Tsipras, la divina sorpresa

di martedì, Gennaio 27, 2015 0 , , , Permalink

«Il Fatto Quotidiano», 27 gennaio 2015

Nella storia francese, quel che è accaduto domenica in Grecia ha un nome: si chiama “divine surprise”. Il maggio 68 fu una divina sorpresa, e prima ancora – il termine fu coniato da Charles Maurras – l’ascesa al potere di Pétain. La storia inaspettatamente svolta, tutte le diagnosi della vigilia si disfano. Fino a ieri regnava l’ortodossia, il pensiero che non contempla devianze perché ritenuto l’unico giusto, diritto. L’incursione della sorpresa spezza l’ortodossia, apre spazi ad argomenti completamente diversi.

La vittoria di Alexis Tsipras torce la storia allo stesso modo. Non è detto che l’impossibile diventi possibile, che l’Europa cambi rotta e si ricostruisca su nuove basi. Non avendo la maggioranza assoluta, Syriza dovrà patteggiare con forze non omogenee alla propria linea. Ma da oggi ogni discorso che si fa a Bruxelles, o a Berlino, a Roma, a Parigi, sarà esaminato alla luce di quel che chiede la maggioranza dei greci: una fondamentale metamorfosi – nel governo nazionale e in Europa – delle politiche anti-crisi, dei modi di negoziare e parlarsi tra Stati membri, delle abitudini cittadine a fidarsi o non fidarsi dell’Unione. Ricominciare a sperare nell’Europa è possibile solo in un’esperienza di lotta alla degenerazione liberista, alla fuga dalla solidarietà, alla povertà generatrice di xenofobie: è quel che promette Tsipras. I tanti che vorrebbero perpetuare le pratiche di ieri proveranno a fare come se nulla fosse. I partiti di centrodestra e centrosinistra continueranno a patteggiare fra loro – son diventati agenzie di collocamento più che partiti – ma la loro natura apparirà d’un tratto stantia; per esempio in Italia apparirà obsoleto qualunque presidente della Repubblica, se i nomi vincenti sono quelli che circolano negli ultimi giorni. Dopo le elezioni di Tsipras, anche qui sono attese divine sorprese che scompiglino i giochi tra partiti e oligarchie. Non si può naturalmente escludere che Tsipras possa deludere il proprio popolo, ma il pensiero nuovo che impersona è ormai sul palcoscenico ed è questo: non puoi, senza il consenso dei cittadini che più soffrono la crisi, decretare dall’alto – e in modo così drastico – il cambiamento in peggio della loro vita, dei loro redditi, dei servizi pubblici garantiti dallo Stato sociale. Non puoi continuare a castigare i poveri, e non far pagare i ricchi. Non esiste ancora una Costituzione europea che cominci, alla maniera di quella statunitense, con le parole “Noi, popoli d’Europa…”, ma quel che s’è fatto vivo domenica è il desiderio dei popoli di pesare, infine, su politiche abusivamente fatte in loro nome.

L’establishment che guida l’Unione è in stato di stupore. Meglio sarebbe stato, per lui, che tra i vincitori ci fosse solo l’estrema destra di Alba Dorata, e che Syriza avesse fatto un’altra campagna: annunciando l’uscita dall’Euro, dall’Unione. Non è così, per sfortuna di molti: sin dal 2012, Tsipras ha detto che in quest’Europa vuol restare, che la moneta unica non sarà rinnegata, ma che l’insieme della sua architettura deve mutare, politicizzarsi, “basarsi sulla dignità e sulla giustizia sociale”. La maggioranza di Syriza – da Tsipras a eurodeputati come Dimitrios Papadimoulis o Manolis Glezos  – ha scelto come propria bandiera il Manifesto federalista di Ventotene.

