Salvare le democrazie nazionali con l’aiuto del Parlamento europeo

Sei anni di crisi economica sembrano aver devastato le menti e le memorie, oltre che le economie europee, e il motivo mi pare chiaro: sia in Europa sia nei singoli Stati, non sono più i parlamenti a esser sovrani, ma le forze dei mercati, assieme a istituzioni lontane dai cittadini e sorde alle loro esigenze. La democrazia rappresentativa è agonizzante in Europa, e quella diretta ancora non è nata. I parlamenti nazionali non hanno praticamente più voce in capitolo, quando sono in gioco le politiche economiche e finanziarie dell’Unione, e sembrano aver perso il ricordo stesso di quel che proclamavano ed esigevano pochi anni fa. Per recuperare la sovranità che hanno smarrito, i Parlamenti degli Stati non hanno altra via se non quella di collaborare in maniera più sistematica con il Parlamento europeo, e di far fronte al pericolo della propria auto-dissoluzione puntando a forme federali di integrazione europea. Di questo si è discusso il 29 ottobre 2014 in un’audizione presso la Commissione Affari europei del Senato, alla presenza degli europarlamentari italiani.


 

Roma, 29 ottobre 2014. Audizione presso la Commissione Affari europei del senato. Intervento di Barbara Spinelli

Sono due i punti che vorrei trattare.

Il primo riguarda la collaborazione fra parlamenti nazionali e Parlamento europeo. È giusto e urgente modificare il regolamento del Senato (e, spero, anche della Camera), come spiegato dal Presidente Vannino Chiti, e far proprio il modello adottato dalla Germania, che nell’articolo 93 del proprio regolamento prevede il coinvolgimento sistematico del Parlamento europeo nei lavori del Bundestag. Quel che tuttavia mi domando è: perché la modifica e perché il bisogno, da molti espresso in quest’audizione, di non limitarsi alla verifica dei cosiddetti criteri di sussidiarietà e proporzionalità?

Se si vuol dare una risposta seria a questa domanda, occorre a mio avviso parlare fra di noi in piena sincerità, senza giri di frase e infingimenti.

Perché dunque l’urgenza? Perché da troppo tempo viviamo sotto la guida di istituzioni e regole emergenziali, in gran parte intergovernative (dal «Six-Pack» al Fiscal Compact al Semestre Europeo), che hanno finito con l’esautorare drammaticamente i parlamenti nazionali e anche quello europeo. Lo vediamo con i nostri occhi in questi giorni: le finanziarie sono concepite dal governo, poi sono discusse e negoziate con la Commissione, e solo alla fine – una volta che la Commissione ci ha fatto le pulci e ha ottenuto gli emendamenti e gli adattamenti e i tagli che esige – il testo approda al Parlamento nazionale, che non ha più margini se non quello di dire sì, o di opporre un no inerte, senza conseguenze d’alcun tipo. Il commissariamento non ha bisogno di esser scritto nero su bianco, per essere operativo a tutti gli effetti. È il motivo per cui sono assai meno ottimista del senatore Chiti, che ha parlato in quest’aula del consolidarsi nell’Unione di un «sistema parlamentare euro-nazionale».

La soluzione è di mettere in piedi una struttura negoziale tra parlamenti nazionali e Parlamento europeo che consenta loro di influire in anticipo sulle scelte economiche dei singoli Stati e dell’Unione, togliendo a esse il carattere di ineluttabilità, oltre che di estraneità alle istituzioni e alle abitudini democratiche.

Per raggiungere quest’obiettivo, bisogna modificare radicalmente il ruolo europeo dei Parlamenti nazionali, così come iscritto nei Trattati dell’Unione. Ruolo oggi esclusivamente negativo: i Parlamenti possono solo bloccare le iniziative legislative della Commissione, nel caso esse violino il principio della sussidiarietà.

A questo potere negativo dei Parlamenti nazionali bisogna aggiungerne due che siano positivi:

  • potere sul bilancio dell’Unione (e quindi anche, oggi, sul Piano di investimenti promesso dal Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker). Intendo il potere di far sentire il proprio peso e la propria volontà, avviando discussioni congiunte e regolari fra parlamenti nazionali e Parlamento europeo prima che gli atti di governo abbiano luogo. Mi riferisco, tra l’altro, all’opportunità di una collaborazione tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo in vista della revisione intermedia del bilancio europeo del 2016 (mid-term review).
  • potere di riformare i trattati europei, quando essi dimostrano di essere – come lo sono – inefficaci e profondamente lesivi della democrazia parlamentare.

Il secondo punto è strettamente connesso al primo: anch’esso implica un linguaggio di verità, e soprattutto di non smemoratezza. Il 25 giugno 2013, il Parlamento italiano ha adottato una risoluzione solenne, proprio sulla modifica del Trattato di Lisbona. Una risoluzione che accennava alla possibilità di una seconda Convenzione. Camera dei Deputati e Senato accolsero la proposta del Movimento europeo in Italia di promuovere la convocazione di Assise interparlamentari sul futuro dell’Europa, entro la primavera del 2014, e si assunsero l’impegno di favorire la realizzazione di «una grande conferenza dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo – con ampie delegazioni e la presenza dei leader di maggioranza e di opposizione, capaci di interpretare e rappresentare la volontà dei rispettivi popoli – attraverso le quali perseguire l’obiettivo di una più compiuta integrazione europea (unione bancaria, economica, di bilancio e politica) e di una nuova politica economica volta a promuovere la crescita e sconfiggere la recessione»: questo, per preparare al contempo la campagna delle elezioni europee e una riforma dell’Unione in chiave federale.

Scopo prioritario delle assise doveva essere una più compiuta integrazione europea, per lottare contro il marasma in cui viviamo da sei anni. Il culmine sarebbe stato il semestre di presidenza italiana, che doveva divenire addirittura un “semestre costituente”, e darsi “istituzioni europee più democratiche, trasparenti, efficaci, (…), il cui operato risulti pienamente comprensibile ai cittadini”.

Mi chiedo dove siano andate a finire tutte queste parole, e se questo oblio di sé non sia il più grande peccato di omissione della presidenza italiana. E non solo della presidenza italiana, ma anche dei due parlamenti: quello italiano e quello europeo.


Considerazioni sul semestre italiano

(Parte dell’intervento di Barbara Spinelli, non pronunciata al Senato, sulla presidenza Renzi)

Siamo giunti quasi alla fine del semestre italiano, e mi chiedo quali risultati abbiamo raggiunto.

Tutto dipende dalle ambizioni di partenza, dall’idea che ci si faceva e ci si fa dell’ormai lunga crisi europea.

Se l’ambizione era di farsi un po’ di spazio, di dire «ci siamo anche noi», il risultato è solo in apparenza positivo, anche se qualche effimero margine è stato conquistato. Il governo italiano potrà rinviare al 2017 il pareggio di bilancio, e anche se toccherà rivedere la finanziaria ha ottenuto qualche flessibilità. Siamo anche stati lodati dal Premier Cameron, all’ultimo Consiglio europeo: «Credo che abbia detto bene il Premier italiano quando ha affermato che il ricalcolo (dei contributi versati dagli Stati all’Unione) è un’arma letale». Renzi ha poi assicurato di non aver usato l’espressione “arma letale”, ma nella sostanza Londra e Roma sembrano avere un comune nemico: la troppo dispendiosa burocrazia di Bruxelles, e implicitamente l’insieme delle istituzioni europee.

Ma se l’ambizione è di guarire l’Europa, di riconquistare la fiducia dei cittadini nelle sue istituzioni, le cosiddette conquiste italiane – tanto più se strappate con la complicità britannica –  sono non solo false consolazioni neonazionaliste, ma vere armi di distrazione di massa.

Distrazione da una crisi che è tuttora una tempesta perfetta, visto che in essa si congiungono una recessione ormai pluriennale, un disastro climatico, un accanito attaccamento a vecchi modelli di crescita industriale.

Distrazione da quel che l’Europa potrebbe fare, se si desse le risorse e le istituzioni per dar vita a una crescita alternativa, basata su ricerca, energie rinnovabili, produzioni diverse dal passato. Il Piano Juncker, vedremo quel che produrrà. Per ora è ambiguo e vago. Non si sa come si finanzierà, visto che a garanzia degli investimenti privati ci si propone di usare i Fondi strutturali e la BEI, che vivono di contributi nazionali. Gli stessi contributi che sono oggi rimessi in questione, e che i paesi più indebitati non potranno versare.

Ma distrazione, soprattutto, da risoluzioni precise che questo Parlamento aveva solennemente preso il 27 giugno 2013. Qui i passi indietro sono enormi. Ancora pochi anni fa si parlava di una seconda Convenzione, che modificasse il Trattato di Lisbona. (…) Di quei propositi, si è perduto oggi perfino il ricordo.

A Lampedusa, 4-5 ottobre 2014

Il cimitero delle barche di Lampedusa

Lampedusa, il cimitero delle barche

Barbara Spinelli, presente con una delegazione di europarlamentari del gruppo Gue-Ngl al Festival Sabir di Lampedusa, che si è tenuto dall’1 al 5 ottobre, il 4 ottobre è intervenuta al Forum Migranti nella sessione tematica Frontiere e prima accoglienza, coordinata da Arci, Migreurop, REMDH.

Davanti all’ecatombe di esseri umani nel Mediterraneo, ha detto Spinelli, non ci si può contentare di vuote frasi di solidarietà, occorre invece agire con iniziative concrete, come l’immediata istituzione di corridoi umanitari e una politica di visti, ma anche pretendendo il rispetto delle leggi e degli accordi già esistenti tra i Paesi membri dell’Unione.

Non è accettabile, ha affermato l’europarlamentare, la sostituzione di Mare Nostrum –iniziativa presa dal governo italiano proprio in conseguenza dell’immane naufragio dello scorso anno a Lampedusa – con l’operazione Frontex Plus, ora rinominata Triton. Ci hanno parlato di un’operazione ambigua, ha spiegato Spinelli, la cui evidente funzione di respingimento viene sovrapposta, con grandi retoriche autocelebrative, alla missione umanitaria finora svolta da Mare Nostrum. La verità è che Triton farà controlli e pattugliamenti, più che ricerche e salvataggi, e non si avventurerà in acque internazionali. Triton ha l’evidente scopo di chiudere i muri della Fortezza Europa.

Vittime della guerra, ha detto Spinelli, non sono solo gli esseri umani, ma la verità e la legalità. Nel caso della guerra contro i migranti, vittime sono una serie di articoli della nostra Carta dei diritti fondamentali, a cominciare dall’articolo 2 (diritto alla vita) e dall’articolo 19 (divieto di respingimento). Così come è violato il Trattato di Lisbona (articolo 80), che prescrive la solidarietà anche finanziaria tra Stati membri “ogni qualvolta sia necessario”.

Spinelli ha concluso con un invito a ricordare la storia europea: il problema è politico, ha affermato, perché abbiamo un diritto europeo al quale non corrisponde una politica europea. Avere una politica verso il Sud del Mediterraneo significa costruire uno spazio inclusivo di pace, solidarietà, cooperazione: un New Deal mediterraneo, che comporti una politica di aiuti nei confronti di quei paesi che, molto più dell’Europa, si fanno carico di masse di rifugiati in fuga dai paesi in guerra, primo tra tutti la Siria.

Nel corso della missione a Lampedusa, Barbara Spinelli ha preso parte, il 5 ottobre, alla partenza simbolica della Carovana antimafia “contro la tratta dei nuovi schiavi”, avvenuta dal molo Favaloro del porto, punto di approdo nell’isola per migliaia di migranti.

Sempre il 5, la deputata del Gue ha visitato la sede di Mediterranean Hope – Osservatorio sulle Migrazioni di Lampedusa, un progetto della FCEI finanziato dall’Unione delle chiese metodiste e valdesi, dove ha incontrato Francesco Piobbichi, operatore sociale incaricato della costruzione di un “osservatorio” delle migrazioni a Lampedusa. Nella sede di Hope, Spinelli ha preso visione dei disegni, prossimamente esposti in una mostra, con i quali Piobbichi dà forma e memoria ai racconti dei testimoni: storie di naufragi, salvataggi, incontri tra isolani e migranti.

Le vere emergenze della Lista

Bruxelles, 9 settembre 2014. Intervento alla conferenza «La sinistra in Europa dopo le elezioni europee» organizzata dal Centro Garcia Lorca & Alternatives.

L’Altra Europa con Tsipras è nata per colmare un vuoto che si è creato nella sinistra fin dagli anni Novanta, con la nascita della famosa Terza via, basata sulle politiche di Tony Blair e di Gerhard Schröder.

Più precisamente, la nostra lista è nata da una doppia presa di coscienza: che questo vuoto non fosse in realtà un vuoto, dal momento che in molti paesi, tra cui l’Italia, una parte di cittadini non aveva accettato le politiche liberiste per l’Europa indicate dall’allora premier britannico e dall’allora cancelliere tedesco. C’era un gruppo di cittadini particolarmente impegnato a salvare i servizi pubblici, che aveva combattuto contro la privatizzazione dell’acqua, che non accettava l’austerità e che, soprattutto, non accettava la confusione e l’identificazione fra destra e sinistra, che era invece la parola d’ordine della Terza via.

La seconda presa di coscienza è che in questo vuoto-non-vuoto c’erano partiti della sinistra radicale che erano stati sacrificati da leggi elettorali assurde e che, da soli, non riuscivano a ottenere risultati all’altezza delle proprie aspettative.

Alle elezioni europee abbiamo vinto per miracolo, perché se è vero che il vuoto non era vuoto, è anche vero che le nostre speranze iniziali erano molto più grandi dei numeri che abbiamo ottenuto alla fine. Questo risultato ha quindi un significato al tempo stesso positivo e negativo. Il segno positivo è che è stato giusto puntare in alto e in largo, voler includere al massimo, rappresentare tutte le anime e tutti i frammenti della sinistra. Il segno negativo è che abbiamo appunto vinto per miracolo, ossia soltanto in parte. Sono stati commessi errori, e gli errori insegnano molto. Sono delle lezioni, sempre. A mio avviso, quello che abbiamo vissuto (vincere per pochissimi voti) ci dice alcune cose sul futuro della lista.

Non dobbiamo dimenticare che siamo nati con il proposito di far nascere qualcosa di simile a Syriza, e che abbiamo scelto Alexis Tsipras come modello anche con il proposito di giungere a un amalgama delle forze della sinistra.

Questo ci dice che costruiremo il futuro della lista solo se cercheremo di essere sempre più inclusivi; solo se nessuno fra noi e fra i diversi partiti che hanno dato vita al nostro comune progetto cercherà di mettere il proprio cappello sulla lista, perché questo è il modo più sicuro di perdere le prossime elezioni. Per salvare la lista, nessun gruppo deve cadere nell’illusione di poter agire solo, senza gli altri.

Credo che questo sia importante soprattutto per voi che siete qui, a Bruxelles, che vi siete battuti per la lista e che continuate a farlo. Forse voi siete più liberi e più indipendenti che in Italia, dove la lista attraversa un periodo difficile.

Sapete perfettamente che le cose cambieranno, in ogni paese, solo se in Europa e nelle istituzioni il paradigma del liberismo verrà smantellato. Meglio sarebbe parlare di “dogma”, anziché di paradigma, dal momento che il liberismo è diventato un’ideologia – e le ideologie non si discutono mentre i paradigmi sì. È come per l’infallibilità papale nella Chiesa: non la si può mettere in questione. Abbiamo assistito a grandi contraddizioni, in questo senso. Per esempio, quando Juncker, il nuovo presidente della Commissione, ha criticato la trojka e il fiscal compact: proprio lui che ha dato il proprio consenso attivo all’una e all’altro. Oppure quando tutti i governi dicono che nelle presenti condizioni è necessario concentrarsi su politiche per la crescita, e alzano la voce invocando parametri più flessibili, ma nessuno di essi fa autocritica sul veleno che essi stessi hanno propinato per anni alle proprie società. La crisi continua a essere curata con il medesimo veleno che l’ha scatenata. Nessuno, nel governo italiano e nell’Unione europea, ammette che questa ricetta semplicemente non funziona. Ricordo qui una frase, attribuita a Albert Einstein: è pura insania ostinarsi a rifare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.

Dunque cosa significa, oggi, volere un’“altra Europa”? Significa, a mio avviso, riconcentrare i nostri obiettivi sui diritti (primi fra tutti quelli che riguardano il lavoro e l’immigrazione) e sulle guerre: sono queste le nostre emergenze. Quando dico “emergenza”, sono consapevole che si tratta di una parola utilizzata dai governi costantemente e da anni; dicono che siamo in emergenza, che la crisi è tale da rendere necessari la riduzione dei diritti, l’accentramento del potere esecutivo, l’indebolimento del potere giudiziario, lo svuotamento delle costituzioni democratiche.

Ma la parola “emergenza” viene brandita abusivamente: in generale, in periodi di crisi si cambiano le cose, mentre qui i governi gridano all’emergenza perché le cose restino come stanno. Il loro obiettivo è garantire lo status quo, e dunque il potere, il dominio dei mercati e degli apparati militari. E mantenere lo status quo significa al contempo immobilizzare i cervelli, far sì che le persone smettano di pensare. Non a caso in Italia è in corso una lotta feroce dell’intero Governo Renzi contro i “professoroni” che si permettono di criticarlo e contro i comitati cittadini. Insomma, contro il libero pensiero.

Di questa parola – “emergenza” – dobbiamo riappropriarci. Dobbiamo strapparla con forza a chi l’ha sequestrata a favore di forze anonime quali i mercati e il complesso militare-industriale.

La vera emergenza è la precarizzazione del lavoro, ed è la questione della sovranità (sovranità che gli Stati-nazione pretendono di aver concesso all’Europa: in effetti l’avevano già perduta, ma l’hanno trasferita a un’Unione europea che non è né solidale né sino in fondo democratica). Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, lo ha detto chiaramente: potete avere i risultati elettorali che volete, non ci fanno paura, perché a Francoforte le riforme sono assicurate dal “pilota automatico”.

Le vere emergenze sono i morti nel Mediterraneo (più di 20.000 dal 1988) e l’abolizione delle operazioni di salvataggio dei migranti come Mare Nostrum, sostituito da operazioni non più intese a salvarli ma a respingerli. Le vere emergenze sono le guerre e il consenso implicito dell’Europa a queste guerre. Lo vediamo in Ucraina: sulla natura antidemocratica e lesiva delle minoranze che caratterizza l’attuale regime di Kiev l’Unione Europea non ha speso una sola parola, mentre esercita un’enorme pressione sulla Russia, accodandosi alla strategia degli Stati Uniti. Non una sola parola sui morti civili della regione di Donbass, né sulle centinaia di migliaia di ucraini dell’Est che fuggono verso la Russia (non perché putiniani, ma in quanto russofoni), né sulle milizie paramilitari di estrema destra alle dipendenze dirette del ministero dell’Interno a Kiev.

L’unica vera emergenza è quindi l’estensione e la radicalità di questa crisi. Vorrei in conclusione ricordare ciò che ha detto Alexis Tsipras, citando Lenin: “Siamo radicali, sì, ma perché la realtà è radicale”.

Note su Jean-Claude Juncker inviate al GUE/NGL, 15 giugno 2014

Vorrei precisare alcune cose che penso a proposito di Juncker presunto candidato «naturale»alla presidenza della Commissione:

1)  I partiti hanno deciso di presentare propri candidati, il che rappresenta senza dubbio un passo avanti nella creazione di uno spazio europeo di dibattito sulle istituzioni dell’Unione e su chi deve dirigerle. Ma nella sua forma attuale, il Trattato è chiaro e prevede una procedura ancora sbilanciata a favore dei governi: è il Consiglio europeo, dunque gli Stati, a designare a maggioranza qualificata il Presidente, «tenendo conto delle elezioni europee». Dopo «appropriate»consultazioni tra Consiglio europeo e Parlamento, e poi tra candidato designato e Parlamento, il Parlamento può respingere il candidato proposto oppure eleggerlo. Qui resta la sua forza, la sua immutata arma ultima.

Continua a leggere

Chiusura della campagna elettorale
de L’Altra Europa con Tsipras

Discorso tenuto il 22 maggio 2014 a Santa Maria in Trastevere, Roma, durante il comizio finale

Siamo giunti all’ultimo pezzo di strada ed eccoci qui, con grandi aspettative e con qualche grande convinzione.

Prima convinzione: tutto questo cammino che abbiamo fatto, per raccogliere le firme, per parlare agli italiani e dir loro il programma che avevamo, è valso la pena. Perché l’Italia sta messa molto male e l’Europa anche, e nessun trattato, nessuna politica ha mostrato di funzionare.

Perché era l’ora di dire che sono troppe, e sempre più diffuse nei principali partiti e movimenti le menzogne, le illusioni, le trappole nemmeno molto nascoste nei discorsi che si fanno sull’Europa, sulle politiche che l’Europa ha fatto in questi anni di crisi, sul suo futuro. Quando parlo di protagonisti della campagna elettorale penso al partito di Renzi, il Pd, al Movimento di Grillo, a Berlusconi, e a chi fa campagna per l’uscita dall’euro o parla a vanvera di recupero della sovranità italiana sacrificata o perduta.

Continua a leggere

Con Alexis Tsipras, oltre la rabbia, oltre la paura

Testo del discorso tenuto alla manifestazione de L’Altra Europa con Tsipras in piazza Maggiore a Bologna, il 21 maggio 2014

Gra­zie Ale­xis Tsi­pras, per esser oggi con noi: a Torino, a Milano, ora qui a Bolo­gna, a pochi giorni dalle ele­zioni. La tua pre­senza ci dà forza. Anche la vit­to­ria del tuo par­tito alle muni­ci­pali ci dà forza: un’altra sto­ria è pos­si­bile, fino a ieri rite­nuta impos­si­bile.

Ti abbiamo visto in tele­vi­sione, pochi giorni fa. Tra tutti i can­di­dati eri senza dub­bio il migliore: l’unico che ha aperto una nuova pro­spet­tiva, l’unico che ha par­lato di cose spi­nose, euro­pee e anche ita­liane: delle deva­sta­zioni pro­dotte dall’ auste­rità, dei patti esi­stenti in Ita­lia fra Stato e mafia, dello svuo­ta­mento sem­pre più evi­dente della demo­cra­zia e delle costi­tu­zioni, qui da noi e in molti paesi d’Europa.

Ho spe­cial­mente apprez­zato il tuo accenno, in una rispo­sta al can­di­dato del Par­tito popo­lare Junc­ker, al ver­tice di Can­nes del 2 novem­bre 2011. Hai con­fer­mato i tanti pic­coli colpi di Stato — i tanti micro-infarti cere­brali della demo­cra­zia – che hanno avuto luogo nell’Unione da quando c’è la crisi. In quel ver­tice sono state decise, nel chiuso d’una ristretta oli­gar­chia euro­pea, i limiti che dove­vano esser messi alla demo­cra­zia e alla sovra­nità popo­lare in due paesi dell’Unione: Gre­cia e Ita­lia. In Gre­cia fu affos­sato un refe­ren­dum sull’austerità. In ambe­due i paesi si decise che non sareb­bero stati tol­le­rati governi rego­lar­mente eletti. Pochi giorni dopo — l’11 e il 16 novem­bre – cade­vano il governo greco e quello italiano.

Continua a leggere

Discorso di Palermo, 12 maggio 2014

Se mi sono candidata capolista nelle isole, e se sono qui con voi a Palermo proprio oggi, è per una ragione precisa. È perché Palermo in queste ultime settimane è di nuovo al centro di una vasta operazione politica, che tende ancora una volta a svilire l’enorme battaglia che qui viene condotta contro la mafia, e in particolare contro il processo Stato-mafia. Abbiamo alle nostre spalle più avvenimenti concomitanti (successivi alle minacce di morte pronunciate da Totò Riina contro Di Matteo).

Primo, la circolare del 5 marzo del Csm, che toglie le inchieste sulle trattative Stato-mafia e sul possibile coinvolgimento dei servizi militari nelle stragi del ’92-’93 ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Si tratta, come ha detto Messineo, di una vera e propria «norma anti Di Matteo e anti Tartaglia».

Continua a leggere

A dieci anni dalla nascita della Sinistra europea

Discorso tenuto il 9 maggio 2014 a Roma in occasione del decimo anniversario della nascita della Sinistra europea.

La Lista Altra Europa con Tsipras è nata dopo la decisione della Sinistra europea di candidare alla Presidenza della Commissione il leader e fondatore di Syriza, il partito che sta divenendo maggioritario in Grecia e che è riuscito in una grandissima impresa: unire tutte le forze veramente di sinistra contro le politiche di austerità che pretendono di salvare l’euro. In Italia, è il tentativo di raggruppare non solo i partiti di sinistra, quella vera, ma anche le più diverse associazioni della società civile che hanno difeso i beni pubblici, che combattono per un nuovo sviluppo ecologico, che difendono la nostra Costituzione antifascista dagli attacchi di una grande coalizione neo-autoritaria, che da anni sono impegnati in una lotta contro la mafia che faccia luce sui patti sordidi, mai confessati, che ci sono stati negli anni Novanta e che ancora forse continuano, fra Stato italiano e mafie di vario tipo. Un vasto tentativo bipartisan è in atto per azzittire la Procura di Palermo, che sta indagando su questi patti. Noi lo denunciamo.

Continua a leggere

Ucraina: la verità vittima della guerra.
L’Europa ha qualcosa da dire?

di giovedì, Maggio 8, 2014 0 , , , , Permalink

di Barbara Spinelli, Eleonora Forenza, Fabio Amato, Guido Viale

Come in tutte le guerre, la verità e l’informazione sono vittime designate. Il caso ucraino non fa eccezione. Si omette deliberatamente di dare notizia sull’uso di paramilitari nazisti al servizio del governo di Kiev, così come dei tragici eventi accaduti ad Odessa (46 persone disarmate uccise in un vero e proprio pogrom antirusso, imputabile alle milizie filogovernative di Pravyi Sektor, Settore di Destra). Criminale è l’aver fomentato, soprattutto da parte degli USA, una guerra civile e aver sdoganato in Europa forze naziste, che speravamo di aver cancellato definitivamente dal futuro dell’Europa.

Continua a leggere

I dieci punti della Lista L’Altra Europa con Tsipras

di Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale

«Siamo radicali perché la realtà è radicale»
Alexis Tsipras

Quando diciamo che siamo per un’Altra Europa, la vogliamo davvero e non solo a parole. Abbiamo in mente un ordine politico nuovo, perché il vecchio è in frantumi e non può essere rammendato alla meno peggio. I nostri candidati, e i nostri europarlamentari, non s’accontenteranno più della risposta: «L’austerità ce l’impone l’Europa», oppure «Non ci sono i soldi». In soli due anni, tra il 2009 e il 2011, i governi UE hanno versato o dato garanzie alle banche private per oltre 4.000 miliardi di euro. E’ un loro dovere trovare 100 miliardi l’anno per ridurre la vergogna della disoccupazione. E’ anche un loro interesse, se mai volessero capire le lezioni degli anni ’20 e ’30, quando in Europa milioni di disoccupati senza speranza, artigiani senza lavoro, imprenditori falliti, esasperati dall’inettitudine dei loro governi, cedettero alle lusinghe dei regimi totalitari.

Continua a leggere