Rapporto sulla missione LIBE in Italia

Bruxelles, 8 giugno 2017

Barbara Spinelli è intervenuta sul punto in agenda della riunione ordinaria della Commissione per le libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) riguardo a due specifici punti in agenda, in qualità di partecipante alla missione LIBE in Italia del 18-21 aprile 2017:

– Questione dei profughi/migranti in Italia: situazione e futuri scenari.Scambio di opinioni con Domenico Manzione, sottosegretario di Stato, ministero dell’Interno.

– Missione della commissione LIBE in Italia su migrazione e asilo, 18-21 aprile 2017. Presentazione di un progetto di resoconto di missione

“Ringrazio il dottor Manzione per la presentazione e soprattutto per le considerazioni critiche che ha fatto a conclusione del suo intervento sulla “solidarietà flessibile” – un vero ossimoro – sulle procedure spesso complicate di accoglienza e sul sistema Dublino. Ringrazio anche il segretariato Libe per l’eccellente rapporto sulla nostra missione in Italia.

Affronterò alcuni punti specifici:

Della questione delle Ong si è parlato molto, durante la missione in Italia, non solo con il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ma con le Ong stesse. Vorrei evitare che si guardasse all’operato delle Ong alla stregua di attività che possono creare un “canale umanitario improprio”, come ha appena detto il dottor Manzione, perché in tal modo si finisce con l’introdurre, in modo a mio avviso pericoloso, l’idea che esita un nuovo concetto lecito, in Italia e nell’Unione, che potrebbe chiamarsi “search and rescue illegale”: una contraddizione in termini, perché il search and rescue è legale in sé, per definizione. Come accade per il concetto di “solidarietà flessibile”, i due termini non vanno bene insieme. In realtà non ci sono al momento che insinuazioni sulle Ong, vedremo i risultati delle inchieste, ma finora non esiste alcuna prova, come dichiarato dalla stessa Guardia di finanza. Chiedo un po’ di chiarezza in proposito: non vorrei che si parlasse di mafia in assenza di prove, anche se i procuratori in questione hanno una grande esperienza nell’antimafia.

Un altro punto importante di cui si è discusso nel corso della missione è la nuova legge italiana sul contrasto all’immigrazione irregolare e l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, la cosiddetta legge Minniti. La collega Barbara Kudrycka (PPE, Polonia, co-leader della missione) ha detto cose giustissime su questo. In effetti ci sono molti dubbi sulla correttezza costituzionale di questa legge, sia per l’esclusione del contatto diretto tra il ricorrente e il giudice, sostituito dalle videoregistrazioni dei colloqui, sia per l’abolizione del secondo grado di giudizio, che compromette gravemente, stando al parere di molti costituzionalisti, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Si è invece discusso in maniera molto positiva, anche con le Ong italiane, della legge Zampa, che riguarda i minori non accompagnati. Significativamente, la legge è stata elaborata con una grande cooperazione delle Ong, giungendo a un ottimo testo.

Il terzo punto che vorrei affrontare sono gli accordi bilaterali tra Italia e Libia, spesso lodati anche in questo Parlamento. Vorrei farmi portavoce di quanto ho ascoltato in Italia dalle Ong e dai rappresentanti dell’Unhcr, che hanno sottolineato la natura di push factor ormai assunta dalla Libia. Parliamo di un Paese non più soltanto di transito per migranti e profughi, ma di un Paese dal quale la gente fugge perché non esiste più come Stato, e che non tiene in alcun conto i diritti umani, al punto da creare campi che da più parti sono stati definiti “campi di concentramento”.

Ricordo al dottor Manzione che quella degli accordi con la Libia è una vecchia storia, e che la Corte di Strasburgo ha già condannato una volta l’Italia, nel caso Hirsi, per il respingimento di migranti e rifugiati verso la Libia, nel 2009. Erano respingimenti collettivi vietati dalla Convenzione di Ginevra, e attuati dopo l’accordo tra Berlusconi e Gheddafi: una politica italiana che rischia di ripetersi.

Il quarto punto riguarda gli hotspot, dove l’identificazione di migranti e profughi è effettivamente arrivata quasi al cento per cento. Tuttavia, secondo un rapporto di Amnesty International, il prelievo delle impronte digitali avviene spesso con l’uso della violenza. Le autorità italiane lo hanno negato, ma le accuse contenute nel rapporto di Amnesty non possono essere ignorate.

Vorrei concludere parlando della ricollocazione, sulla cui effettività si devono dire tutte le cose negative che ben conosciamo, ma a mio parere essa è in se stessa ingannevole se non si riforma il regolamento di Dublino. Riporto solo un dato: nel 2015-2016, in Italia ci sono stati 5.049 “trasferimenti Dublino”, ovvero migranti arrivati in Italia, andati in altri Paesi dell’Unione e ritrasferiti in Italia, e 3.936 ricollocamenti dall’Italia verso altri Stati membri. Questo significa che il numero delle persone rimandate in Italia è più alto di quello delle persone trasferite dall’Italia. Per questo affermo che, se non si riforma Dublino, la stessa ricollocazione rischia di essere un inganno. Vorrei sapere cosa il governo italiano si proponga di fare a riguardo, e se intenda veramente porre la questione Dublino, fino a giungere al veto nel Consiglio. Grazie”.

Post scriptum:
Lo stesso giorno l’avvocato generale della Corte europea di giustizia, Eleanor Sharpston,  esprimeva un parere che potrebbe costringere  l’Unione a riscrivere l’intera sua politica dell’asilo, se il parere sarà fatto proprio da una sentenza della Corte. In tempi di crisi – sostiene l’avvocato generale –  i richiedenti asilo devono poter transitare dal Paese di primo arrivo verso altri Stati dell’Unione. Non possono e non devono essere più trattenuti nei due principali Paesi di frontiera che sono l’Italia e la Grecia.
https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2017-06/cp170057it.pdf

Brexit: i diritti da salvaguardare

di venerdì, Maggio 12, 2017 0 , , , Permalink

Bruxelles, 11 maggio 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso dell’Audizione congiunta organizzata dalle commissioni parlamentari Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE), Petizioni (PETI) e Occupazione e affari sociali (EMPL) “La situazione e i diritti dei cittadini dell’UE nel Regno Unito”.

Partecipanti:

MESSAGGIO DI BENVENUTO

  • Claude MORAES, presidente della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni
  • Cecilia WIKSTRÖM, presidente della commissione per le petizioni
  • Renate WEBER, vicepresidente della commissione per l’occupazione e gli affari sociali

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

  • Guy VERHOFSTADT, capo negoziatore del Parlamento europeo per la Brexit

ORATORI

  • Anne-Laure DONSKOY, rappresentante del gruppo “The 3 million”
  • Jan DOERFEL, avvocato specializzato in immigrazione nel Regno Unito
  • Charlie JEFFERY, professore presso l’Università di Edimburgo
  • Julia ONSLOW-COLE, partner, responsabile dei mercati dei servizi legali e direttore dei Servizi di immigrazione globale presso PwC, Londra
  • Jonathan PORTES, professore di economia e politiche pubbliche presso il Dipartimento di economia politica del King’s College di Londra

BREVE PRESENTAZIONE DA PARTE DI DUE FIRMATARI DI PETIZIONI

  • Leona Bashow, cittadina britannica, sulla perdita involontaria della cittadinanza europea in seguito all’esito del referendum britannico
  • Anne Wilkinson, cittadina britannica, sull’inalienabilità dei diritti dei cittadini dell’UE

Sono inoltre intervenuti, per una breve presentazione, due esponenti delle seguenti organizzazioni:

  • “New Europeans”
  • “British in Europe”

Ascoltando gli interventi straordinari dei firmatari delle petizioni, ho pensato alla responsabilità di chi non ha indicato, fin dall’inizio della campagna referendaria, il disastro cui si andava incontro. La prima responsabilità è certamente della classe politica inglese: quella di aver mentito sulla reale possibilità di preservare i diritti dopo l’uscita dall’Unione – una possibilità che, come emerso, è di difficile, se non di impossibile realizzazione. Ma la colpa è anche nostra, delle istituzioni europee: di non aver saputo insistere con forza, durante la stessa campagna referendaria, sui rischi che si stavano correndo a fronte di un Paese che annunciava la volontà di sottrarsi alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e – con l’uscita dall’Unione – alla Carta dei diritti fondamentali. Adesso si tratta di recuperare il tempo perduto e di battersi affinché la questione dei diritti civili e sociali sia affrontata e risolta fin da principio. Troppo grande è la paura che c’è ora in Inghilterra e grande è il rischio che questa paura si accompagni alle già acute forme di xenofobia che si stanno diffondendo in questo Paese.

Per questo sono d’accordo con la signora Donskoy sul fatto che la formula “nulla è concordato finché tutto non è concordato” (“nothing is agreed until everything is agreed”), contenuta negli orientamenti approvati dal Consiglio europeo, sia di per sé una formula sbagliata. L’accordo sui diritti va concluso immediatamente.

