione della cosiddetta “carta verde”. [1] Comprendo le perplessità di Elmar Brok, quando afferma che quest’ultima possibilità non rientra nei trattati; non posso credere però che la collega Bresso proponga misure volte ad aggirare i trattati stessi. Probabilmente Mercedes Bresso ha argomentazioni altrettanto forti per difendere il suo punto di vista. Non credo che tra voi ci sia un co-relatore guardiano del Trattato, e un co-relatore che non lo è.

Vorrei ora passare al merito della Relazione. Quello che io credo, e che spero di riuscire a esprimere nel migliore dei modi in questa sede, è che alcune politiche adottate nel solco dell’emergenza non debbano trovare spazio nelle maglie del Trattato. Penso all’idea di una comune lotta al terrorismo – in alcuni Stati Membri si parla addirittura di stato di guerra– e alla politica su rifugiati e migranti: due temi che s’intrecciano, pervasi di questi tempi da una visione della sicurezza sempre più repressiva. La bozza della Relazione dedica parecchio spazio a migrazione e sicurezza, ma a mio parere non dovrebbe indicare una precisa linea politica in materia, soprattutto se tale linea è presa in situazione di emergenza: il Trattato dovrebbe essere un contenitore che permette a politiche diverse di applicarsi e non codificare una sorta di diritto europeo emergenziale. Per lo stesso motivo ho anche un’obiezione di fondo – nonostante auspichi, come i relatori, il ritorno al metodo comunitario e l’abbandono di quello intergovernativo – al fatto che il Fiscal Compact entri nel Trattato e diventi metodo comunitario. Perché il Fiscal Compact è qualcosa che non ha funzionato fuori dal Trattato, e di sicuro non funzionerà meglio se diverrà elemento del Trattato esistente e sarà “comunitarizzato”. Il Fiscal Compact è molto controverso, e inserirlo tale e quale rende non solo difficile ma quasi illegittima ogni alternativa. È la ragione per cui il discorso meramente istituzionale, sulle varie crisi che sta traversando l’Unione, non lo giudico sufficiente.

[1] “Green card”, ovvero la possibilità di istituire una procedura in base alla quale un gruppo di parlamenti nazionali sarebbe in grado di invitare la Commissione a presentare una proposta.


Si veda anche:

Sul rapporto Bresso-Brok “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona”