Cinque Presidenti sul Titanic dopo il Brexit

Bruxelles, 30 giugno 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel dibattito “The Five Presidents’ Report: Reforming the Euro or deepening Austerity?”, nel corso della Conferenza “A critical response to the 5 Presidents’ Report. One year after publication” organizzata da GUE/NGL.

Relatori:

  • Dimitris Papadimoulis, Vice Presidente del Parlamento europeo e membro di ECON, GUE/NGL, Grecia
  • Engelbert Stockhammer, Kingston University, Inghilterra
  • José Castro Caldas, Coimbra University, Portogallo
  • Fabio De Masi, membro di ECON, GUE/NGL, Germania
  • Barbara Spinelli, Vice Presidente AFCO, GUE/NGL, Italia

Vorrei ringraziare gli organizzatori di questa conferenza, che ha luogo in un momento di massima crisi costituzionale dell’Unione. Nel gruppo GUE-NGL, stamattina, Cornelia Ernst (Linke) ha detto che il Brexit è un cataclisma per il Regno Unito, per l’Unione se non saprà rispondere con una reinvenzione del progetto europeo, ma anche per noi della sinistra se perderemo il contatto con la realtà provando un segreto piacere per la falsa sovranità riconquistata dagli inglesi. Condivido l’analisi. È come quando sul Titanic si intese il famoso stridio della prima fessura apertasi sulla costata de transatlantico: tutti fecero come nulla fosse – questo è “business as usual” – continuando le attività in cui erano immersi: bevendo champagne, ballando, chiudendosi in piccole identità nazionali, stendendo rapporti tecnocratici dai toni ottimisti o anche magari manifesti ideologici sulle “radici di classe” del Titanic. La fine della storia la conosciamo. È simile alla fine della Repubblica di Weimar o anche dell’impero multietnico austro-ungarico, quando bastò un colpo di pistola perché tutti i soldati della Doppia Monarchia ricominciassero trionfalmente a parlare la propria lingua e a disprezzarsi l’un l’altro, come raccontato nella Marcia di Radetzky di Joseph Roth.

Così le principali istituzioni europee all’indomani della fessura che è stata procurata dal Brexit: il Rapporto presentato dai Cinque Presidenti viene nella sostanza riproposto, anche se con qualche variante leggermente più allarmata. È quello che si evince dal Consiglio europeo di ieri, e dalla precedente dichiarazione congiunta franco-tedesca. L’idea è di profittare dell’uscita inglese per dar vita a un’Unione più stretta geograficamente, economicamente e politicamente, eventualmente con un gruppo di avanguardia che corre più veloce di altri sottogruppi o di Paesi membri di seconda o terza classe. Cosa di per sé comprensibile, se non fosse che l’Unione ristretta tende a costituirsi sul Rapporto dei Cinque Presidenti senza mutarne la sostanza e senza aver imparato alcunché da quel che è successo.

Quel che mi è stato chiesto è una visione costituzionale dell’Europa cui dobbiamo tendere, dunque anche del Rapporto dei Cinque Presidenti, e vorrei a questo punto elencare alcuni elementi di riflessione su cui, a mio parere, potremmo concentrarci:

Primo: nella lettera comune dei ministri degli Esteri di Germania e Francia si parla di un’Europa che deve darsi una governance politica – il cambiamento rispetto al Rapporto è in quest’aggettivo, “politica”, senza specificare come simile governance debba organizzarsi democraticamente. Governance non è infatti sinonimo di governo politico: è una figura volutamente oscura e “innovativa” dal punto di vista costituzionale, e presuppone l’esistenza di popoli governabili, quindi sempre un po’ sospetti e per questo ridotti a passività. L’obiettivo è una gestione oligarchica del potere che non si fa limitare da contropoteri (parlamenti, elezioni, referendum, iniziative cittadine, Corti). Non si sa quale Parlamento controllerebbe l’Unione ristretta. Allo stesso modo in cui non si sa, nel caso del Brexit, come il Parlamento europeo parteciperà, proattivamente, ai negoziati sul recesso.

Secondo: i compiti della sinistra. Non penso che essa possa oggi auspicare la rottura totale con le istituzioni europee, senza essere identificata con le estreme destre. Il sovranismo assoluto, specie se inteso come sovranità nazionale e non sovranità popolare, è una risposta che non porta lontano la sinistra e ne polverizza in maniera catastrofica il peso. La memoria storica deve divenire un suo punto di forza, in considerazione del duplice fatto che l’unificazione europea nacque nel dopoguerra proprio come lavoro sulla memoria, e che le odierne élite europee ricordano a malapena gli ultimi cinque minuti: intendo memoria di Weimar, e anche memoria dell’elemento scatenante – il peccato capitale di omissione delle istituzioni europee – che è stato il negoziato Unione-Grecia sull’ultimo memorandum di austerità. Fin dall’inizio della legislatura ho pensato che il progetto delle istituzioni comunitarie di mettere in ginocchio il primo esperimento di una sinistra pro-europea al governo – la parola d’ordine nel Consiglio e nella Commissione era “crush Greece”, come rivelò l’ex ministro del Tesoro USA Timothy Geithner, mai smentito – avrebbe precipitato future disgregazioni dell’Unione. Il Brexit è figlio del Grexit e altre disgregazioni seguiranno, a partire secondo me dall’Europa orientale. Non perché la sovranità che gli inglesi pretendono recuperare sia equiparabile dal punto di vista dei contenuti alla sovranità chiesta a suo tempo da Syriza (una buona parte della campagna inglese per il leave vuole un mercato ancora meno controllato e addirittura l’uscita del Regno Unito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo) ma perché il Grexit ha lasciato tracce profonde, e accelerato il desiderio inglese di non subire il “crushing” inflitto ai greci. L’Inghilterra è più forte della Grecia, nel momento in cui si imbarca in simili imprese.