Dicono che Syriza sfascerà l’Unione, non pagando i debiti e demolendo le finanze europee. Non è vero. Tsipras dice che Atene onorerà i debiti, purché una grossa porzione, dilatata dall’austerità, sia ristrutturata. Che gli Stati dell’Unione dovranno ridiscutere la questione del debito come avvenne nel ’53, quando furono condonati – anche con il contributo della Grecia, dell’Italia e della Spagna – i debiti di guerra della Germania (16 miliardi di marchi). Che l’Europa dovrà impegnarsi in un massiccio piano di investimenti comuni, finanziato dalla Banca europea degli investimenti, dal Fondo europeo degli investimenti, dalla Bce: è la “modesta proposta” di Yanis Varoufakis, l’economista candidato di Syriza in queste elezioni. Quanto al dissesto propriamente greco, Tsipras ne ha indicate le radici anni fa: i veri mali che paralizzano la crescita ellenica sono la corruzione e l’evasione fiscale. “È un fatto che la nostra cleptocrazia ha stretto un’alleanza con le élite europee per propagare menzogne, sulla Grecia, convenienti per gli eurocrati ed eccellenti per le banche fallimentari” (Tsipras al Kreisky Forum di Vienna, 20-9-2013). Questi anni di crisi hanno trasformato l’Unione in una forza conflittuale, punitiva, misantropa. Hanno svuotato le Costituzioni nazionali, la Carta europea dei diritti fondamentali, lo stesso Trattato di Lisbona. Hanno trasformato i governi debitori in scolari minorenni: ogni tanto scalciano, ma interiorizzano la propria sottomissione a disciplinatori più forti, a ideologi che pur avendo fallito perseverano nella propria arroganza. Quel che muove Tsipras è la convinzione che la crisi non sia di singoli Stati, ma sistemica: è crisi straordinaria dell’intera eurozona, bisognosa di misure non meno straordinarie. Tsipras rimette al centro la politica, il negoziato tra adulti dell’Unione, la perduta dialettica fra opposti schieramenti, il progresso sociale. L’accordo cui mira “deve essere vantaggioso per tutti”, e resuscitare l’idea postbellica di una diga contro ogni forma di dispotismo, di riforme strutturali imposte dall’alto, di lotte e falsi equilibri tra Stati centrali e periferici, tra Nord e Sud, tra creditori incensurati e debitori colpevoli.

Ricostituzionalizzare la democrazia

Questo articolo di Barbara Spinelli è apparso con il titolo Serve più sinistra in questa Europa su «Il Fatto Quotidiano» del 23 gennaio 2015

Caro direttore, in riferimento all’articolo di Salvatore Cannavò, “Rottura ligure, la sinistra cerca l’x factor rosso, pubblicato il 20 gennaio dal tuo giornale, ti chiedo di ospitare una riflessione che precisa le posizioni che mi vengono erroneamente attribuite. Un caro saluto.  

Questi sono giorni cruciali, come ho avuto il modo di dire il 17 gennaio, nel corso dell’assemblea dell’Altra Europa con Tsipras alla quale Salvatore Cannavò fa riferimento nel suo articolo del 20 gennaio. Sono giorni cruciali per noi in Italia, dove ci stiamo preparando all’elezione del prossimo presidente della Repubblica e a un possibile sfaldamento del Pd, e sono giorni cruciali per un’Europa che – scossa dai terribili attentati di Parigi e dalle loro prevedibili ripercussioni sulle politiche di sicurezza e sui diritti dei cittadini – attende l’esito delle elezioni generali in Grecia.

La possibile vittoria di Syriza, cui l’Altra Europa si è ispirata fin dalla sua costituzione, potrebbe davvero rappresentare una svolta, se Tsipras condurrà sino in fondo la battaglia che ha promesso, e se sarà sostenuto da un grande arco di movimenti e partiti fuori dalla Grecia. Sarà la prova generale di uno schieramento che non si adatta più all’Europa così com’è, che giudica fallimentari e non più proponibili i rigidi dogmi dell’austerità, e che mette fine allo schema ormai trentennale inventato da Margaret Thatcher, secondo cui “non c’è alternativa” alla visione neoliberista delle nostre economie e delle nostre società: visione fondamentalmente antisindacale, politicamente accentratrice, decisa a decostituzionalizzare le singole democrazie dell’Unione europea e la democrazia delle stesse istituzioni comunitarie.

In questo scenario, l’articolo di Cannavò restringe l’orizzonte, collegando la nascita di un progetto politico di ampio respiro a una mera sommatoria di sigle e di singole figure, per quanto autorevoli.

Nell’inverno 2013-2014, la lista L’Altra Europa con Tsipras nacque per unire in Italia le forze che non si riconoscevano nella linea di un partito – il Pd – sempre più attratto dall’ideologia centrista che sprezza le forze intermedie della società, e i poteri che controbilanciano il potere dell’esecutivo. Siamo nati – ho avuto occasione di dirlo a Bologna – per rimobilitare politicamente e conquistare il consenso di una sinistra oggi emarginata, sì, e anche di chi ha cercato rifugio nel movimento di Grillo o – sempre più – nell’astensione, dunque in un voto di sfiducia verso tutti i partiti e tutte le istituzioni politiche.

Eravamo partiti da Alexis Tsipras e dalle sue proposte di riforme europee, perché anche noi vedevamo la crisi iniziata nel 2007-2008 come una crisi sistemica – di tutto il capitalismo e in particolare dell’eurozona – e non come una somma di crisi nazionali del debito e dei conti da tenere in ordine nelle varie case nazionali. L’aggancio a Syriza e al caso greco era un grimaldello per cambiare l’Europa e la politica italiana.

Quelle idee vanno salvaguardate, perché hanno prodotto un esito importante: un milione di voti, tre deputati nel Parlamento europeo, un consigliere comunale in Emilia Romagna; ma soprattutto hanno prodotto una consapevolezza nuova: non bisogna aspettare, per nascere come soggetto politico, che altri decidano quale fattore x, quale alternativa nuova e mai vista debba prodursi alla politica di Renzi.

Il soggetto c’è, questo ho detto a Bologna, senza mai sognarmi di pronunciare le parole che mi vengono attribuite da Cannavò: L’Altra Europa non è affatto un “contenitore autosufficiente”, ma un’esperienza politica autonoma, che può essere messa in comune nella costruzione di una nuova realtà il più ampia possibile – che si dia il compito di fermare la disgregazione sociale in atto nel nostro paese, a livelli mai conosciuti nella storia repubblicana, mettendo al centro la difesa del lavoro e dell’ambiente, e ridando dignità a una generazione senza prospettive.   

La nostra Lista non deve dimenticare, e anzi deve accentuare e trasformare sempre più in proposte politiche concrete, la sua intuizione iniziale: l’aspirazione a essere massimamente inclusiva e unitaria, partendo dalle esperienze e dalle pratiche esistenti nei territori, e massimamente aperta ai movimenti alternativi. Aperta – come lo siamo stati nelle elezioni europee – alle persone più che agli apparati. Pronta a dialogare con i diversi partiti e movimenti della sinistra radicale, e anche con chi non si identifica – o non si identifica più – in ciò che viene chiamato “sinistra”. Penso agli ecologisti, ai militanti delle battaglie anticorruzione e antimafia, ai delusi del M5S, e infine – ancora una volta, e sempre più – agli astensionisti. Il nostro progetto politico non era la riproposizione di un insieme di partitini e, anche se essenzialmente di sinistra, non era solo di sinistra. Non era antipartitico, ma era rigorosamente non-partitico. Sono talmente tante le cose da fare che non abbiamo letteralmente tempo di occuparci degli equilibrismi tra i piccoli partiti, delle piccole o grandi secessioni dentro il Pd. C’è l’Europa dell’austerità, che dobbiamo cambiare affiancando la battaglia che domani farà Syriza, e che dopodomani – spero – farà Podemos. C’è l’Europa-fortezza da mettere radicalmente in questione, con politiche dell’immigrazione che mutino i regolamenti sull’asilo, che garantiscano protezione ai profughi da guerre che attorno a noi si moltiplicano e ci coinvolgono, perché sono guerre che americani ed europei hanno acutizzato e quasi sempre scatenato.

Perfino il mar Mediterraneo va ricostituzionalizzato, visto che l’Unione sta violando addirittura la legge del mare, mettendo in discussione il dovere di salvare le vite umane minacciate da naufragio. E vanno aboliti i Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, nella loro forma attuale. Ho visitato in dicembre quello di Ponte Galeria a Roma. 
Non è un centro. È un campo di concentramento. Non per ultimo: in Italia bisogna trovare risposte a un razzismo che sta esplodendo ovunque, non solo nel popolo della Lega ma anche a sinistra, e che sarà sempre più legittimato dalle urne, se non impareremo ad affrontarlo in maniera giusta e argomentata.

Proprio perché l’ora di agire è adesso, la Lista nata prima delle europee deve mettersi subito al lavoro, e costruire un’alternativa con tutte le forze che vorranno ripensare la democrazia e con tutte le personalità in rotta con il partito di Renzi, ma senza disperdere il patrimonio dell’Altra Europa, specie quello accumulato nei territori. Senza sciogliersi. E avendo coscienza che non basta riunire attorno a un tavolo i frammenti della sinistra. Ci interessa al tempo stesso, e subito, il dialogo con gli italiani che si astengono o che votano Grillo: rispettivamente il 40 e il 20 per cento dell’elettorato.

È la maggioranza del paese, con cui la politica deve ricominciare a parlare. Alla crisi straordinaria che viviamo, non si può che rispondere con uno sforzo egualmente straordinario di unificazione, e di oltrepassamento dei recinti cui siamo abituati.


Lettura consigliata: Rodotà: “Ripartiamo dal basso, senza la zavorra dei partiti”, Micromega, 22 gennaio 2015

“E tu chi sei?”

Bologna, 17 gennaio 2015. Discorso di Barbara Spinelli all’assemblea de L’Altra Europa con Tsipras

Questi sono giorni cruciali. Sono giorni cruciali per noi in Italia dove ci stiamo preparando all’elezione del prossimo presidente e dunque a una possibile crisi del Partito democratico. E sono giorni cruciali per quello che sta accadendo in Europa: dai terribili attentati terroristici a Parigi – con le conseguenze che essi possono avere sulle politiche di sicurezza e sui diritti dei cittadini – alle imminenti elezioni in Grecia.

La vittoria di Syriza può davvero rappresentare una svolta, se Tsipras condurrà sino in fondo la battaglia che ha promesso e se sarà sostenuto da un grande arco di movimenti e partiti fuori dalla Grecia. Sarà la prova generale di uno schieramento che non si adatta più all’Europa così com’è, che giudica fallimentari e non più proponibili i rigidi dogmi dell’austerità, e che mette fine allo schema ormai trentennale inventato da Margaret Thatcher, secondo cui “non c’è alternativa” alla visione liberista delle nostre economie e delle nostre società: visione fondamentalmente antisindacale, e inoltre politicamente e costituzionalmente accentratrice.

Ricordiamoci che anche per questo nacque la nostra Lista, nell’inverno 2013-2014: per dire che l’alternativa invece c’era, per denunciare i custodi dell’ortodossia liberista che avevano usato il caso greco come paradigma negativo e cavia di esperimenti di distruzione del welfare state e delle costituzioni democratiche nate dalla Resistenza. Per unire in Italia le forze che non si riconoscevano nella degenerazione di un Partito democratico, sempre più esclusivamente interessato a ideologie centriste e all’annullamento di tutte le forze intermedie della società, di tutti i poteri che controbilanciano il potere dell’esecutivo. Una forza che pretende di incarnare la sinistra, ma che non solo disprezza le tradizioni della sinistra ma le ignora in maniera militante: anche se son sfiorato da qualche nozione di una lunga e densa tradizione – questo dice a se stesso il nuovo Pd – volutamente penso, decido, agisco, comunico, come se di questa tradizione non sapessi rigorosamente nulla. Siamo nati per rimobilitare politicamente e conquistare il consenso di un elettorato che, giustamente incollerito, ha scelto quella che i tedeschi durante il nazismo chiamavano “emigrazione interiore”, e che ha cercato rifugio o nel movimento di Grillo, o – sempre più – nell’astensione, dunque in un voto di sfiducia verso tutti i partiti e tutte le istituzioni politiche.

Eravamo partiti da Alexis Tsipras e dalle sue proposte di riforma europee perché anche noi vedevamo la crisi iniziata nel 2007- 2008 come una crisi sistemica – di tutto il capitalismo e in particolare dell’eurozona – e non come una somma di crisi nazionali del debito e dei conti da tenere in ordine nelle singole case nazionali. Il cambiamento della dialettica politica nei nostri paesi, il salvataggio delle democrazie minacciate da una decostituzionalizzazione che colpisce prima i paesi più umiliati dalle politiche della trojka e dei memorandum, e poi tutti gli altri, erano a nostro parere possibili a una sola condizione: rispondere alla crisi sistemica con risposte egualmente sistemiche, e per questa via scardinare le fondamenta su cui si basa la risposta fin qui data alle crisi dei debiti nazionali dalla Commissione, dagli Stati più forti dell’Unione, dalla Bce. Creando un’Unione più solidale, rifiutando l’idea stessa di un centro dell’Unione circondato da “periferie” indebitate e di conseguenza colpevoli (Schuld in tedesco ha due significati, non dimentichiamolo mai: significa debito e colpa). Ricostituzionalizzando non solo l’Italia o la Grecia o la Spagna o il Portogallo, quindi, ma ricostituzionalizzando e ri-parlamentarizzando anche l’Unione.

Di qui anche la battaglia che noi europarlamentari italiani del Gue conduciamo a Bruxelles e Strasburgo. È una battaglia che va in più direzioni: per la comune e solidale gestione dei debiti nazionali, e per piani europei di investimento ben più consistenti e decisivi del piano Juncker (il piano Juncker conta solo su investimenti privati del tutto fantasmatici, con un incentivo di investimento pubblico minimo: poco più di 20 miliardi, con un improponibile, inverosimile effetto moltiplicatore di 15 punti). Di piani alternativi a quello di Juncker ce ne sono molti, e sono interessanti: dall’idea di Luciano Gallino, che immagina una moneta parallela all’euro da emettere per gli investimenti senza che lo Stato esca dall’euro, a quello di Yanis Varoufakis, l’economista che si è candidato per Syriza in queste elezioni. Studiamoli e facciamoli nostri. Coinvolgiamo Luciano Gallino, che – lo ricorderete – fu tra i principali ideatori della nostra lista fin dal primo giorno. Scrisse lui i passaggi decisivi della parte economica del programma. Consultiamolo sulla questione del debito che sarà discussa nell’assemblea.

***

Credo che più che mai dobbiamo mantenere lo slancio iniziale della Lista, insistere nella convinzione che abbiamo avuto quando è nata questa formazione: l’aggancio a Syriza e al caso Grecia era un grimaldello per cambiare l’Europa e dunque la politica italiana. Manteniamo quelle idee, salvaguardando quel che abbiamo costruito ed essendone fieri.

E visto che sono a Bologna, vorrei qui rendere omaggio al grande sforzo che è stato fatto dalla lista Altra Emilia Romagna (e anche Altra Calabria, Altra Liguria) per proseguire il discorso cominciato con la campagna per le elezioni europee. Campagna che ha pur sempre portato dei risultati, visto che nel parlamento europeo ci sono 3 nostri parlamentari.

È il primo punto su cui vorrei insistere, in quest’assemblea. Non ricominciamo da zero. Ricominciamo da tre (i 3 parlamentari appunto). Esistiamo, anche se siamo spesso un soggetto performativo, per usare ironicamente un termine della linguistica. Come europarlamentare mi trovo spesso davanti alla domanda: “E tu, chi sei?”. In quel momento, nominando la Lista, per forza di cose la faccio esistere come soggetto compiuto. Siamo una forza esigua ma si deve ripartire anche dalla nostra esperienza. Il che vuol dire: dai territori che l’hanno continuata a far vivere, dai successi e dalle adesioni che otteniamo localmente. Non aspettiamo, per nascere come soggetto politico, che altri decidano quale alternativa nuova e mai vista debba nascere alla politica di Renzi.

Il secondo punto che vorrei indicare riguarda la natura che si darà la Lista. È un punto collegato al primo, perché si tratta di insistere sempre, di nuovo, sull’intuizione iniziale: sull’aspirazione a essere, come movimento, massimamente inclusivi e unitari, massimamente aperti a tutte le adesioni. Aperti, come lo eravamo nelle elezioni europee, alle persone, ai diversi partiti e ai diversi movimenti della sinistra radicale, e anche a chi non si identifica del tutto con la formazione della Sinistra Europea ma si batte comunque per un’alternativa a Renzi e alle grandi intese popolari-socialisti-liberali nel Parlamento e nelle altre istituzioni europee: penso agli ecologisti, ai militanti delle battaglie anticorruzione e antimafia, e ai delusi del M5S, e infine – ancora una volta, e sempre più – agli astensionisti. È il motivo per cui, vorrei dirlo qui a Bologna, ho personalmente deciso tenere in sospeso la mia adesione alla Sinistra Europea, come parlamentare del Gue. Il nostro progetto politico non era la riproposizione di un insieme di partitini, e anche se essenzialmente di sinistra non era solo di sinistra. Non era antipartitico, ma era rigorosamente non-partitico. A me sembra che le scelte di molte nuove forze in ascesa della sinistra – Podemos in Spagna, il movimento “barriera umana” di Ivan Sinčić in Croazia – vadano precisamente nella stessa direzione.

Sono troppe le cose che abbiamo da fare, ognuno nel posto dove si trova, per aspettare ancora e rinviare il momento di creare le strutture di una nuova formazione politica decisa non solo a battersi ma a vincere, nelle future elezioni locali e nazionali. E dobbiamo farlo nella maniera più condivisa e democratica e unitaria possibile, ma dobbiamo farlo subito, qui. L’ora è adesso perché la crisi acuta è adesso. C’è l’Europa dell’austerità che dobbiamo cambiare, affiancando la battaglia che domani farà Syriza e dopodomani – spero – Podemos e Sinčić e la Linke nel paese chiave dell’Unione che è la Germania. C’è l’Europa-fortezza da mettere radicalmente in questione, con politiche dell’immigrazione che mutino i regolamenti sull’asilo, che garantiscano protezione ai profughi da guerre che attorno a noi si moltiplicano e ci coinvolgono, perché sono guerre che americani ed europei hanno acutizzato e quasi sempre scatenato. Perfino il mar Mediterraneo va ricostituzionalizzato, visto che l’Unione sta violando addirittura la legge del mare, mettendo in discussione il dovere di salvare le vite umane minacciate da naufragio. E vanno aboliti i Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, nella loro forma attuale. Ho visitato in dicembre quello di Ponte Galeria a Roma. Non è un centro, è un campo di concentramento. Non per ultimo: in Italia bisogna trovare risposte a un razzismo che sta esplodendo ovunque, non solo nel popolo della Lega, e che sarà sempre più legittimato dalle urne, se non impareremo a parlare in maniera giusta su queste questioni.

Sono talmente tante le cose da fare che non abbiamo letteralmente tempo di occuparci dei piccoli partiti, delle piccole o grandi secessioni dentro il Pd. Siamo in attesa che molti ci raggiungano e aderiscano alle nostre proposte. Siamo sicuri che verranno, perché la crisi è davvero straordinaria ed esige uno sforzo unitario egualmente straordinario. Proviamo a compierlo, fin da quest’assemblea.

Contro un’Europa antropofagica

Questo articolo sarà pubblicato sul quotidiano greco «I Avgi»

Se Syriza vince le elezioni del 25 gennaio, quel che sembrava impossibile potrebbe divenire possibile: un radicale cambiamento di rotta – non solo in Grecia ma nell’Unione europea – delle politiche anti-crisi, dei modi di negoziare e di parlarsi tra Stati membri, delle abitudini cittadine a fidarsi o non fidarsi dell’Unione. Fidarsi e ricominciare a sperare nell’Unione è oggi possibile solo in un’esperienza di lotta alla sua degenerazione liberista, alle sue tentazioni neonazionaliste e xenofobe, alla sua fuga dalla solidarietà: è quel che Alexis Tsipras promette.

Questi anni di crisi hanno trasformato l’Unione in una forza divisiva, punitiva, antropofagica. Hanno svuotato le costituzioni democratiche nazionali, nelle cosiddette periferie Sud, e in Europa la Carta dei diritti fondamentali. Hanno trasformato i governi in scolari minorenni, che ogni tanto scalciano e buttano sassi come ragazzini ma che hanno finito con l’interiorizzare la propria sottomissione e dipendenza da disciplinatori più forti, da ideologi che pur avendo fallito con le proprie dottrine perseverano nella propria arroganza dogmatica.

Le proposte di Syriza disturbano perché Tsipras non vuole uscire dall’euro ma restarvi, non mette in questione la gravità del debito pubblico ma intende combatterlo con politiche europee che siano consapevoli, finalmente, che la crisi non è solo di questa o quella nazione ma è sistemica: è crisi straordinaria dell’architettura dell’euro, bisognosa di misure collettive non meno straordinarie. Tsipras rimette al centro la politica, l’arte del negoziare, la conversazione tra adulti nell’Unione, la perduta dialettica fra sinistre e destre, la congiunzione tra progresso economico e progresso sociale e politico. L’accordo cui mira deve essere vantaggioso per tutti, e deve esser congegnato in maniera tale da far rinascere il progetto unitario postbellico, e il Manifesto di Ventotene nato in mezzo alla guerra contro tutte le forme di dispotismo, prevaricazione e umiliazione.

Barbara Spinelli a Bologna per lanciare l’Altra Emilia Romagna

di Paola Benedetta Manca, «Europa», 3 novembre 2014

«Il semestre di presidenza dell’Italia si chiude con un nulla totale. In Europa la politica di Matteo Renzi e del Pd è fallimentare. Non hanno spostato di un centimetro gli equilibri interni dell’Ue». L’europarlamentare dell’Altra Europa con Tsipras, Barbara Spinelli, da Bologna attacca frontalmente le politiche europee del governo Renzi. Spinelli ha dato il via ufficialmente alla campagna elettorale dell’Altra Emilia Romagna, la lista che si presenta alle elezioni regionali «in continuità politica e ideale con L’Altra Europa con Tsipras».

Al fianco di Spinelli, Cristina Quintavalla, candidata alla Presidenza dell’Emilia Romagna e Fabrizio Bocchino e Francesco Campanella, i due senatori espulsi dal Movimento 5 Stelle – che ora stanno dando vita all’esperimento del gruppo in Senato “Italia Lavori in corso” – e che sostengono l’Altra Emilia Romagna. «La proposta politica dell’Aer – spiega l’ex M5S Campanella – è quella che, in questo momento, ha maggiore credibilità. Sia dal punto di vista dell’impegno per la ridistribuzione del reddito che delle politiche del lavoro, con l’opposizione ferma al Jobs Act del governo Renzi e le lotte per tutelare la dignità dei lavoratori». «È anche il movimento – sottolinea – che ha elaborato la proposta politica più coerente sulle questioni dell’Unione Europea. In Europa, infatti, dobbiamo avere più voce in capitolo ma non uscendo dall’euro bensì ridiscutendo i trattati». Campanella confida nella nascita della lista “Altra Italia” a livello nazionale.

Presenti al lancio della campagna anche il giuslavorista Piergiovanni Alleva – capolista a Bologna e sentito in questi giorni dal Governo nell’ambito delle audizioni degli esperti sul Jobs Act – e l’economista-ambientalista Guido Viale. L’eurodeputata Spinelli ha bocciato a più riprese le politiche dell’Unione Europea. «Siamo in un’Europa – sottolinea – con un commissario all’Economia che si occupa di austerità e non di crescita e con un presidente della commissione Jean-Claude Juncker, tanto elogiato dal governo, che ha promesso un piano di 300 miliardi di euro in tre anni che non si sa come verrà finanziato, visto che ha previsto che i fondi arrivino dagli Stati e non dalle risorse dell’Unione Europea. Come ha già fatto notare la cancelliera Angela Merkel, però, alcuni stati sono così indebitati che non potranno mai contribuire».

«Renzi – attacca Spinelli – in Europa ha fatto solo “chicchirichì” ma poi ha accettato i diktat dell’Ue». È possibile però – sottolinea – fare resistenza, ma non con un atteggiamento minoritario, piuttosto guardando “oltre la sinistra classica, che va in piazza ma non solo in piazza». Con l’idea, come dice Landini, di governare e, se vinceremo le elezioni, lo faremo. Non staremo fuori dal governo a dire solo dei no ma attueremo un programma di sviluppo economico diverso”.

Insomma, la lista Altra Emilia Romagna, formata da esponenti del Prc, del PdcI, da ex 5 stelle e da una gran parte del mondo dell’associazionismo, sembra voler uscire dallo storico ruolo della sinistra radicale, quello di sola opposizione, e governare. Per questo, guarda con interesse ai voti dei delusi a 5 Stelle di sinistra, sperando che seguano l’esempio di Bocchino e Campanella. La lista di Grillo – afferma Quintavalla – attraversa una crisi molto significativa e credo sia l’occasione buona per un dialogo con la base».

A dividere profondamente i due movimenti, però – spiega la candidata parmense – «è il fatto che nel Movimento manca del tutto la democrazia partecipativa, come è evidente dal modo di governare Parma del sindaco Pizzarotti». Eppure l’Aer potrebbe in realtà conquistare proprio i voti dei “pizzarottiani”, stanchi della disciplina ferrea imposta da Grillo e Casaleggio e fautori di una politica più dialogante con gli avversari.

Il programma dell’Aer – spiega l’aspirante governatrice – si differenzia da quello di Stefano Bonaccini, candidato del Pd, in alcuni punti fondamentali: «gli aiuti promessi alle imprese che non vanno dati a chiunque, come vorrebbe Bonaccini, ma solo a chi dice no alle delocalizzazioni, regolarizza i lavoratori e investe sul territorio»; la «svendita di risorse e beni ai privati – a partire dalla sanità e con Unipol in testa – che noi non accettiamo» e il nodo delle infrastrutture, con il Pd che «dice sì a tutte le opere più disastrose per il territorio e che alimentano il dissesto idrogeologico: Cispadana, people mover, Passante nord. Noi, invece, siamo contro la cementificazione del territorio». Alla presentazione della lista erano presenti anche l’attore Ivano Marescotti (già candidato alle europee di primavera) e l’aspirante presidente in Calabria (dove la soglia per l’elezione è stata fissata dal centrodestra uscente all’8%), Domenico Gattuso.

Fonte

Chiusura della campagna elettorale
de L’Altra Europa con Tsipras

Discorso tenuto il 22 maggio 2014 a Santa Maria in Trastevere, Roma, durante il comizio finale

Siamo giunti all’ultimo pezzo di strada ed eccoci qui, con grandi aspettative e con qualche grande convinzione.

Prima convinzione: tutto questo cammino che abbiamo fatto, per raccogliere le firme, per parlare agli italiani e dir loro il programma che avevamo, è valso la pena. Perché l’Italia sta messa molto male e l’Europa anche, e nessun trattato, nessuna politica ha mostrato di funzionare.

Perché era l’ora di dire che sono troppe, e sempre più diffuse nei principali partiti e movimenti le menzogne, le illusioni, le trappole nemmeno molto nascoste nei discorsi che si fanno sull’Europa, sulle politiche che l’Europa ha fatto in questi anni di crisi, sul suo futuro. Quando parlo di protagonisti della campagna elettorale penso al partito di Renzi, il Pd, al Movimento di Grillo, a Berlusconi, e a chi fa campagna per l’uscita dall’euro o parla a vanvera di recupero della sovranità italiana sacrificata o perduta.

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Con Tsipras contro l’Europa dell’austerità

Intervista di Argiris Panagopoulos, da www.avgi.gr, 22 dicembre 2013

L’Europa dà l’impressione negli ultimi anni e soprattutto dopo l’inizio della crisi di essersi allontanata dai suoi cittadini.
Si è molto allontanata fino a quasi spezzare la corda tra le istituzioni europee e la cittadinanza. Ci sono due responsabili: le Istituzioni europee e gli Stati membri.
Se le Istituzioni europee hanno la responsabilità di non pensare alla crisi in maniera solidale, la responsabilità maggiore spetta agli Stati membri perché nel Trattato di Lisbona e nell’Unione, così com’è oggi, il potere degli Stati nazionali è preponderante. Perché ora gli stati contano di più, in particolare per il meccanismo del voto all’unanimità. E il più forte vince sul più debole, perché può mettere un veto contro i paesi più piccoli.

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