Concordo anche con la proposta di Guy Verhofstadt di redigere una Risoluzione parlamentare sul tema dei diritti. La ritengo necessaria e utile, ed è altresì importante che sia specifica: uno strumento che sia quindi idoneo a esercitare una reale pressione sui governi e che faccia capire all’Inghilterra e ai cittadini impauriti che questa volta li ascoltiamo veramente, che non facciamo finta di non vedere il pericolo che abbiamo davanti.

Invio di navi da guerra italiane in Libia e accordo Ue-Turchia

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli all’UNHCR e alla presidenza maltese del Consiglio dell’Ue: navi da guerra italiane in Libia e violazioni dei diritti fondamentali a causa dell’accordo Ue-Turchia

Bruxelles, 12 gennaio 2017

Barbara Spinelli è intervenuta nel corso della riunione ordinaria della Commissione per le libertà civili, giustizia e affari interni riguardo a due specifici punti in agenda: la presentazione delle priorità della presidenza maltese del Consiglio dell’Unione europea nel settore della giustizia e degli affari interni e la presentazione delle proposte dell’Unhcr per una migliore protezione dei rifugiati in Europa e a livello globale.

In entrambi i casi ha puntato l’attenzione sull’accordo UE-Turchia e sull’invio di navi da guerra italiane in Libia.

«Vorrei sapere cosa pensa dell’accordo UE-Turchia e di quello che sta succedendo a Lesbo, dove mancano elettricità, acqua, cibo, e dove si intendono spedire indietro sulla base di Dublino i rifugiati da parte degli altri paesi europei» ha chiesto a Carmelo Abela, ministro maltese dell’Interno e della Sicurezza nazionale. «Questo accordo rischia di essere non solo un errore, ma da un certo punto di vista un crimine, perché viola gravemente il diritto internazionale».

«Vorrei chiedere una presa di posizione chiara dell’UNHCR sull’accordo UE-Turchia, che fa acqua da tutte le parti» ha poi detto rivolgendosi a Vincent Cochetel, direttore dell’UNHCR per l’Europa, «e che tuttavia continua a essere proposto nell’Unione europea come un modello da imitare. Lo si sta replicando ora con la Libia, paese del tutto instabile politicamente. Ci sono al momento navi da guerra italiane nelle acque territoriali libiche. Quello che non capisco è come l’accordo con la Turchia possa diventare un modello, quando nelle isole greche abbiamo una crisi umanitaria molto grave».

Sull’argomento l’eurodeputata del GUE/NGL ha voluto interpellare la presidenza maltese. «Vorrei sapere cosa pensa», ha chiesto a Carmelo Abela, «dell’invio di fregate da guerra italiane nelle acque territoriali libiche, disapprovato dal Parlamento di Tobruk, e se non ritiene che esista un rischio che la lotta agli smugglers sia percepita in Libia come un intervento coloniale, soprattutto da parte degli italiani».

I grandi difetti di due modeste riforme istituzionali

Bruxelles, 8 dicembre 2016. Analisi di Barbara Spinelli, relatore ombra del gruppo GUE-NGL, a proposito di due relazioni sui Trattati, approvate in Commissione costituzionale.

Qui i due rapporti approvati in Commissione: Relazione Verhofstadt e Relazione Bresso-Brok.

L’8 dicembre 2016 la Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo ha approvato due Relazioni che hanno l’ambizione di dare all’Unione una nuova prospettiva di miglioramento e di rilancio. Insieme alla Relazione Berès-Böge sulla capacità di bilancio della zona euro (governance eurozona), sono concepite come una triade compatta, e costituiscono al tempo stesso la risposta che i gruppi maggioritari nel Parlamento intendono dare alla crisi apertasi con il Brexit (crisi considerata come “opportunità” per una migliore gestione dell’Unione). Sono state redatte in grande fretta, – soprattutto le prime due, di cui sono relatore ombra – per potere essere approvate in plenaria prima che il governo britannico annunci l’attivazione dell’articolo 50 e inizi il negoziato sulla fuoriuscita dall’Unione. Sono non solo una risposta a tale negoziato ma il volto che i relatori intendono dare all’Europa, per l’occasione, nei prossimi decenni.

Il mio giudizio finale su ambedue le Relazioni, come rappresentante del GUE-NGL, non poteva a questo punto che essere negativo: le ho respinte ambedue, pur approvandone alcuni compromessi e paragrafi. La forma che ha assunto il negoziato ha infatti pesantemente influito sulla sostanza, facendo in modo che praticamente nessuna delle nostre obiezioni e dei nostri emendamenti venissero inclusi. Per quanto riguarda la Relazione Verhofstadt, un certo numero di nostri emendamenti sono stati inclusi nei cosiddetti compromessi, ma all’ultimo minuto – la sera prima del voto in Commissione – sono stati staccati dal compromesso stesso, prendendo la forma di split votes, con una duplice conseguenza: i nostri emendamenti sono stati affossati, ma restando “appesi” al compromesso non potevano essere sottoposti al voto come “emendamenti separati”.

È stato il caso di alcuni punti importanti: per esempio, l’opportunità che la Corte di giustizia passi al vaglio in particolare la politica estera dell’Unione, la politica economica e monetaria, le decisioni adottate attraverso il ricorso all’articolo 7 (anche se si parla di controllo da parte della Corte di tutti gli aspetti delle legge comunitaria); la denuncia dell’accordo UE-Turchia; l’accenno al fatto che tale accordo sia stato rinominato “statement” per aggirare l’obbligo di consenso da parte del Parlamento europeo; l’assenza di una politica economica e fiscale comune, “aggravated by the lack of a proper aggregate fiscal stance for the euro area and the absence of an industrial strategy” (questo passaggio è stato rigettato attraverso split vote).

Più fondamentalmente, il mio giudizio è negativo perché ambedue le Relazioni non sono all’altezza della crisi profonda che l’Unione traversa: crisi economica e sociale, violazione dei principi di solidarietà tra Stati membri, volontà di impotenza davanti all’afflusso dei rifugiati, frantumazione a tutti gli effetti dello spazio Schengen. È il fondamento stesso delle Relazioni che ritengo non accettabile. Per esemplificare: la Relazione Verhofstadt sostiene che le crisi multiple che traversiamo si debbano risolvere con una nuova governance istituzionale (“Considers that the time of crisis management by means of ad hoc and incremental decisions has passed, as it only leads to measures that are often too little, too late; is convinced that it is now time for a profound reflection on how to address the shortcomings of the governance of the European Union by undertaking a comprehensive, in-depth reform of the Lisbon Treaty, whereas short and medium term solutions can be realised by exploiting the existing treaties to their full potential in the meantime”), mentre è mia convinzione – come avevo scritto in un emendamento – che siamo di fronte a un autentico fallimento, dovuto non a difetti istituzionali ma a politiche mal concepite, non trasparenti e socialmente ingiuste, che hanno diviso l’Unione e distrutto il progetto europeo di “unità nella diversità”. E che questo fallimento vada esplicitamente ammesso e superato da proposte veramente alternative.

Riassumo brevemente il progetto di nuova governance dell’Unione che sottende le Relazioni e che è stato approvato: aumento delle decisioni prese a maggioranza qualificata invece che all’unanimità; creazione di un Consiglio degli Stati che inglobi i vari Consigli specializzati; creazione di un ministro comune delle Finanze e degli Esteri (il ministro degli Esteri è proposto solo nella Relazione Verhofstadt); fusione del Presidente dell’Eurogruppo con il Commissario per gli Affari Economici e Finanziari (Bresso-Brok); riduzione drastica delle “eccezioni alle regole UE” (opt-outs). Sono questi elementi che hanno indotto il deputato dei Verdi Pascal Durand a parlare di visibili passi avanti verso un’Europa federale. Per parte mia non li ritengo tali, se servono a suggellare politiche sbagliate che vengono inserite nelle Relazioni come le uniche percorribili: in economia, politica estera, difesa, migrazione. Quanto agli opt-outs (Europa à la carte): il loro moltiplicarsi costituisce di sicuro una regressione, ma segnalano uno scontento irrefutabile nei Paesi dell’Unione, cui non si può rispondere con condanne perentorie. Condanne ed esclusioni sono una benda che ci si mette davanti agli occhi per non vedere la natura degli sconquassi presenti e prospettare un’Unione rimpicciolita anche se più coesa, fabbricata per perpetuare lo status quo.

Quello di cui sento più la mancanza è un’analisi critica e autocritica della crisi dell’Unione, che a mio avviso ha toccato l’acme durante il negoziato greco ed è sfociata per forza di cose nel Brexit – i due eventi sono legati, ma tale legame continua a essere ostinatamente e deliberatamente occultato. Se siamo giunti a questo punto, non è perché le istituzioni funzionino male, o non si coordinino, o non siano abbastanza “federali”. Il federalismo ha senso se esiste una comunità solidale, se vengono adottate politiche che non dividono le società e non generano, sempre più, disgusto verso il progetto stesso di unione. Il federalismo non è una tecnica, e non basta la tecnica a ridare ai cittadini la fiducia e il senso di appartenenza che hanno perso. Non basta nemmeno citare Eurobarometro, come fa la Relazione Verhofstadt: uno strumento che non rispecchia il loro vero stato d’animo, essendo un istituto di sondaggio dipendente dalla Commissione, dunque con forti conflitti d’interesse. Un mio emendamento, che cancellava i riferimenti ai dati fuorvianti di Eurobarometro, è stato rigettato.

Non mi convince nemmeno l’analisi delle crisi – la “‘polycrisis” descritta nella Relazione Verhofstadt: il più delle volte la crisi è dell’Europa, delle sue politiche. Non viene da fuori. Non è dei modi formali in cui essa risponde alle sfide, ma della natura stessa della risposta. Ad esempio: non c’è “crisi della migrazione”, ma crisi dell’Unione alle prese con flussi di profughi e migranti che al momento rappresentano lo 0,2 per cento delle popolazioni europee. La strategia europea su migranti e rifugiati è interamente concentrata sul controllo delle frontiere e su politiche di respingimenti (attraverso strumenti come il processo di Rabat e di Khartoum, il “Migration compact”, l’accordo UE-Turchia che serve da modello per altri accordi con i Paesi elencati dal Migration Compact, tra cui Eritrea e Sudan, Paesi tutt’altro che sicuri per i rimpatriati. L’ultimo accordo di riammissione (Joint Way Forward on migration issues) è quello con l’Afghanistan, stipulato a Kabul il 2 ottobre scorso).

Se poi consideriamo l’economia: non c’è solo crisi del debito, ma crisi dovuta a Paesi che essendo in surplus non espandono la propria economia. Più generalmente, c’è crisi della solidarietà e della democrazia all’interno dell’Unione. Ambedue le Relazioni avallano e sostengono politiche che hanno chiaramente fatto fiasco e che minano alle radici la solidarietà e la democrazia. Non basta dire che siamo di fronte a un euroscetticismo senza precedenti e a un ritorno dei nazionalismi, senza indicare l’insieme di politiche sbagliate e misantropiche che hanno causato e che causano diffusa sfiducia. La sfiducia dei popoli non genera alcuna resipiscenza nei relatori (e nella maggioranza del Parlamento europeo). È anzi criminalizzata, essendo sbrigativamente definita come euroscettica e populista (i due aggettivi vengono sistematicamente fusi, come se lo scetticismo non fosse una componente indispensabile del pensiero critico e fosse di per sé distruttivo: anche culturalmente, il pensiero europeo sta vivendo una formidabile regressione)

Vengo ora ad alcuni emendamenti che abbiamo presentato per la Relazione Verhofstadt (simili nelle grandi linee a quelli presentati per la Relazione Bresso-Brok, e per quanto riguarda l’economia a quelli presentati dai relatori ombra del GUE-NGL per la Relazione Berès-Böge).

Fin dal primo articolo, la Relazione chiede una modernizzazione della governance dell’Unione: cioè più efficienza, più rapidità. Non si va alla sostanza della crisi: la spettacolare mancanza di giustizia sociale, il venir meno di diritti (e di precisi articoli del Trattato come il 2, il 3, il 6, l’11); il riemergere in Europa di una politica di balance of powers, di potenze nazionali più o meno forti che si guardano in cagnesco l’un l’altra. La tecnica ancora una volta prende il sopravvento. Dovremmo sapere, da Heidegger, che “l’essenza della tecnica non è mai tecnica”.

Passo all’articolo in cui si denuncia la mancanza di convergenza e di competitività. Anche qui, nessun accenno alle diseguaglianze sociali, al senso di dis-empowerment dei cittadini e di impoverimento generalizzato delle classi medie: che sono poi le vere ragioni dell’ondata di sfiducia verso l’Europa. Di tanto in tanto si accenna nelle Relazioni alle necessità della coesione sociale, ma sono accenni secondari, come quando negli accordi di rimpatrio di migranti e rifugiati si afferma che i diritti umani saranno rispettati. Siamo di fronte a sistematici omaggi che il vizio rende alla virtù.

Non meno grave, e del tutto anacronistico, il proposito (in tutte tre le Relazioni) di inserire il Fiscal Compact nel Trattato, quando avrebbe dovuto essere semplicemente eliminato, vista la disgregazione sociale che ha provocato (il nostro emendamento, caduto, chiedeva “the replacement of the Fiscal Compact and the introduction of a really symmetric mechanism for macroeconomic policy coordination that addresses surpluses as well as deficits and does not place the burden of adjustment on deficit countries alone”). Nella Relazione Verhofstadt si dice giustamente che né il Patto di Stabilità e Crescita né la clausola “no bail-out” hanno fornito le soluzioni volute, ma non si fanno proprie le critiche sempre più diffuse che vengono espresse verso le ricette di austerità non solo da parte di accademici, ma dello stesso Fondo Monetario Internazionale. Il malfunzionamento, secondo la Relazione Verhofstadt, viene fatto risalire alle troppe infrazioni del Patto e più in genere agli impacci delle istituzioni. Constato un ritardo diagnostico di almeno dieci anni nell’analisi delle politiche economiche europee.

In questo ambito, mi dispiace l’assenza di accenni alle proposte di un New Deal europeo. In un emendamento aggiuntivo ne avevo proposto uno – ma le idee sono molte – finanziato dalla Banca europea degli Investimenti e da nuove risorse proprie alimentate da una tassa patrimoniale comune, dalla tassa sulle transazioni finanziarie e da una carbon tax. È stata affossata anche questa proposta.

Altra proposta bocciata, che avanzavo per entrambi le Relazioni: l’adesione dell’Unione alla Carta Sociale, e comunque l’inclusione dei criteri della Carta nella definizione della politica economica.

La Relazione Verhofstadt condivide esplicitamente la Relazione dei cinque Presidenti (“Completare L’Unione economica e monetaria dell’Europa”). In un certo senso tutte e tre le Relazioni (Verhofstadt, Bresso-Brok, Berès-Böge) sono il prolungamento di quella Relazione, che risale al 22 giugno 2015. La storia è passata e ha sconvolto quasi tutte le coordinate dell’Unione, ma i relatori delle varie Relazioni si ostinano a ignorarla. Nei miei emendamenti avevo espresso forti critiche della Relazione dei 5 Presidenti e delle cosiddette riforme strutturali: basate su codici di competitività che hanno come principale fondamento la ristrutturazione del mercato del lavoro e livellamenti verso il basso dei salari. La ricetta per uscire dalla recessione non cambia, anche se sono aggiunti più forti richiami alla crescita e agli investimenti. Anche questi emendamenti sono stati affossati. L’unico cambiamento consiste nella “velocizzazione” della governance tecnica di politiche ritenute evidentemente immutabili.

Per tutte queste ragioni non ho accolto la proposta – che in altri tempi e con altre politiche sarebbe stata positiva – di istituire un comune Ministro delle Finanze (e un comune Ministro degli Esteri). Il rischio è di ripetere l’errore fatto con l’euro. Parlo dell’illusione gradualista secondo cui creando istituzioni comuni parziali si arriverà necessariamente e provvidenzialmente all’unità politica e solidale dell’Europa. Nello stesso spirito ho respinto la proposta di una Difesa comune: anche qui nulla cambia, visto che la futura difesa europea viene presentata come “pilastro” della Nato, quindi di politiche militari extra-area che hanno solo creato caos e Stati falliti: nel Grande Medio Oriente, in Libia e Afghanistan, nel vicinato Est-europeo (quadruplicamento delle forze Nato ai confini della Polonia e degli Stati baltici).

Nelle riunioni della Commissione affari costituzionali mi è stato obbiettato che non è questo lo scopo della relazione Verhofstadt sulle necessarie modifiche del Trattato, né di quella dei relatori Mercedes Bresso e Elmar Brok su quello che si può fare senza cambiare i Trattati. Che è in gioco il quadro costituzionale, non le politiche immesse in tale quadro. Verhofstadt è giunto sino a presentarsi come erede dei padri fondatori dell’Europa unita, per i quali le istituzioni erano prioritarie. Ma ambedue le Relazioni fanno proprie precise linee politiche, economico-sociali e militari, e questo spiega come mai – non essendo per appunto tecnica, la natura della tecnica – ho sempre parlato di sostanza politica anch’io: in Commissione, e attraverso gli emendamenti e le raccomandazioni di voto che tornerò a presentare il giorno in cui le Relazioni saranno votate in plenaria. Per quell’occasione, mi riservo di presentare un nuovo emendamento che abbia al suo centro la possibile e ordinata uscita dall’Euro, senza che l’appartenenza all’Unione sia messa in questione: esiste infatti nel Trattato un vuoto giuridico in proposito.

Alcune cose minori le abbiamo ottenute. Spesso si tratta di quisquiglie: un riferimento alla Carta dei diritti fondamentali nelle Citations (having regard) o alla risoluzione del Parlamento europeo sull’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). Nei Recital, abbiamo ottenuto che non si parlasse di “decisione” a proposito del Brexit ma del “risultato” del referendum (è ancora atteso il giudizio finale della Suprema Corte inglese, in proposito, e non esiste ancora un’interpretazione definitiva dei diritti legali del Nord Irlanda, iscritti nel Good Friday Agreement). Abbiamo anche ottenuto – ma in un solo paragrafo della Relazione Verhofstadt – che il presente ordinamento dell’Unione venisse chiamato istituzionale, e non “costituzionale” (il Trattato di Lisbona non è una Costituzione). Nell’articolato, è stato poi accolto un riferimento alla necessità di applicare integralmente la Carta dei diritti fondamentali, abolendo l’articolo 51. Su nostra richiesta attraverso split vote è stato eliminato un passaggio a proposito dell’articolo 7 TUE, in cui si proponeva di fare della Commissione l’”esecutore” dell’articolo stesso: in sostanza, il paragrafo ignorava il nuovo meccanismo In’t Veld in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali nei Paesi membri, meccanismo che non conferisce tutti i poteri alla Commissione, essendo anch’essa possibile oggetto di un “monitoring” (il testo attuale diceva: “Proposes to make the Commission the executor of the Article 7 procedure with the Council and Parliament as decision makers, to expunge the unanimity rule, and to review the sanction mechanism”).

È passato anche un nostro emendamento (non sull’ECI ma, più in genere, sulla democrazia partecipativa e sui referendum europei): “Believes, moreover, that citizens should be endowed with more instruments of participatory democracy at Union’s level; therefore, proposes to evaluate the introduction, within the Treaties, of the provision for a EU referendum on matters relevant to Union’s actions and policies”.

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Principali emendamenti bocciati (Relazione Verhofstadt)
(Testo evidenziato in giallo: non consentito voto separato da compromesso)

whereas the austerity policies adopted and imposed by the EU institutions and the International Monetary Fund (“Troika”) have increased this scepticism, produced destitution in the countries subject to readjustment programs and aggravated their debts; whereas these programs were the result of “overly optimistic growth projections”, as highlighted by several studies, including a report published on 8 July 2016 by the Independent Evaluation Office (IEO) of the International Monetary Fund;

whereas, according to Opinion 2/13 and the relevant case-law of the Court of Justice, fundamental rights recognised by the EU Charter of fundamental rights are at the heart of the legal structure of the Union and respect for those rights is a condition of the lawfulness of EU acts, so that measures incompatible with those rights are not acceptable in the EU; whereas article 6(1) TEU clearly states that the Charter of Fundamental Rights of the European Union has the same legal value as the Treaties; whereas a proper implementation of this article requires a removal of all the restrictions on the full and substantial effectiveness of the Charter’s provisions;

whereas over the past decade the security situation in Europe has deteriorated markedly, due to ill-conceived and short-term military and migration policies especially in our neighbourhood: this has shown the need to move towards a different approach in the EU’s external relations, founded on the peaceful promotion of social, economic, environmental and human rights standards for the benefits of all the parties involved, while, at the same time, refraining from policies of regime-change and proxy wars, which only have expanded the phenomenon of failed States in the Greater Middle East;

whereas Europe’s defence and diplomatic capabilities has limited its ability to project stability and peace beyond our immediate borders and especially in the accession countries; whereas this should lead to the need for more intense cooperation among the Member States and an integration of some of their defence capacities into a European defence community, considering that any security policy of the EU should have a defensive and not aggressive dimension, should be based on disarmament and arms control, focusing essentially on cooperation in the European continent;

Whereas there is a need to review EU-NATO cooperation, taking into account the profoundly changed scenarios of the post-cold war era in Europe and the substantive failures of NATO policies in the US-led anti-terror war outside the NATO area and to put a definitive end to the NATO and US enlargement policies at the Eastern borders of the EU, while looking for and building new independent forms of cooperation with the Russian neighbour;

whereas in its follow up to the European Parliament resolution on the European Citizens’ Initiative, adopted on 2 February 2016, the Commission stated “that after only three years after its effective entry into application, it is at this point too early to launch a legislative revision of the Regulation”; whereas from the establishment of the ECI only three initiatives were deemed admissible and no one has received an appropriate follow-up; whereas there are deficiencies in relation to the functioning and implementation of the instrument of the European Citizens’ Initiative and therefore a need for improvement in order for it to function effectively and be a true instrument for participative democracy and active citizenship;

Furthermore, calls on the Commission to present as soon as possible a new draft agreement for the accession of the Union to the ECHR in line with the obligations deriving from article 6 TEU, providing positive solutions to the objections raised by the Court of Justice of the European Union (CJEU) in its Opinion 2/13 of 18 December 2014;

Observes with great concern the proliferation of subsets of Member States – especially in Eastern European countries – undermining the unity of the Union by causing a lack of transparency and solidarity among the Member States, as well as a widespread propensity to an increase request for “opts-out” and to a resurgence of the “balance of power” system, magnified by the result of the UK referendum on Brexit;

Considers it essential in these circumstances not only to reaffirm the mission of an ‘ever-closer union among the peoples of Europe’ (Article 1 TEU) in order to mitigate any tendency towards disintegration, but also to clarify the substantial meaning of such formula, whose purpose should be that of providing the European Union of a real constitution underwritten by its peoples and not only by the heads of State and Government of the Member States;

Notes and respects the fact that the people of the Northern Ireland and Scotland voted overwhelmingly to remain in the EU; believes that an accommodation should be found whereby Northern Ireland maintains its membership of the European Union; calls on the EU to continue to proactively support the peace process in Ireland and to provide for its continuation in any negotiations on British withdrawal; stresses that an accommodation should also be found as far as Scotland is concerned if its citizens express a desire in this direction;

Recalls that the construction of the European Union has been rooted on four freedoms namely the free movement of goods, the free movement of services and freedom of establishment, the free movement of persons (and citizenship), including free movement of workers and the free movement of capital; therefore, points out that the both the negotiations and the final agreement concerning the withdrawal of the UK from the Union as well as the future framework for the future relationships should respect their substantial indivisibility; Is convinced that the Union needs a legal shift on its economic policy based on the full application of Article 3 TEU and the principles provided for, in particular, in articles 9 to 12 TFEU; asks therefore for a real New Deal for Europe, consisting in common investments in a new environmentally sustainable growth and employment plan, financed by the European Bank of Investments and by own resources deriving from an EU wide coordinated wealth levy, a Financial Transaction Tax (FTT) and a carbon tax, directly collected by the Union;

Is convinced that the Union needs a legal shift on its economic policy based on the full application of Article 3 TEU and the principles provided for, in particular, in articles 9 to 12 TFEU; asks therefore for a real New Deal for Europe, consisting in common investments in a new environmentally sustainable growth and employment plan, financed by the European Bank of Investments and by own resources deriving from an EU wide coordinated wealth levy, a Financial Transaction Tax (FTT) and a carbon tax, directly collected by the Union;

Recalls that social rights are fundamental rights, as recognised by international treaties, the ECHR, the EU Charter of Fundamental Rights and the European Social Charter; in this respect, calls on the Commission to swiftly present a proposal for a concrete European Social Pillar aimed at improving living and working conditions, quality employment, fair wages, equal treatment, social dialogue, quality public services and effective social protection, in line with the relevant ILO Conventions, while respecting the prerogative of the Member States to introduce or retain more favourable provisions in this field; moreover, asks the Commission to take into consideration the idea of introducing, in that proposal, provisions establishing a fair and just minimum wage, minimum pensions and a minimum income, in line with the European Parliament resolution of 20 October 2010 on the role of minimum income in combating poverty and promoting an inclusive society in Europe and article 34(3) of the Charter of fundamental rights of the European Union, while respecting the right to collective bargain, as enshrined in article 28 of the EU Charter

Calls on the Commission to start negotiations with the Council of Europe in order to launch the process for the accession of the EU to the European Social Charter; in the meantime, asks the Commission to use the Charter as guiding standard for the impact assessments carried out on the basis of article 12 of the Interinstitutional Agreement on Better Law-Making and for drafting the explanatory memoranda foreseen in article 25 of the same, having regard to the fifth recital of the Preamble to the Treaties;

Deplores the emphasis put, in the 5 Presidents Report, on “flexible” economies capable to quickly adjust to shocks and on a “new convergence process”, facilitated by the creation of national Competitiveness Boards; believes that such measures are based on the assumption that (downward) wage flexibility is the main ‘shock absorber’ and a key tool for assuring the cost competitiveness of national economies. The Competitiveness Boards may in fact institutionalise the pressure towards wage and cost reductions in the pursuit of greater cost competitiveness, especially in less technologically advanced countries; considers that the proposals contained in the “Five presidents’ report” claim to promote greater prosperity and solidarity in Europe while in fact further reinforcing the technocratic character of EU governance;

Is acutely aware of the need to review many recent crisis-management measures taken by the EU, as well as the need to change course to the regulatory framework for the financial sector; at the same time, in its recent judgment Ledra Advertising Ltd and Others v. European Commission and European Central Bank (ECB) (joined cases C-8/15 P to C-10/15 P), has stated that whilst the Member States do not implement EU law in the context of the ESM Treaty, on the other hand the Charter is addressed to the EU institutions, including when they act outside the EU legal framework;

Calls for the deduction of net public investment from public debt in an effort to implement the “golden rule for public investment” in order to allow for an optimal intergenerational allocation of public investment; believes that the definition of what qualifies as investment should be assessed; considers that in order to limit short term public debt a corresponding threshold for net investment could be implemented; considers that implementation of the rule could be done through annexing an “investment protocol” to the Treaties under the simplified revision procedure of Art. 48 TEU;

Stresses that in the current economic environment of subdued demand, the monetary policy must be complemented by expansionary fiscal policies as well as by strengthening unions collective bargaining power in order to ensure wage growth in line with countries average productivity growth and the ECBs inflation target; deems it necessary, in this context, to revise the objectives of the ECB;

Disapproves any expansion of the power of European-level institutions, such as the envisaged EU Finance Minister, if not made conditional on the approval of a clear mandate in terms of employment and/or growth-related targets, namely specific numerical targets to be reached within a specified timeframe and not only “full employment” as a general and declamatory aim. This, in turn, would require the creation of, and commitment to, clear institutional arrangements that would make the attainment of such targets possible;

Calls for better use of the existing structural funds in the direction of fostering cohesion;

Believes that before completing the Banking Union, it is necessary to address the critical flaws in its current architecture, such as the exclusion of any common deposit insurance scheme, the absence of an effective national veto over the use of common financial resources, the fact that the Single Resolution Fund’s (SRF) pre-funded financial means amount to “only” €55 billion, meaning that, in the event of a serious banking crisis, the SRF’s resources are unlikely to be sufficient (especially during the fund’s transitional period), the fact that, where the ESM will be allowed to intervene through its new direct recapitalisation instrument (DRI), this will be conditional on the implementation of the troika’s dreaded conditionalities, including where appropriate those related to the general economic policies of the ESM Member concerned; asks, furthermore, for a thorough review of the bail-in rule;

Welcomes the outcomes of 2015 Paris Climate Conference on setting out standards for reducing global emissions; stresses, however, that environmental protection shall become a short-term top priority for the EU in the light of the current environmental degradation, and shall be mainstreamed in all policies and actions of the Union; moreover suggests, in order to better attain the above-mentioned objectives, to modify the Treaties by introducing a specific reference to the Right of Nature, as developed, for instance, in the Constitution of Ecuador;

Points out that further steps are necessary to ensure that the Common European Asylum System becomes a truly uniform system; calls on Member States to harmonize their legislation and practices with regards to the standards as to who qualifies as a beneficiary of international protection, guarantees on international protection procedures and reception conditions following the jurisprudence of the ECtHR and CJUE and established best practices in fellow Member States; stresses that a new asylum and migration framework should build upon fundamental rights of the migrant;

Reaffirms that the Union must adopt a long-term strategy to address the root causes of migration in third countries (persecution, conflict, generalised violence, climate change and natural disasters or extreme poverty) and create safe and regular channels to access the EU;

Furthermore, considers it necessary to proceed to a formal recognition of the environmental refugees, as those who are obliged to leave their home countries due to environmental causes, hence to guarantee them full access to EU asylum procedures;

Is of the opinion that external military interventions as well as war rhetoric are both counterproductive and dangerous in the fight against terrorism; emphasises, in this respect, the need to adopt an holistic approach by accompanying the necessary internal security measures with actions in the fields of education, social integration and urban-planning, especially in the suburbs;

Recalls that stability and security can be reached and guaranteed only by fair and equitable societal conditions and therefore any activity to promote stability and security should be brought forward by assuring the primacy of new forms of development which advantage local populations, especially in the field of agricultural production, and providing for economic and conflict-avoiding instruments and policies;

Recalls that, according to article 21 TEU, the Union’s action in the field of CFSP shall be guided by its founding principles namely democracy, the rule of law, the universality and indivisibility of human rights and fundamental freedoms, respect for human dignity, the principles of equality and solidarity, and respect for the principles of the United Nations Charter and international law; is convinced therefore that CFSP should be developed along these lines, thus promoting peace and stability, the enforcement of the principles of the UN Charter and of the Helsinki Final Act and the development of mutual cooperation for the benefit of all the parties involved;

Considers that the Union needs to further strengthen its democratic legitimacy by providing for the involvement of civil society in the decision-making process; to this end, stresses once again the need to revise Regulation 211/2011 in order to encourage the Commission to have a less restrictive approach on the legal admissibility of an ECI and to allow a successful initiative to have an appropriate and concrete follow-up;

Calls on the Commission to explore a citizens’ social veto as a mechanism that can prevent the entry into force of EU legislation that would increase poverty and inequality or decrease social rights; in this regard, suggests to take into consideration, as a point of reference, the provisions of Protocol (No. 2) on the application of the principles of subsidiarity and proportionality;

Proposes to explore the possibility of transforming the Commission into an executive authority of the Union; nevertheless, considers that this cannot be done without a prior redefinition of the overall political strategy of the Union, aiming at the full realisation of its main principles and objectives as provided for, in particular, in articles 2 TEU and 9 to 13 TFEU; is convinced that such a change first requires a re-evaluation of the role and prerogatives of this Institution in terms of functions, composition and strengthening of democratic accountability and transparency as well as of the system of checks and balances in the Union as a whole;

Considers it necessary to enhance the political responsibility and accountability of the Commission to the European Parliament as far as the respect of the primary law, including the Charter of fundamental rights of the European Union, is concerned; in this respect, proposes to revise article 234 TFEU in order to strengthening the prerogatives of the European Parliament by allowing it to table a motion of censure also against single Commissioners;

Believes that, in redefining the governmental functions of the euro area, due respect should be paid to the interests of Member States that are not yet part of the euro (the ‘pre-ins’);

Insists that Parliament’s right of inquiry should be reinforced and be granted specific, genuine and clear powers which are more in line with its political stature and competences, including the right to summon witnesses, to have full access to documents, to conduct on-the-spot investigations and to impose sanctions for non-compliance; therefore, calls on the Commission to advance the negotiations on the Parliament’s proposal on a regulation on Parliament’s Right of Inquiry;

Principali emendamenti caduti perché coperti da compromessi

whereas the UK’s decision to leave the EU resulting from the referendum has shown, once more, the deep disaffection of the citizens vis-à-vis the current EU project; whereas this decision should represent a starting point for rethinking and innovating the EU framework by bringing back citizens’ needs centre stage in line with the Preamble of the Treaties and could offer, at the same time, an opportunity to clarify what membership of the Union really entails and what could be a clear structure in the future for the EU’s relationship with non-members in our periphery

(nel paragrafo approvato è scritto: whereas the UK’s departure would create an opportunity to reduce the complexity of the Union and to clarify what membership of the Union really means, etc etc)

Acknowledges that the European Semester, the six-pack and the two-pack have not solved but aggravated the problems; believes, moreover, that they have contributed to making the system not only overly complex, but essentially unjust and ineffective, increasing the disgregation of the EU and the widespread mistrust of the EU citizens; believes, furthermore, that the current “convergence instruments” – in particular the European Semester – should be reformed to include binding social targets;

Calls for the replacement of the Fiscal Compact and the introduction of a really symmetric mechanism for macroeconomic policy coordination that addresses surpluses as well as deficits and does not place the burden of adjustment on deficit countries alone;

Points out that the functioning of the Economic and Monetary Union requires democratic, transparent and accountable governmental institutions than those currently provided by the Commission and/or the Eurogroup, also introducing the co-decision procedure on the broad guidelines of the economic policies of the Member States and of the Union (article 121 TFEU); in this regard, expresses once again its deep concern for the lack of transparency and democratic accountability that characterises the decision-making and procedures of the Eurogroup; therefore, asks the Institutions to clarify the legal nature of this body vis-à-vis the EU Treaties;

Considers it necessary to endow the European Central Bank with the status of non-conditional lender of last resort enjoying the full powers of a federal reserve bank; at the same time, considers it necessary that the ECB also commits to purchasing eurobonds as part of its standard QE policy, keeping borrowing costs down for the eurozone as a whole; calls for the democratic control of the ECB via the European Parliament; [emendamento caduto con adozione del compromesso, nonostante quest’ultimo proponesse tutt’altro: nel compromesso approvato la funzione di prestatore di ultima istanza viene affidata al Meccanismo di Stabilità auropeo (MSE), non alla BCE]

Recognises the geopolitical, economic and environmental need for the creation of a European energy union; points out however that the Energy Union should be principally fostered through appropriate research and development investments in renewable energy sources, in line with the objectives of the EU as listed, for example, in article 3 TEU and 37 of the EU Charter of fundamental rights;

Notes that the Treaties provide ample means to set up a human rights-based, well-functioning migration and refugees policy rooted on article 80 TFEU and on the principles of solidarity, non-discrimination, non-refoulement, and on proactive search and rescue in line with the obligations deriving from the Geneva Convention, the Charter of fundamental rights of the European Union, the International Convention for the Safety of Life at Sea and the International Convention on Maritime Search and Rescue, while considering, at the same time, the establishment of safe and legal avenues for refugees fleeing from wars, dictatorships and environmentally-caused disasters; believes, however, that the Treaties, particularly Article 79(5) TFEU, are too restrictive regarding other aspects of migration, especially on the establishment of a genuine European legal migration system; insists that democratic control and co-decision by the Parliament is needed on the implementation of border control, asylum and migration policies, and that the safeguarding of national security cannot be used as a pretext to circumvent European action as far as asylum and inclusion policies are concerned;

points out, however, that the fight against terrorism shall not become a justification for lowering down existing human rights standards, including protection of privacy in internet and encryption of data;

Believes, finally, that it is essential that the restrictions in Article 24(1) TEU on the authority of the European Court of Justice in the field of CFSP be removed; calls, in the same spirit, for Parliament to gain greater powers of scrutiny and accountability over CFSP, including full co-decision powers over the budget and policies of the CFSP;

Notes that, despite the prohibition in Article 15(1) TEU, the European Council has undertaken various legislative initiatives; considers that the legitimacy of these initiatives should be assessed by the Court of justice following an action ex article 263 TFEU;

Is of the opinion that the 60th anniversary of the Treaty of Rome would be an appropriate moment to rebuild the European Union and to start a Convention in order to try to reconnect the European Union with its citizens and to draw a line under the current and persistent slide towards disaggregation, division and insignificance;

Principali emendamenti votati in aggiunta a compromessi ma rigettati

Considers it appropriate to redefine the competences of the Council vis-à-vis those of the European Parliament with the aim of strengthening the co-decision procedure and increasing the transparency of the whole legislative process; calls, furthermore, on the Council, Commission and European Parliament to strongly limit the recourse to Trilogues in the ordinary legislative procedure, while guaranteeing, at the same time, their full transparency;

Una Carta per i diritti internet

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Bruxelles, 5 dicembre 2016

Punto in agenda: Carta dei diritti digitali fondamentali nell’Unione europea. Presentazione alla presenza di Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo, e del prof. Heinz Bude, sociologo, uno degli autori della Carta.

Grazie innanzitutto al Presidente Schulz e al Professor Heinz Bude. Mi felicito per la presentazione della Carta, e contrariamente a quanto detto da alcuni colleghi la ritengo necessaria. È necessario che il mondo internet sia presentato alla stregua di un “bene comune”, e che come tale comporti regole precise, attinenti i diritti all’anonimato, all’oblio, alla cancellazione, e la questione non meno centrale del digital divide. Leggendo la vostra Carta ho provato a paragonarla con una Carta simile, che il prof. Bude sicuramente conosce: si tratta della Dichiarazione dei diritti in internet che il Parlamento italiano ha approvato nel luglio del 2015. Nonostante ritenga che la Carta dei diritti digitali presentata oggi sia di grande interesse, vorrei sottolineare alcuni punti presenti nella Dichiarazione italiana che potrebbero essere vantaggiosamente inclusi nella Carta europea.

Nel preambolo si parla di sfide e minacce che vengono da internet. Per parte mia parlerei anche delle opportunità che si aprono grazie a questo mezzo, e non sottolineerei troppo le minacce ma le tratterei più concretamente nell’articolato, indicando quel che bisogna fare – anche preventivamente – nel caso di violazioni della dignità e di abusi della libertà di espressione. A proposito degli articoli 3 e 15 concernenti il digital divide, metterei in risalto gli aspetti sociali della diseguaglianza di fronte a internet, elencando i diritti sociali che devono esser garantiti per quanto riguarda l’accesso alla rete e l’apprendimento del suo uso, e sottolineerei le difficoltà multiple di adattamento al mondo digitale: difficoltà che si registrano più acutamente in certe regioni non sviluppate o rurali come anche nelle generazioni più anziane. In un’Europa che invecchia, il “divide” è al tempo stesso sociale, geografico e generazionale.

Per quanto riguarda l’articolo 4 concernente la sicurezza, è corretto ribadire che le forze dell’ordine non devono avere accesso ai dati privati e che le eccezioni possono essere consentite solo sulla base della legge, per salvaguardare importanti principi legali. Tali eccezioni tuttavia dovrebbero essere permesse solo a seguito di un’autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria, come specificato appunto nella Dichiarazione italiana scritta dal professor Stefano Rodotà.

Sull’articolo 6 e 7 riguardante il profiling e l’algoritmo, è giusto stabilire che le schedature e l’uso di tecniche probabilistiche (algoritmi) vanno permessi solo sulla base della legge. Quel che aggiungerei è la possibilità di opporsi al profiling come all’algoritmo: in questo consiste infatti il diritto all’identità.

Sull’articolo 5 – concernente data protection e data sovereignty – c’è nella vostra Carta un accenno al fatto che sia necessario il consenso dell´utente affinché   avvenga il trattamento dei dati personali. Aggiungerei tuttavia una precisazione: tale consenso non va considerato permanente, e di conseguenza può essere revocato. Cito in proposito uno dei passaggi chiave della Dichiarazione italiana: “Il consenso non può costituire la base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento”.

***

(parte dell’intervento non pronunciata nel dibattito):

Altri punti della Carta italiana che varrebbe la pena incorporare:

Le modalità di accesso ai dati sono indicate con maggiore chiarezza nella Dichiarazione italiana: in essa si parla non solo di diritto di accesso, ma anche di rettifica e di cancellazione dei propri dati raccolti in rete. In questo quadro, si stabilisce che “la raccolta e la conservazione dei dati devono essere limitate al tempo necessario, rispettando in ogni caso i principi di finalità e di proporzionalità e il diritto all’autodeterminazione della persona interessata”.

Anche sul diritto all’oblio, la Dichiarazione italiana opera alcuni distinguo preziosi, che consentono di evitarne gli abusi da parte del potere politico o finanziario. È un punto che mi pare importante. Si stabilisce infatti che tale diritto va certo rispettato, ma che “non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata”, e si precisa che “tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate”.

Non per ultima, la questione degli squilibri globali di potere che possono crearsi tramite internet: in un articolo della Dichiarazione italiana, concernente il “governo della rete”, si esige che la sua disciplina non dovrà dipendere “dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica”.

 

Qualche domanda a Frontex

Bruxelles, 17 novembre 2016

Oggi al Parlamento europeo, in una riunione della Commissione Libertà civili, Giustizia e Affari interni (LIBE) si è tenuto un interessante dibattito tra Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex (divenuta Guardia Costiera e di Frontiera europea) e i membri della Commissione parlamentare.

Barbara Spinelli ha posto diverse domande al dottor Leggeri a proposito degli incidenti in mare e della violazione dei diritti umani verificatisi negli ultimi mesi e denunciati da diverse ONG:

«Grazie, dottor Leggeri, per la presentazione. Ho alcune domande su episodi specifici di uso della forza. Il primo è quello citato da Ska Keller sul pushback illegale dalla Grecia alla Turchia alla presenza di due navi Frontex, denunciato dalla rete «Watch the Med Alarm Phone» l’11 giugno scorso. Siccome Frontex ha reagito affermando che la decisione è stata presa dal centro di coordinamento regionale greco in linea con la legislazione Search and Rescue sulla base di una “valutazione approfondita”, quello che vorrei chiederle è qual è la responsabilità, comunque, di Frontex, e che cosa, in questa valutazione approfondita, vi ha convinti a considerare legale questa espulsione?

«La seconda domanda riguarda la denuncia di Amnesty International sull’uso della violenza e anche della tortura in una serie di hotspot italiani. Le autorità italiane responsabili tacciono e sicuramente sono responsabili in via prioritaria, ma la questione di fondo è che Frontex assiste i funzionari addetti al prelievo delle impronte digitali, e chi assiste ha una responsabilità, almeno secondo me, ma forse lei ha un’altra opinione?

«L’ultima domanda riguarda l’uso delle armi da fuoco su imbarcazioni di migranti in Grecia, denunciato da “The Intercept” nell’agosto di quest’anno. A una mia lettera, lei ha risposto che «non c’erano navi Frontex», e può darsi che abbia ragione, ma il giornalista che ha indagato per poter salire sulle navi che erano presenti ha dovuto chiedere il permesso a Frontex. Quindi c’erano navi Frontex o non c’erano? Grazie».

Dalle risposte di Fabrice Leggeri si evince che, nell’ambito dei rimpatri, l’agenzia opera secondo la normativa europea, ovvero la Direttiva rimpatri, e adempie gli obblighi del regolamento Schengen.

Per quanto riguarda gli incidenti in mare e i casi di uso delle armi da fuoco – ha specificato il direttore esecutivo di Frontex – gli incidenti hanno portato al ferimento anche delle guardie costiere, e nei casi riportati da diversi reportage, avvenuti in Grecia nel 2015, Frontex ha agito secondo le leggi greche e per motivi di legittima difesa rispondendo al fuoco aperto dai trafficanti (fatto, questo, smentito dal reporter di “The Intercept”).

Circa il rapporto di Amnesty International che denuncia violazioni dei diritti umani negli hotspot italiani, Leggeri comunica di non aver mai ricevuto rapporti di denuncia in proposito da parte di agenti di Frontex.

Il finto federalismo del Rapporto Verhofstadt

Bruxelles, 8 novembre 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Possibile evoluzione e adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea” (Relatore Guy Verhofstadt – ALDE, Belgio) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio il relatore per il lavoro fatto con questa bozza di risoluzione. Dico subito che ci sono passaggi che apprezzo: sulla sicurezza interna, che non deve trasformarsi in pretesto per evitare politiche più coraggiose di asilo e inclusione; sull’opportunità che la Corte di giustizia passi al vaglio la politica estera dell’Unione; sul metodo comunitario che non deve esser soppiantato da quello intergovernativo. Giusto anche chiedere l’estensione di precisi diritti del Parlamento europeo: in prima linea il diritto di iniziativa legislativa e il diritto di inchiesta.

Come già anticipato nella riunione del 12 luglio, ho tuttavia una serie di riserve, che esprimerò negli emendamenti. Cercherò di spiegarne alcuni, facendone una sintesi.

In prima linea non concordo sulle premesse, cioè sui recital che giustificano vari articoli della risoluzione. Quello di cui sento più la mancanza è un’analisi critica e autocritica della crisi dell’Unione, che a mio avviso ha toccato l’acme durante il negoziato greco ed è sfociata per forza di cose nel Brexit – i due eventi sono a mio parere legati. Se siamo giunti a questo punto, non è perché le istituzioni funzionino male, o non si coordinino, o non siano abbastanza “federali”. Il federalismo ha senso se esiste una comunità solidale, se vengono adottate politiche che non dividono le nostre società e non generano, sempre più, disgusto verso il progetto stesso di unione. Il federalismo non è una tecnica, e non basta quest’ultima a ridare ai cittadini la fiducia e il senso di appartenenza che hanno perso. Non basta nemmeno citare Eurobarometro, che non rispecchia il loro vero stato d’animo essendo un istituto di sondaggio troppo dipendente dalla Commissione, dunque con forti conflitti d’interesse.

Non mi convince nemmeno l’analisi delle crisi – la “‘polycrisis” descritta nel rapporto: il più delle volte la crisi è dell’Europa. Non è dei modi formali in cui essa risponde alle sfide, ma della natura stessa della risposta. Ad esempio: non c’è “crisi della migrazione”, ma crisi dell’Unione davanti a flussi di profughi e migranti che al momento rappresentano lo 0,2 per cento delle popolazioni europee. Non c’è solo crisi del debito, ma crisi di Paesi che essendo in surplus non espandono la propria economia. Più generalmente, c’è crisi della solidarietà e della democrazia all’interno dell’Unione. La mia impressione è che il rapporto avalli e sostenga politiche che hanno fatto fallimento. Non basta dire che siamo di fronte a un euroscetticismo senza precedenti e un ritorno dei nazionalismi, senza indicare l’insieme di politiche sbagliate che hanno causato e causano diffusa sfiducia.

Vengo ora agli emendamenti sull’articolato, e ne cito solo alcuni che mi sembrano importanti.

Fin dal primo articolo, si chiede una modernizzazione della governance dell’Unione: cioè più efficienza, più rapidità. Non si va alla sostanza della crisi: la spettacolare mancanza di giustizia sociale, il venir meno di diritti (e di precisi articoli del Trattato come il 2, il 3, il 6, l’11); il riemergere in Europa di una politica di balance of powers, di potenze nazionali più o meno forti che si guardano in cagnesco l’un l’altra. La tecnica ancora una volta prende il sopravvento. Dovremmo sapere, da Heidegger, che “l’essenza della tecnica non è mai tecnica”.

Passo all’articolo 13, in cui si denuncia la mancanza di convergenza e di competitività. Anche qui, nessun accenno alle diseguaglianze sociali e al senso di dis-empowerment dei cittadini, e di impoverimento generalizzato delle classi medie: che sono poi le vere ragioni dell’ondata di sfiducia verso l’Europa.

Nell’ articolo 14, si dice giustamente che né il Patto di Stabilità e crescita né la clausola “no bail-out” hanno fornito le soluzioni volute, ma non si fanno proprie le critiche sempre più diffuse che vengono espresse verso le ricette di austerità non solo da parte di accademici, ma dello stesso Fondo Monetario internazionale. Il malfunzionamento, secondo la relazione Verhofstadt, viene fatto risalire alle troppe infrazioni del Patto. Constato un ritardo diagnostico di almeno dieci anni nell’analisi delle politiche economiche europee.

In questo ambito, mi dispiace che non vi sia neppure un accenno alle proposte di un New Deal europeo. In un emendamento aggiuntivo all’articolo 13, ne propongo uno – ma le idee sono moltefinanziato dalla Banca europea degli Investimenti e da nuove risorse proprie alimentate da una tassa patrimoniale comune, dalla tassa sulle transazioni finanziarie e da una carbon tax.

Altra proposta che va in questa direzione: l’adesione dell’Unione alla Carta Sociale, e comunque l’inclusione dei criteri della Carta nella definizione della politica economica.

A proposito del Rapporto dei cinque Presidenti (articolo 16): il Rapporto Verhofstadt lo condivide in pieno. Io non lo condivido. Nel mio emendamento esprimo una forte critica del rapporto, e delle cosiddette riforme strutturali: basate su codici di competitività che hanno come principale fondamento la ristrutturazione del mercato del lavoro e livellamenti verso il basso dei salari. Non mi sembra la ricetta per uscire dalla recessione.

Per tutte queste ragioni non accolgo la proposta – che in altri tempi e con altre politiche sarebbe stata positiva – di istituire un comune Ministro dell’Economia (e un Ministro degli Esteri). Il rischio è di ripetere l’errore fatto con l’euro. Parlo dell’illusione gradualista secondo cui creando istituzioni comuni parziali si arriverà necessariamente e provvidenzialmente all’unità politica dell’Europa.

Mi si obietterà che non è questo lo scopo di questo rapporto, né di quello dei colleghi Mercedes Bresso e Elmar Brok su quello che si può fare senza cambiare i Trattati. Che è in gioco il quadro costituzionale, non le politiche immesse in tale quadro. Ma ambedue i rapporti fanno proprie precise linee politiche, e questo spiega come mai – non essendo per appunto tecnica, la natura della tecnica – parlo di sostanza politica anch’io.

Rapporto Bresso-Brok: il fiscal compact inserito nei Trattati

Bruxelles, 8 novembre 2016. Intervento (non pronunciato) di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso, S&D – Italia, Elmar Brok, PPE – Germania) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio i relatori di questo rapporto, anche se purtroppo ho constatato l’impossibilità di un confronto che sia serio e rispettoso con i relatori ombra.

Come già sottolineato nel corso della precedente discussione sulla Relazione Verhofstadt, quello che mi lascia più perplessa è la visione di fondo dei due documenti, ossia la scelta di cambiare la struttura, la tecnica – la “capacità di agire” a più livelli, rapidamente ed efficacemente, come è scritto nel rapporto – per lasciare essenzialmente invariata la sostanza. Un esempio tra tutti è il Fiscal Compact. Uno strumento figlio di politiche dell’austerità i cui contenuti ed effetti sono stati ampiamente criticati da noti economisti e, ultimamente, persino dallo stesso Fondo Monetario Internazionale. Piuttosto che modificarlo o scegliere soluzioni alternative, la strada percorsa è quella di legittimarlo completamente, incorporandone le parti più rilevanti all’interno del Trattato e rendendolo di conseguenza elemento strutturale della politica economica europea.  È quello che più ci viene contestato dai cittadini: la miopia, la sordità di fronte ad una richiesta di cambiamento che riguarda esattamente il fondo delle nostre scelte e non l’involucro tecnico all’interno del quale le presentiamo.

Penso anch’io, come i relatori, che i Trattati hanno limiti evidenti ma ci offrano già chiare indicazioni su una possibile via alternativa, ed è alla luce di tali indicazioni che dovremmo procedere per “sfruttarne le potenzialità”. È la direzione che ho tentato di seguire con gli emendamenti che ho presentato. Mi riferisco in particolare agli articoli iniziali del Trattato sull’Unione Europea: l’articolo 2 sui cosiddetti “valori” dell’Unione (mi piacerebbe che in una futura Costituzione si parlasse di norme e di diritti – i valori per definizione sono opinabili); l’articolo 3 sugli obiettivi dell’Unione – tra cui la creazione di un’economia sociale di mercato non solo competitiva, ma che miri – cito – alla piena occupazione e al progresso sociale, e a un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; l’articolo 6 sui diritti fondamentali o l’articolo 11 sulla partecipazione dei cittadini al processo decisionale – solo per citarne alcuni. A rinforzo dei trattati abbiamo anche creato uno strumento unico, la Carta dei diritti fondamentali, che chiede solo di essere innalzata a reale parametro di azione. Si tratta ovviamente di standard generali che necessitano di norme che ne diano concreta attuazione, ma sono anche quei parametri che abbiamo scelto e deciso di inserire nei Trattati quali disposizioni comuni e presupposti del progetto di integrazione europea. Ritengo sia giunto il momento di darne concreta attuazione con politiche che non ne infrangano, come accade oggi quasi quotidianamente, l’essenza.

Un’ultima osservazione sulla politica di immigrazione e di asilo. Considerata l’involuzione sempre più autoritaria in Turchia, considerata la natura dittatoriale di regimi come quello eritreo e sudanese, e il caos che regna in Afghanistan e in Libia, considero impossibile – e indifendibile sul piano legale – la strategia dei cosiddetti “Paesi sicuri”, e ritengo che non vadano firmati accordi con Paesi terzi che sono tutt’altro che sicuri,  al solo fine di rimpatriare migranti e profughi, e di ridurre i flussi migratori prima che i migranti arrivino alle nostre frontiere.

E-democracy: non aver paura delle alternative

Bruxelles, 12 ottobre 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “e-democrazia nell’Unione europea: potenziale e sfide” (Relatore Ramón Jáuregui Atondo – S&D Spagna) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda: Esame del progetto di relazione

Ringrazio il collega Atondo per il documento presentato. A differenza del collega Preda (PPE – Romania) che mi ha preceduto, trovo particolarmente importante, giusta e aderente alla realtà la premessa contenuta nel Considerando A della Relazione, ossia il richiamo alla crisi grave della democrazia nell’Unione e alla rappresentanza sempre più inadeguata dei cittadini.

Apprezzo molto i paragrafi relativi al digital divide, laddove si sottolinea non solo la necessità della formazione e dell’educazione ma anche la questione geografica. In tal caso, si tratta di potenziare le infrastrutture per arrivare in territori non coperti dal digitale.

È anche degno di nota il paragrafo 16 della Relazione, in cui si fa riferimento alla protezione dei dati personali e, in particolare, al fatto che le esigenze di sicurezza non possono diventare un deterrente contro l’inclusione di individui e gruppi nel processo democratico.

Vi sono altre parti su cui invece nutro alcuni dubbi e che diverranno probabilmente oggetto di miei emendamenti.

In primo luogo ritengo che a seguito di una premessa così pertinente, le conseguenze che se ne traggono siano, in alcuni casi, di tenore abbastanza generico. Vorrei menzionare innanzitutto il paragrafo 3, letto in combinazione con il precedente paragrafo 1, laddove si parla di obiettivi dell’e-democracy e si assicura che lo scopo non è di cercare alternative all’ordinamento attuale della democrazia. Personalmente non avrei così paura di parlare di alternative ai nostri presenti ordinamenti. L’alternativa non è la rivoluzione, non è l’assalto della Bastiglia. E’ giusto un’alternativa. In democrazia è sempre positivo quando, in presenza di fallimenti o di difetti evidenti, si tentano strade alternative, anche se complementari al sistema rappresentativo. È il motivo per cui non vedrei la e-democracy soltanto come “support and enhancement of traditional democracy” se, è vero, come dice lo stesso collega Atondo nelle premesse, che la democrazia tradizionale è oggi in stato di crisi profonda.

Suggerirei inoltre di modificare lo stesso paragrafo 1 e, in particolare, la terminologia citizens’ enablement. Parlerei piuttosto di citizens’ empowerment. Si tratta di un concetto politicamente più incisivo, su cui l’economista Amartya Sen ha lungamente lavorato: sarebbe interessante vederlo riflesso in questa relazione.

Tra gli altri punti che vorrei sollevare vi è sicuramente la parte relativa all’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). Sono molto più critica del collega Atondo rispetto alle risposte fornite dalla Commissione (“è troppo presto per introdurre modifiche all’ICE”, così ha risposto alla recente risoluzione Schöpflin) e soprattutto verso l’atteggiamento massimamente restrittivo mostrato sull’ammissibilità delle Iniziative.

Sempre in tema di digital divide, mi piacerebbe che fosse integrato un richiamo più esplicito ai diritti della persona anche in campo digitale e, nello specifico: il principio di non-discriminazione, la libertà di espressione e informazione, il diritto all’educazione. Al contempo farei anche un richiamo esplicito al diritto allo sviluppo e ai diritti sociali, che sono fondamentali al fine di superare effettivamente il digital divide.

Vorrei fare infine un ultimo accenno alla possibilità di redigere una Carta europea dei diritti in internet modellata sull’analogo strumento italiano. Quest’ultimo era espressamente richiamato nel documento di lavoro preparatorio che ha preceduto la Relazione, ma di esso non vi è più traccia. Capisco che la Relazione ha uno spazio limitato, ma il riferimento alla Carta approvata dal Parlamento italiano nel luglio 2015 potrà essere reintrodotto negli emendamenti.

Ricordo solo che la Carta italiana integra una serie di diritti già citati dai colleghi che mi hanno preceduto, tra cui il diritto all’oblio e la necessità di superare ogni forma di divario digitale, sia esso legato alle diseguaglianze sociali, geografiche o anche di età. In un continente che invecchia, la formazione digitale è certo importante per le giovani generazioni, ma lo è in misura non minore per gli anziani.

Contro una direttiva ad hoc sull’encryption

di giovedì, Settembre 15, 2016 0 , , Permalink

Il 13 settembre, nel corso della Plenaria a Strasburgo, il Parlamento europeo ha nominato Julian King Commissario europeo per l’Unione della Sicurezza con 394 voti a favore, 161 contrari e 83 astenuti. Riportiamo le due risposte del Commissario Julian King alle domande di Barbara Spinelli e di Péter Niedermüller sulla direttiva sull’encryption, rivolte nel corso dell’audizione del 12 settembre.in Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni (LIBE).

Domanda di Barbara Spinelli: Il 23 Agosto scorso, i ministri dell’Interno di Francia e Germania hanno annunciato che al vertice di Bratislava chiederanno alla Commissione, e dunque a lei, Sir Julian King, una direttiva sull’encryption. La direttiva obbligherebbe compagnie come WhatsApp o Telegram a indebolire gli standard di cifratura e/o a istituire “back door” per l’accesso delle forze di polizia ai dati personali.

Tale proposta è stata criticata dai sostenitori della privacy e dal CNIL, l’autorità francese di protezione dati. La tesi da essi sostenuta è che togliere la cifratura espone i cittadini a rischi di hacking e di altre forme di terrorismo, più di quanto minacci i terroristi.

Ecco, quindi, le domande che vorrei porle: che tipo di garanzie si intende fornire a salvaguardia della privacy e della sicurezza dei cittadini? Non crede  che il terrorista aggirerà l’ostacolo usando o creando app alternative?

Risposta di Julian King: Thank you, and thank you for raising such an important subject. The internet, as the last few questions make very clear, is absolutely central to our lives – the conduct of our lives and all aspects of our lives, including our private lives – and we should be entitled to privacy in the online world as we are in the offline world. Encryption, for secure communication, is part of that world and is part of the privacy that all citizens should be able to enjoy in that world. It is also the case that some very bad people use encryption, including terrorists. Indeed, in the attack that was recently foiled in France, a well-known encryption device had been used to help its planning. Not just terrorists, however, but also paedophiles and other criminals are using encryption. So there is no easy answer.

I am not convinced that there is a sort of silver bullet. Personally speaking, I am not convinced that some kind of systematic process of introducing ‘backdoors’ would make us all safer. I think, as you say, that it risks introducing systemic weaknesses, which could be used against us, as well as by all sorts of third parties – so this is not a simple subject. I am very glad that we have the Internet Forum as a group of experts, including both Member State representatives and practitioners, who can look at this subject. I will certainly be encouraging them to do so and to offer us some recommendations which I would be happy to discuss further with you.

Risposta di Julian King alla domanda di Péter Niedermüller (S&D – Ungheria): I think encryption is a key part of the online world: it serves very good purposes, preserving our privacy. It’s also misused by terrorists, criminals and paedophiles. There’s no easy answer or silver bullet about what to do to stop that, and I want to have an expert dialogue with the internet service providers and others, to come forward with some ideas for discussion – I don’t think we’ll be able to move anywhere near straight to any recommendations.