Terzo: lo scopo dei Cinque Presidenti è la creazione di un mercato unificato, non un progetto istituzionale e costituzionale serio. Si parla ora di governance politica, è vero, ma l’obiettivo non è certo una federazione, perché in una federazione gli squilibri tra Stati non sono per definizione insormontabili come lo sono oggi. Il primato assoluto è dato alla competitività, a un respingimento sempre più massiccio dei rifugiati che arrivano in Europa, e a un “completamento dell’Unione monetaria” che non accenna in alcun modo al controllo democratico della BCE e alla sua trasformazione in prestatore di ultima istanza, come avviene appunto nelle federazioni. Draghi dice: meglio le istituzioni che le regole. Ma le istituzioni che reclama servono a sostenere meglio e più efficacemente regole che non mutano.

Quarto: nel documento franco-tedesco si insiste su un nuovo punto: l’integrazione nel campo della sicurezza e della politica militare. È un vecchio desiderio di Kohl, che Mitterrand non accolse quando nacque l’euro, ma il problema è quello di sempre. Si creano unificazioni settoriali, secondo il vecchio metodo funzionalista, nell’illusione che per questa via si andrà verso il migliore dei mondi possibili, cioè verso qualche forma di comune governo democratico. L’euro ha confermato che era non solo e non tanto un’illusione, ma piuttosto un imbroglio. E poi: chi deciderà la politica estera? Come e con quali Paesi dell’Unione diventare autonomi da una potenza americana e da vertici Nato che in Europa puntano oggi a una guerra fredda con la Russia?

Quinto punto: la democrazia. Il Rapporto propone consultazioni strette con il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali, ma non fissa nuove competenze e diritti, e non dice nulla sui necessari cambiamenti dei Trattati né su eventuali nuove Convenzioni, come chiesto ieri in plenaria – invano e senza appoggio del nostro gruppo – dal gruppo dei Verdi. In parallelo si potenziano istituzioni come l’Eurogruppo, che diventa il fulcro della futura governance politica: un eurogruppo che nessun Parlamento oggi controlla, che non è trasparente, che nemmeno tiene i verbali delle proprie riunioni.

In altre parole: niente di nuovo in Occidente. Continua il vecchio inganno, secondo cui a forza di cosiddette “convergenze” settoriali si arriverà a un’unione politica solidale. Non vedo come ripetere lo stesso errore possa fare il miracolo di produrre risultati diversi dal passato.

Solidarietà e leale collaborazione tra gli Stati membri in merito alle decisioni di ricollocazione

di venerdì, Maggio 27, 2016 0 , , Permalink

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001501/2016 al Consiglio

Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL)

Oggetto: Solidarietà e leale cooperazione tra gli Stati membri in merito alle decisioni di ricollocazione

Il 16 febbraio il primo ministro portoghese António Costa ha espresso la propria solidarietà in merito alla questione dei rifugiati in una lettera al primo ministro greco Alexis Tsipras.

Costa ha dichiarato che il Portogallo è disposto ad accogliere 2 000 rifugiati nelle università e 800 negli istituti tecnici, e sta prendendo in esame la possibilità di collocarne altri 2 500‑3 000 nei settori dell’agricoltura e della silvicoltura.

Costa ha inoltre affermato l’impegno del Portogallo a garantire che l’Europa continui ad avere solo una frontiera esterna e nessuna frontiera interna.

Intende il Consiglio esprimere il proprio favore per l’iniziativa e raccomandare agli Stati membri di seguire tale buona pratica nella speranza che essa divenga una norma comune all’interno dell’Unione, rispettando così lo spirito dell’articolo 80 TFUE?

Come intende procedere il Consiglio, in conformità del principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4 TUE, per garantire che i suoi rappresentanti introducano tutte le misure opportune per garantire il rispetto dei meccanismi di ricollocazione di emergenza adottati durante le riunioni straordinarie del Consiglio GAI del 14 e del 21 settembre 2015 e si astengano da qualsiasi iniziativa che potrebbe pregiudicarne l’attuazione?


IT

E-001501/2016

Risposta

(23.5.2016)

Nelle riunioni del dicembre 2015 e febbraio 2016, il Consiglio europeo[1] ha esortato gli Stati membri ad attuare le decisioni di ricollocazione adottate il 14 e 22 settembre 2015.

Nella dichiarazione del 7 marzo 2016 i capi di Stato o di governo dell’UE hanno convenuto che è necessario intervenire per accelerare in maniera significativa l’attuazione della ricollocazione al fine di alleviare il pesante onere che grava attualmente sulla Grecia. Gli Stati membri sono stati invitati a rispondere in maniera rapida ed esaustiva alla richiesta dell’EASO di consulenze nazionali per sostenere il sistema di asilo greco e sono stati altresì invitati a fornire con urgenza ulteriori posti di ricollocazione. I capi di Stato o di governo hanno inoltre convenuto che occorre fornire ulteriore assistenza alla Grecia per garantire il corretto funzionamento dei punti di crisi, con il 100% di identificazioni, registrazioni e controlli di sicurezza, e la messa a disposizione di sufficienti capacità di accoglienza. Tutti gli Stati membri sono stati invitati a rispondere in maniera esaustiva all’ulteriore richiesta di Frontex di agenti distaccati nazionali. È stato inoltre convenuto che Europol schiererà rapidamente gli agenti distaccati in tutti i punti di crisi al fine di potenziare i controlli di sicurezza e sostenere le autorità greche nella lotta contro i trafficanti.

Nelle riunioni di marzo 2016 il Consiglio europeo[2] ha confermato la propria strategia globale intesa ad affrontare la crisi migratoria. Ha invitato ad accelerare la ricollocazione dalla Grecia, che comprende lo svolgimento dei necessari controlli di sicurezza. Poiché il numero di domande è al momento superiore al numero di posti offerti, come indicato nella relazione della Commissione del 16 marzo[3], gli Stati membri dovrebbero offrire rapidamente più posti conformemente agli impegni esistenti. Il Consiglio europeo ha altresì invitato a intensificare i lavori sui punti di crisi. Ha chiesto di proseguire gli sforzi per rendere tutti i punti di crisi pienamente operativi e accrescere le capacità di accoglienza, con la piena assistenza dell’UE, ivi incluso un sostegno alle strutture di asilo della Grecia.

[1]     EUCO 28/15 (Consiglio europeo del 17-18 dicembre 2015). EUCO 1/16 (Consiglio europeo del 18‑19 febbraio 2016).

[2]     EUCO 12/01/2016.

[3]     7180/16.

Rimandare i migranti in Turchia viola il principio di non-respingimento

Bruxelles, 4 aprile 2016

Barbara Spinelli rivolge un’interrogazione scritta alla Commissione europea chiedendo conto della conformità dell’accordo UE-Turchia con il divieto di respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra.

Titolo: Conformità dell’accordo UE-Turchia con il principio di non-respingimento

Considerando che, secondo l’Osservatorio siriano per i Diritti umani, sedici profughi siriani, tra cui tre bambini, sono stati uccisi dalle Guardie di frontiera turche nel tentativo di mettersi in salvo in Turchia;

Considerando che l’UNHCR ha evidenziato continue e gravi carenze nelle condizioni procedurali e di accoglienza in Turchia e in Grecia e ha precisato che in tutta la Grecia – che è stata costretta a ospitare un numero sproporzionato di rifugiati in seguito alla chiusura delle frontiere della rotta balcanica e al fallimento dello schema di ricollocazione dell’UE – numerosi aspetti del sistema di accoglienza delle persone richiedenti protezione internazionale sono ancora non funzionanti o assenti;

Considerando che i ricercatori di Amnesty International di stanza nel Sud della Turchia hanno raccolto testimonianze di siriani i quali hanno riferito che i loro parenti sono stati espulsi dal Paese in violazione del diritto internazionale, compresi i minori non accompagnati;

Considerando che l’accordo europeo con la Turchia è stato ritenuto illegale da Peter Sutherland, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per le Migrazioni internazionali e lo Sviluppo, giacché deportare migranti e rifugiati senza aver prima vagliato le loro richieste di asilo violerebbe il diritto internazionale;

In base a quali elementi la Commissione ritiene che rimandare i migranti in Turchia non violi il principio di non-refoulement, vincolante per l’Unione europea?

La Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni vota a favore del rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo

Il 16 marzo, la Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni (LIBE) del Parlamento Europeo riunita a Bruxelles ha adottato la relazione d’iniziativa sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione. La risoluzione sarà ridiscussa e votata dal Parlamento Europeo durante la seduta plenaria di aprile.

Co-relatrici: Cécile Kyenge (Partito Socialista) e Roberta Metsola (Partito Popolare Europeo)

Relatore ombra per il gruppo GUE/NGL: Barbara Spinelli

 Dopo il voto, Barbara Spinelli ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«Oggi la Commissione LIBE ha adottato la relazione sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione.

Il rapporto presenta notevoli punti positivi, soprattutto per quanto riguarda la necessità di riconoscere vie legali e sicure di accesso al territorio dell’Unione e la creazione di un sistema europeo di ricerca e salvataggio in mare.

Deploro, ciononostante, il processo decisionale che ha portato al voto di questo rapporto. Il rapporto è stato assegnato più di un anno fa a due relatrici – Cécile Kyenge (Partito Socialista) e Roberta Metsola (Partito Popolare Europeo) – e tale procedura, che affida la guida dei rapporti parlamentari ai due maggiori gruppi del Parlamento, non è mai di buon auspicio. L’esperienza insegna che, poiché i due gruppi politici formano da soli una maggioranza solida in Parlamento, l’opinione degli altri gruppi è messa in disparte e il pluralismo viene aggirato. Nel caso in specie e per volontà congiunta dei Socialisti e dei Popolari, i nostri 168 emendamenti, scritti con l’appoggio di numerosi accademici, associazioni della società civile e ONG, non sono stati sottoposti al voto. È il motivo per cui solo alcuni di essi sono stati incorporati negli emendamenti di compromesso votati oggi. Quel che deploro, è che l’insieme delle nostre controproposte non abbia trovato spazio né visibilità nei testi di compromesso.

Se alla fine una parte dei nostri emendamenti è stata inclusa, dopo difficili e lunghi negoziati, lo si deve alla tenacia con cui il Gue, i Verdi, l’Alde, i Cinque Stelle si sono battuti per incorporare alcuni punti importanti negli emendamenti di compromesso come:

– la necessità di prevedere misure di accoglienza, sostegno e opportunità di integrazione a migranti, richiedenti asilo e rifugiati;

– l’esortazione agli Stati membri a introdurre specifiche procedure per la determinazione dell’apolidia e a condividere pratiche di eccellenza (best practices);

– il richiamo al fatto che sia il diritto internazionale sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE impongono agli Stati membri di esaminare opzioni alternative alla detenzione;

– la critica forte del sistema di Dublino, e la richiesta, fatta alla Commissione e agli Stati membri, di superarne le rigidità e di diminuire il peso che grava sugli Stati di prima accoglienza (essenzialmente Grecia e Italia);

– la menzione delle cause profonde della fuga dei migranti: guerre, povertà, corruzione, fame, pulizie etniche, disastri naturali e cambiamento climatico;

Il rapporto presenta tuttavia alcune debolezze a mio parere gravi. Sono passate malgrado il voto negativo del mio gruppo paragrafi a favore del piano d’azione comune UE-Turchia, da me radicalmente criticato; disposizioni a favore di rimpatri e accordi di riammissione con Stati Terzi (processo di Khartoum); e una serie di capitoli sul rafforzamento dei controlli delle frontiere esterne di Schengen (criticabile è il nesso stretto stabilito con le frontiere interne), sulla proposta di una lista europea di Stati di origine sicuri e sulla creazione di una Guardia Costiera europea.

Le sezioni riguardanti il ricongiungimento familiare potevano e avrebbero dovuto essere ulteriormente rafforzate, favorendo il ricongiungimento di membri di famiglie allargate ed eliminando le restrizioni (burocratiche, pecuniarie) che intralciano il ricongiungimento intra e extra-europeo di moltissime famiglie. Infine, ed è una mancanza a mio parere cruciale, il rapporto non riconosce il ruolo svolto dagli interventi militari occidentali nella grave destabilizzazione degli Stati di origine o di transito di tanti rifugiati che arrivano in Europa.

Altra nostra domanda che non è stata accolta: la definizione di uno statuto giuridico – tuttora assente nel diritto internazionale – per i rifugiati ambientali.

Esaminando i punti positivi e quelli negativi del testo, ho tuttavia consigliato ai miei colleghi, nel mio ruolo di relatore ombra per il gruppo GUE/NGL,  di dare all’insieme del rapporto un voto positivo, pur raccomandando il voto negativo su una ventina di paragrafi di compromesso».

Allegati:

Gli emendamenti presentati da Barbara Spinelli al rapporto (file .pdf)

La bozza del rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo (file .doc)

Accogliere i rifugiati, o è barbarie

Noi, cittadini dei paesi membri dell’Unione europea, della zona Schengen, dei Balcani e del Mediterraneo, del Medioriente e di altre regioni del mondo che condividono le nostre preoccupazioni, lanciamo un appello d’emergenza ai nostri concittadini, ai governi, ai rappresentanti nei parlamenti nazionali e al Parlamento europeo, oltre che alla Corte europea dei diritti dell’uomo e all’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati:

Bisogna salvare e accogliere i rifugiati dal Medioriente
Da anni, i migranti del sud del Mediterraneo che fuggono dalla miseria, dalla guerra e dalla repressione annegano o si scontrano contro le barriere. Quando riescono ad attraversare, dopo essere stati vittime delle filiere di trafficanti, vengono respinti, messi in carcere o obbligati a vivere nella clandestinità da stati che li designano come dei «pericoli» e come dei «nemici». Tuttavia, coraggiosamente, si ostinano e si aiutano a vicenda per salvare le loro vite e ritrovate un avvenire.
Ma dopo che le guerre in Medioriente e soprattutto in Siria si sono trasformate in massacro di massa senza una prevedibile fine, la situazione ha cambiato dimensione. Popolazioni intere, prese in ostaggio tra i belligeranti, bombardate, affamate, terrorizzate, sono gettate in un esodo pericoloso che, a costo di migliaia di morti supplementari, precipita uomini, donne e bambini verso i paesi vicini e bussa alle porte dell’Europa.

Siamo di fronte a una grande catastrofe umanitaria. Ci mette di fronte a una responsabilità storica da cui non possiamo sfuggire.
L’incapacità dei governi di tutti i paesi a mettere fine alle cause dell’esodo (quando non contribuiscono ad aggravarlo) non li esonera dal dovere di soccorrere e di accogliere i rifugiati rispettando i loro diritti fondamentali, che con il diritto d’asilo sono inscritti nelle dichiarazioni e convenzioni che fondano il diritto internazionale.
A parte alcune eccezioni – l’iniziativa esemplare della Germania, non ancora sospesa a tutt’oggi, di aprire le porte ai rifugiati siriani; lo sforzo gigantesco della Grecia per salvare, accogliere e scortare migliaia di naufraghi che ogni giorno sbarcano sulle sue rive, mentre l’economia del paese è crollata in un’austerità devastatrice; la buona volontà dimostrata dal Portogallo per raccogliere una parte dei rifugiati che stazionano in Grecia – i governi europei si sono rifiutati di valutare con realismo la situazione, di spiegarla alle opinioni pubbliche e di organizzare la solidarietà superando gli egoismi nazionali. Al contrario, da est a ovest e da nord a sud, hanno respinto il piano minimo di ripartizione dei rifugiati elaborato dalla Commissione o hanno cercato di sabotarlo. Peggio ancora, hanno scelto la repressione, la stigmatizzazione, la violenza contro i rifugiati e i migranti in generale. La situazione della «giungla» di Calais, a cui adesso fa seguito lo smantellamento forzato, senza tener conto né dello spirito né della lettera di un sentenza giudiziaria, ne è l’illustrazione scandalosa, ma non è la sola.
All’opposto, sono i semplici cittadini d’Europa e d’altrove – pescatori e abitanti di Lampedusa e di Lesbos, militanti di associazioni di soccorso ai rifugiati e delle reti di sostegno ai migranti – che hanno salvato l’onore e mostrato la strada per una soluzione.
Ma si scontrano tuttavia con la mancanza di mezzi, l’ostilità a volte violenta dei poteri pubblici, e devono far fronte, come gli stessi rifugiati e migranti, alla rapida crescita di un fronte europeo della xenofobia, che va da organizzazione violente, apertamente razziste o neo-fasciste, fino a dei leader politici «rispettabili» e a governi sempre più preda dell’autoritarismo, del nazionalismo e della demagogia. Due Europe totalmente incompatibili si fanno così fronte, tra le quali bisogna ormai scegliere.

Questa tendenza xenofoba, ad un tempo micidiale per gli stranieri e rovinosa per l’avvenire del continente europeo come terra di libertà, deve immediatamente rovesciarsi.
Nel mondo ci sono 60 milioni di rifugiati, il Libano e la Giordania ne accolgono un milione ciascuno (rispettivamente il 20% e il 12% delle loro popolazioni), la Turchia 2 milioni (3%). Il milione di rifugiati arrivati nel 2015 in Europa (una delle più ricche regioni del mondo, malgrado la crisi) rappresenta solo lo 0,2% della popolazione! Non soltanto i paesi europei, presi nel loro insieme, hanno i mezzi per accogliere i rifugiati e trattarli in modo dignitoso, ma hanno il dovere di farlo per poter continuare a fare riferimento ai diritti dell’uomo come fondamento della loro costituzione politica. È anche nel loro interesse, se vogliono cominciare a ricreare, con tutti i paesi dello spazio mediterraneo che da millenni condividono la stessa storia e le stesse eredità culturali, le condizioni di una pacificazione e di una vera sicurezza collettiva. È questa la condizione per far indietreggiare al di là dell’orizzonte lo spettro di una nuova epoca di discriminazioni organizzate e di eliminazione di esseri umani «indesiderabili».
Nessuno può dire quando e in quali proporzioni i rifugiati rientreranno «a casa loro» e non si deve neppure sotto-stimare la difficoltà del problema da risolvere, le resistenze che suscita, gli ostacoli, persino i rischi, che comporta. Ma nessuno deve neppure ignorare la volontà di accoglienza delle popolazioni e la volontà di integrazione dei rifugiati. Nessuno ha il diritto di definire insolubile il problema, per meglio sfuggirvi.

Ampie misure d’emergenza vanno prese quindi immediatamente
Il dovere di assistenza ai rifugiati del Medioriente e dell’Africa nel quadro di una situazione d’emergenza deve venire proclamato e messo in atto dalle istanze dirigenti della Ue e declinato in tutti gli stati membri. Deve ricevere l’approvazione delle Nazioni unite e fare oggetto di una concertazione permanente con gli stati democratici di tutta la regione.
Forze civili e militari devono venire impegnate, non per fare una guerriglia marittima contro i passeurs, ma per portare soccorso ai migranti e fermare lo scandalo degli annegati. È solo in questo quadro che potrà essere possibile reprimere i traffici e condannare le complicità di cui godono. La proibizione dell’accesso legale è difatti all’origine delle pratiche mafiose, non il contrario.
Il fardello dei paesi di prima accoglienza, in particolare la Grecia, deve essere immediatamente alleggerito. Il loro contributo all’interesse comune deve venire riconosciuto. Il loro isolamento deve venire denunciato e ribaltato in solidarietà attiva.
La zona di libera circolazione di Schengen deve essere preservata, ma gli accordi di Dublino che prevedono il rinvio dei migranti verso il paese d’entrata devono venire sospesi e rinegoziati. L’Ue deve fare pressione sui paesi del Danubio e balcanici perché riaprano le frontiere, e negoziare con la Turchia perché cessi di utilizzare i rifugiati come alibi politico-militare e moneta di scambio.
Contemporaneamente, devono venire messi a disposizione mezzi di trasporto aerei e marittimi per trasferire tutti i rifugiati recensiti come tali nei paesi del «Nord» dell’Europa che possono oggettivamente riceverli, invece di lasciare che si intasino in un piccolo paese che rischia di diventare un immenso campo di ritenzione per conto dei vicini.
A più lungo termine, l’Europa – che deve far fronte a una grande sfida, di quelle che cambiano il corso della storia dei popoli – deve elaborare un piano democraticamente controllato di aiuto a chi è sfuggito al massacro e a coloro che portano loro soccorso: non soltanto delle quote di accoglienza, ma aiuti sociali per la scuola, per la costruzione di case decenti, quindi un finanziamento speciale e disposizioni legali che garantiscano nuovi diritti per inserire degnamente e pacificamente le popolazioni sfollate nei paesi d’accoglienza.
Non c’è altra alternativa: ospitalità e diritto d’asilo, o la barbarie!

Primi firmatari:
Michel AGIER (Francia)
Horst ARENZ (Germania)
Athéna ATHANASIOU (Grecia)
Chryssanthi AVLAMI (Grecia)
Walter BAIER (Austria)
Etienne BALIBAR (Francia)
Sophie BESSIS (Tunisia)
Marie BOUAZZI (Tunisia)
Hamit BOZARSLAN (Francia, Turchia)
Judith BUTLER (Stati Uniti)
Claude CALAME (Francia)
Marie-Claire CALOZ-TSCHOPP (Svizzera)
Dario CIPRUT (Svizzera)
Patrice COHEN-SEAT (Francia)
Edouard DELRUELLE (Belgio)
Matthieu DE NANTEUIL (Belgio)
Meron ESTEFANOS (Eritrea)
Wolfgang-Fritz HAUG (Germania)
Ahmet INSEL (Turchia)
Pierre KHALFA (Francia)
Nicolas KLOTZ (Francia)
Justine LACROIX (Belgio)
Amanda LATIMER (Regno Unito)
Camille LOUIS (Francia)
Giacomo MARRAMAO (Italia)
Roger MARTELLI (Francia)
Sandro MEZZADRA (Italia)
Toni NEGRI (Italia)
Maria NIKOLAKAKI (Grecia)
Josep RAMONEDA (Spagna)
Judith REVEL (Francia)
Vicky SKOUMBI (Grecia)
Barbara SPINELLI (Italia)
Bo STRÅTH (Svezia)
Etienne TASSIN (Francia)
Mirjam VAN REISEN (Olanda)
Hans VENEMA (Olanda)
Marie-Christine VERGIAT (Francia)
Frieder Otto WOLF (Germania)
Mussie ZERAI (Eritrea)

Per firmare: 
baier@transform-network.net

steiner@transform-network.net


Versione inglese:

Welcome refugees to Europe – A moral and political necessity

I rifugiati intrappolati in Grecia

COMUNICATO STAMPA

Bruxelles, 3 marzo 2016

«Il blocco della rotta balcanica è uno strumento usato per destabilizzare uno Stato Membro dell’Unione: la Grecia», ha detto questa mattina Barbara Spinelli nel corso di un dibattito del gruppo Gue/Ngl dedicato ai confini esterni dell’Unione e al tracollo di Schengen. «Penso che l’accusa fatta al governo greco di “spingere i popoli a fuggire” sia di un infantilismo estremo.

«In primo luogo,  chi fa simili accuse sa perfettamente come stanno le cose: i rifugiati sono oggi intrappolati in Grecia perché la rotta balcanica è stata chiusa al confine greco-macedone in seguito a una decisione adottata dall’Austria in accordo con il gruppo di Visegrad e, soprattutto, in un vertice di qualche giorno fa, con nove Paesi balcanici.

«Vienna sta organizzando una sorta di sottogruppo dell’Unione, una sua “area di influenza”,  e con l’aiuto di Paesi che non appartengono all’UE mette in ginocchio uno Stato dell’Unione. Il ministro della migrazione greco fa bene a parlare di caduta dell’Ue in politiche di potenza che ricordano l’Ottocento.

«C’è poi un secondo segno di infantilismo o malafede: non vedere i motivi per cui la gente fugge in massa verso l’Europa da Stati devastati da anni di guerra serve in realtà a nascondere il fatto che queste guerre sono state attivamente promosse o addirittura fatte dall’Occidente, e a sviare l’attenzione da quelle che si accinge a fare di nuovo in Libia», ha continuato l’eurodeputata del Gue-Ngl. «Per questo chiedo di riflettere sul fatto che alla seconda guerra in Libia intendono partecipare, accanto agli Usa, due Stati dell’Unione: Italia e Libia.

«Quanto alle operazioni della Nato alle frontiere Sud dell’Europa, sono d’accordo con il collega Nikolaos Chountis (Unità Popolare, Grecia): stiamo assistendo a un salto di qualità che va denunciato, perché stravolge la politica europea di asilo trasformandola in una politica concentrata per intero sui respingimenti, in violazione palese della Convenzione di Ginevra».

Da Londra ad Atene un involucro vuoto chiamato Europa

Articolo pubblicato su «Il Fatto Quotidiano», 1° marzo 2016. La versione inglese è apparsa su openDemocracy

È giunta l’ora di trovare il filo che lega i vari disastri dell’Unione europea: i rifugiati in primis, e l’austerità, lo sfaldarsi delle Costituzioni nei Paesi membri, l’Europa più ristretta e meno democratica che potrebbe nascere dopo l’accordo con Londra.

L’Europa già si è sfaldata nel 2013-2014, come progetto solidale fondato sui diritti, durante la crisi del debito greco. Un Paese membro è stato lasciato solo e senza protezioni, perché passassero riforme di austerità che si erano già mostrate fallimentari non solo nell’Europa ma nel mondo (penso ai programmi di ristrutturazione del Fondo monetario degli anni ’80 in Africa, Asia e America Latina). Il governo Tsipras su cui si erano appuntate molte speranze della sinistra europea non è stato capace di insistere, e si è piegato a un memorandum ancora più duro dei precedenti.

Il cedimento non è servito a nulla, se è vero che Atene continua a esser minacciata di espulsione: sulla questione dei rifugiati è di fatto già oggi esclusa da Schengen. Nei giorni scorsi l’Austria non solo ha chiuso le proprie frontiere, facendo propria la strategia perseguita già da tempo dal gruppo di Visegrad (Repubblica ceca, Polonia, Slovacchia) ma ha convocato una riunione con nove Paesi balcanici, il 24 febbraio, per interrompere il flusso dei migranti lungo il confine macedone. La Grecia non è nemmeno stata invitata, come se non fosse l’attore principale del dramma. Il suo governo ha giustamente denunciato la caduta dell’Europa in sistemi di dominio che “hanno radice nell’Ottocento”.

Vienna e il gruppo Visegrad hanno un doppio obiettivo. Primo: isolare una volta per tutte Atene, e spostare i confini esterni dell’Unione in Centro-Europa. Secondo: far pagare al governo tedesco le posizioni troppo aperte sui rifugiati. Oggi Angela Merkel è isolata in materia di immigrazione, e questo spiega il suo corteggiamento, pericolosissimo, del regime di Erdogan. Con quest’ultimo infatti l’Unione sta stipulando un accordo capestro, gestito proprio da Berlino.

È un accordo capestro perché nei negoziati con la controparte europea il governo turco è stato esplicito, come dimostrano i verbali delle riunioni trapelati in seguito a fuga di notizie. Erdogan ha minacciato di inondare i paesi dell’Unione Europea, se non riceverà da quest’ultima tutto quel che chiede: soldi, e silenzio sul massacro dei curdi che Ankara sta compiendo nel Sud-est del Paese, oltre che sui bombardamenti dei curdi siriani della Repubblica di Rojava.

La Francia si dice in disaccordo con le decisioni di Vienna e del gruppo di Visegrad, ma il 16 febbraio il premier Valls ha respinto l’ipotesi di accogliere un maggior numero di migranti, come le è stato richiesto. La frontiera italo-francese resta chiusa.

Naturalmente questi terremoti provocano ulteriori scosse nell’Unione, non meno gravi. Una di queste è l’accordo Unione Europea-Gran Bretagna per evitare il Brexit. Un accordo di per sé non sorprendente, perché l’Inghilterra già ha uno statuto a parte: è fuori dall’euro, da Schengen, dalla Carta dei diritti fondamentali, dalle comuni politiche interne e di giustizia. Se dopo il referendum restasse nell’Unione, sarebbe fuori anche dalla libera circolazione dei lavoratori e dai diritti sociali che essa implica.

La cosa grave è che Londra ha creato un precedente. Da ora in poi, ogni Paese Membro che non voglia far parte di progetti comuni sarà spinto a negoziare una clausola di esclusione, un opt-out. L’Ungheria ha già annunciato mosse in tal senso sulle quote di rifugiati che le sono state assegnate, per alleggerire il peso che grava su Grecia e Italia, dalla Commissione. La Polonia potrebbe seguire l’esempio.

Gli ottimisti dicono che nell’accordo Unione-Gran Bretagna c’è una parte positiva: Londra non potrà bloccare un’“unione più stretta” fra i paesi che lo vogliono. È vero, ma solo sulla carta. Quel che oscuramente si programma è un’Europa al tempo stesso più piccola, ancora meno democratica, e più oligarchica che mai. Quale Parlamento la controllerebbe, visto che l’attuale Parlamento rappresenta 28 nazioni? Quali sarebbero gli opt-out di altri Paesi? Non sarebbe né l’Europa federale e democratica di Ventotene, né l’intercapedine tra Stati sovrani diminuiti e mondo della finanza globale. Già oggi non lo è. Lo sarebbe ancor meno. Sarebbe un mercato e tutto finirebbe qui.

Infine penso sia giunto il momento di fare il punto sulle sinistre in Europa. Non intendo le sinistre socialdemocratiche o il Pd, che danno il proprio consenso a quest’Europa ridotta a mercato, che in politica estera seguono passivamente le strategie della Nato lungo i confini con la Russia o in Libia e Mediterraneo. Intendo le sinistre europee e veramente federali auspicate per esempio dal movimento, ancora in statu nascendi, dell’ex ministro greco Yanis Varoufakis (DiEM25).

Questa sinistra internazionalista e federale non ha un compito facile. Perché buona parte della sinistra radicale, inseguendo progetti di sovranismo, riduce il suo stesso peso in Europa, fuori dei piccoli Stati di cui è espressione. Perché nelle sue confutazioni mette sullo stesso piano la centralizzazione della tecnostrutttura europea e il federalismo, lasciando che quest’ultimo sia confiscato da chi vuole l’Europa ristretta, ancora più burocratica e oligarchica. Se si vuole servire i cittadini europei, e risvegliare in essi il bisogno di Europa, bisogna informarli meglio su quel che veramente sta accadendo, e che fin da oggi sta disgregando il progetto europeo, inizialmente concepito per meglio proteggerli dalle dittature, dagli Stati più forti del continente, e dai mercati globali.

Sulle politiche di ricollocazione dei richiedenti asilo, l’Unione europea segua l’esempio del Portogallo

COMUNICATO STAMPA

Bruxelles, 22 febbraio 2016

Lo scorso 16 febbraio, il primo ministro portoghese Antonio Costa ha inviato una lettera al premier Alexis Tsipras dichiarando l’intenzione del suo Paese di accogliere migliaia di rifugiati dalla Grecia, in segno di solidarietà. Il Portogallo si è offerto di ospitare duemila rifugiati nelle università e ottocento in istituti tecnici, e sta valutando la possibilità di ospitarne altrettanti nel settore agricolo e forestale.

Barbara Spinelli ha registrato in data odierna un’interrogazione scritta rivolta al Consiglio, invitandolo a far propria l’iniziativa del Portogallo e a raccomandare agli Stati membri di seguire questo buon esempio, nella speranza che possa diventare pratica comune all’interno dell’UE, nello spirito dell’articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sul principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri.

L’eurodeputata del GUE/NGL ha infine chiesto al Consiglio quali azioni intenda intraprendere, in accordo con il principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4 TUE, al fine di garantire che i suoi rappresentanti diano esecuzione e non intralcino l’attuazione degli schemi di ricollocazione di emergenza adottati durante le riunioni straordinarie del Consiglio Giustizia Affari Interni del 14 e 21 settembre 2015.

Il Consiglio deve impegnarsi a ricollocare i richiedenti asilo bloccati in Grecia e Italia

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli: “Il Consiglio deve impegnarsi a ricollocare i richiedenti asilo bloccati in Grecia e Italia”. Firmano l’interrogazione scritta 24 eurodeputati di vari gruppi politici 

Bruxelles, 11 dicembre 2015

Barbara Spinelli ha presentato un’interrogazione al Consiglio sull’attuazione delle decisioni relative alla ricollocazione di 160,000 richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia. Le due decisioni del Consiglio dell’Unione Europea sono state adottate nel corso delle riunioni del Consiglio straordinario Giustizia e Affari Interni il 14 e 21 settembre e prevedono la ricollocazione di un totale di 160’000 richiedenti asilo provenienti da Grecia e Italia negli altri Stati membri dell’Unione europea. “Come indicato nella comunicazione della Commissione (COM (2015) 510 definitivo), entrambe le decisioni richiedono un immediato follow-up delle istituzioni dell’UE, degli Stati membri sotto pressione e degli Stati membri che si sono impegnati ad ospitare persone ricollocate“, afferma l’eurodeputata del gruppo GUE/NGL.

Lo stesso documento sottolinea che, a partire dal 14 ottobre, ventuno Stati membri hanno individuato i punti di contatto nazionali, e fino ad ora solo sei Stati membri hanno notificato le capacità di accoglienza messe a disposizione per i profughi da ricollocare. Fino a quel giorno, appena 86 richiedenti asilo erano ricollocati dall’Italia con il nuovo regime. Il 3 novembre, un comunicato stampa della Commissione ha sottolineato che il primo volo di trasferimento dalla Grecia con 30 richiedenti asilo era pronto a partire per il Lussemburgo”.

Barbara Spinelli, insieme a 24 eurodeputati di vari gruppi politici (Socialisti, Liberali, Verdi, Sinistra unitaria europea) chiede dunque al Consiglio quali misure intenda prendere perché i rappresentanti degli Stati membri si impegnino a ricollocare quanto prima i richiedenti asilo bloccati in Grecia e in Italia in condizioni di allarmante precarietà.

Firmatari:
Barbara Spinelli, Philippe Lamberts, Michèle Rivasi, Yannick Jadot, Pascal Durand, Eva Joly, José Bové, Karima Delli, Igor Soltes, Eleonora Forenza, Merja Kyllönen, Dimitrios Papadimoulis, Malin Björk, Josu Juaristi Abaunz, Takis Hadjigeorgiou, Julie Ward, Liisa Jaakonsaari, José Inácio Faria, Nedzhmi Ali, Neoklis Sylikiotis, Sofia Sakorafa, Kostadinka Kuneva, Patrick Le Hyaric, Dennis De Jong, Stelios Kouloglou

Testo dell’interrogazione (file .pdf)

Sulla gestione della crisi dei rifugiati

di mercoledì, Novembre 11, 2015 0 , , , Permalink

Bruxelles, 10 novembre 2015

Intervento di Barbara Spinelli in occasione della Riunione della Commissione Libertà civili, giustizia e gli affari interni.

Punto in Agenda:

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO EUROPEO E AL CONSIGLIO “Gestire la crisi dei rifugiati: stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione”

  • Presentazione a cura di Matthias Ruete, direttore generale, Commissione europea, DG Migrazione e affari interni (sostituito da Marta Cygan, direttrice della Direzione A – Strategia e Affari Generali, DG Migrazione e affari interni)

Desidero porre alla Signora Cygan una domanda in merito alla questione hotspot in Italia, di cui all’allegato 3 della Comunicazione in esame, ma prima di ciò, vorrei richiamare l’attenzione della Commissione su una situazione molto grave che riguarda l’assistenza alla Grecia.

La Commissione pretende di aver dato il via all’erogazione di aiuti – a un paese, ricordiamo, sotto una pressione di flussi migratori che tutti noi conosciamo – ma le condizioni previste per il loro stanziamento sono tali per cui l’uso effettivo del denaro diviene pressoché impossibile.

Le autorità greche, infatti, vengono invitate ad anticipare le spese dei servizi – spese per il cibo, la pulizia dei centri d’accoglienza, l’affitto dei centri stessi, ecc. – e solo successivamente queste saranno rimborsate.

Sembra quasi che la Commissione ignori totalmente la situazione di crisi economica in cui versa il paese dopo anni di austerità. La Grecia non è semplicemente in grado di anticipare tale denaro.

Naturalmente le soluzioni ci sarebbero e sono soluzioni molto realistiche. Basterebbe, infatti, che la Grecia potesse disporre delle somme in un conto bancario, ad uso immediato, quando si determina il bisogno di un servizio. È evidente che il governo greco dovrà rendere conto delle spese sostenute e che vi sarà un controllo continuo da parte della Commissione.

Si tratta evidentemente di una questione urgente e su questo vorrei avere una risposta precisa e altrettanto urgente.

Riguardo alla questione hotspot: la Commissione raccomanda agli Stati di garantire l’immediata disponibilità di esperti, se richiesti da Frontex e da EASO, e specifica che tali esperti – cito – “devono essere disponibili per distaccamenti di lungo periodo, per essere quanto più possibile operativi”.

Quel che chiedo alla rappresentante della Commissione è se il concetto di “lungo periodo” sia compatibile con il carattere di temporaneità che gli hotspot dovrebbero possedere in quanto misure d’emergenza adottate sulla base dell’articolo 78(3) del Trattato, o se tale inciso preluda invece a un processo di regolamentazione permanente di situazioni emergenziali. Chiaramente gli hotspot diverranno centri di detenzione, per l’appunto, permanenti, ma senza perdere formalmente la loro natura emergenziale. Questo significa che avendo formalmente tale natura, qualsiasi decisione che li riguarda verrà presa nell’inosservanza della procedura ordinaria di co-decisione con il Parlamento europeo. Qualunque proposta della Commissione verrà perciò adottata in assoluta solitudine dal Consiglio, al di fuori di ogni controllo democratico.